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Autore: louehsmjle    18/11/2015    3 recensioni
“Hey, Derek.
Ti sei mai sentito come se avessi un mucchio abnorme di pensieri nella mente e vorresti tirarli fuori e urlarli con tutto il fiato che hai, ma al contempo preferiresti tenerteli dentro finché non esploderanno, per quanto sbagliati siano secondo te?
Ecco, io mi sono sentito così per mesi”.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTE INIZIALI:

Allora.. inizio subito col dire che se non volete essere sommersi da una quintalata di angst nudo e crudo siete nel posto sbagliato! (in teoria io odierei l'angst con ogni fibra del mio corpo, ma sembra che io sia capace di scrivere solo in questo modo molto depresso e molto emo), e in più mi sembra una cosa molto incasinata, tranne le tante parentesi che sono volute.

Vabbè, lascio il giudizio (ansia) ai lettori coraggiosi e temerari e sprezzanti del pericolo che avranno la voglia di leggere la seguente os, che otterranno tutta la mia ammirazione perché non credo che io ce la farei.
Brava Greta, ora li hai spaventati e rimarrai una scrittrice part-time incompresa da tutti.
Bene così.

Comunque, per comporre la prima parte di questa "cosetta" ho preso ispirazione dalla canzone 'Irresistible' dei Fall Out Boy che io personalmente amo e trovo perfetta per questa coppia di stupidi, infatti incontrerete delle frasi direttamente prese dal testo (se volete potete andarvelo a leggere) e modellate in modo da risultare adeguate.

Vi prego, non spaventatevi.

Appuntamento con le note finali (se avrete ancora un briciolo di voglia).






“Hey, Derek.

Ti sei mai sentito come se avessi un mucchio abnorme di pensieri nella mente e vorresti tirarli fuori e urlarli con tutto il fiato che hai, ma al contempo preferiresti tenerteli dentro finché non esploderanno, per quanto sbagliati siano secondo te?
Ecco, io mi sono sentito così per mesi.

Tu mi conosci, sai che se c’è una cosa da dire, sono il primo a farsi avanti per togliermi il peso – e conosci anche la schifosa sensazione che si prova quando si ha un macigno sul cuore e la paura di liberarlo, di quello che potrebbe pensare la gente che si ama.
Tu mi conosci, involontariamente e a tuo malgrado perché, insomma, chi si riterrebbe fortunato per questo? (forse una volta Scott, ora non lo so più; mio padre è abituato ai miei molteplici difetti e mi sopporta da anni).
Non avrei mai pensato, sinceramente, che una persona come te avrebbe potuto far parte di quella che chiamo la mia ‘vita’ ma assomiglia più ad una prigione.

Ci ripensi mai al nostro primo incontro?
Presumo di no, e nemmeno io dovrei far vagare il mio inconscio su questi ricordi ormai dimenticati; ma, per il momento, mi prendo il lusso di riportarli in vita.
La prima cosa che mi torna in mente è il modo in cui camminavi verso me e Scott, con una forza esagerata: quasi a voler a tutti i costi far capire agli altri che ti guardavano la decisione e il potere che pretendevi di avere, quando in realtà eri rotto e squarciato all’altezza del cuore (ora che ci penso bene, la tua camminata non è mai cambiata); poi, come una bomba che mi scoppia sotto i piedi, mi ricordo del tuo sguardo serio, incazzato, una bestia ridestata dal suo sonno in cui nessuno era morto e la solitudine non esisteva.
Credo che dei tuoi occhi mi abbia colpito tutto il messaggio nascosto dietro, perché hai sempre voluto indossare una parvenza di sicurezza che non puoi nascondermi, neanche col verde fiero delle tue iridi. Ricordo che lessi di tutto, tranne della genuina felicità: quella l’avevi persa da tempo, ormai, e non sapevi come fare a ritrovarla (non eri a conoscenza del fatto che da soli si può fare bene poco).

