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Autore: rossella0806    16/11/2015    1 recensioni
Aurora è una ragazza con un passato molto doloroso alle spalle: dopo l'ennesima batosta ricevuta nella vita, decide di rifugiarsi in un paesino sperduto, un posto magico circondato da lago e montagne, per poter riflettere e ridare un senso alla propria vita.
Qui si ritroverà a fare i conti con se stessa e con la curiosità dei paesani, gente semplice che si rivelerà di grande aiuto per la sua rinascita spirituale.
Grazie a tutti loro, dal sindaco impicciona, a Liliana, la bottegaia del paese, a Linda, una ragazzina di dodici anni, a Macchia, un gattino trovatello e a Tommaso, aitante vigile del fuoco, Aurora imparerà a vivere e ad affrontare la sua solitudine.
E, alla fine, non solo verrà riscattata dalla sua passione per la fotografia ma, grazie anche ad un incontro inaspettato, si scoprirà più forte e amata di quanto avrebbe mai immaginato.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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UNA COSA SOLA












MARTEDI' 8 AGOSTO



Pioggia, pioggia e ancora pioggia: scrosci di acqua battono sui vetri delle finestre fin da notte fonda, verso le tre comincia il diluvio.
Tic tic fanno le gocce, schh schh fa il riale, mentre il letto del fiume si ingrossa sempre di più, secondo dopo secondo.
Qualche lampo solitario illumina il buio, poi tutto ridiventa scuro e la luce artificiale dei lampioni non riesce più a supportare quella naturale della luna, nel suo compito abituale e persino noioso di ogni sera.
Trascorre così l’intera nottata e, adesso che il sole nascosto da nuvole basse e pesanti si sta ormai levando, quel paesaggio continua a rimanere in parte immutato, anche se più chiaro rispetto a qualche ora prima.
I rintocchi delle campane squarciano il silenzio mattutino: la forestiera conta sette rintocchi, lenti e ravvicinati, incredibilmente vicini, poi apre gli occhi.
Fa un respiro profondo, le mani sul viso, consapevole che l'insonnia le è stata fedele compagna: non ha dormito molto, infatti; quel poco che è riuscita a riposare, sono stati minuti inframmezzati dai rumori molesti e persistenti della pioggia.
Il ricordo del meraviglioso concerto della sera precedente ritorna ad insuinarsi nella sua mente: sulla strada del ritorno fino alla stazione, poi durante il brevissimo viaggio in treno e più in su, ormai in paese, percorrendo il viale in salita verso la casa rossa, Tommaso ed Aurora non hanno fatto altro che commentare lo spettacolo; la leggiadria delle bocche e delle dita affusolate dei musicisti, il suono potente e
al contempo carezzevole del quintetto d'oboe, le luci sapientemente miscelate per creare l'atmosfera perfetta, l'emozione che si fa largo dentro di lei, gli applausi abbondantemente elargiti a più riprese ... persino la dolce carezza del ragazzo su una spalla non ha fatto tremare la forestiera, pronta a ricambiare quel gesto di augurio per una buonanotte, con un sincero e riconoscente sorriso.
Adesso, però, la consapevolezza e un sentimento molto simile alla tristezza fanno capolino in mezzo ai ricordi di Aurora, costringendola a scacciare quei pensieri e a guizzare disturbata sotto il lenzuolo accartocciato.
Dopo essersi levata il pigiama e aver indossato la tuta, scende dabbasso e si dirige in cucina per preparare il caffè, con l'intento di distrarsi.
Non vuole ammettere nemmeno con se stessa che quel miscuglio di emozioni per nulla piacevoli non sono altro che l'esito naturale per l'imminente addio che dovrà essere consumato a breve: Tommaso, infatti, partirà quella mattina stessa, con il treno delle otto.
Per questo e per ringraziarlo di tutti i bei momenti trascorsi insieme, vuole fargli trovare la colazione pronta, come ultima dimostrazione di amicizia, se così si può definire, il rapporto che li ha legati in quei giorni così velocemente vissuti.
La casacca blu e grigia ben aderente al petto, la ragazza dà un'occhiata fuori dalla finestra, muovendo con titubanza le tendine color limone sbiadito.
Da un lato del suo cuore vorrebbe che fuori continuasse a diluviare ma, dall'altro, vorrebbe che splendesse nuovamente il sole, per aiutarla a superare meglio il grigio della solitudine che l'attende per le prossime due settimane, fino a quando anche il suo soggiorno alla villa si potrà ritenere concluso.
Il tempo non è affatto clemente, però: sebbene le gocce di pioggia non siano grosse e simili a chicchi di riso come lo erano appena qualche ora prima, l'acqua continua a farla da padrona.
Aurora sospira insoddisfatta, pensierosa per ciò che l'attende, poi si concentra sull'obiettivo che si è prefissata pochi minuti addietro.
-Buongiorno ... -
