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Autore: Xephil    21/11/2015    6 recensioni
Tre Shinigami. Tre personalità. Tre anime legate dall'amicizia e da un destino in comune.
Keishin Akutabi è uno Shinigami impulsivo e a volte immaturo, ma anche coraggioso e altruista. Maestro del Zanjutsu.
Meryu Kitayama è l'opposto: Shinigami calmo e riflessivo, che di rado mostra le sue emozioni. Maestro dell'Hakuda.
Kaisui Kitayama è il ponte che collega due personalità così diverse: Shinigami gentile e generosa ma al contempo severa e ostinata. Maestra del Kido.
Anche se sembrano tre comuni Shinigami, forse, in realtà, in loro c'è più di quel che vedi... E mentre l'oscurità si addensa e la loro realtà viene sconvolta dal tradimento, i tre dovranno raccogliere tutto il loro coraggio e la loro forza per proteggere due mondi e impedirne la distruzione.
Ciao a tutti! è la mia prima fanfic, ma vi chiedo di essere quanto più sinceri possibile con le vostre recensioni. Mi serviranno per migliorarla! La mia storia segue la trama della prima serie di Bleach fino alla sconfitta di Aizen, ma con protagonisti i miei personaggi e, quindi, diverse parti della storia reale saranno modificate. Spero vi piaccia e buona lettura!
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hitsugaya Toushirou, Kurosaki Ichigo, Soi Fong, Sosuke Aizen
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Chronicles of Three Shinigami - Shinigami Gaiden'
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EEEEEEE rieccomi qua!! Porca misera, quasi cinque mesi dal mio ultimo aggiornamento.. scommetto che disperavate che non tornassi più, eh? (almeno spero che qualcuno di voi ci tenesse ancora a vedere il proseguo della mia storia...) Vi devo chiedere scusa per questo mio terribile ritardo, ma sono stati mesi a dir poco difficili tra università e altro, perciò mi dispiace, ma spero di compensare con la qualità del capitolo. Non vi trattengo oltre, avete atteso già troppo, perciò buona lettura!!!

 
Capitolo 21: Una terribile verità
 
Buio. Silenzio. Oblio.
Queste tre parole erano il miglior modo per definire l’attuale condizione di Keishin, il quale si ritrovava a galleggiare in uno spazio infinito completamente oscuro e vuoto, immerso in un silenzio tombale e con la mente che sembrava essersi svuotata da qualunque pensiero o ricordo.
“È.. dunque questa.. la morte?” si chiedeva sommessamente.. o forse credeva di chiedersi.
Gli era impossibile perfino riuscire a capire se fosse ancora in grado anche solo di formulare un pensiero, logico o illogico che fosse. Non aveva più percezione di nulla, né della realtà né del suo corpo e non gli era possibile muoversi.. o forse non sapeva più nemmeno come muoversi.
Non poteva fare altro che lasciarsi precipitare in quel baratro di oscurità assoluta che lo circondava, svuotato da ogni emozione e ridotto a niente di più che a un guscio vuoto che nemmeno si chiedeva o poteva chiedersi se il suo affondare sarebbe terminato da qualche parte o sarebbe durato in eterno...
Svegliati. Non ti permetterò di morire con tanta facilità.
Quella voce ebbe l’effetto istantaneo di un getto di acqua gelida: in un istante Keishin riacquistò lucidità e si sentì tirare verso l’alto come se dei fili invisibili lo stessero sollevando. Con uno scatto si rimise dritto e poggiò i piedi su qualcosa di solido, ma quando guardò in basso, non vide altro che oscurità senza fine.
“Ma che significa?” mormorò confuso. “Dove sono? Cos’è successo? Non riesco a ricordare nulla...”
Vuoi ricordare? Ti accontento subito.
Il riverbero di quella voce così fredda e malvagia non fece in tempo a svanire che la mente dello Shinigami fu brutalmente invasa da una cascata di immagini diverse che si susseguirono una dopo l’altra con tale rapidità da causargli all’istante un tremendo dolore alla testa: lui che affrontava Xedahs.. il suo arrivo nella falsa Karakura Town.. il ritorno di Xedahs e la sua follia improvvisa.. lui che attaccava i suoi compagni.. Hinamori impalata da Hitsugaya a causa di Aizen.. la sconfitta dei Capitani e dei Vizard.. Yamamoto che veniva neutralizzato.. Kaisui che si scagliava all’attacco in preda all’ira.. lui e Meryu che la raggiungevano e combattevano insieme contro Aizen.. la scoperta dell’assimilazione dell’Hogyoku e delle manipolazioni dell’ex-Capitano verso di loro e Ichigo Kurosaki.. Yamamoto che veniva sconfitto.. la sua ultima disperata offensiva suicida.. la sua sconfitta a causa dei suoi sentimenti di affetto e rispetto ancora persistenti.. la sua disperazione e la sua rabbia.. il volto di Ichigo Kurosaki che lo fissava compassionevole e incoraggiante...
“BASTAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
Si ritrovò a urlare disperato, incapace di sopportare quelle immagini che gli assalivano implacabili la mente, ricordandogli l’orribile destino a cui aveva condannato se stesso e i suoi compagni per colpa della sua debolezza...
Hai detto, o meglio pensato, la parola giusta: sei debole.
Seppur stordito e ancora tormentato da quelle immagini, Keishin riuscì a replicare: “Sta zitto! Chi diavolo sei tu per giudicarmi?! E soprattutto chi sei? Perché sei dentro la mia anima?” Si guardò intorno tenendosi sempre la testa tra le mani. “E dove sei? Fatti vedere, codardo!”
Perché ti scaldi tanto? Sono qui, dietro di te.
Voltandosi di scatto Keishin rimase agghiacciato da ciò che vide.
Invece del volto avvolto dalle fiamme che aveva sempre visto, c’era una figura intera, un corpo di forma umana completamente nero e ricoperto da un fuoco rosso scuro, con due occhi scarlatti scintillanti come braci che lo fissavano. Stava comodamente seduto a mezz’aria, come se l’oscurità sotto di lui avesse consistenza fisica, le gambe accavallate e il gomito destro appoggiato su di esse, mentre sorreggeva la testa con la mano corrispondente. La posizione complessiva e quegli occhi ardenti davano l’idea che lo stesse osservando con un misto d’interesse, divertimento e disprezzo.
“Ma.. cosa diavolo..?” mormorò allibito. “Chi..? T-tu sei.. quello stesso volto.. quell’entità che.. mi parlava..?”
Sei perspicace.
“Cosa ti è successo? Perché ora..?”
Sono diverso, intendi? Oh bè.. grazie a te, è ovvio.
Lo Shinigami impallidì vistosamente. “Che intendi dire? Quando ti avrei aiutato?”
Non ci arrivi da solo? Non ricordi che cos’hai fatto durante la battaglia?
Se possibile, Keishin sembrò diventare ancor più confuso.
Va bene. Allora te lo dirò io: tu mi hai accettato.
“Ma che stai..?!”
Poi Keishin sembrò realizzare: ricordò quell’ultimo disperato attacco, l’uso del suo potere misterioso al 100% per utilizzare la tecnica Senso Arashi nel tentativo disperato di sconfiggere Aizen.. intendeva forse..?
“Non è possibile! Eri stato neutralizzato in quel momento! Hikami mi aveva assicurato che stavolta usare quel potere non avrebbe avuto effetti collaterali!”
E tu, anzi voi, davvero avete creduto questo?
Lo Shinigami trasalì, mentre un nuovo, atroce sospetto si faceva largo nella sua mente.
Non avete pensato che, forse, c’era un altro motivo per cui non ti ho influenzato?
Keishin strinse i pugni piegando leggermente la testa, la frangia che nascondeva i suoi occhi. “L’hai.. fatto apposta” mormorò a denti stretti. “Mi hai ingannato. Tu volevi che io usassi quel potere.. il tuo potere! Era il tuo piano fin dall’inizio!”
L’entità ridacchiò per poi battere le mani in una parvenza di applauso.