Con tutta onestà: anche se sembrerebbe il contrario, queste che ti ho elencato sono le poche cose che mi ricordo davvero risalenti a quell’episodio ed è – è a dir poco frustrante.
Ho completamente rimosso la situazione, i discorsi, i piccoli particolari che noto in qualunque momento: semplicemente, il mio cervello ha preso in modo autonomo la decisione di eliminarli per fare un favore al mio cuore e non ferirlo inconsapevolmente.
Perché, sai, quei giorni di novità e confusione li ho sempre amati e odiati, e invidio il mio stesso di quell’epoca così vicina ma tanto lontana (non dirmi che non ti sembra passato un secolo, ora tutto è cambiato).

Sto cercando di dimenticare ogni cosa, questa è la verità, perché quando sono solo le immagini del passato che ormai ho memorizzato, mi tornano prepotentemente davanti agli occhi appannati da lacrime amare che non smettono di cadere (e di questi tempi succede spesso, il trovarmi con me stesso in una stanza fredda e vuota; dove sei finito, Derek?).

Allora provo a cancellare quelle mattine in cui io e Scott non andavamo a scuola solamente per scoprire un po’ più dettagli sul tuo passato così misterioso, ma puntualmente lo sceriffo ci beccava; i pomeriggi in cui il branco si riuniva nella vecchia e decadente Casa Hale (lo sai, ci passo davanti tutti i giorni, al piccolo spazio del bosco in cui si trovava: credo che mi manchi un po’) con Isaac, Erica, Boyd e talvolta una breve capatina di Allison; mi dico che non devo pensare alle notti in cui mi trascinavi le unghie affilate sulla mia finestra impazientemente, perché mi dimenticavo di tenerla aperta e volevi spaventarmi, infatti come da copione cadevo dalla sedia (anche se poi finivo per ridere della mia stessa imbranataggine, e ammetto che mi è capitato di sentire qualche tuo sbuffo annoiato che nascondeva una piccola risata).
Voglio scordarmi la tua figura possente che entrava agilmente nella mia camera, che all’improvviso appariva troppo piccola per tutti e due; tu che ti sedevi sul letto e iniziavi ad aggiornarmi su qualunque cosa fosse successa che poteva aiutarci a sconfiggere il “cattivo” di turno, ed io stavo ad ascoltarti come ipnotizzato, perché non parli molto e quelle poche occasioni in cui decidi di farlo sono magiche, non importa se si tratta di come uccidere un Kanima o di quanto Scott fosse un pessimo licantropo (sapevo che lo ammiri tanto come persona, perché è il ragazzo che saresti potuto essere tu da giovane, e lo hai sempre invidiato perché tu non potrai mai riavere quei giorni indietro).

E poi, dal nulla, hai imparato a riconoscere ogni sfaccettatura del mio odore (forse passavi troppo tempo circondato dai miei oggetti, le mie lenzuola e i miei vestiti buttati a caso sulla sedia e sulla scrivania).
Hai cominciato a tenermi d’occhio, a vietarmi di partecipare alle missioni a tuo parere troppo pericolose per uno stupido e inutile umano come me.
Non sapevo più che pensare: mi seguivi continuamente, ma quando te lo facevo notare insistevi che era per controllare che Scott non combinasse casini come suo solito – perché noi due eravamo sempre insieme – e quindi tornavo al punto di partenza.
Arrivavo a maledire i tuoi sensi da lupo, il tuo stupido olfatto che ti fa assomigliare ad un segugio, perché mentre tu potevi trovarmi seguendo il mio profumo, io come avrei fatto a cercarti? (volevo provare a seguire la traccia che lascia il tuo sorriso, ma non lo vedevo mai davanti a me quindi ho lasciato perdere).

Nonostante i tuoi ringhi che non hanno mai fatto paura (non mi faresti mai del male davvero, questo lo abbiamo sempre saputo entrambi) io mi sono fatto male, molte volte; spesso ho provato il bisogno di suggerirti di conservarmi nascosto come se fossi un’arma, di incorniciarmi al tuo muro, di costruirmi una bolla protettiva per tenermi fuori dai guai, ma dopo ci pensavo meglio e arrivavo alla conclusione che, prima o poi, mi sarei stufato e quella bolla l’avrei scoppiata.