-Ciao, ti stavo preparando il caffè- le mani a svitare la caffettiera, in piedi di fronte al lavandino, la forestiera si gira in direzione della voce roca del vigile del fuoco, quasi stupita di vederlo già in piedi, nonostante sia consapevole della sua imminente partenza.
Il forestiero si avvicina alla credenza, aprendo il cassetto dove tengono le tazzine e i cucchiaini, la parte sopra di una tuta color petrolio su cui si apre una T-shirt cachi, i jeans di un blu sbiadito e le sneakers bianche e grigie.
Gli occhi nocciola sembrano penetrare per qualche secondo quelli verdi di Aurora, che si sofferma a guardare i folti capelli castani e la barba leggermente incolta ma curata.
-Direi che non sono molto fortunato con il tempo: quando sono arrivato sembrava il diluvio universale e beh, anche oggi, non fa altro che piovere … -
-Nessuno è contento che tu parta, nemmeno il tempo-
Adesso lei ha messo la caffettiera sul fuoco, poi il pacco dei biscotti sul lungo tavolo in rovere, lo stesso che aveva bruciato con il pentolino della cioccolata appena sedici giorni prima, quando il ragazzo si era presentato alla casa rossa senza alcun preavviso.
Dopo una manciata di secondi in silenzio, Tommaso ribatte con il solito sorriso a metà tra il serio e il divertito:
-Anche tu?-
-Sì, un po’ mi dispiace- ammette l'altra, con finta noncuranza, facendo spallucce.
-Ormai mi ero abituata alla tua invadente presenza!-
In quel mentre, arriva Macchia: trotterellando sulle zampette ancora da cucciolo, si avvicina alla padrona, miagolando e attorcigliando la coda sinuosa tra le sue gambe.
-Lascia stare, gli do io il latte … - si offre Tommaso, vedendo con la coda dell'occhio la forestiera avvicinarsi al frigorifero.
Abbozzando un sorriso, ne approfitta invece per controllare la caffettiera che, nel frattempo, ha cominciato a sfiatare: ora il caffè è pronto, il beccuccio della moka sussulta impercettibilmente, mentre il forte aroma si diffonde per la cucina.
-Ecco, adesso sì che possiamo fare colazione- sancisce lei, prendendo posto su una delle sei sedie.
I due si siedono, forse persino un po’ imbarazzati, perché non trovano le parole per quell’ultimo pasto insieme.
-Hai già preparato le valigie?-
-Putroppo sì. Quando siamo tornati dal concerto, nonostante il sonno, ho finito di mettere i vestiti nel trolley. Sembra ieri che sono arrivato ... - i biscotti inzuppati nel caffelatte, il cucchiaino a raccogliere quelli che si sono sbriciolati, prima ancora di essersi sciolti.
-Sei riuscita a dormire questa notte?- continua lui, lanciandole un'occhiata che avrebbe voluto dire tutto e niente.
-Sulla mia finestra la pioggia continuava a sbattere e, in mattinata, ho sentito il vento alzarsi e cominciare a soffiare. Devo ammettere che non è stato piacevole come il concerto di ieri sera, vero?-
La forestiera sorride, beve un po’ di quel miscuglio che ha nella tazza.
-No, infatti. Anch'io ho passato la stessa cosa: dormivo magari per un paio d’ore, poi mi svegliavo, poi ancora mi riaddormentavo e ... beh, insomma, ho continuato così per tutta la notte. Ci rivedremo ancora?- continua lei, tutto d'un fiato, smettendo ancora una volta di fissarlo.
-A me farebbe molto piacere-
Aurora continua a sorseggiare il caffelatte, poi accantona di lato la confezione di biscotti, spingendola quasi subito verso il forestiero, ancora seduto di fronte.
-Anche a me … -
-Allora ti aspetto a ***. Lo sai che puoi venire a trovarmi quando vuoi. Ah, a proposito, ti ho lasciato una busta all’entrata, con il mio indirizzo e il numero di telefono-
Lei si alza, la tazza in mano che si riempie del getto freddo dell’acqua del rubinetto.
-Va bene, lo stesso vale per te. Se mi aspetti un attimo, vado a prendere un foglietto su cui scriverti anche i miei recapiti-
-Certo, tanto manca ancora mezz’ora … -
Prima, Aurora si reca in anticamera per prendere la busta di Tommaso, poi sale le scale il più velocemente possibile e, una volta arrivata nella sua stanza, apre il cassetto del comò dove tiene la Kodak, il taccuino per gli schizzi a carboncino e l’occorrente per disegnare.
Strappa un foglio a metà dal blocco: con una matita un po’ troppo piccola per le molte volte che è stata temperata, comincia a scrivere il suo indirizzo, il numero di cellulare e quello di casa.
Poi, quando ha ormai un piede fuori dalla porta, una strana curiosità le punzecchia la mente: riattraversa la soglia e osserva dubbiosa la busta del forestiero.
Dal momento che non è sigillata, la apre senza difficoltà, stupendosi del grande foglio su cui dovrebbero essere scritti solo delle semplici cifre e il nome di una strada.
Guarda l’orologio da polso appoggiato sulla sedia che le fa da comodino: le sette e trentacinque, ha ancora un po’ di tempo prima di salutare Tommaso, così dischiude quel pezzo di carta troppo ingombrante e comincia a leggere:
    

