Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama
Segui la storia  |       
Autore: Pizee_01    18/11/2015    1 recensioni
[Tratto dalla storia]
Mi siedo sulla poltrona. Cigola.
Avvicino a me il fascicolo, lo apro e... no, non può essere...
“Imputato: Duncan Nelson
Accusa: omicidio di secondo grado.”
ATTENZIONE:
In questa storia si tiene in considerazione solo TDI, TDA, e TDWT
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Scott | Coppie: Duncan/Courtney
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La Legge del gioco
Capitolo 19: Passato
-Courtney, vuoi sposarmi?- che cosa?!
-Tu sei completamente pazzo!- gli dico, istintivamente. Come gli è venuto in mente di chiedermelo, adesso, dopo quello che ha fatto!
Non ci posso credere!
-No, Courtney, io dico davvero!- mi dice, con trasporto. Ma io sono irremovibile. Non ho intenzione di rispondergli. Perché di certo non posso accettare, ma non posso neanche rifiutare, altrimenti la nostra storia andrebbe a quel paese.
-Perché non ci sposiamo? Domani, anzi... andiamoci adesso! Andiamo al municipio e ci sposiamo!- urla quasi, dall'emozione. Ma no, lui sta impazzendo.
-Duncan! Non è che quella canna ti ha fottuto il cervello?- gli chiedo, arrabbiata. Ora il suo cervello non è lucido. La mia mascella si è irrigidita quasi da sola.
Il suo sorriso si spegne. Lo guardo, adesso non sorridi più, eh?
-Courtney, te l'ho già detto, mi dispiace, sono il più grande coglione che sia mai esistito su questa Terra.- mi guarda, e mi sento un po' più appagata nel sentire queste parole. Almeno lo sa. -Però se non mi hai ancora cacciato via da questa casa un motivo ci sarà.- che cosa diamine ha detto!? È la cosa più rischiosa che potesse dire, eppure l'ha detta, come a fare appello alla parte di me che è innamorata di lui. Sa come convincermi, ma questa volta non ce la farà.
-Infatti, io non voglio che ci lasciamo. Per non ti sembra un po' presto per parlare di matrimonio?- gli chiedo, cercando di rimanere il più calma possibile.
Lui mi guarda, come se non capissi. E la cosa mi fa innervosire parecchio, ma chiudo gli occhi e sospiro per cercare di calmarmi.
-Ma noi ci amiamo, Courtney. E comunque, se ci sposassimo, concretamente non cambierebbe niente. Però, almeno saremmo legati anche su carta.- non sorride più, e guarda per terra, cercando delle parole a me ancora sconosciute. Il discorso di Duncan regge, ma io sono ancora arrabbiata con lui. E il matrimonio non è una cosa da prendere alla leggera. -Senti, Courtney, io non ce la faccio più.- cosa? Il mio battito si blocca per un secondo, e le gambe mi cedono per un secondo, ma comunque non cado. -Io sono sempre stato un bastardo, una persona che non sa dove andare né dove andrà, e io voglio cambiare. Però, per fare questo devo essere legato a qualcosa. Voglio sapere che mentre io lavoro, per noi, voglio... voglio essere sicuro che da qualche altra parte anche mia moglie sta facendo lo stesso.- mi guarda, con occhi da cane bastonato. Ma non è eccessivamente finta, perciò inizio ad ascoltarlo con meno rabbia in corpo. -Sai, i miei non mi hanno mai dato troppo amore. E...- lo vedo in difficoltà. Ma non voglio che continui.
-Non c'è bisogno che tu continui.- gli dico. -Ho capito.- lo guardo, lui è spaventato da ciò che gli potrei dire. Mi avvicino a lui, fino a quando i nostri visi sono distanti una decine di centimetri l'una dall'altra. -Anch'io ti amo, Duncan.- vedo una luce nei suoi occhi, anche se il suo viso non cambia. -Ma noi dobbiamo aspettare. Ora non abbiamo soldi, dobbiamo aspettare...- gli ripeto. -Però...- inizio, severa. -... non ti permettere di farti passare per la testa che io non ti ami.- gli sorrido e lui mi bacia, frenetico. Non dice niente. Ma è meglio così. Questa sera facciamo l'amore. Io lo amo tanto, forse troppo.
