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Autore: dylanita    21/11/2015    1 recensioni
Miles sa che la ragazza che ama non potrà mai contraccambiarlo, ma non riesce a smettere di pensare a lei...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La guardavo. Mentre parlava con i suoi amici, un piccolo sorrisetto perennemente disegnato sulla bocca, gli occhi che saltavano da una persona all'altra durante la conversazione. Era bellissima, pensai con amarezza. Quel tipo di bellezza che ti entra dentro e ti abbaglia. Ed era questa la mia situazione, l'avevo guardata così intensamente che ne ero rimasto abbagliato. Ormai ogni persona su cui posavo gli occhi aveva un particolare che mi ricordava lei. I suoi occhi, il suo viso, i suoi capelli. Ma nessuno era lei. Nessuno aveva quel suo sguardo.

Sentii qualcosa di bagnato scorrermi sulla guancia. Alzai la mano e mi toccai il viso con dito tremante. La ritirai e mi accorsi di una goccia intrappolata sul mio polpastrello. Una lacrima, pensai con sorpresa. Una lacrima solitaria per il mio amore senza futuro. Sbattei le palpebre per asciugarmi gli occhi e guardai di nuovo lei.

Stava ridendo. Si vedeva lontano un miglio che era felice e che nemmeno un brutto pensiero le sfiorava la mente.

Per un brutto, terribile momento, desiderai che fosse triste. Che provasse anche solo una briciola del dolore che provavo io e che mi corrodeva dall'interno.

Poi, mi ripresi. Come avevo fatto ad anche solo immaginare una cosa del genere? Mi presi la testa tra le mani. Dovevo solo dimenticarla, solo questo. Perchè non ci riuscivo? Perchè non riuscivo a pensare a una vita senza di lei?

Lo sapevo, avrei dovuto andare avanti. Lei non mi amava, non mi avrebbe mai amato. Andare avanti, continuavo a ripetermi nella mia testa. Ma, quelle due parole insieme non avevano senso se collegate a lei. Non riuscivo ad andare avanti, non volevo andare avanti. Volevo solo guardarla... Anche se soffrivo, anche se ogni sorriso non rivolto a me era come una minuscola puntura, volevo osservarla. Perchè, se era vero che mi faceva male, vederla così spensierata e felice mi faceva sentire anche un certo senso di... tranquillità. Era come sapere che non avresti mai potuto raggiungere il sole, ma il solo fatto di sapere che stava lì in alto nel cielo ogni giorno ti tranquillizzava. Non avrebbe mai smesso di brillare, quel mio sole.

"Vivere, Miles" mi aveva detto un giorno lei "Vivere è solo un gioco di parole, un gioco di sguardi. E, alla fine, sopravvive solo il miglior giocatore". Lei era così, per intere settimane poteva essere come un raggio di sole, poi, all'improvviso diventava triste e pensierosa, ma questo poteva accadere anche da un'ora all'altra.

In realtà pensavo che la sua anima assomigliasse a una montagna. Con tanti picchi di diverse altezze, da punti altissimi da dove si poteva osservare un panorama straordinario si passava a baratri profondi dove non riusciva a filtrare la luce, e viceversa. Ed era uno dei tanti motivi per cui la amavo.

Si girò. Lo fece proprio verso di me. Si accorse della mia presenza e mi salutò con un sorriso e un rapido movimento delle dita, gli occhi illuminati dal vago piacere di avermi visto. Feci un lieve cenno nella sua direzione, poi guardai da un'altra parte fingendo di non essere interessato. Me ne devo andare, mi dissi. Non potevo più restare lì a osservarla, a sperare che lei si innamorasse di me un giorno, prima o poi. Mi stavo facendo male. Ma ero come un drogato che non sa smettere con la sua dose di eroina. Non ci riuscivo. Come potevo chiedere al mio corpo di vivere senza la luce del sole?

"Miles".

La sua voce. Stava dicendo il mio nome, un suono dolce come il miele sulle sue labbra. Chiusi gli occhi per un istante cercando di sembrare il più distaccato possibile.

"Ehi" ricambiai. Si sedette accanto a me, ma non la degnai di uno sguardo. Il mio cuore prese a battere all'impazzata e dovetti sforzarmi per respirare normalmente.

"Ti ho visto da laggiù" indicò il punto in cui stavano ancora i suoi amici a scherzare e a bere qualcosa che non volli meglio definire.

"Si, l'ho notato quando mi hai salutato" dissi con sarcasmo.

Mosse i piedi e prese a dondolare le gambe come fanno le bambine quando si annoiano. Sbirciai di lato per vedere che espressione avesse sul volto in quel momento. Uno sguardo vago e distante, che faceva pensare stesse rimuginando su qualcosa di importante. Iniziai a mordicchiarmi un'unghia, vizio che avevo quando ero nervoso.

"Penso che non si possano avere mai certezze nella vita, Miles" buttò lì all'improvviso "Ci sono solo dubbi, in una società come questa".

"Oh beh... Mi dispiace...?"

Lei mi guardò in modo saccente "Forse tu hai delle certezze? Dico, nella tua vita, hai delle cose su cui non hai dubbi? Nessun dubbio".

Sorrisi. Era da tanto tempo che non facevo un sorriso sincero come quello "Si, in effetti, ho una certezza. Un'assoluta certezza, che penso porterò fino a che i miei occhi non si chiuderanno una volta per tutte".

Alzò le sopracciglia e l'espressione saccente abbandonò il suo viso. Adesso, solo semplice e sincera curiosità "Quale?"

"No" risposi secco. Guardai da un'altra parte cercando di evitare i suoi occhi.

"No cosa?"

"No. Non te lo dico".