Da quando te ne sei andato, però, non ho più nessuno che mi ferma dal lanciarmi in situazioni suicide e dico sempre cose sbagliate (ho anche ucciso un ragazzo, Derek, e tu non c’eri e non sapevo a chi dirlo, ma la verità sale sempre a galla e questa volta mi ha condannato).
Perché tu avrai tanti difetti, ma sono allineati al mio cervello insano e pazzo, come se fossero destinati a combaciare e a zittirsi l’un gli altri.

Ho passato i giorni a ripetermi nella testa: ‘dimenticati di tutto, Stiles, lascialo in pace, prova a dire ‘vivi e lascia vivere’ per una volta’ ma poi ho capito che c’è una grande differenza tra il ‘dire’ e il ‘fare’.
Quindi ora sto posando la bocca sul tavolo e ho preso in mano questa penna (mi sembra come avvelenata, perché mi sta rovinando lentamente) per dirti quanto non è più lo stesso. Sì, questa frase fa schifo, perché fa quasi capire a tutti che io senza te nella mia quotidianità non ci vivo (ma è così, cosa devo fare per farti comprendere la veridicità di queste mie parole?).

Non sei tornato, e tutto si è fatto noioso com’era una volta perché iniziai ad entusiarmi così tanto grazie a te.
Ora siamo tutti feriti, in evidenza sul corpo e più nascosti nello spirito (come se ce l’avessimo ancora, un’anima, dopo quello che ci ha distrutti), ma le guerre sono diventate poche e troppe devastanti; non si sa chi sta realmente vincendo, nessuno si prende la briga di tenere i punti (forse riconoscono già che vinceremo noi, ma io sono convinto che questa battaglia potrebbe finire male); ci sono troppo squali in questo mare, ma gli unici a venire feriti a morte siamo sempre noi, è nostro quel poco sangue tra le onde, perché tu non ti fai avanti per aiutarci come se fossimo tornati a quei giorni di semi-caos e semi-spensieratezza.

Però io, in effetti, non ho mai voluto che tornassi, non ho mai voluto conoscerti; ero curioso, certo (ci sono volte in cui non lo sono?) ma non era mia intenzione farmi impelagare in tutto questo orrore, perché ho odiato essermi sentito come un pezzo di carne da tagliare fino all’osso.
Il punto è che, per quanto pretenda che non esiste più nulla da chiudere nello scrigno dei ricordi, so che non getterei mai la spugna; non ero venuto per combattere, è un pensiero che non mi ha mai attraversato la mente, ma ora che ci sono lo farò fino alla fine.

Cerco di negarlo, ma tu hai sempre avuto un effetto positivo e negativo su di me (più morboso che altro, perché mi riducevi come una falena che perde il controllo e viene attratta sempre di più dalla luce artificiale della lampadina; non avrei mai pensato che, in qualche modo, tu potessi essere la mia fottuta luce).
E, cazzo, vorrei tanto sapere cosa mi stai facendo, ma contemporaneamente temo per la risposta, perché ho sempre saputo che tu sei come una sigaretta che ci si scambia con l’amico per fumarsela e che respirandoti potrei rimanerci secco (sei tipo una malattia).
E so anche che fuori assomigli tanto ad una persona che abita a Seattle, così tranquilla e quasi noiosa, ma la tua essenza è focosa e a tratti pericolosa che mi ricordi Los Angeles, la città degli angeli (possiamo far finta che tu sia un completo demone, ma non la diamo a bere a nessuno).