Bravissimo! Ci hai messo un po’ più del previsto, ma ci sei arrivato alla fine! esclamò in un tono che, se non avesse avuto sempre quel riecheggio cupo e metallico, avrebbe potuto definire gioioso. Sapevo che desideravi usare il mio potere per sconfiggere il tuo ex-Capitano, ma avevo anche compreso che, finchè non fossi stato sicuro di poterti controllare, non lo avresti mai accettato pienamente. Ho provato più volte a tentarti con promesse di vittoria e potere immenso o di impormi con la forza per sopraffare la tua volontà e costringerti ad usarlo, ma ogni volta tu e quell’invadente Zampakuto riuscivate a sfuggirmi in un modo o nell’altro.. peccato che steste solo ritardando l’inevitabile! Prima o poi, se avessi davvero voluto vincere, avresti dovuto accettare il mio massimo potere e l’occasione è arrivata grazie a quell’irritante moscerino Arrancar. Lo ammetto: per un istante il potere di cui l’aveva dotato Aizen mi ha spiazzato e, diciamo, assopito.. ma quando mi sono accorto che questo vi aveva indotto a ritenere che avreste potuto usare il mio potere senza temere di perdere il controllo, ho deciso di lasciarvi pensare che fosse così e ti ho concesso la mia forza senza influenzare la tua volontà. Il resto può essere riassunto in queste poche parole: tu hai accettato e usato spontaneamente il mio pieno potere e accettare il mio potere.. significa accettare me.
“Non è possibile...” mormorò Keishin indietreggiando di qualche passo.
L’entità sghignazzò sadicamente per poi alzarsi in piedi e avanzare verso lo Shinigami.
Keishin indietreggiò ancora di più. “Stammi lontano!”
È troppo tardi ormai. Ora che mi hai accettato non puoi più tornare indietro. Da ora il mio potere è tuo e io impedirò ad ogni costo che tu muoia, visto che i nostri destini sono legati. Un’altra risata malefica. In cambio, io e te diventeremo sempre più.. diciamo.. uniti.
A quelle parole, lo Shinigami notò finalmente un particolare inquietante nella fisionomia di quella figura infuocata che avanzava, soprattutto in quegli occhi rossi di brace: “Ma tu.. tu sei.. me?!”
Non esattamente. O meglio, non ancora. Ora che hai accettato il mio potere, la tua anima è diventata un tutt’uno con me. Solo in parte, certo, ma più tempo passerà, più questa unione proseguirà e, alla fine, saremo una cosa sola! Guarda tu stesso!
Arrivatogli ormai di fronte, l’entità indicò l’oscurità sotto di sé e, quando Keishin piegò lo sguardo, sogghignò nel vederlo così sconvolto.
Nel buio del baratro senza fine sopra cui erano sospesi, era apparsa una sorta di gigantesca sfera avvolta in fiamme che andavano dal colore rosso scarlatto all’azzurro, talmente intense e pulsanti da sembrare vive. L’unica nota insolita era un piccolo gruppo di lingue di fuoco sul fondo di essa che erano invece di un inquietante nero pece e si agitavano molto più velocemente, come se stessero cercando di divorare le altre.
Puoi vedere quella sfera come la rappresentazione della tua anima spiegò l’entità con un sorrisetto. Lo scarlatto e l’azzurro sono i due aspetti della tua personalità, rispettivamente i tratti negativi e positivi. Mentre quel nero.. sono io.
Keishin tornò a fissare negli occhi quella figura così simile a lui, una spaventosa consapevolezza che si faceva largo in lui e che l’entità sembrò notare.
Esatto. Quando quel nero avrà avvolto tutta la sfera, la nostra unione sarà completa. Come vedi siamo già ad un quinto del processo e ti dico fin da subito che con il passare del tempo, le mie fiamme si espanderanno sempre di più.
“Sei.. come un parassita.. uno schifoso cancro” disse solamente Keishin con una nota di amarezza e disgusto nella voce.
L’entità rise sguaiatamente. Mi offendi, sai? Dopotutto questa unione va anche a tuo vantaggio: da ora il mio potere non ti mancherà mai quando sarai in difficoltà e sai quanto esso sia grande. Come io so quanto tu desideri diventare il più forte di tutti. Non provare a dirmi che non ti fa gola perché so che sarebbe una menzogna!
“Non ho alcun bisogno di te! Anche se la tua forza mi tenta, non la voglio! Quel potere.. è maledetto! Ora finalmente capisco cosa Yamamoto intendeva dire!”
Quello stupido vecchiaccio... Ora la voce dell’entità sembrava irritata. Non ti consiglio di ascoltarlo. La sua è solo paura!
“No, ti sbagli. Lui aveva ragione! Non avrei mai dovuto affidarmi al tuo potere! Lascia subito la mia anima! Non m’importa se perderò quella forza, non la voglio!”
Te l’ho già detto: ormai è troppo tardi. Che tu lo voglia o no, io e te diventeremo una cosa sola! E credo che da ora in poi mi darò da fare per migliorare la nostra relazione.. magari influenzando quelle emozioni che tu fatichi così tanto a controllare...
“Non provarci! Ho capito cosa vuoi fare e non te lo permetterò!”
Con uno scatto Keishin tentò di afferrare il collo dell’entità, ma questa bloccò a mezz’aria la sua mano e fu lei ad afferrarlo per il collo con tanta forza da sollevarlo di diversi centimetri.
Sei così debole.. se fin dall’inizio ti fossi concesso a me anche nella mente oltre che nel corpo, avresti potuto uccidere Aizen. Farti sconfiggere in quel modo.. so perfettamente che ti brucia tremendamente, per questo, ogni volta che richiamerai il mio potere, farò in modo di eliminare a poco a poco tutti quegli inutili sentimentalismi finchè non saremo diventati uno!
Seppur semi-soffocato dalla presa dell’entità, Keishin trovò la forza per dire: “Non userò mai più quel potere.. non ti permetterò mai di unirti a me! E ora.. LASCIAMI!”
Oh, invece lo userai eccome! Perché so benissimo che da adesso cercherai sempre più potere per evitare di essere sconfitto nuovamente e per proteggere i tuoi compagni e io sarò sempre lì, pronto a dartelo! Un potere così grande da essere inarrestabile, qualcosa a cui tu non potrai resistere per sempre! Presto o tardi, cederai e allora niente potrà impedire la nostra unione!
“ADESSO BASTA!! LASCIAMI SUBITO ANDARE!! NON HO NULLA DA SPARTIRE CON TE E NON HO ALCUNA INTENZIONE DI CEDERTI LA MIA ANIMA, PERCIÒ SPARISCI!! LASCIAMI UNA VOLTA PER TUTTE!!”
Va bene. Per ora mi ritiro, ma ricorda: che tu lo voglia o no, noi diventeremo uno. Non puoi fermare il processo, nessuno può! Perciò continua pure a illuderti o a cercare una soluzione, tanto non esiste! Rassegnati, soffrirai di meno!
Mentre pronunciava quelle parole, tentacoli di pura oscurità si avvolsero intorno al corpo dello Shinigami e iniziarono a trascinarlo nel baratro oscuro dove prima era comparsa la rappresentazione della sua anima. Malgrado i suoi disperati tentativi, Keishin fu del tutto incapace di opporsi alla loro forza e iniziò ad affondare e scomparire nelle tenebre sottostanti, come inghiottito da nere sabbie mobili.
“Chi diavolo sei tu? Perché sei dentro di me?”
Poco prima che la sagoma dell’entità scomparisse del tutto dalla sua vista, la sentì ridere beffarda per poi pronunciare un’unica frase:
Io sono il più grande peccato di Shigekuni Genryusai Yamamoto. Puoi chiamarmi Sonohoka!
 
“Non me ne frega niente se le mie condizioni non possono ancora essere definite stabili! Sto bene adesso, non sono certo io quella che ha bisogno di cure! E non dirmi di stare calma! Come posso calmarmi quando mio fratello e il mio più caro amico sono ancora in coma?!” sbraitò Kaisui allontanando Isane con un moto di stizza e alzandosi dal lettino su cui era stata fatta sedere e quasi stendere per l’ennesima volta.
