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Autore: AnyaTheThief    17/11/2015    2 recensioni
Una storia fuori tempo per i MilAthos. Nel villaggio di Cherbourg Athos aspetta la sua occasione per rincominciare una nuova vita senza di lei, la donna che gli ha spezzato il cuore e della quale si è dovuto liberare per sempre. E' stato costretto, ma non avrebbe voluto farlo, e se lei potesse tornare indietro...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, D'Artagnan, Milady De Winter, Porthos
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Vi presento la più incompresa delle mie fanfiction. Presentata ad un concorso di fanfiction sui Moschettieri il cui tema era "fuori tempo e fuori spazio", in cui è stata la più commentata in assoluto, pur non avendo vinto nessun premio XD
La posto anche qua, giusto per vedere se ho gli stessi riscontri da persone diverse. Buona lettura!

 




Il vento di Cherbourg
 



“Non puoi farlo... non ne hai il diritto...”
La sua voce tremula rotta dalle lacrime gli risuonava ancora in testa in maniera così cristallina da farlo rabbrividire ogni volta.
“Almeno guardami.”
Ricordava perfettamente il senso di nausea e la consapevolezza che se si fosse voltato, l'avrebbe perdonata in un istante. E non poteva, non voleva farlo. Sapeva che se ne stava alcuni metri più indietro, con quel suo abito leggero, quasi trasparente che svolazzava mosso dal vento e le lacrime che le rigavano le guance. L'aveva vista piangere altre volte, ma non si era mai scomposta più di tanto; avrebbe dovuto capirlo che aveva sempre finto.
“Athos, guardami... e dimmi che non mi ami.”
Lo stava per fare. Lo stava per fare davvero, l'avrebbe ripresa con sé, al diavolo tutto il resto. Per tutto il tempo che gli restava da vivere sarebbe stato disposto a credere che si fosse trattato di un incidente, pur di tornare ad essere felice, pur di vederla sorridere ancora... Ma poi sentì Porthos caricare la pistola. Ed improvvisamente il volto pallido e contratto dal dolore di D'Artagnan gli tornò alla mente in un'immagine più vivida della realtà stessa.
“Va' via.”
La voce sicura di Porthos gli diede l'ultima spinta per muovere i primi passi sul pontile, in direzione della spiaggia. Sentiva lo sguardo di lei pesargli sulla schiena tanto da farlo piegare leggermente in avanti. Gli parve che la brezza marina che gli soffiava i capelli sul viso portasse con sé le ultime incomprensibili parole di D'Artagnan, quei mormorii appena percepibili mentre il suo corpo in preda alle convulsioni si agitava tra le sue braccia, e il sangue si allargava tra il grano. Ricordava il profumo che c'era nell'aria quel giorno e continuò a camminare per non mostrare la debolezza gocciolargli giù dal viso.
“VIGLIACCO!”
Uno sparo, un tonfo nell'acqua, e poi finalmente riaprì gli occhi.
Erano passati cinque anni da quel giorno ed ancora lo rivedeva molto spesso nei suoi sogni in maniera tanto lucida da spaventarlo. Anche dopo essersi svegliato, quella voce gli risuonava in testa per le ore seguenti, lasciandolo insonne nel letto a tormentarsi.
Il più delle volte si alzava e si attaccava alla bottiglia di vino.
Quella notte però non si trovava nel suo letto. Non trovò nessuna bottiglia al suo fianco e per un istante si sentì morire. Ma poi improvvisamente si ricordò: era a Cherbourg.
Era giunto finalmente il giorno in cui si sarebbe lasciato tutto alle spalle; aveva speso una fortuna per quel viaggio, ma ne era valsa la pena.
Per dimenticare lei.
La donna che aveva ucciso il suo amico.
Erano cresciuti insieme, lui, D'Artagnan e Porthos. Inseparabili. D'Artagnan non poteva andare a scuola, doveva lavorare il campo con suo padre, perché era vedovo e aveva altre due figlie. Ma lui e Porthos gli avevano insegnato a leggere e a scrivere e a fare alcuni calcoli.
Questo finché non fu chiaro a tutti che la logica e l'ordine non facevano proprio per lui. Ogni tanto ad Athos tornavano in mente le smorfie che faceva D'Artagnan quando cercava di concentrarsi, pur sapendo che fuori dalla stalla c'era parcheggiata una bicicletta, e lui moriva dalla voglia di salirci.
Ma ormai anche quei ricordi avevano iniziato a svanire.