"Cara Aurora,
si dice che le donne siano il sesso debole, ma in realtà sono convinto che sia l’esatto opposto: quando dicono che gli uomini sono dei codardi, che non si prendono le loro responsabilità, quelle persone hanno più buonsenso di tutte le altre che non hanno il coraggio di ammetterlo o, addirittura, lo negano, perchè non fanno altro che dire la verità.
In questi sedici giorni trascorsi insieme, non ho infatti avuto il coraggio di rivelarti il motivo per il quale sono venuto in questo paese, di cui fino a un mese fa non conoscevo neppure l’esistenza.
Ho cercato di affrontare il discorso più di una volta e, almeno questo, lo devi ammettere, tuttavia mi è mancato quel pizzico di intraprendenza in più che mi ero ripromesso di avere nei tuoi confronti, prima del mio arrivo.
Anche adesso che sono seduto nella “mia” stanza, non riesco a trovare le parole giuste per dirti quello che devo raccontarti, per spiegarti chi sono veramente.
Molto tempo fa, quando andavo alle elementari, una delle maestre ci aveva letto un racconto di un uomo che, per le molte bugie dette da bambino, era diventato di cartapesta, una sorta di robot ante litteram.
Ecco, io, in tutti questi giorni, non ho fatto altro che sentirmi quell’uomo di cartapesta: le menzogne che mi hanno raccontato per anni, mi hanno trasformato in un cattivo Pinocchio, spersonalizzandomi in ciò che adesso mi ritrovo ad essere.
Spero che tu non abbia frainteso quella volta alla mostra, quando ti ho detto che avevo paura di ciò che provavo: mi rendo conto che non era paura quella che sentivo, ma codardia, proprio come ti ho scritto all’inizio di questa lettera.
Ho sempre odiato i melodrammi, credimi: a me le cose piace dirle in faccia, apertamente, senza troppi giri di parole, tuttavia, questa volta, qualcosa mi blocca.
Adesso non posso più tentennare, Aurora, ho il dovere di dirti la verità: sono tuo fratello, il figlio che nostra madre ha avuto quando viveva in Belgio.


Le mani tremanti reggono il foglio di carta bianca che, senza rendersene conto, all’improvviso si bagna di lacrime, insicure e copiose.
La forestiera si morde il labbro inferiore, stringe le mani ora umide di ansia e di sudore freddo.
In cuor suo, ha sempre saputo che quell’uomo portava con sé un mistero, un filo invisibile che li lega da quando sono nati, impossibile da tagliare, ma non voleva o non riusciva ad accettarlo.
Distoglie per un attimo lo sguardo, indecisa se continuare a leggere o se accartocciare quelle righe, solamente per gettarle lontano.
Si alza dal letto, il foglio abbandonato che cade per terra, leggiadro rispetto al massiccio carico che gli è stato impresso.
Cerca di calmarsi, fa un respiro profondo, poi un altro e un altro ancora.
Disperde lo sguardo oltre la finestra aperta, le tende bianche che s’infrangono come onde spumose sui vetri, per raggiungere la distesa calma e piatta del lago in lontananza.
Anche a lei manca quel pizzico di coraggio per continuare a leggere, ma l’incredulità prende il sopravvento e, per questo, decide di proseguire in quella rivelazione:


"Sai, quando ho scoperto la tua esistenza, quando lei mi ha rivelato di avere due sorelle, l’ho detestata, quasi odiata, perché non mi ha permesso di vivere insieme a voi, mi ha negato un’infanzia normale, come quella che immagino abbiate avuto tu e Silvia.
A proposito di nomi, non ti ho mentito quando mi sono presentato come Tommaso, mi chiamo veramente così, anche se so che nostra madre ti ha detto che mi chiamavo Edoardo, il nome che lei mi ha dato alla nascita, ma le persone con cui sono cresciuto, lo hanno voluto cambiare, ma non chiedermi per quale motivo, la verità non la so.
Sapevo, invece, che lei era mia madre: non me lo ha mai tenuto nascosto, sebbene nessuno mi abbia mai rivelato il perché sia cresciuto “segregato”, lontano da lei, da voi e da mio padre, che non so neppure che faccia abbia.
Quando dieci anni fa mi sono trasferito dal Belgio in Italia, sono andato a cercarla e, solo allora, ho saputo dell’esistenza tua e di Silvia, ma, anche in quella circostanza, lei mi ha impedito di rintracciarvi.
Si è persino inventata che vi eravate stabilite in Norvegia, chissà poi perché proprio in quel Paese ..."

Aurora sa benissimo il motivo di quella che non è per niente una bugia: l'amante della madre era infatti uno scrittore norvegese che aveva conosciuto per il suo lavoro alla casa editrice.
Lacrime di rabbia, delusione e tristezza le offuscano la vista, impedendole per qualche secondo di riprendere la lettura.

"E' stato per puro caso, circa un mese e mezzo fa, che, durante un nostro incontro, ho sentito una vostra telefonata. Non appena ho compreso che eri tu, ho insistito fino allo sfinimento perché mi dicesse finalmente dove abitassi.

Ma quando sono venuto a *** per cercarti, tu eri appena partita per venire qui, alla casa rossa, così mi sono di nuovo disperato, perché questa volta –ad un passo dal conoscerti- tutto era andato in fumo, svanito ancora una volta
Dopo che nostra madre mi ha rivelato l’indirizzo di questo posto, sono andato all’agenzia di viaggi per prenotare la mia “vacanza” proprio nel tuo stesso periodo.
Il resto della storia lo sai e, adesso, anche il passato.
Spero che non mi odierai per il comportamento da codardo che ho avuto nei tuoi confronti, che capirai che entrambi abbiamo sofferto e perso un pezzo della nostra vita in questa storia.
So che Silvia non è conoscenza delle mia esistenza: mi piacerebbe incontrarla insieme a te, per cercare di recuperare il tempo che ci è stato volutamente sottratto.
In fondo alla lettera ti lascio il mio indirizzo e il numero di telefono.
Cercami, per favore.
A presto,
Tommaso