Isane, seppur intimidita dalla collera praticamente palpabile dell’amica, cercò di trattenerla. “Ti prego, Kaisui-san, cerca di capire! Sono le disposizioni del Capitano Unohana dopotutto! Ricordati che sei stata ferita gravemente da Aizen mentre usava il potere dell’Hogyoku.. sarebbe più che normale se ci fossero ancora delle ripercussioni, considerando soprattutto che sono passati solo cinque giorni!”
Cinque giorni. Cinque giorni erano trascorsi da quando Aizen era stato sconfitto e sigillato per sempre.
Al contrario della Luogotenente della Quarta Brigata, per Kaisui quel tempo sembrava essere già un’eternità. Come poteva non esserlo, se passava praticamente tutto il suo tempo al capezzale delle persone che amava?
Tra loro tre, lei era quella che era stata ferita meno gravemente, eppure, nonostante le cure di Unohana unite all’incredibile potere di guarigione di Orihime Inoue, le ci erano comunque voluti due giorni per risvegliarsi dal coma in cui l’ultimo attacco di Aizen l’aveva spedita, dunque non c’era da sorprendersi se invece Meryu e Keishin avessero ancora bisogno di molte cure per riprendersi dalle tremende ferite che avevano rimediato durante la battaglia.
Meryu, sempre grazie a Orihime, aveva di nuovo tutti e quattro i suoi arti e le sue ossa erano guarite, ma il suo fisico era ancora lungi dal recuperare completamente dall’immenso sforzo a cui l’aveva sottoposto per continuare a combattere. Aveva infranto ogni suo limite possibile, di conseguenza ora la sua reiatsu si rigenerava molto lentamente e i suoi muscoli erano come atrofizzati. Gli serviva più tempo, diceva Unohana, per risvegliarsi.
Ma la situazione peggiore era quella di Keishin. Malgrado le cure del Capitano e della giovane umana, la ferita sul suo petto non accennava a richiudersi e, anzi, spesso riprendeva a sanguinare copiosamente mettendo di nuovo in pericolo la sua vita. Come se non bastasse, la sua reiatsu era inspiegabilmente più instabile che mai e alternava di continuo livelli talmente bassi da essere impercettibile ad improvvisi picchi così elevati da far tremare l’intero edificio e distruggere tutto ciò che gli stava intorno, costringendoli a spostarlo ripetutamente da una stanza ad un’altra e a porlo sotto barriere di limitazione sempre più resistenti per cercare di arginare quella potenza incontrollata.
Nessuno aveva trovato una spiegazione per quel fenomeno, ma Kaisui aveva notato che ogni volta che accadeva Unohana si accigliava leggermente, come se non sopportasse quella vista, e che Yamamoto, nonostante non avesse battuto ciglio quando lo avevano messo al corrente, era diventato più nervoso e sembrava parlare a fatica quando gli si rivolgeva.
Loro sapevano, l’aveva capito subito, ma era chiaro che non volevano parlarne, perciò non aveva chiesto nulla a nessuno dei due. In quella situazione una discussione era l’ultima cosa che serviva, dunque al momento era meglio concentrarsi sull’aiutare Keishin, Meryu e tutti gli altri feriti.
Non solo loro tre, infatti, ma anche la maggior parte dei Capitani e degli altri Luogotenenti e anche i Vizard avevano ricevuto ferite quasi mortali; i casi peggiori erano quelli di Hinamori, Hitsugaya, Komamura e della Vizard Hiyori Sarugaki e tutti avevano necessitato di numerose cure da parte della Quarta Brigata e, in certi casi, l’intervento di Orihime per non essere più in pericolo di morte.
Per fortuna, ormai nessuno di loro correva più un simile pericolo e la cosa più importante era che, alla fine, grazie a Ichigo Kurosaki e Kisuke Urahara, Aizen era stato finalmente sconfitto e la guerra era stata vinta. Quale prezzo era costata, però.
Se c’era qualcosa che Kaisui aveva capito subito, era che le cose erano cambiate per sempre, per tutti e tre i mondi. E questo la angosciava terribilmente.
Scacciando quei pensieri per l’ennesima volta, la castana si scostò da Isane dirigendosi alla porta con passo deciso. “Vado da loro. Ne riparliamo dopo” disse semplicemente per poi uscire, ignorando la tenue protesta dell’altra.
Si incamminò lungo il corridoio verso la stanza di suo fratello, la più vicina delle due, non riuscendo a trattenere un sospiro per quella routine che ormai opprimeva le sue giornate: su e giù da una stanza all’altra, analisi e riposo, poi di nuovo su e giù, analisi e riposo e così via in un ciclo ripetitivo e continuo che la straziava internamente, con la sola speranza di vedere finalmente le due persone che più amava sveglie e in attesa del suo arrivo, Meryu con la sua solita espressione seria e Keishin con il suo sorriso a trentadue denti e magari una battuta sarcastica.
< Niisan.. Keishin.. vi prego, riprendetevi presto! > pensò portandosi una mano al cuore. < C’è bisogno di voi.. io ho bisogno di voi! >
 
Meryu Kitayama aprì faticosamente gli occhi ritrovandosi a fissare il soffitto bianco di una stanza che, come intuì subito, non era di certo la sua e neanche una della sua Brigata. Si sentiva uno straccio, il suo intero corpo era indolenzito e anchilosato e, guardando in basso, si accorse di star indossando un semplice yukata bianco e di essere disteso su un letto coperto da un morbido lenzuolo anch’esso bianco; tutto questo gli diede la sgradevole sensazione che quella stanza fosse una di quelle della Quarta usate per tenere in osservazione gli Shinigami rimasti feriti.
Sollevando istintivamente il braccio sinistro per sfregarsi gli occhi ancora sensibili alla lieve luce presente nella stanza, Meryu percepì un insolito formicolio al lato destro del suo corpo e, quando si voltò per vedere cosa fosse, trasalì: il suo braccio destro era lì, ce l’aveva di nuovo! Incredulo, alzò l’arto davanti a sé e agitò le dita una ad una saggiandone la mobilità; era proprio il suo braccio, perfetto e funzionante come se non fosse mai stato distrutto. In quel momento, preso da un’improvvisa illuminazione, sollevò la coperta che lo copriva dallo sterno in giù e diede un’occhiata alle sue gambe: come pensava, anche la sua gamba sinistra era di nuovo al suo posto, ricresciuta, o forse ricreata, esattamente com’era prima.
< Ho di nuovo tutti i miei arti > pensò ancora incredulo ma notevolmente sollevato. < Grazie al cielo.. ma com’è possibile? Credevo che non ci fossero Kido medici in grado di guarire un arto perduto con tanta precisione... Chissà cos’è successo dopo la battaglia… >
Già, la battaglia. Com’era finita? Chi aveva vinto alla fine? Aizen o loro? A giudicare dal fatto che era apparentemente ricoverato in una stanza della Quarta Brigata, dovevano aver vinto, ma non aveva idea di come fosse stato possibile sconfiggere Aizen. Ne aveva di interrogativi a cui rispondere...
Lievemente stordito dall’accumulo improvviso di tutti quei pensieri, Meryu respirò a fondo per calmarsi e si mosse per provare a mettersi a sedere. In quel momento, con la coda nell’occhio, si accorse che c’era qualcuno accanto a lui e si voltò rimanendo nuovamente sorpreso.
Seduta su una sedia vicino al letto, gli occhi chiusi e il respiro lieve e cadenzato, stava Soifon. La donna Capitano della Seconda Brigata era profondamente addormentata con la schiena appoggiata allo schienale della sedia, le mani giunte sopra le cosce - qui Meryu non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo nel notare che anche lei aveva di nuovo il suo braccio sinistro - e la testa inclinata da un lato; il suo volto era rilassato e placido e, ad ogni respiro, una ciocca di capelli sfuggita alle altre ondeggiava davanti al naso, solleticandolo di tanto in tanto e facendole contrarre lievemente il volto per il fastidio.
L’immagine complessiva non poteva essere più diversa dalla sua di sempre. Era talmente innocente e dolce che sembrava quasi un’altra persona.. quasi.. una donna normale, o meglio, una donna Shinigami normale e questo suscitò un notevole stupore e una certa incredulità in Meryu prima che questi si rendesse effettivamente conto di una cosa: che in fin dei conti, per quanto fosse forte, determinata e ligia al dovere e alla sua carica, Soifon era prima di tutto una donna. Una donna tosta, ovvio, ma sempre una donna come le altre, coi suoi limiti, le sue debolezze e i suoi lati nascosti e quello doveva essere uno di essi.