Quando ripensava al suo amico, a volte non riusciva a mettere bene a fuoco il suo volto e iniziava a dimenticare il suono della sua voce. Ciò che la sovrastava era il frusciare del vento tra le spighe e quell'urlo che riempiva l'aria e che continuava ad ammonirlo VIGLIACCO! VIGLIACCO!, più e più volte, sempre più forte, sempre più vero, sempre più vicino... E il ricordo del suo amico finiva in una nuvola di fumo, lasciando il posto a lei.
La donna che aveva tanto amato. “Milady”, la chiamava, perché il suo marcato accento inglese lo faceva ridere ogni volta che parlava. Ironico come avesse pronunciato bene quella parola, VIGLIACCO!, o forse era lui che la ricordava priva di cadenza, quasi come se fosse la sua coscienza a gridargliela.
“Milady”, che si divertiva a solleticargli il viso con le piume sui suoi cappelli, mentre lui di nascosto, ma non troppo, occhieggiava verso il suo seno compresso nel corsetto.
“Milady”, che amava i gioielli e le attenzioni, ma che alla fine le sue le rivolgeva soltanto a lui. Che lo faceva impazzire a forza di risatine, frasi sussurrate, gesti fraintendibili e conversazioni lasciate a metà.
“Milady”, che diceva di amarlo. Che gli aveva raccontato tutto e niente di se stessa. Che era senza dubbio la persona che mai avrebbe creduto capace di ciò che aveva fatto, ma che, Dio, certo che era insospettabile. Non aveva sentimenti.
Lo aveva ucciso a sangue freddo.
Perché così le andava di fare.
“E' stato un incidente...” continuava a ripetere. Ma come poteva una pistola finire in mano a qualcuno, caricarsi e sparare per caso? Athos non sapeva nemmeno che ne possedesse una.
Lei era intelligente, troppo intelligente per poter fare accadere una cosa del genere. E quando era nella stessa stanza di D'Artagnan la tensione si tagliava con il coltello: non gli era mai piaciuto molto, quello era sempre stato chiaro.
Che cosa le era saltato in mente?
Non avrà mai la risposta a queste domande. Non volle sentire nessuna scusa all'epoca, e poi era diventato troppo tardi; se potesse cambiare qualcosa, forse la lascerebbe parlare.
VIGLIACCO!, no, non per sentire di nuovo quel grido.
Scostò le tende, ammirando l'oceano insinuarsi nel golfo di Cherbourg.
Quella città aveva un fascino sinistro che gli ricordava lei.
Ma presto non sarebbe più stato un suo problema, aveva intenzione di fare tutto per bene: se doveva scordarsi di tutta quella faccenda, non poteva farlo in Francia.
Si stiracchiò, tutto sommato di buon umore. Cosa avrebbe fatto della sua nuova vita? Aveva sempre vissuto di rendita, non sapeva fare praticamente nulla, ma si sarebbe adattato. Avrebbe imparato un mestiere tutto nuovo, magari. Oppure avrebbe potuto scrivere. Aveva sempre preso parte ai salotti letterari, ma mai aveva avuto un pensiero tanto intraprendente, un po' per vergogna, un po' per timore della concorrenza. Avrebbe potuto iniziare da subito.
Mentre ancora si stava sistemando una bretella, afferrò un pezzo di carta dal cassetto e lo appoggiò sul tavolino, poi con una matita vi appuntò velocemente poche parole, come se avesse avuto paura che l'ispirazione gli volasse via, fuori dalla finestra, sospinta dalla brezza.
Piegò il foglio e se lo infilò in tasca, poi uscì.
Aveva ancora alcune ore prima della partenza ma era impaziente: aveva già portato con sé le valigie nonostante mancassero ore all'imbarco. Lanciava continue occhiate verso l'oceano sperando di vedere già comparire all'orizzonte la nave.
Poi decise di mettersi il cuore in pace; trovò una panca dalla quale godeva sia di tranquillità che di una buona vista sulla distesa blu, e si mise a scrivere qualche riga a Porthos, giusto per rassicurarlo.
Gli era sempre rimasto accanto, ma ogni tanto, quando calava il silenzio tra di loro, glielo leggeva nello sguardo: si era pentito.
Non avrebbe mai dovuto chiedergli una cosa del genere, ma non sapeva cos'altro fare. Le autorità non gli avrebbero creduto: c'erano due uomini e una donna sulla scena del crimine, e per di più quell'unica donna era dannatamente brava a manipolare le persone, e sulla carta non aveva un movente. Qualche moina, una storia di gelosia ben montata, e chi sarebbe stato punito per la morte di D'Artagnan? Era arrivato al punto di temerla troppo per pensare di rischiare anche solo un'unghia del piede per lei.