I singhiozzi hanno cominciato a sconquassarle il petto: ora non ha più lacrime, solo un senso di disgusto misto a disperazione per quello che ha appena letto.
Un disgusto per la madre –se così si può chiamare una donna che le ha continuamente mentito fin da quando ha avuto una ragione per capire- e disperazione per la sua ingenuità, per essere stata ancora una volta ingannata, sebbene da un’altra vittima come lei.
Lo sguardo le cade sull’orologio da polso: le sette e cinquanta.
Non sa se scendere le scale che la separano da quello che ha appena scoperto essere suo fratello, oppure lasciarlo andare, per non vederlo e prolungare tutta la sofferenza che si sta impadronendo di lei.
E' giusto aspettare che tutto quel dolore e quell’incredulità passi, per poi cercarlo?
E' giusto rassegnarsi al destino, lasciando che quell'uomo entri a far parte della sua esistenza?
Seduta sul letto, le mani a lisciare i pantaloni della tuta, la testa che si dondola a destra e a sinistra, Aurora non riesce a decidersi su come comportarsi.
Stupidamente e irrazionalmente, il pensiero corre a Teresa, la figlia più piccola della contessa della casa rossa.
Anche lei, in un certo senso, era stata ingannata, l’avevano costretta a sposarsi con un uomo che non faceva altro che tradirla, era stata sacrificata prima dalla sua famiglia e poi dal marito.
Solo il legame con il fratello lontano riusciva a darle un po’ di conforto, ma non era stato sufficiente per salvarla.
La forestiera si alza dal letto, per andare di nuovo verso il comò: questa volta apre il cassetto nel quale settimane prima ha ritirato il carillon di zaffiro e oro intarsiato.
Lo sfiora, come un talismano che la possa proteggere e, soprattutto, rivelarle quello che deve fare, come si deve comportare con quell’uomo seduto giù in cucina.
Adocchia ancora una volta l’orologio da polso abbandonato sulla sedia: le sette e cinquantacinque.
Sa che il treno per la città partirà tra cinque minuti, perciò si convince che Tommaso non può essere ancora dabbasso, a meno che non voglia perdere la coincidenza.
Con quella infantile speranza, adesso si sente più tranquilla, la quasi convinzione di non trovarlo più davanti a sé.
Dopo aver ritirato il carillon, si allaccia il cinturino del quadrante ed esce dalla stanza, un respiro profondo a farle da eco.



Effettivamente, in cucina, non c’è più nessuno.
Il ragazzo se n’è andato, il tavolo è stato ripulito, le tazze e i cucchiaini riposti nella credenza, così come il pacco di biscotti.
Macchia è sdraiato vicino alla porta d’entrata, la coda che si muove da una parte all’altra irrequieta, lo sguardo interrogativo rivolto alla sua padrona.
Aurora emette un profondo respiro, un sorriso compare sul volto arrossato, anche se è più simile ad una semplice incurvatura delle labbra, mentre qualche lacrima le cade dagli occhi già arrossati.
Sono di nuovo sola, dopotutto è quello che ho sempre desiderato. Sono venuta qui per questo.
E di nuovo, stupidamente e irrazionalmente, il pensiero corre a Teresa: lei, per suo fratello, sarebbe stata disposta a qualsiasi cosa, lo testimoniano le lettere che ha trovato nascoste sotto un'asse del pavimento, le fotografie con i volti sereni, ritratti di quasi un secolo prima; aveva avuto addirittura il folle e sbagliato coraggio di togliersi la vita, di decidere per sé stessa, disperata per l'allontanamento forzato dalla famiglia, seguendo un marito che non la rispettava, tradendola, in Uruguay, all'altro capo del mondo.
Tu, invece, che coraggio hai?
Le immagini del carillon di zaffiro e oro intarsiato si confondono a quelle delle lettere dentro contenute, alla festa del paese, alle mani fasciate di Tommaso, alle fotografie della mostra, al volto e al sorriso perfetto di lui, del suo Mattia, al ghigno beffardo dell’altro, al buio di quella notte nell’ufficio, alla rivelazione della madre, a Linda e a Liliana, al lago in lontananza, al campanile ... immagini confuse, non cronologicamente in ordine, eppure così vicine, così vive nella sua anima e nel suo corpo ancora una volta feriti per non sua volontà.


