{ t e o r i a
Ci
sono ferite laceranti, ci sono ferite che prendono il loro tempo.
A volte troppo.
Avevo sempre avuto un’idea particolare – tutta mia – sull’amore.
Non avevo particolari ambizioni, non sognavo il principe azzurro – mi illudevo, almeno,
di non essere così sciocca.
L’unica cosa che il mio amore aveva in comune con le fiabe era quanto due
persone si dovessero conoscere: affatto.
Quando si conosce troppo una persona per quanto bello è impossibile che duri, o
almeno questa è la mia teoria - durare poi è un concetto relativo.
Lei fu questa filosofia.
Ci eravamo conosciute per caso, una sera, ad una pizza tra amici.
Non mi ricordo di quale delle tante persone presenti fosse compagna di vecchia
data, ricordo solo che ogni nuovo arrivato era più che benvenuto nella nostra bizzarra
compagnia.
Non parlammo quella sera: si sedette di fronte ma per tutta la serata non
pensai ad altro che ai miei amici lì affianco.
Tentai di scambiarci due parole di cortesia: nome, scuola. Il discorso morì lì.
Ammetto che però ne rimasi affascinata.
Il primo istante in cui la vidi – e il senno di poi l’ha confermato – mi catturò
la sua persona, ma apparentemente non sono mai stata in grado di ascoltare
i primi istinti.
La rividi qualche giorno più tardi, una nuova luce.
Era in libreria – non ricordo nemmeno cosa cercassi – leggeva sul pavimento
nella zona riservata ai bambini, circondata da madri con i propri figli e un
paio di altre persone desiderose di un po’ di pace.
Cosa leggesse lei lo ricordo benissimo – liriche di Saffo, e ancora mi chiedo
perché me ne stupisco, forse fu proprio quello che mi colpì più di tutto:
quella piccola passione comune.
Credo fosse una delle poche cose che piacesse ad entrambe, forse l’unica, ma
tutto questo era nel pacchetto, lo sapevo ancor prima di immaginare cosa sarebbe successo in seguito.
Le parlai quel giorno.
Avrei potuto benissimo evitare, non era mai stata mia abitudine salutare
qualcuno che a malapena conoscevo ma forse l’umore decisamente troppo gioviale,
forse la noia per aver girato a vuoto alla ricerca di un libro, aveva fatto in modo
che fossi in condizione di aiutare il destino.
Inizialmente le ci volle un po’ per ricordarsi della tipa che le stava seduta
di fronte in pizzeria – era sempre così, ricordava i nomi ma non le facce – ma
poi mi accolse con un sorriso.
Arrossì probabilmente, la cosa più strana che mi fosse mai accaduta.
Colpo di fulmine o meno per la prima volta mi piacque seriamente una ragazza.
Quel pomeriggio lo trascorremmo chiacchierando del più e del meno, facendo un
po’ di conversazione e girando per librerie – si era gentilmente offerta di
aiutarmi con la mia ricerca.
Decidemmo di tenerci in contatto, apparentemente eravamo le uniche due rimaste
in città per le vacanze estive mentre i nostri amici erano a godersela da
qualche altra parte altrove.
Qualche volta – se ce n’era l’occasione – uscivamo in gruppo ma di gran lunga
col passare del tempo preferimmo starcene per i fatti nostri.
Fu una di quelle volte – al parco se non sbaglio – che la baciai. Detti la
colpa al caldo, senza pensarci due volte.
Fu un bacio a stampo, un semplice “ciao” un po’ diverso dagli altri.
Camminavamo mano nella mano, a braccetto, ogni tanto stavamo abbracciate – roba
normale per due amiche, no ? – e quel semplice sfiorar le labbra mi sembrò
tanto naturale quanto il resto.
Eppure a me piaceva – e non come amica.
Non fui mai conscia del passo successivo: i silenzi si fecero più
imbarazzanti, i semplici gesti assumevano significati troppo diversi
dall’originale.
Un giorno semplice amicizia, quello
dopo no.
Essere innamorata – serena – aver un cuor leggero e libero da brutti pensieri
era meraviglioso: essere due ragazze e amarci
non dava nessun problema a nessuna delle due.
Anzi, sorte fortuita aver trovato l’una l’altra.
Fu una storia duratura – la mia storia più lunga – ma non seppi mai molto di
quella che era la sua vita di tutti i giorni.
Scoprivamo ogni giorno qualcosa di più dell’altra.
I suoi problemi, le sue emozioni, erano ciò che riempivano il vuoto di quelle
lunghe giornate.
Eravamo sdraiate sull’erba quando mi raccontò la sua breve storia.
Rideva, tantissimo, e ancor oggi quella risata mi manca da morire.
Quanti aneddoti buffi, quante imitazioni di vecchi nomi senza più un volto ben
definito, ma come era iniziata era probabilmente destinata a finire.
Più il tempo passava più il nostro diventava un rituale abitudinario: i baci,
le carezze, il conforto l’una tra le braccia dell’altra.
Era la mia luce: riuscivamo a capirci
anche senza parlarci, ma troppe parole non dette potevano dare i loro problemi.
Capricciosa a volte le sue attenzioni non mi bastavano, capricciosa a volte le
mie di attenzioni non le bastavano. Eravamo fatte così.
Quando l’abitudine divenne insostenibile, quando ormai avevamo la certezza di
quella colonna iniziammo a lasciarci andare.
I baci persero di importanza, i “ti amo” sussurrati teneramente erano sempre le
stesse due paroline che tornavano ad ogni incontro.
Sentivo – sento – la mancanza dei “ti voglio bene”.
Non ci sentimmo per qualche tempo, alla fine decidemmo di far tornare il nostro
rapporto ad una semplice amicizia che non c’era mai stata.
Avevo di certo rispettato la mia teoria, il colpo di fulmine era svanito e la
perdita non era che nell’amore.
Eppure per quanto lei fosse lo specchio di quella filosofia, per quando quella
filosofia portasse solo allo spegnersi del sentimento ne rimasi ferita.
Lei era quella teoria e la contraddizione della stessa.
Angolino
dell’autrice.
Prima
shoujo-ai che pubblico e sinceramente ancora non
riesco a capire cosa mi abbia dato il coraggio di farlo. Questa raccolta è un
esperimento e spero che ciò che scriverò sarà gradito.
Un enorme grazie va ad iskachan
che mi ha gentilmente fatto da beta per questa storia ( e per cui i grazie non
saranno mai abbastanza u.u ), per la scelta del tema
invece indirettamente è tutta colpa di un discorso fatto secoli e secoli fa su
questa strana ( e condivisa ) teoria dell’amore u__u
Un grazie a chi leggerà e le buone anime che mi lasceranno anche un commentino,
kisses Lye :*