Tra tutti questi pensieri confusi, capita che io mi interroghi da solo su di te: “Ma sei sicuro che vuoi donare il tuo amore ad uomo come questo? Sembra quasi una parolaccia” e non capisco perché non do mai ascolto alla parte razionale della mia mente (non ce la faccio, è più forte di me; perciò la zittisco).
Perché poi sento i battiti del mio cuore che mi raccontano sempre la verità (ricordi?, me l'hai insegnato tu) e che mi gridano di farla finita: di andare da te e combattere finché non mi accetterai, perché i miei discorsi non sono mai cambiati e non hanno mai subito inflazioni, di mostrarti quanto io sia bravo a baciare solo quando si tratta delle tue labbra (non quelle di Lydia, di Malia o di qualsiasi altra ragazza ci sia mai stata per me).
Ma io non so dove ti trovi!, e questo mi sta logorando ogni giorno di più. Non ti è mai importato di me, comunque, di come mi sarei sentito dopo la tua partenza (che ancora, Derek, non ho capito perché non sei più tornato; è per Breaden? Lei è qua, e ha detto che tra voi è finita... perché ci fai questo? Perché mi fai questo, Derek?) e ti odio, davvero.

Però, quando mi dico che merito molto di più, ci rifletto e mi viene voglia di picchiarmi da solo, perché sono irrimediabilmente innamorato di te e del modo in cui continui a ferirmi tutti i giorni. Lo trovo irresistibile.

 

Stiles.

 

P.S. Sono consapevole del fatto che non ti consegnerò mai questa lettera, tranquillo.”

 

 

 

Erano le tre passate del pomeriggio, ormai doveva essere quasi arrivato a casa; infatti, da ciò che riusciva a vedere Derek attraverso il finestrino di quello scomodo e nauseabondo treno che aveva preso (purtroppo era stato costretto a lasciare la sua amata macchina a San Francisco, Sarah ne aveva bisogno per il week-end) si stavano avvicinando finalmente alla stazione di Beacon Hills.

Può apparire strano da pensare, ma la decisione di tornare nel suo piccolo paesino natale era stata completamente sua: voleva vedere coi suoi occhi che cambiamenti c'erano stati rispetto all'ultima volta che aveva vissuto lì, ripercorrere le vecchie stradine che portavano alla piazza principale, passare davanti alla scuola e permettere ai ricordi di scivolare giù dal ripostiglio socchiuso della memoria e sommergerlo; ma desiderava anche sapere chi abitava ora nel suo loft (magari una famiglia felice, ignara del 'mostro' a cui era appartenuto quell'appartamento così spazioso e vuoto), se i pericoli avessero alla fine deciso di lasciare in pace i cittadini innocenti, e, soprattutto, qual era stato il destino dei suoi compagni di branco. Si trovava particolarmente convinto che si era accumulato l'odio di tutti, in quegli anni di assenza, e questo era uno dei motivi per cui non aveva voluto portare Sarah con sé: venire a conoscenza del fatto che si era trasferito e sposato senza parlarne con nessuno di loro sarebbe stato troppo da digerire.

Con ancora quei pensieri a tormentarlo, scese dal vagone, respirando a pieni polmoni un'aria che gli riportava alla mente i bei vecchi tempi (che belli non erano quasi mai stati, troppo dolore per un ragazzo solo da sopportare). L'unica cosa che doveva fare per forza subito era andare a prenotare una camera per due notti in un hotel, ma con suo estremo stupore si ritrovò in un millesimo di secondo davanti ad una casa per lui troppo familiare da poter dimenticare.

La fissò per qualche minuto, prima di decidersi a suonare il campanello (non riusciva a capire neanche perché lo stesse facendo). Sentì un flebile 'arrivo' dall'altra parte della porta che poco dopo si aprì, mostrando il volto di un uomo consumato dal tempo. “Derek, sei tu?! Oh, signore, ragazzo, quando sei arrivato? Vieni, entra pure, che ti preparo una tazza di caffè!” e lui varcò la soglia di quell'uscio, pensando che per la prima volta nella sua vita entrava in quella casa normalmente e non tramite la finestra della sua camera.