Porthos era l'unico che l'avrebbe potuto fare. Lui, Athos... VIGLIACCO!
Chiuse gli occhi per un istante. Cercò nella sua testa, in ogni cassetto, la voce di D'Artagnan a dargli un po' di conforto, a scacciare quell'urlo. Quando scrisse quelle due parole sul foglio, l'eco del grido ancora gli risuonava in testa, così forte che il rumore prepotente delle onde che si infrangevano contro gli scogli gli faceva solo da sottofondo.
Mi dispiace.
Quelle lettere spiccavano per la loro precisione in calce, rispetto al resto della lettera mezza scarabocchiata.
La ripiegò velocemente perché avrebbe voluto aggiungere tante altre cose ma non voleva togliere importanza così al contenuto principale, quindi la infilò in una busta e si alzò dalla panca per andare ad imbucarla.
Aveva ancora lo sguardo basso, concentrato nel richiudere bene la busta, quando una figura gli si parò di fronte. Sollevò il capo di scatto, pensando di stare urtando accidentalmente qualcuno, ma desiderò subito di non averlo mai fatto.
Un fantasma.
La mano di lei sospesa a mezz'aria in un gesto incerto, il respiro che gli moriva in gola, il vento tra i suoi capelli e il suo abito troppo scollato, il profumo che credeva di aver sepolto per sempre in un mare di dolore, e quell'emozione che nessun altro era mai stato capace di trasmettergli.
Negli occhi di lei implorazione e nostalgia, in quelli di lui rabbia e terrore.
Indietreggiò e si appoggiò al parapetto con entrambe le mani, oscillando pericolosamente. Fu in quel momento che lei si mosse. Non era un sogno. Non era un fantasma.
“Athos...” mormorò lei.
VIGLIACCO!udì lui.
“No-- Non è possibile...” ringhiò, la voce piena di risentimento.
“Athos, devi ascoltarmi...” Milady fece un altro passo spostandosi soltanto di qualche centimetro, ma lui la sentì chiaramente invadere il suo spazio e si ritrasse così tanto che per poco non perdeva l'equilibrio. Ma in quel momento avrebbe preferito venire inghiottito dalle acque gelide o schiantarsi sugli scogli, piuttosto che farsi sfiorare da lei.
Come aveva fatto? Perché era di nuovo lì a tormentarlo? E soprattutto perché era ancora più bella di quanto ricordasse?
Avrebbe voluto toglierle di mano quel parasole che le donava un'aria tanto innocente da poter trarre in inganno chiunque, strapparle di dosso quell'abito dall'aria costosa e... Gettarla in mare. Sì. Nonostante una strana sensazione stesse prendendo il sopravvento, il primo istinto sarebbe stato sicuramente quello di portarle le mani al collo, di spingerla oltre il parapetto, di spezzarle la vita come lei aveva... Tutte le fantasie omicide svanirono in un istante, quando la vide portarsi la mano tra i suoi lunghi capelli.
“Non ti sembra, tesoro, che siano ancor più belli di quelli di Maude Fealy?” aveva cinguettato una volta. Lo faceva notare a chiunque, e tutti non potevano far altro che concordare con lei – dopotutto, nessuno riusciva a dirle mai di no – ma non erano tanto i suoi capelli che denotavano la somiglianza con l'attrice, quanto la sua capacità di sbattere le ciglia dolcemente e subito dopo rivolgerti un'occhiata truce ed agghiacciante. Non glielo aveva mai detto.
Ma in quel momento, in quel gesto, Athos non lesse altro che disperazione. Una lacrima le rotolò giù per la guancia, e lui se ne stava paralizzato ed impotente. Avrebbe voluto urlarle: “questa volta non ci casco!”, ma la verità era che ci era cascato.
Nessuno poteva fingere tanto bene.
Il parasole le scivolò lungo la spalla e lei lo lasciò volare via. Qualche passante si voltò verso di loro incuriosito. Ma Athos non vide nulla di tutto questo. Milady, la sua Milady, era viva, era lì. E stava piangendo. E lui avrebbe voluto correre a prendere la nave per resistere all'istinto di abbracciarla, ma invece fu proprio ciò che fece.
La strinse tanto forte che ad un certo punto non sapeva se lo stava facendo per non perderla più o per farle del male. La strinse mentre singhiozzava e si aggrappava alla sua camicia, la abbracciò fino a perdere la cognizione del tempo. Da quanto stavano così? Mezz'ora, un'ora o solo pochi minuti?