Eppure, anche se continuava a essere incredulo a quella vista, Meryu non potè fare a meno di sorridere: non l’aveva mai vista così serena, come se tutte le preoccupazioni e il peso che era sempre obbligata a portare per la sua carica di Capitano fossero svanite. Era felice di vedere che anche lei aveva dei momenti in cui riusciva a rilassarsi e avere un po’ di quella pace che tutti agognano.
Quante cose stava scoprendo su Soifon in quegli ultimi tempi.. e più ne scopriva, più sentiva i propri sentimenti per lei farsi più forti... Fu con quei pensieri che l’argenteo allungò la mano destra verso il volto della donna per scostarle la ciocca dal naso e portarla poi verso la sua guancia, desideroso come mai di toccarla.
A un centimetro scarso dalla sua pelle, però, Meryu sembrò riscuotersi da quello stato sognante e ritirò in fretta il braccio. < Ma che mi prende? > pensò sconvolto fissandosi la mano. < Che cosa sto facendo? Devo essere impazzito. > Ma poteva davvero chiamarla pazzia? < In fondo non volevo fare nulla di male.. credo. Volevo fare quello che stavo per fare? Sì, ovvio... Ma cosa penso? Lei è il mio Capitano, non posso toccarla con tanta leggerezza! Ah, devo essere ancora più intontito di quanto pensassi. >
In quello stesso istante, Soifon si mosse sulla sedia e, con una lentezza impensabile per lei, aprì le palpebre. I suoi occhi scuri si specchiarono in quelli grigi del suo Luogotenente. “Meryu?” mormorò a bassa voce.
Cosa? L’aveva davvero appena chiamato per nome? Non Kitayama, ma Meryu?!
Meryu cercò di non far vedere il suo stupore. “Capitano Soifon” disse con un sorriso. “Sono felice di vedere che state bene.”
Soifon rispose con un sorriso più dolce di quanto si aspettava, poi, come se si fosse d’improvviso resa conto della sua reazione e della posizione in cui era, scattò in piedi con tanta foga da far traballare pericolosamente la sedia e si schiarì la voce, visibilmente nervosa. “Questo dovrei dirlo io. Sono cinque giorni ormai che sei privo di sensi. Tua sorella e i tuoi amici erano terribilmente preoccupati” disse riassumendo rapidamente la sua solita aria seria e impassibile. “Per fortuna ti sei ripreso. Come vanno i tuoi nuovi arti?”
Meryu abbassò lo sguardo sul suo braccio destro e sulla gamba sinistra coperta dal lenzuolo. “Bene direi. È come se non li avessi mai persi. E credo di poter dire lo stesso anche per il vostro braccio, giusto?” Al suo cenno di assenso, domandò: “Com’è stato possibile?”
“L’umana alleata di Ichigo Kurosaki. Orihime Inoue” rispose Soifon distaccata. “È stata lei a rigenerare i nostri arti. Probabilmente erano queste sue abilità che intrigavano tanto Aizen.”
La sorpresa provata dall’argenteo all’udire di un simile potere curativo si dissipò non appena sentì quel nome e la sua espressione si fece più cupa. “Che ne è stato di lui?”
“Sosuke Aizen è stato sconfitto. Ichigo Kurosaki ce l’ha fatta” fu la risposta del Capitano che fece strabuzzare gli occhi al suo Luogotenente. “Il traditore è stato processato poco tempo fa dalla Camera dei 46 e condannato ad essere sigillato nell’ottavo livello della prigione sotterranea dei Seireitei, l’Avici. Non potrà più nuocere a nessuno.”
Un’onda di sollievo si propagò nell’animo di Meryu, che si sentì come liberato da un grosso peso. Tuttavia, subito un altro interrogativo lo turbò: “Perché Kurosaki-san non l’ha eliminato?”
“Non è stato possibile.” Meryu la fissò confuso. Soifon si accigliò leggermente. “Dopo aver assimilato l’Hogyoku, Aizen è diventato praticamente immortale. Anche se l’ha sconfitto, non è stato possibile né a lui né a nessun altro ucciderlo, perciò l’unico modo per fermarlo per sempre era quello di sigillarlo. Non preoccuparti: ha perso quasi tutto il potere che aveva ricevuto da quella dannata gemma e non ha più nemmeno la sua Zampakuto. Non riuscirà a liberarsi. È finita ormai.”
L’argenteo annuì e tirò un profondo respiro chiudendo gli occhi. < È finita > pensò sentendosi stranamente bene. Era incredibile come quelle due semplici parole ora avessero un significato tanto importante e profondo. Si godette ancora per qualche secondo la notizia della loro vittoria, poi pose finalmente l’unica domanda che ancora lo tormentava: “Come stanno gli altri? Mia sorella? Keishin?”
Soifon esitò un attimo prima di rispondere con un mezzo sorriso: “Si stanno tutti riprendendo dalla battaglia o aiutando a rimettere a posto la Soul Society, il mondo reale e l’Hueco Mundo dai danni subiti. Tua sorella ha già recuperato qualche giorno fa e dovresti vederla molto presto.” Il suo sguardo sembrò adombrarsi. “Per quanto invece riguarda Keishin Akutabi...”
In quel momento la porta si aprì e, sulla soglia, comparve Kaisui; gli occhi della Shinigami si allargarono alla vista del fratello sveglio e le sue labbra tremolarono. “N-niisan..? Sei.. sei..?”
Meryu sorrise gentilmente. “Ciao, neechan.”
Il volto di Kaisui rimase bloccato in quell’espressione scioccata per un paio di secondi, venendo poi sostituita da una più contratta, come se fosse stata sul punto di scoppiare a piangere; prima che chiunque potesse dire qualcosa, la castana si era già fiondata sull’argenteo e l’aveva abbracciato con tanta forza che l’altro rimase interdetto e per poco non si sentì soffocare. La sentì tremare e singhiozzare, mentre la sua spalla iniziava di colpo a inumidirsi, e allora capì tutta la paura e l’angoscia che la sorella aveva provato fino a quel momento nel vederlo in quelle condizioni.
Quella consapevolezza lo fece di nuovo sorridere e la abbracciò a sua volta, accarezzandole delicatamente i lunghi e lisci capelli. “Per fortuna stai bene. Sono molto felice” mormorò dopo quasi un minuto che si stringevano.
Kaisui si scostò da lui quanto bastava per guardarlo in faccia. Aveva gli occhi rossi e gonfi e le guance segnate dalle lacrime, ma il sorriso che le si era formato sulle labbra sembrava splendere come il sole. “Stupido! Dovrei essere io a dirti una cosa del genere!” esclamò con voce acuta. “Mi hai fatto terribilmente preoccupare! Non sopportavo di vederti in quelle condizioni senza poter fare nulla!” Posò di nuovo la testa sulla sua spalla. “Avevo tanta paura.. ed è tutta colpa tua! Stupido che non sei altro! Stupido.. niisan...”
La voce le s’incrinò in altri singhiozzi e Meryu accolse la sua mutua richiesta abbracciandola più forte e accarezzandole ancora la testa, nel tentativo di darle conforto. Non era mai stato tipo da effusioni, tantomeno con sua sorella, perciò era una situazione del tutto nuova e insolita per lui, qualcosa che, in circostanze normali, probabilmente non avrebbe mai fatto.. ma non aveva nemmeno mai visto Kaisui così agitata e, anche se sapeva che non pensava davvero quello che diceva, era vero che lui era stato indirettamente la causa di buona parte delle pene che dovevano averla afflitta in quei giorni e si sentiva in colpa per questo. Se per tirarla su e calmarla doveva mostrarle l’affetto che provava per lei, allora non gli dispiaceva essere per una volta meno riservato e più dolce e caloroso. Dopotutto lui ci teneva davvero a sua sorella, più che a chiunque altro al mondo.