 
 
 
 
 
Mi risveglio.
Ho solo un vago ricordo del dormiveglia: un lieve bacio sulla mia fronte, poi di nuovo il buio.
Mi sveglio, velocemente.
Cosa ti avevo detto io, Courtney?
Mi sono appena svegliata, ti prego!
Andiamo, cara, non ti lamentare, non ho voluto rovinarti il tuo bel momento di pace a amore ieri. E poi io ti devo parlare.
Ma io non voglio parlare con te, le rispondo.
Ma non hai scelta, mi dispiace, tesoro.
Mi dice, ironicamente compassionevole.
Cosa ti avevo detto io? Lui non ti ama.
O, ma smettila, lui mi ama, cerco di controbattere, anche se so che è inutile.
Infatti, è inutile, perciò non interrompermi. Io e te dobbiamo fare una lunga chiacchierata. E va bene, prima si inizia, prima si finisce, tanto è inutile discutere con lei; mi arrendo.
E fai bene, cara. Allora, hai visto ieri, eh? Lui ha speso i vostri soldi per fumarsi una canna, da vero egoista quale io ti ho sempre detto che è. Avevo ragione, hai visto? Però, almeno, non è stupido il ragazzo. Si fuma una canna e per farsi perdonare ti chiede di sposarlo, poi, quando vede che non ti ha convinto, ti fa il solito discorso da pulcino bagnato, da povero ragazzo che non ha mai avuto amore nella vita, e ora che lo ha trovato non vuole più perderlo.... blah blah blah. Non sono un essere umano, eppure mi sta venendo il diabete. Non cadere nella trappola. Non lo sposare, altrimenti non avrai più alcuna via di fuga; ora hai la possibilità di scappare in qualsiasi momento. Approfittane.
Secondo te, lui potrà mai essere un buon padre?
Questa domanda retorica mi fa male fisicamente, non solo mentalmente, lei mi conosce, e questo è un problema grosso. Sa di tutte le idee che mi passano per la testa, sa di qualunque ombra che attraversa la mia mente, cosa che magari anch'io non so.
L'hai capito, eh, Courtney? Ti ricordi di ieri, mentre lui era al lavoro e tu eri qui a deprimerti, ti sei resa conto di avere ventinove anni, quasi trenta, e non avere ancora uno straccio di speranza di vita. Allora che cosa ti è venuto in mente? Quella volta in cui, quando avevi tredici anni, hai dovuto badare alla figlia di quel ricco investitore che era andato a parlare con i suoi genitori. Te lo ricordi? Quanto ti era piaciuto, quando quella bambina così piccola ti ha dato speranza, cosa che da ragazzina non avevi.
E ieri, cos'hai pensato? Hai pensato che vuoi un bambino. Tu lo vuoi, ma sei spaventata. E, in fondo, sai bene perché. Perché Duncan non è un uomo affidabile. Lo hai visto tu stessa. Lui cede così facilmente, e nessun discorso sdolcinato strappalacrime potrà mai ricostruire tutta quella fiducia che ha perso. Che tu non hai più verso di lui. E la cosa divertente è che tu ne sei pienamente consapevole.
Per un po' non parla.
Ricordati, Courtney, che gli errori si pagano.
Due secondi di silenzio, e poi scompare.
Mi passo stancamente una mano sulla fronte. Lei non dice la verità, lei cerca solo di manipolarmi, me lo devo ricordare, altrimenti impazzisco.