"E perché?" insistette lei. Si era avvicinata a me tanto che ora le nostre spalle quasi si sfioravano.

"Ti dispiacerebbe... Ehm, farti un po' più in là?" la mia voce tremò. Non volevo questo. In realtà volevo solo che si facesse più vicina, tremendamente più vicina. Ma malgrado questo si scostò comunque, e mi pentii di averlo detto "Scusa" disse imbarazzata. Si guardò un po' le unghie, dopo di che la sua attenzione ritornò su di me "Allora? Hai intenzione di rispondermi si o no?"

"No".

"No è una risposta" mi fece notare.

"Anche va' a quel paese lo è?"

"No, quello no. E' più un insulto".

"Bene, perché era quello l'intento".

"Bene" ripeté.

"Bene" ripetei.

"Immagino che sia meglio che vada allora".

"Si, immagini bene" Mi guardò in un modo strano, non lo seppi identificare. Alla fine si alzò e prese a camminare verso la sua comitiva senza neanche salutarmi. Ed era fattibile, visto che mi ero comportato in modo a dir poco insopportabile. Mi pentii, come al solito. La guardai mentre se ne andava, se ne andava da me. Ed io non potevo fare niente per fermarla. Oppure si? Mi venne una strana idea in mente. Che poi non era nemmeno così fuori dal comune, ma per i miei standard lo era. Feci un respiro profondo. Mi alzai anch'io. "Aspetta!" le urlai dietro. Mi misi a correre per raggiungerla e una volta vicino la fermai prendendo con delicatezza il suo braccio. Si girò verso di me, sul volto ancora l'aria saccente di prima "Cosa vuoi?" mi chiese infastidita.

"Scusami. Davvero, scusa. Non volevo offenderti. Ultimamente sono un po' nervoso..." lei non fece una piega "Te la dico. La mia certezza, te la dico" aggiunsi con un filo di voce. Lo avevo detto davvero? Si. Bene, ora bisognava soltanto seguire il corso degli eventi, possibilmente senza fare enormi cavolate. Era dubbiosa. Leggevo nel suo sguardo che era indecisa se girare i tacchi lasciandomi da solo o perdonarmi "E va bene. Ma solo perché sono curiosa" rispose svogliata. O almeno, cercava di essere svogliata, perché riconobbi nel fondo della sua voce una punta di entusiasmo che mi chiesi da dove derivava.

"Vieni" le dissi prima di voltarmi e di incamminarmi verso il lato est del parco, più precisamente, verso il lago. Mi seguì senza fare domande e alla fine arrivammo al bacino d'acqua, scintillante sotto la luce del sole. Mi fermai davanti alla ringhiera, poggiando le braccia sul metallo arrugginito.

"Wow. Bel posto" commentò con un sorrisetto sulle labbra. Sembrava quasi... compiaciuta? Non ci feci troppo caso e andai al dunque "Vedi, l'unica certezza che ho nella mia patetica vita... E'..." la voce mi morì in gola. Non ci riuscivo, le parole incastrate tra il cuore e il cervello, quello che avrei voluto dire e quello che avrei dovuto dire. E' che ti amo, era così difficile da dire? Qualcosa sfiorò la mia pelle e sobbalzai. La sua mano. La sua mano stava sfiorando il dorso della mia "Forse è meglio che dica una cosa, prima" mi propose in modo sorprendentemente dolce. Sbattei le palpebre un paio di volte "Dimmi".

Spostò la mano e prese parola "Mi sono innamorata".

Tre parole. Tre parole potevano distruggere un ragazzo? Potevano annientare la sua vita? Potevano sgretolare ogni minima speranza che aveva provato e spezzare il futuro che aveva immaginato? In quel momento mi parve proprio di si. Annegai in silenzio nell'oscurità del mio cuore.

"E' la persona migliore che abbia mai conosciuto. E' dolce, intelligente, molto bravo a capire le emozioni degli altri, tranne le mie. Per esempio, non credo che abbia ancora capito che lo amo. Ho intenzione di dirglielo, un giorno. Penso che anche lui mi ami. Ma certe volte si comporta in modo così criptico che penso non provi niente per me. E' anche una persona un po' contorta. E' sempre pronto per gli altri ma quando si tratta di lui, fa sempre dei gran casini. Non è nemmeno bravo ad esporre i suoi sentimenti, è abbastanza chiuso sotto quell'aspetto. Ma lo amo. Perché vedo come mi guarda, vedo i suoi occhi, e penso che lo vorrei. Penso sia bellissimo, anche. E lo è davvero. Ma lui non se ne rende conto, e quindi neanche gli altri se ne rendono conto. Bisogna stargli vicino per vederlo veramente. E quando lo vedi, beh, è impossibile non innamorarsi di lui. E' speciale. E' unico. Lo amo".

"Devo andare" dissi. Non avevo nessuna intonazione. Solo un vuoto sordo nel petto, che traspariva anche dalla voce. Senza aspettare che rispondesse mi girai e iniziai ad andare. Dove non lo sapevo, mi importava solo andare via da quel posto. Via da lei.

"Sei tu".

Mi fermai.

"La persona che amo. Sei tu".

Immobile.

"Io ti amo".

Tre parole. Potevano, tre parole cambiare la vita di un ragazzo? Potevano, d'improvviso, renderlo la persona più felice del mondo? Potevano farlo ritornare a respirare, dopo essere stato annegato nella tristezza per tanto tempo? In quel momento mi parve proprio di si.

Corsi verso di lei, la presi tra le braccia. La strinsi, forte ma piano, appassionatamente ma dolcemente. Sentii il suo viso premermi sulla spalla, il suo naso sfiorarmi il collo.

Dissi finalmente le parole che covavo nel cuore da tanto tempo:

"Ti amo anch'io".

   
 
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