Stettero così per almeno un altro paio di minuti sotto gli sguardi di Soifon, impassibile ma segretamente contenta, e della sopraggiunta Isane, amorevole e sollevata, poi Kaisui si separò dal fratello e si mise a sedere sul bordo del letto mentre si asciugava gli occhi umidi con il dorso delle mani. “Grazie al cielo ti sei ripreso. Il Capitano Unohana era confidente che ti saresti risvegliato prima o poi, ma io volevo vederlo accadere il prima possibile a tutti i costi. Cominciavo quasi a temere il peggio.”
“Che Shinigami di poca fede che sei” commentò Meryu sarcastico. “Dovresti sapere meglio di chiunque altro che non sono uno che tira le cuoia tanto facilmente.”
L’altra ridacchiò. “Stavolta devo darti ragione. Adesso manca solo Keishin e poi saremo di nuovo tutti insieme...”
All’argenteo non sfuggì l’ombra che era calata sul volto della sorella al pronunciare del nome dell’amico. “Che intendi? Come sta lui?”
Prima che Kaisui potesse rispondere, un tremendo rombo scosse l’aria e una reiatsu potentissima e temibile fece tremare tutti i presenti.
“Che diavolo è..?” mormorò Soifon a denti stretti.
“Questa reiatsu.. possibile?” fece Isane atterrita.
“Proviene dalla sua stanza! Oh no!” urlò Kaisui alzandosi di scatto.
Meryu tentò di imitarla, ma Soifon intuì le sue intenzioni e lo fermò mettendogli le mani sulle spalle costringendolo a stare seduto. “Non pensarci nemmeno. Resta qui” disse autoritaria. “Ti sei appena risvegliato e non è il caso che tu ti metta subito a correre su e giù per i corridoi nelle tue condizioni. Andiamo noi.”
“Ma io…” cercò di protestare Meryu, ma il Capitano lo zittì con una sola occhiata.
“Ha ragione, niisan” la appoggiò Kaisui. “Ci occupiamo noi di lui. Tu devi pensare solo a recuperare del tutto adesso.” Gli fece un occhiolino. “Tranquillo, staremo bene!”
Seppur non convinto fino in fondo, alla fine l’argenteo annuì.
Kaisui, seguita da Isane e Soifon, uscì dalla stanza e si diresse rapidamente verso la fonte di provenienza di quella reiatsu tanto forte quanto spaventosa. La stanza dove era ricoverato proprio lui...
 
Quando svoltò l’angolo dietro al quale c’era la suddetta stanza, ciò che vide la fece trasalire: diversi Shinigami stavano nel corridoio davanti ad una porta aperta dalla quale era visibile la spettrale e ardente sagoma danzante di un incendio. Kaisui corse in avanti spingendo da parte alcuni dei presenti e si fermò davanti alla porta, mettendosi però subito una mano davanti agli occhi per schermarsi dall’intensità e dal calore del fuoco.
Dentro sembrava l’inferno. Tutta la stanza era avvolta da fiamme di un cupo scarlatto scuro, quasi nero a tratti, che bruciavano ogni cosa e circondavano l’unico letto posto all’interno; su di esso, vi era un corpo umano che sembrava essere preda di violenti spasmi.
“Keishin! No!” urlò Kaisui inorridita cercando di entrare nella stanza, ma le fiamme erano troppo intense e non le permettevano di avvicinarsi nemmeno alla porta.
“Che diavolo sta succedendo qui?!” urlò la voce di Soifon, appena giunta.
“Keishin è lì dentro!”
Il volto del Capitano si contrasse in una smorfia. “Cosa?”
Isane, arrivata a sua volta, provò ad avvicinarsi, ma il fuoco aumentò di colpo di intensità e li costrinse ad arretrare. Curiosamente non sembrava poter uscire dalla stanza: le fiamme rimanevano costantemente al suo interno e sembravano invece concentrarsi sempre di più intorno sull’inerme Shinigami; si era formato quasi un circolo infuocato intorno ad esso, come se stessero cercando di abbracciarlo.
Kaisui si accigliò. Se continuava così, Keishin sarebbe finito bruciato vivo. Non poteva permetterlo.
“Allontanatevi subito!” gridò perentoria portando una mano alla Zampakuto. L’avrebbe tirato fuori ad ogni costo.
“Ferma!”
Quella voce anziana ma possente come nessun altra la congelò sul posto. Voltandosi lentamente, vide l’imponente figura del Capitano-Comandante avanzare lungo il corridoio verso di lei. “Non provarci nemmeno. Sarebbe inutile” disse in tono secco.
Quelle parole la irritarono leggermente. “Che significa? Dovrei forse restare qui senza fare nulla mentre lui viene incenerito?”
“Significa che qualunque cosa tu voglia fare per salvarlo non otterresti nulla. Non puoi estinguere simili fiamme” replicò duro Yamamoto fermandosi accanto a lei. “Inoltre, sarebbe inutile perché, a dispetto di quello che sembra, non sta rischiando la morte. Per ora.”
Kaisui riportò d’istinto lo sguardo sul letto e, lottando contro il calore per tenere gli occhi aperti, intravide qualcosa: il letto e le pareti stavano sì bruciando, ma il corpo di Keishin no. Malgrado gli spasmi che stava avendo, il fuoco sembrava scivolare su di lui come acqua su una superficie rocciosa, perfino gli abiti che indossava non ne venivano intaccati. Com’era possibile?
Riportò la sua attenzione su Yamamoto. Lui sapeva, ormai era chiaro come il sole, ma non voleva parlarne e questo iniziava a esasperarla.
Proprio quando stava aprendo la bocca per chiedergli spiegazioni, però, il vecchio comandante del Gotei 13 sembrò adombrarsi mentre osservava quell’insolito spettacolo e la voce che provenne da lui sembrava stanca: “Presto capirai. Quando si sveglierà, capirai.” Poi il suo tono si fece più cupo e quasi rabbioso: “Perché doveva tornare proprio adesso? Perché di nuovo?”
La confusione della castana non fece che aumentare.
Poi qualcosa accadde: la reiatsu ebbe all’improvviso un’impennata incredibile, le fiamme arsero ancora più forte e, mentre il letto diventava nient’altro che cenere, il corpo di Keishin rimase sollevato a mezz’aria, sostenuto da quel fuoco così potente e strano. Lo Shinigami ebbe qualche altro spasmo, poi reclinò indietro la testa così bruscamente che le ossa del collo schioccarono e aprì le palpebre; sotto, il bianco degli occhi era tinto completamente di rosso scarlatto e l’iride e la pupilla erano assenti, rendendo i bulbi simili a due inquietanti gocce di sangue. La bocca si aprì ed emise un urlo agghiacciante, più simile al ruggito di un demone che ad un grido, che fece correre un brivido lungo la schiena dei presenti, qualcuno addirittura urlò dal terrore.
Nell’eco di quel verso raccapricciante, le lingue di fuoco che lo circondavano si alzarono ondeggiando come serpenti incantati, per poi avvilupparsi intorno al suo corpo e venire misteriosamente assorbite. Il tutto durò solo pochi secondi e, alla fine, ciò che rimase fu una stanza completamente bruciata e vuota eccetto per un corpo avvolto in uno yukata bianco e adagiato supino al centro di essa, gli occhi chiusi e il respiro appena percettibile dal lieve alzarsi e abbassarsi del petto.
Senza attendere un istante di più, Kaisui si fiondò nella stanza insieme a Isane per poi inginocchiarsi accanto a Keishin, i volti di entrambe contratti dall’ansia e dalla preoccupazione. La prima gli pose una mano sotto la schiena e lo sollevò leggermente, mentre la seconda gli toccava la fronte; la sua pelle, già calda di suo, lo era ancor più del solito, ma non sembrava affatto febbre. Era come se la sua temperatura corporea media fosse diventata di colpo più alta.
Isane gli tastò la base del collo e il polso, poi portò le mani sui lembi dello yukata sussurrando: “Kaisui-san, continua a tenerlo, per favore. Devo controllargli la ferita.”
Ma quando aprì la veste, le due Shinigami sussultarono. Lì vicino Soifon, che si era avvicinata, lanciò un’imprecazione.
L’enorme squarcio che correva sul petto di Keishin dal pettorale sinistro fino al fianco destro riluceva completamente di un inquietante bagliore rossastro, che rendeva la ferita quasi luminescente. Era come se una potente energia pulsasse dentro di essa.