Però lei mi conosce, io veramente avevo pensato all'idea di avere un bambino, anche se non ora, ovviamente; non riusciamo a mantenerci da soli, figuriamoci se ci fosse un'altra creatura.
Ma io potrò veramente fidarmi di Duncan? Essere padre non è una cosa facile, e ora Duncan non è pronto.
Forse in futuro, ma non ora... devo avere fiducia in lui.
Mi butto sul letto, sento le lenzuola spiegazzate che sfiorano la mia pelle. Guardo il nostro appartamento, come faremo ad andare avanti? Io do per scontato che prima o poi ci risolleveremo da questa situazione, ma forse non accadrà.
No basta, devo piantarla di essere così pessimista. Ora non è proprio il momento.
Sospiro.
Io ringrazio il Destino, il Fato, Dio, o come lo si voglia chiamare per avermi donato Duncan. Io non avevo mai pensato di porre fine alla mia vita, ma molto probabilmente, andando avanti con il tempo, questa idea invisibile sarebbe diventata realtà.
Un sorriso fa a formarsi involontariamente sul mio viso. Io dovrei ancora essere arrabbiata con lui, io non avrei dovuto cedere così facilmente. Eppure, non ci riesco. Io mi innervosisco, perché io dovrei avere il totale controllo del mio corpo e delle mia mente. Dannazione a lui....
Un trillo arriva al mio orecchio sinistro.
È il telefono.
Mi alzo, pigramente, e vado verso il tavolo, sul quale ieri ho appoggiato il telefono. Lo guardo.
Numero privato. Speriamo che non sia una di quelle fastidiose pubblicità.
-Pronto?- dico, facendo capire al mio interlocutore che non ho voglia di parlare con nessuno.
-Courtney?- io ho già sentito questa voce. Però, ora è più... vecchia.
Spalanco gli occhi. Ho capito.
-Ha.. Harry?- chiedo, pensavo che non mi avrebbero più voluto sentire. Mio padre. Istintivamente l'ho chiamato per nome, sono sempre stata abituata così da piccola.
-Hai due minuti? Ti devo parlare.- è molto molto serio. Ma la cosa più strana è che nella sua voce non percepisco alcun tipo di disgusto nei miei confronti.
-Certo.- non balbetto, voglio essere fredda con lui. Dopo tutto ciò che non ha fatto per me, non merita di essere il destinatario di alcuna mia emozione.
-Courtney, non ho tempo da perdere, perciò sarò molto conciso. Tua madre è morta.- il mio respiro si blocca. Che.... che cosa? Non... non è possibile, aveva appena cinquantacinque anni. -Il funerale si terrà al Meadowvale Cemetery, mercoledì prossimo alle nove di sera. A tua discrezione se venire o no.- non parla più. Io voglio sapere perché. Com'è successo? Com'è possibile? Ho tante domande per la testa, ma dalla mia bocca non esce nessun suono. Sento lui che sospira. -Beh, io devo organizzare il funerale perciò ti saluto. Arrivederci, Courtney.- chiude la chiamata. Allontano il telefono dal mio orecchio, e lo appoggio sul tavolo.
Le mani mi tremano, il mio respiro si affanna, le gambe mi cedono. Cado per terra. Sento un groppo in gola. Tossisco. Le lacrime scendono lungo le mie guance, i singhiozzi si fanno sempre più potenti e dolorosi.
Mi dispero, urlo.
Mia madre è morta.
E io non la vedo da dieci anni.
E ora non la potrò rivedere mai più.
 
 
 
 
Sono tutti vestiti di nero.
Non mi è mai piaciuto il nero, così poeticamente triste, ma ora così giusto.
Ho speso una grande parte dei nostri risparmi per comprarci dei vestiti un minimo eleganti, è così che lei immaginava il suo funerale. Lei era sempre ambiziosa, anche da bambina, me lo raccontava quando io ero piccola, per spronarmi a diventare come lei. Alla fine però lei ce l'ha fatta. E lei non ha vissuto in una famiglia ricca, come me. Eppure, io non ce l'ho fatta.