Si sedettero entrambi su due sedie intorno al tavolo della cucina e, mentre l'ormai in pensione sceriffo Stilinski gli posava davanti al naso una tazza fumante, sorrise candidamente. “Mi dispiace essermi presentato senza preavviso, signore, ma volevo fare una visita per sapere cosa mi sono perso in tutto questo tempo” disse, nascondendo il vero motivo per il quale era corso proprio a casa sua. “Beh, figliolo, devi solo sapere che i ragazzi sono tutti andati al college, dopo che si sono calmate un po' le acque qua a Beacon Hills. Poi qualcuno è tornato, qualcuno ha deciso di volare via e rifarsi una vita... per esempio, Scott ha una casa in fondo alla strada ed è felicemente sposato da un annetto; Lydia ha preso il dottorato e...” Derek lo sentiva parlare, ma i suoi occhi spenti e stanchi lo distraevano troppo “Scusi la domanda, signore, ma... Stiles?” il volto di Stilinski si fece triste, chiuse le palpebre per un attimo e con un filo di voce gli raccontò che, finito il college, aveva deciso di continuare a vivere a New York, e ora lui condivideva la casa con Melissa McCall. “Dev'essere stato difficile per lei...” commentò, cercando con tutte le sue forze di non lasciar prevalere la rabbia e la frustrazione sulla compostezza. “Sì, è stato devastante, Derek, ma cosa potevo fare? Rimane sempre mio figlio, lo amo e se lui è felice lo sono anche io. Se mi sento solo, basta che penso a quanto io sia orgoglioso di lui e tutto passa, almeno per qualche minuto. Ora, perdonami figliolo, ma il bagno mi sta chiamando!” rise, cercando di alleggerire l'atmosfera, e si diresse al piano di sopra.

Derek rimase un attimo a rimuginarci sopra, ma poi si alzò per cercare quella maledetta camera. La trovò: sulla porta di legno c'era attaccato un vecchio poster di una band rock che piaceva tanto a Stiles e la scritta 'NON DISTURBARE' un po' sgualciti dal tempo. Girò la maniglia e subito il suo olfatto venne investito dal suo profumo, di cui la stanza era ancora tappezzata (non avrebbe mai creduto che dopo dieci anni sarebbe entrato lì dentro). Era pulita, probabilmente merito di Melissa, ma il disordine era tipico di Stiles.

Andò verso la scrivania e, mentre osservava meticolosamente quanto niente era cambiato, notò con la coda dell'occhio una busta bianca anonima con attaccato sopra un post-it giallo evidenziatore. Non voleva certo curiosare, ma era la scrittura disordata e tremante di Stiles e gli si strinse il cuore; c'era solo una frase in minuscolo:

“Amore mio... rivoglio indietro quei giorni in cui arrivavi alla mia finestra inaspettato, perché quando lo facevi rimanevo senza fiato”.







NOTE FINALI:

Sono un misto di paura e soddisfazione perché questa os è molto importante per me, in quanto l'ho scritta in due pomeriggi (nonostante ce l'avessi in cantiere da settimane) supportata e incoraggiata da una mia carissima amica (la quale non smetterò mai di ringraziare per avermi gentilmente permesso di usare questo account, dato che il mio è andato perduto; e poi, beh, ha speso delle bellissime parole dopo avergliela fatta leggere e mi ha emozionata tantissimo).

Ma! Spero vi sia piaciuta!

E se vi è piaciuta, o se non vi è piaciuta e volete insultarmi, siete superliberi di recensire.
Così capisco se sarebbe meglio se posassi la pena e la finissi di partorire ste minchiate.

Grazie per il sostegno, comunque, a tutte le mie capre che mi incollano il sorriso sulla faccia già di prima mattina e poi è difficile che qualcuno riesca a staccarmelo (neanche quella stronza della prof di spagnolo, pensate).

Ok, hai finito?
Sì, ho finito.
Me ne vado a dormire, con vostro sommo piacere.

See you soon (maybe).

P.S. Spero non ci siano errori (anche se ci saranno, conoscendomi).

 

  
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