Prima che chiunque potesse dire qualcosa, la voce di Yamamoto risuonò imperiosa: “Portatelo in un’altra stanza. Tenetelo costantemente d’occhio, ma non provate a fare più niente. Non toccate quella ferita.”
“C-cosa? Perché?” protestò Kaisui.
“Perché non potete fare niente per lui adesso, né c’è niente da fare. Possiamo solo aspettare. Ormai è solo questione di tempo prima che si risvegli.” Detto questo, si diresse verso l’uscita della stanza.
Kaisui voleva ancora delle spiegazioni, ma lo sguardo che le rivolse il suo Capitano bastò per soffocare qualunque altra protesta da parte sua, di Isane e chiunque altro.
Gli occhi del Capitano-Comandante si posarono poi sulla ferita ancora visibile sul petto di Keishin e, per un istante praticamente impercettibile, qualcosa balenò nel suo sguardo. Dopodichè uscì dalla stanza con passi pesanti.
Nessuno aveva notato quel lampo.. tranne Kaisui. Lei aveva visto cos’era.
Era paura.
 
“Allora come ti senti?” chiese Soifon.
Meryu fece schioccare il collo e la schiena, per poi provare a muovere le braccia e le gambe. “Molto meglio” rispose infine, chiaramente soddisfatto.
Erano passati ormai due giorni dal suo risveglio, finalmente, il Capitano Unohana l’aveva giudicato idoneo a lasciare la Quarta Brigata e tornare alla Seconda e ai suoi doveri di Luogotenente. Il dolore alle ossa e alle membra era praticamente sparito e non faceva nemmeno più distinzione tra i suoi nuovi arti e quelli originali.
“Ero davvero stufo di tutta questa inattività.”
Accanto a lui, Soifon lo osservava a braccia incrociate, un sorrisetto enigmatico che le piegava le labbra. “In tal caso preparati, perché c’è parecchio lavoro che ti aspetta e non tollererò eventuali lamentele.”
Meryu si limitò a fissarla con sguardo determinato e ad annuire.
Il sorriso di Soifon si allargò e gli fece cenno di seguirla.
Prima che il Luogotenente potesse muoversi, però, si sentì poggiare senza preavviso una mano sulla spalla e, voltandosi, vide il Capitano che lo osservava di profilo con l’espressione più affettuosa che le avesse mai visto fare. “È bello riaverti qui.”
Meryu la fissò sorpreso per un paio di secondi, poi la stessa Soifon sembrò risvegliarsi da chissà quale pensiero e si diresse rapida alla porta. L’argenteo la seguì, afferrando nel contempo Hayabusa che giaceva su un tavolino e legandosela alla vita, sorridendo nel sentire di nuovo il familiare peso della sua Zampakuto.
Nel momento in cui uscirono, Meryu si trovò davanti sua sorella che veniva verso di loro insieme ad Isane con un gran sorriso sul volto.
“Niisan!” lo salutò. “Allora è arrivato il grande giorno finalmente, eh?”
L’altro sorrise leggermente sotto la maschera al suo commento sarcastico. “Già, per fortuna. Tu, invece? Stai andando di nuovo da Keishin?”
Kaisui si rabbuiò per un attimo, ma ritornò subito sorridente. “Sempre. L’ho fatto finora e continuerò finchè non saremo di nuovo tutti insieme. Dopotutto, se ti sei risvegliato tu, non vedo perché lui non dovrebbe!”
Meryu annuì e si congedò dalle due Shinigami per poi seguire il suo Capitano, tuttavia, mentre camminava con passo svelto ma lievemente nervoso, non potè non pensare: < Però, a quanto ho capito, la sua situazione è ben peggiore della mia, anche per quello che lo aspetta una volta sveglio.. questa storia ha troppi misteri e, prima o poi, dovranno essere rivelati. >
Si voltò e riprese a seguire Soifon.
 
Giunta davanti alla porta della nuova stanza dove tenevano ricoverato l’amico, Kaisui la aprì con un gesto fluido ed entrò dicendo scherzosamente: “Ehi, bell’addormentato! Ancora non…”
“E così la maschera diventa il volto. L’oscurità sorge dalla luce.
La Shinigami si congelò sul posto, incredula nel sentire quella voce. Riuscì a malapena a metabolizzare la vista del letto vuoto davanti a lei, prima di spostare i suoi occhi su una figura familiare in piedi al lato opposto della stanza.
Keishin stava a torso nudo davanti ad uno specchio appeso alla parete e le dava le spalle; non sembrava essersi minimamente accorto della sua presenza.
“K-Kaisui-san? Che succede, cosa..?” La domanda di Isane si perse nel momento in cui affiancò l’amica e notò a sua volta lo Shinigami davanti allo specchio.
Kaisui, dal canto suo, si sentì pervadere di gioia e, ignorando sia le strane parole pronunciate da Keishin che la presenza di Isane, scattò in avanti verso il primo con l’intento di abbracciarlo.
Ma quella felicità si spense nello stesso istante in cui Keishin si girò verso di lei, poco prima che lo raggiungesse, sostituita da una forte inquietudine.
Dello squarcio luminoso che aveva visto pochi giorni prima, ora era rimasta una lunga e nodosa cicatrice scura che correva sul torso asciutto ma muscoloso dello Shinigami, un orribile sfregio la cui sola dimensione dava i brividi. Era un miracolo che non fosse stato tagliato in due.
Eppure non era tanto quella a inquietare Kaisui, quanto piuttosto gli occhi di Keishin. Quelle due iridi, un tempo di un morbido castano chiaro, ora erano di un intenso rosso scarlatto, così vivo e nel contempo cupo da dare l’impressione di osservare due pozze di sangue. Quegli occhi gli davano un aspetto diverso.. più minaccioso e.. crudele.
“Lo so. Faccio paura con questi occhi” mormorò Keishin notando il turbamento che aveva suscitato nell’amica quando si era girato verso di lei. Il suo tono era freddo e sarcastico, per nulla rassicurante. “Per quanto ami questo colore, ammetto che non mi dà un aspetto molto raccomandabile.” Soffocò a malapena uno sbuffo. “Bè, come se in questo momento me ne importasse davvero qualcosa dell’effetto che il mio aspetto fisico ha sugli altri…”
Kaisui non poté non sentirsi ancor più inquieta e confusa. Che stava succedendo? Quello non era certo il suo solito modo di parlare e nemmeno il suo atteggiamento era normale. “Keishin, che cosa stai..?”
Senza lasciarla finire di parlare, lo Shinigami dagli occhi scarlatti afferrò con uno scatto il kosode adagiato su una sedia vicina e se lo infilò rapidamente senza smettere di fissarla. “Portami da Yamamoto.”
A quelle parole, anzi, a quell’ordine, la castana sobbalzò. “C-cosa?”
Allora anche Isane, che fino a quel momento era rimasta silenziosa, decise di intervenire: “Che sciocchezze vai dicendo, Keishin-san? Sono quasi otto giorni che sei in coma e, ora che ti sei finalmente svegliato, non puoi subito andartene in giro come se nulla fosse! Dobbiamo controllare le tue condizioni, assicurarci che…”
“Basta! Non ho alcun bisogno di queste idiozie!” urlò Keishin senza guardarla, il tono diventato ancora più gelido e rabbioso.
Isane si ritrasse, spaventata e segretamente delusa. Il castano era sempre stato gentile con lei e aveva sempre elogiato il lavoro suo e degli altri componenti della Quarta Brigata, sostenendoli quando molti altri Shinigami del Seireitei neanche li consideravano. Sentirlo ora definire la sua preoccupazione e il suo impegno delle idiozie con tanta leggerezza, anche se trascinato dall’ira, la feriva parecchio. Vicino a lei, anche Kaisui sembrava colpita da quelle parole.
“Ora c’è solo una cosa che mi serve.. c’è solo una cosa che voglio...”