Ci è riuscita. Qui, al suo funerale ci sono alcune tra le persone più importanti del Canada e degli Stati Uniti. Anche se non tutti sono venuti unicamente per compiangere la sua scomparsa, molti di loro sono qui sono per interessi, per denaro. Perché, dato che mio padre è ancora vivo, avrebbero fatto una brutta figura a non venire.
Addirittura credo che alcune di queste persone detestavano mia madre. Ma di questo non posso farne una colpa a nessuno, anche io la detestavo. Non so se la odio ancora, mi sento in colpa ad odiarla ora. In fondo è morta.
Qui c'è tutta gente sulla soglia della terza età, uomini e donne con sguardi di pietra. Né dolore, né felicità, nessuna emozione. Sembrano dei robot, ed è una delle cose più inquietanti che abbia mai visto.
Ma sopporterò, resterò qui fino alla fine, con il disagio, e il dolore.
Perché è così che lei immaginava il suo funerale: con tanta gente come lei, fredda e calcolatrice, ambiziosa e capace.
La cosa triste è che forse l'unica che non voleva al suo funerale ero io. O almeno, la me di adesso, una fallita senza un dollaro. Anche se non me l'ha mai detto esplicitamente lei avrebbe permesso la mia presenza solo se ce l'avessi fatta nella vita.
Non ho idea del perché mio padre mi abbia chiesto di venire. Beh, non me l'ha propriamente chiesto. Mi ha solo informato. Forse credeva che io non sarei venuta dato il rapporto che intercorreva tra me e mia madre.
Almeno qui con me c'è Duncan. Non so se i miei genitori si amavano, io non li ho mai visti darsi un bacio o un abbraccio.
Per lei il fatto che io sia innamorata non conta niente, ma lui è l'unica cosa che ho, perciò la mostro con orgoglio a tutti questi avvoltoi.
Ho lo sguardo basso, è da due giorni che non spiccico quasi nessuna parola. Sono sicura che dopo questo funerale tutto tornerà come prima, ma io ora devo superare questo ostacolo.
Non spero neanche che mio padre mi venga incontro. Fingerà che io non sia sua figlia: tutti sapevano che la mia famiglia mi aveva ripudiata, perciò è come se fossi una sconosciuta.
Alzo per un secondo lo sguardo e lo vedo. È lì, vicino all'entrata della Chiesa, che stringe mani e risponde meccanicamente a domande che lui aveva già previsto.
Gira lo sguardo verso destra e per un secondo incontra i miei occhi, io giro la testa, come a voler far finta che non sia successo niente. Con la coda dell'occhio vedo che ritorna a parlare con un vecchio signore vestito con un completo nero di Armani. Rigiro la testa verso di loro e noto che il signore ha un Rolex d'oro al polso.
Come ho fatto a vivere a stretto contatto con questa gente per tutto quel tempo?
Ma soprattutto, come ha fatto a diventare normalità per me?
Guardo mio padre e vedo chiaramente dalla posizione del suo corpo che vuole venire nella mia direzione. Perciò congeda l'anziano e si avvicina a me, fissandomi negli occhi.
Io non abbasso lo sguardo. Sono al funerale di una donna che non si arrendeva mai, usava qualunque mezzo pur di arrivare al suo obbiettivo; il fine giustifica i mezzi.
Siamo faccia a faccia. Il mio sguardo diventa duro e freddo.
-Sono felice del fatto che tu abbia deciso di venire, Courtney.- mi dice, come se fossi una lontana cugina, mi parla con schifose frasi fatte, frasi che durante la mia infanzia gli ho sentito pronunciare migliaia di volte. Non può parlarmi così.
-Andiamo, piantala. Sappiamo entrambi che lei non avrebbe voluto che io fossi qui.- gli dico. Ora il mio animo non nutre alcun tipo di rispetto né di stima verso di lui, perciò mi sento giustificata a parlargli in questo modo. Tanto non mi può più togliere niente.