“Non puoi andare...” sussurrò lei con la voce rotta.
“Ma lo farò.” rispose lui prontamente.
“Lo so. Perché non hai mai ascoltato nessuno.”
“Ho dato retta a te. E hai ucciso il mio migliore amico.”
Non pensava di poterlo dire con tanta freddezza, ma ne fu fiero. Da qualche parte D'Artagnan sarebbe stato orgoglioso di lui.
Milady sciolse l'abbraccio e si staccò da lui, che la fissava cercando di restare impassibile, nonostante gli bruciassero gli occhi da morire.
“Lui...” deglutì, chiuse gli occhi, respirò profondamente “E' stato un incidente...”
Athos le rivolse un'occhiata chiaramente scettica.
“La prossima volta mi racconterai che era lui che voleva uccidere te?” sbuffò, sarcastico.
“E' stato un incidente!” insistette lei.
“Dimenticavo: non ci sarà una prossima volta.”
“Athos!” alzò leggermente la voce, per richiamare la sua attenzione. “Ascoltami, per l'amor del cielo, sono tornata dall'aldilà per te, vuoi farmi la cortesia...?”
Rimase spiazzato. Era soltanto la seconda volta in vita sua che la vedeva scomporsi. Non voleva sentire, non voleva accettare la versione assurda dei fatti che gli stava per propinare. Ma se l'era detto tante di quelle volte... Se potessi tornare indietro la ascolterei..., ed invece era lei ad essere tornata indietro per lui. Poteva anche non crederle... Ma glielo doveva.
“Ti ascolto.” farfugliò, imbarazzato e rassegnato.
Lei si torse le mani, si inumidì le labbra ed abbassò lo sguardo.
“Ero una ladra.” confessò in un sospiro. “Lavoravo per dei tizi... Loro... Io attiravo gli uomini, capivo se ne valeva la pena, poi... Tendevamo delle trappole.”
Athos si morse le labbra per non interromperla. Sapeva che si sarebbe spazientita, ma avrebbe voluto urlarle tante di quelle cose, che forse era meglio se teneva la bocca chiusa. VIGLIACCA! gridava dentro di sé, ripetutamente, Sei tu la vigliacca, tu, tu e soltanto tu!
Ma tacque.
“Ho cercato di chiudere con loro quando ti ho conosciuto.” tornò a guardarlo negli occhi e lui notò che il rossore sul suo viso non era dovuto al trucco. “Io... Ti amavo davvero...”
Lui inspirò profondamente e le lasciò spazio per continuare, ma Milady continuava ad aprire e chiudere la bocca senza che nessun suono fuoriuscisse dalle sue labbra. Non aveva mai visto recitare Maude Fealy, aveva soltanto ammirato alcune foto che lei collezionava, ma era sicuro che l'attrice americana aveva una valida concorrente anglo-francese.
“Dimmi solo cosa c'entra D'Artagnan con tutto questo.” chiese, sforzandosi di non aggiungere altro.
“Quegli uomini mi tormentavano. Volevano che rubassi un'enorme cifra da te, come risarcimento per averli piantati...”
“Tu hai acconsentito, immagino.”
“Ma non lo avrei mai fatto!” replicò subito. “Ti avrei chiesto aiuto. Ma mai avrei tradito la tua fiducia, Athos, credimi. Volevo confessarti tutto.” e lo fissò per alcuni istanti, sperando che si sciogliesse, prima o poi. Ma rassegnata, dovette continuare senza aver ottenuto risultato. “D'Artagnan mi sentì stringere quel patto con loro. Quando mi stavo per allontanare, sentii che qualcuno mi stava seguendo... Pensavo che loro volessero... Mi colse alla sprovvista da dietro, e io...” si interruppe, coprendosi gli occhi con la mano.
Ma Athos non mise in dubbio che stesse piangendo. Sapeva sempre quando piangeva. La fissò per lunghi istanti, ma non riuscì a provare pietà; il fantasma di D'Artagnan continuava a frapporsi tra di loro, creando una gelida barriera che gli impediva di crederle.
“Come hai fatto?” si limitò a domandare. E lei capì subito a cosa si riferiva.
“Porthos ha chiuso gli occhi.”
Athos strinse la lettera per l'amico tra le mani. Non poteva biasimarlo. Almeno lui aveva trovato il coraggio di farlo.
“Mi ha perdonata, sai?”
“Come se questo potesse farmi cambiare idea.”