Mentre parlava, Keishin prese ad avvicinarsi a Kaisui, la quale indietreggiò istintivamente senza proferire parola, insicura e timorosa delle reazioni dell’altro. Quando la sua schiena toccò la parete dietro di lei, lui si piegò su di lei per avvicinarsi ancora e indicò i propri occhi ringhiando: “Questo! Voglio sapere cos’è questo! Voglio sapere come e perché! Voglio..” la sua voce si abbassò e alla rabbia si aggiunse una punta di quella che sembrava disperazione “.. la verità.”
Kaisui sembrò capire allora e, seppur ancora intimorita, non poté non dargli ragione. Dopotutto, anche lei voleva sapere e c’era una sola persona che conosceva quella verità che entrambi agognavano, lui più di ogni altra cosa a quanto pareva.
Keishin si allontanò di un passo dalla castana, che si rilassò impercettibilmente. “Portami da Yamamoto” ripeté, il tono che stavolta non tollerava repliche.
 
I passi risuonavano pesanti ed echeggianti nell’ampio salone che costituiva la sala principale della Prima Brigata, nonché sede del comandante supremo dell’intero Seireitei. Un grande spazio vuoto tranne per il fondo, al cui centro spiccava l’alto trono dove sedeva un silenzioso Genryusai Yamamoto; con gli occhi chiusi e la totale immobilità della sua figura, il Capitano-Comandante poteva quasi sembrare una statua a prima vista, ma bastava un pizzico di concentrazione per percepire la sua soppressa ma comunque incredibile reiatsu, tanto imponente da sembrare un immenso oceano racchiuso all’interno del suo corpo.
Kaisui avanzò verso il suo Capitano, seguita a breve distanza da Keishin, il quale camminava tenendo la testa leggermente abbassata, la frangia che gli nascondeva gli occhi. Lei si voltò a guardarlo per la quinta volta da quando erano partiti, sempre più preoccupata per il suo silenzio ostinato e il cipiglio corrucciato. Era teso come la corda di un arco al momento dello scocco e, dato che avrebbero dovuto parlare con Yamamoto, questo non andava bene: il Capitano-Comandante non amava l’irriverenza e la sfrontatezza e Keishin l’aveva sfidato già troppe volte. Pregò solo che fosse abbastanza assennato da non fare scenate.
Fermatasi davanti allo scalino sopra il quale stava il trono di Yamamoto, Kaisui s’inginocchiò. “Capitano” salutò rispettosa. “Perdonate questa improvvisa intrusione, ma…”
Un’improvvisa esplosione di reiatsu accompagnata da un urlo terrificante la interruppero e, voltandosi di scatto, vide Keishin in piedi a breve distanza da lei circondato dalla stessa aura rossa fiammeggiante che l’aveva pervaso appena tre giorni prima. La potenza sprigionata era spaventosa, tale che il pavimento sotto i suoi piedi si era annerito all’istante, il palazzo aveva iniziato a tremare come se colpito da un terremoto e la castana sentì il suo respiro divenire più pesante; la sola intensità di quella reiatsu la stava soffocando.
“K-Keishin..! Cosa diavolo stai..?!” non riuscì a terminare nemmeno stavolta la frase, quando vide lo sguardo del castano posarsi sopra di lei, sicuramente su Yamamoto.
Gli occhi dello Shinigami risplendevano dello stesso fuoco interiore che aveva visto durante la battaglia contro Aizen, simili a due braci ardenti e carichi di una furia indescrivibile a parole. Sembravano gli occhi del dio della guerra in persona.
“Kaisui!” La voce del Capitano-Comandante risuonò forte e imperiosa. “Fatti da parte! Allontanati subito!”
“Capitano?” rispose la castana, confusa e intimorita da quel tono.
“Non devi intrometterti! Questa è una questione personale! Esci subito di qui e ferma anche tutti quelli che stanno arrivando! Che nessuno entri!” Battendo il suo bastone al suolo, il vecchio Shinigami si alzò in tutta la sua statura e aprì finalmente gli occhi; dietro le palpebre, due iridi nere emanavano un pauroso misto di rabbia, disappunto e tristezza. “Me ne devo occupare io.”
E fu la sua reiatsu, stavolta, ad elevarsi di colpo rendendo l’atmosfera ancor più pesante di quanto non fosse già.
Kaisui si spostò rapidamente di lato, lasciando Keishin e Yamamoto a fronteggiarsi ad una distanza di circa dieci metri l’uno dall’altro. In altre circostanze si sarebbe almeno lamentata di quell’ordine, ma in quel momento, osservando i due Shinigami che si guardavano mandando lampi di furore dagli occhi ed emanando due delle reiatsu più terribili che avesse mai percepito, non riuscì ad opporsi e, senza dire altro, uscì a passo spedito dalla sala chiudendosi dietro il pesante portone con un sordo rimbombo.
< Ma che sta succedendo qui? > pensò sconvolta prima di voltarsi e cercare di concentrarsi sul compito assegnatole dal suo Capitano per ignorare quelle emissioni di energia sempre più elevate.
Chissà cosa sarebbe successo là dentro...
 
Fin dal primo istante in cui i suoi occhi si erano posati su Yamamoto, quella maledetta voce aveva ripreso a risuonare nella sua testa, più irritante e ammaliante che mai: Eccolo. Il vero colpevole per ciò che ti sta accadendo. Devi odiarlo. Merita il tuo odio. Odialo! Distruggilo! Prendi il mio potere, accettalo e compi la tua vendetta!
Keishin non aveva la minima intenzione di ascoltarlo, ma l’influenza che Sonohoka ormai esercitava su di lui l’aveva reso più irascibile e aggressivo che mai e questo, unito alla rabbia che lui stesso provava per il vecchio Shinigami per essere il presunto responsabile della sua condizione, l’aveva quasi fatto impazzire e costretto a espandere la sua reiatsu fino al limite, in un disperato tentativo di sfogarsi e soffocare l’impellente desiderio di attaccare il Capitano-Comandante. Quando l’aveva guardato negli occhi, però, aveva sentito l’odio dell’entità schizzare alle stelle e la sua influenza nefasta si era intensificata ulteriormente, persuadendolo ancora di più a colpire per uccidere.
Yamamoto, dal canto suo, lo guardava con un’intensità paragonabile e aumentava la sua reiatsu di pari passo con lui; in breve tempo le loro energie erano arrivate ad un tale livello che l’intero palazzo sembrava sul punto di crollare.
Alla fine cedette: con uno scatto fulmineo e un ruggito furioso, Keishin si scagliò sul Capitano-Comandante tirando indietro il pugno destro per colpire.
L’altro non si mosse nemmeno, rimase fermo ad attenderlo senza mai interrompere il contatto visivo.
Keishin protese in avanti il pugno non appena lo raggiunse gridando: “CHE COSA SIGNIFICA TUTTO QUESTO?! CHE COS’È?!”
Un forte rombo si propagò per l’intera sala quando le nocche dello Shinigami dagli occhi scarlatti si fermarono ad un palmo dallo sterno di Yamamoto, incrinando le pareti circostanti con la sola forza dell’onda d’urto sprigionatasi dal movimento dell’arto. Dentro la sua anima, Keishin sentì sulle spalle il familiare e rassicurante peso delle mani di Hikami. “Grazie, fratello” mormorò.
La Zampakuto lo guardò sorridendo, poi si voltò verso Sonohoka che li guardava in disparte con un’espressione disgustata. “Sparisci” disse solo con voce minacciosa.
L’entità sbuffò, ma obbedì ritirandosi nelle tenebre che li circondavano. I suoi occhi di brace scintillarono per un istante nell’oscurità prima di scomparire.
All’esterno, le reiatsu dei due Shinigami calarono rapidamente quando Keishin guardò di nuovo Yamamoto in volto, gli occhi ora quasi vitrei e coperti da una patina acquosa. “Che cosa mi sta succedendo?” Il suo tono, stavolta, era supplichevole e tremante.
Un’ombra di pena passò sul viso rugoso del vecchio Shinigami, prima che mormorasse: “Come temevo. Ormai il processo di assimilazione tra le vostre anime è iniziato.”