Mi guarda e, in modo molto composto, fa un respiro profondo di rassegnazione.
-Mi dispiace che tu la pensi in questo modo. In fondo tu eri sua figlia.-
-Certo, ma lei aveva smesso tempo fa di considerami tale.- gli rispondo.
Mi guarda, e io rimango colpita. Non cerca di nascondere le sue emozioni, anzi, me le lancia senza alcun ritegno. È triste. Non so per quale motivo, non riesco a carpirlo dai suoi occhi, ma solo il fatto che mi mostri pienamente le sue emozioni mi lascia pietrificata.
Ma ora i suoi occhi sono di nuovo freddi.
-Ma comunque, cambiando argomento, chi è questo signore?- mi chiede, riferendosi a Duncan. Cosa gli sta succedendo? Perché dovrebbe iniziare ad interessarsi a me proprio in questo momento? Lo guardo stranita.
-Harry, lui è Duncan, il... il mio compagno.- ho intenzione di continuare a chiamarlo per nome, non lo sento ancora come padre. Non lo è mai stato, e il suo treno è partito da tempo. Se non era mio papà prima, non lo potrà mai essere.
Loro si stringono le mani, vedo che tutti e due cercano di usare quanta più forza possibile.
Capisco che Duncan cerchi di fare una buona impressione su mio padre, questo è comprensibile, ma perché mio padre si ostina a dimostrare, anche se solo con questi piccoli gesti, che io gli appartengo? Lo vedo, da come guarda Duncan, copre con una maschera di finta tranquillità il suo fastidio nel vedermi con un uomo.
Io mi ricordo che quando mia madre mi diseredò, lui aggiunse di essere completamente e incondizionatamente d'accordo con lei.
Le loro mani si sciolgono, lui mi guarda, mi sorride falsamente. E io lo guardo, confusa.
-Beh, è stato un piacere. Ora io devo andare. Spero che troveremo un momento in cui potremmo parlare per più tempo e con più libertà.- si gira, congedandosi, e se ne va, sparendo nella folla.
Io fisso il punto in cui è sparito, poi guardo Duncan. Lui mi guarda, stranito quanto me.
Io non capisco. Perché deve criptare tutti i suoi sentimenti con messaggi subliminali impossibili da comprendere?
Io dovrò trovare il coraggio di parlare apertamente con lui, perché a quanto pare lui non ha intenzione di farlo.
Stringo la mano a Duncan.
Mia madre è morta. Ora lo realizzo.
Silenziosamente una lacrima mi attraversa la guancia.
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ciao a tutti!
No... io non sono affatto in ritardo. Siete voi che vi siete resi conto girando sul vostro account che l'ultimo aggiornamento della storia era del 12 novembre. Io non sono affatto in ritardo.... ok, la smetto.
Sì, ci ho messo quasi una settimana ad aggiornare, ma sono stata particolarmente impegnata con la scuola e con la stesura di una one-shot (La Guerra a Parigi, finale alternativo di questa storia, ispirata ai fatti di venerdì 13 novembre 2015).
Però passiamo al capitolo.
Lo so, in ogni capitolo muore qualcuno, ma state tranquilli, la strage finirà presto: questo molto probabilmente è il penultimo capitolo. Questo vuol dire, se la matematica non è un'opinione, che il prossimo è l'ultimo. Sì, sono triste anche io. Questa ff è molto importante per me, ma ne parlerò meglio nel prossimo capitolo.
Mi lasciate una recensione?
Io credo di aver detto tutto... anzi, no!
Siamo arrivati a più di mille visualizzazioni sul primo capitolo! Vi ringrazio tanto!
Ora ho davvero detto tutto.
Al prossimo capitolo
 
 
 
Pizee_01
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama / Vai alla pagina dell'autore: Pizee_01