Con la fretta nei piedi, la ragazza attraversa i due vicoli, la piazza della chiesa con i vasi di fiori e le panchine di pietra, il ponte sotto cui scorre il fiume, il viale con le case e i cespugli di buganvillea da un alto e i prati con i ricoveri per il bestiame dall’altro.
La pioggia continua a cadere, fitta e noiosa, l’ombrello che ha portato con sé è ritmicamente piegato di lato dal vento.
Finalmente raggiunge la stazione, ci sono altre persone ad attendere l’arrivo del treno, pronte a ripararsi sotto la tettoia dell’entrata della sala d’aspetto.
Aurora si accorge subito che Tommaso non c’è, la sala di aspetto è vuota e, fuori, tra quei volti sconosciuti, è sicura che il suo viso non lo possa vedere.
Poi, da dietro il casotto che un tempo ospitava l’abitazione del guardiano, lei lo scorge, la maniglia del trolley in una mano, l’ombrello tenuto in quel modo buffo come il giorno del suo arrivo.
Gli va incontro, lentamente, le mani strette a pugno lungo i fianchi, dimenticandosi della pioggia e del vento, l’ombrello in bilico su una spalla.
-Speravo che arrivassi … non ho preso il treno delle otto proprio per questo-
La forestiera annuisce, abbassa lo sguardo e poi, con voce fioca, risponde:
-Io, invece, non so che cosa speravo, se trovarti ancora qui oppure no. E’ stato un caso che abbia letto la lettera, altrimenti non sarei venuta ... -
-Quando non ti ho vista scendere, ho capito che la stavi leggendo. Così me ne sono andato, senza aspettarti. Ancora una volta sono stato un codardo, perdonami-
Lei distoglie l'attenzione dal volto che la sta fissando, spostandola sulle scarpe.
-Sì, l’ho letta, certo che l'ho fatto. Cosa posso dire, cosa vuoi che ti dica? Sono sconvolta ancora una volta di più dal comportamento di nostra madre. E’... insomma, è diventata subdola ed egoista, anzi, forse lo è sempre stata e, le tue parole, non hanno fatto altro che confermarlo. Ci ha mentito ... tanto e per troppo tempo-
-Lo so, lo so, Aurora!- esclama con passione, alzando la voce  -ma, adesso, dobbiamo cercare di recuperare il tempo che non abbiamo potuto vivere insieme, solamente questo. I giorni trascorsi alla casa rossa mi hanno fatto capire l’importanza di quello che ci lega, non lasciamocelo sciupare per i suoi capricci, ti prego!-
Le otto e un quarto, le sbarre del passaggio a livello che si abbassano al segnale luminoso e sonore, il treno che annuncia il suo arrivo in lontananza e, subito dopo, la fermata sulle rotaie.
-Adesso devo andare … -
-Ma come? Non torni indietro?-
-Mi piacerebbe, ma non posso. Domani devo tornare al lavoro, la vacanza è finita- riprende sorridendo.
-E' meglio che ognuno rifletta da solo su quello che è successo- continua con fare serio -però ricordati quello che ti ho detto stamattina: vieni a trovarmi, telefonami, ma non sparire! Porta anche Silvia, così finalmente potrò conoscerla ... -
I passeggeri salgono sul treno uno dopo l’altro, mentre loro due sono gli unici a non muoversi.
-Allora vai, altrimenti perderai il treno-
Lui annuisce, lascia la maniglia del trolley e le chiede:
-Posso abbracciarti?-
Lei annuisce.
-E ricordati di venire, io ti aspetto … -
-Lo farò, te lo prometto-
Tommaso riprende la valigia, sparisce nel primo scompartimento libero e, una volta sistematosi, si affaccia al finestrino, in cerca dello sguardo della ragazza.
Il capotreno fischia, con un cenno della mano avvisa il macchinista che può ripartire.
Le porte si chiudono automaticamente, il treno si mette in moto, lo stridio delle ruote è un rumore troppo acuto per le sue orecchie.
Aurora fa un cenno con la mano a quello che una volta era il forestiero, lui ricambia con un sorriso.
La pioggia smette lentamente di cadere, le gocce si diradano fino a scomparire e, nel cielo plumbeo, le nuvole grigie e pesanti si aprono al sole, rischiarando la luce mattutina, ora satura solo del vento.
L’inquilina della casa rossa si avvia sulla strada di ritorno, il treno ormai lontano, i cespugli di buganvillea da un lato, i prati dall’altro, mentre una dolce malinconia fa breccia nel suo cuore.



Quando
non vi resta più nulla
ad eccezione dell’amore,
per la prima volta
vi rendete conto
che l’amore basta
all’amore

Emmet Fox


NOTA DELL'AUTRICE




Ciao a tutti!
Credo che questo sarà l'ultimo capitolo, perlomeno per un pò di tempo: la storia originale finisce così, ma vorrei dedicare ancora qualche paginetta all'epilogo, solo che adesso sono super impegnata con il tirocinio universitario, quindi non so se e quando avrò la possibilità di farlo.
Nel frattempo, ringrazio TUTTI coloro che hanno seguito il mio racconto fino a qui: siete stati tantissimi e vi ringrazio di cuore, perché senza di voi sarebbe stato meno bello e soddisfacente scriverlo! Mi dispiace solo che, troppi di voi, non abbiano scritto qualche commento per questa avventura, ma sono comunque felicissima così!
Milioni di grazie agli stupendi RECENSORI, a chi ha inserito la lista nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite.
Vi ringrazio tantissimo!
A presto!
Un abbraccio a tutti
   
 
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