“E' stato lui...” alzò di nuovo leggermente la voce. “...a dirmi di venire qui. Per fermarti.” allungò la mano verso quella di Athos, che però si scostò istintivamente. Milady si ritirò e a lui non era mai sembrata tanto piccola e fragile. “Non c'è nulla per te in America, Athos.”
Lui sbuffò come un toro che stava per caricare. “Cinque anni!” esclamò furente. “Non mi vedi da cinque anni! Torni, e pensi che mi beva le tue storie, e ti permetti di giudicare la mia vita come se ti appartenesse ancora?” il respiro gli tremava dalla rabbia, ma per non continuare la sfuriata, si passò le mani tra i capelli appoggiandosi con la schiena al parapetto e volgendo lo sguardo al cielo, come in cerca di aiuto.
“Sei stato tu a decidere che la mia vita ti appartenesse, quando hai voluto togliermela.”
Athos riportò l'attenzione su di lei, ma non seppe risponderle. Aveva ragione.
“E a volte ho desiderato davvero di essere morta. Sarebbe stato molto meglio che soffrire la tua mancanza...”
Lui la guardò a lungo. Poi le si avvicinò con aria minacciosa. Le venne a pochi centimetri dal viso, ma negli occhi di Milady lesse tutto meno che paura. Ansimando, sfinito da quella conversazione senza via d'uscita, la mangiava con lo sguardo.
Ma lei aveva capito, la stronza aveva capito, e per questo la odiava ancora di più.
Se la divorò in un bacio.
Le affondò i polpastrelli nella schiena, la morse un paio di volte involontariamente, o forse ne era ben conscio, le portò una mano al collo. Per un attimo l'istinto di stringere la presa prese il sopravvento, ma non durò che mezzo secondo.
Le passò le mani tra i capelli, li afferrò e tirò con forza, questa volta consapevole di farle del male. Pensando a quante volte in cinque anni probabilmente aveva flirtato con altri uomini facendosi vanto della sua chioma, avrebbe voluto strappargliela dalla testa.
Lei non si lamentò per il dolore, né si ritrasse. Ricambiò quel bacio passivamente, lasciandosi divorare, l'intero corpo scosso dall'eccitazione, anche dove le mani di lui non arrivavano.
Athos se ne andò all'improvviso. Notò che le sanguinava un labbro ancor prima che se ne rendesse conto lei stessa. Lesse lo sconcerto sul suo volto nel vederlo afferrare le valigie ed allontanarsi senza dire una parola, ma non fece in tempo a vederla accorgersi del foglietto che le aveva fatto scivolare in mano.
Non sarebbe mai riuscito ad andarsene, se non in quel modo.
Milady spiegò lentamente quel biglietto e lesse con gli occhi pieni di lacrime la scrittura di Athos.
Era il 10 aprile 1912, e a Cherbourg le lacrime le parvero cristallizzarsi sulle guance, quando il vento le soffiò addosso.
La gente si muoveva con ingombranti bagagli verso il porto. Un bambino aiutava la madre a portare un baule più grande di lui. Accanto a lui trotterellava la sua sorellina e sulla spalla faceva roteare l'ombrello parasole di Milady. Aveva un gran sorriso stampato sul volto e la speranza negli occhi.
Era il 10 aprile 1912, e lei capì che nessuno, mai più, avrebbe potuto amarla in quel modo.
Pianse con discrezione.
I suoi singhiozzi sommessi vennero coperti dal fischio di una nave in lontananza, la più grande nave che avesse mai visto in vita sua.
Nella sua mano destra, stringeva non uno, ma due biglietti.
Sul foglio ingiallito non c'erano scritte che poche parole, e Milady lesse lentamente, come per paura di esaurirle troppo in fretta.
Quando cadde in mare, mi inondò la mente d'odio ed il cuore di rimorso.
L'altro riportava un nome stampato a grandi caratteri, lo stesso nome dipinto sulla gigantesca fiancata del transatlantico che tentava di avvicinarsi alla costa, senza successo. Era troppo grande per entrare nel porto.
E come quel porto, il cuore di Athos era troppo stretto per accogliere quell'ondata di sentimenti che lei gli aveva riversato addosso.
Stavano usando delle navi più piccole per imbarcare le persone su quell'enorme costruzione che interrompeva la linea dell'orizzonte per un lungo tratto.
Era stupenda ed inquietante, lì ferma e tutta illuminata come lei.
Era il 10 aprile 1912, e il Titanic avrebbe lasciato Cherbourg alla volta dell'America con un passeggero di meno.
  
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