“Questo me l’ha già detto lui!” sbottò Keishin ritirando il pugno e indietreggiando di qualche passo. Era stufo di segreti ed enigmi, voleva la verità. Voleva sapere cos’era quel dannato potere che lo stava logorando e corrompendo da dentro. “Avevate detto che mi avreste dato delle spiegazioni dopo la battaglia, no? Bene, ora le PRETENDO! E se vi sembro irrispettoso e arrogante, non m’interessa! Quell’entità.. Sonohoka, dice di chiamarsi.. dice che è il vostro più grande peccato! CHE È COLPA VOSTRA QUELLO CHE MI STA SUCCEDENDO!! QUINDI HO IL DIRITTO DI SAPERE!!”
Le sue ultime parole furono accompagnate dal rilascio di due uniche, amare lacrime dai suoi occhi, lacrime che aveva lottato fino all’ultimo per trattenere, ma che non aveva potuto arrestare. Troppe emozioni contrastanti lo stavano divorando internamente.
Yamamoto lo fissò per un lungo istante con un espressione cupa ed enigmatica, poi finalmente parlò: “Sorvolerò sul fatto che, a causa tua, abbiamo appena allarmato l’intero Seireitei perché questa volta non posso darti torto. Posso comprendere la tua pena ed è giusto che tu sappia la verità su quell’entità. Hai detto che si fa chiamare Sonohoka? L’altro... Non posso dire di essere sorpreso. Dopotutto è ciò che effettivamente è, o meglio, è diventato...”
Keishin lo guardò confuso. “Ne parlate come se l’aveste conosciuto di persona.”
“Infatti è così. Ti racconterò tutto, ma, per farlo, dovrò incominciare dal passato. Il passato di noi Shinigami del Gotei 13. Il nostro lontano, oscuro passato...”
 
Più di mille anni fa, quando il Gotei 13 venne formato, noi Shinigami eravamo molto diversi da come siamo oggi. Eravamo difensori, sì, ma solo nel nome. Eravamo più violenti, spietati e vedevamo la morte come unica punizione possibile per i nemici della Soul Society.
In breve, non eravamo niente di più che un gruppo di assassini.
Mille anni fa, tuttavia, non era solo questa l’unica differenza. Oltre a noi Shinigami, ai Quincy e agli Hollow, esisteva un’altra razza: i Kumiai.
I Kumiai erano entità molto particolari perfino per i nostri standard: la loro origine è tutt’ora sconosciuta perfino a noi, ma non erano né Shinigami né umani, bensì qualcosa di simile e, al contempo, differente. Erano spiriti con sembianze umane come noi, ma i loro corpi erano composti da una combinazione di Reishi e Kishi, una sorta d’incrocio tra la composizione del corpo di noi Shinigami e quella degli umani o dei Quincy, da qui il loro nome. Anche i loro poteri erano estremamente insoliti: possedevano una loro reiatsu, talvolta anche del livello di un Capitano, ed erano in grado di espanderla per potenziare le proprie abilità fisiche, come forza, velocità e resistenza, ma non avevano Zampakuto, non sapevano usare il Kido e non potevano manipolare il Reishi per creare armi spirituali. Se a questo si univa il fatto che non amassero particolarmente combattere, si otteneva una razza insolita ma innocua per noi, di conseguenza non demmo loro molto peso e li lasciammo vivere nella Soul Society e nel mondo reale. Infatti, non avevano una loro personale dimensione né interessava loro averne una, perciò formavano solitamente piccoli gruppi o brigate per muoversi da un mondo all’altro secondo le loro preferenze, ma non erano rari i casi in cui si muovessero in solitaria. Non avevano una loro società o una gerarchia vera e propria, solo i gruppi si sceglievano un leader in base alle sue capacità e questi non rispondeva a nessun altro, nemmeno ad altri suoi pari.
Le vere capacità dei Kumiai furono scoperte solo in seguito, quando alcuni Shinigami assistettero per caso ad uno scontro tra un gruppo di essi e degli Hollow emersi nel mondo reale. Quando eliminavano un nemico, erano in grado di assorbire la sua reiatsu e fonderla alla loro, ottenendo così tutti i poteri che l’altro aveva in vita e non solo: vista la loro capacità di espansione e controllo della reiatsu, il potere assorbito risultava sempre più potente ed efficace di quello originale. Potevano farlo ripetutamente, ma ogni nuovo potere annullava quello precedente, di conseguenza i Kumiai erano soliti combattere finchè non trovavano il potere che preferivano e sapevano usare meglio.
Questa rivelazione li rese temuti in quanto, se qualcuno di loro avesse mai assorbito il potere di un Capitano o di un Vasto Lorde, sarebbe stato quasi inarrestabile. Tuttavia, siccome una volta ottenuto il potere che ritenevano più adatto, essi perdevano interesse nei combattimenti limitandosi alla difesa personale, noi Shinigami decidemmo lo stesso di non considerare i Kumiai come una possibile minaccia. Una guerra contro di loro sarebbe stata solo inutile e deleteria.
Purtroppo lo stesso non si potè dire dei Quincy. Vedendoli subito come un potenziale pericolo maggiore perfino degli Hollow, essi intrapresero una campagna per sterminarli tutti senza pietà. Questa loro azione, tuttavia, si rivelò catastrofica.
I Kumiai, infatti, quando morivano, si univano come tutte le altre anime da noi purificate al flusso di anime che esiste tra Soul Society e mondo reale e mantiene l’equilibrio tra i due mondi, ma, se prima di morire avevano assorbito la reiatsu di altri spiriti, allora la loro anima risultava molto più pesante di quelle normali proprio perché era come se ne contenesse un’altra al suo interno. A differenza degli Hollow che svanivano nel nulla quando erano uccisi dai Quincy, tuttavia, i Kumiai tornavano sempre al flusso di anime, sia che morissero naturalmente sia che fossero uccisi da uno Shinigami, un Hollow o un Quincy; la loro anima sembrava non poter essere mai distrutta interamente.
Il risultato della massiccia eliminazione di Hollow e Kumiai da parte dei Quincy fu dunque lo sconvolgimento e il sovraccarico del flusso di anime, che divenne sempre più instabile e minacciò di implodere su se stesso e distruggere così entrambi i mondi. Messi alle strette e sentendosi minacciati per la prima volta nella loro esistenza, tutti i Kumiai si unirono in un'unica brigata e scelsero un leader assoluto che li guidasse in guerra. Il suo nome era Daiki ed era uno dei guerrieri più potenti e saggi che si fossero mai visti. Egli tenne unita la sua razza contro i Quincy, ma chiese anche aiuto a noi Shinigami, sapendo l’importanza del mantenimento dell’equilibrio tra i mondi e la nostra intolleranza verso il comportamento dei Quincy.
Era essenziale che il conflitto terminasse al più presto per evitare uno squilibrio irreparabile del flusso di anime, perciò non avemmo altra scelta. Quel giorno di più di mille anni fa, io, Shigekuni Genryusai Yamamoto, Capitano-Comandante del Gotei 13, e Daiki, leader supremo dei Kumiai, stringemmo un’alleanza per eliminare la minaccia dei Quincy e salvare i nostri mondi.
Ciò che accadde in seguito è facile da immaginare: i Quincy non ebbero scampo contro le forze combinate di Shinigami e Kumiai e finalmente, quando anche il loro leader Yhwach fu sconfitto e la loro intera razza fu sterminata, la guerra ebbe termine. E con la sua fine si aprì una nuova epoca per noi Shinigami: il Gotei 13 pose le basi per la fondazione della Soul Society che conosciamo oggi e iniziò a funzionare non come un branco di individui violenti e sanguinari, ma come un vero difensore dei mondi per impedire che tragedie come quello sterminio si ripetessero.
Dal canto loro, i Kumiai mantennero Daiki come unico comandante della loro razza, ma preferirono rimanere fuori dalla creazione della Soul Society e continuare a vivere ovunque volessero. Erano esseri dall’anima indipendente e libera, non accettavano di far parte di una società fatta di regole e doveri e di sottostare agli ordini di qualcuno che non fosse come loro, perciò ruppero l’alleanza e si allontanarono da noi, ma accettarono di mantenere il patto di non-aggressione e di non ostacolare o influenzare mai i nostri compiti. Solo Daiki si recava periodicamente al Seireitei appena costruito per salutarmi e parlarmi. Mi piaceva la sua compagnia e, dopo tutto quello che avevamo passato, ci consideravamo ormai buoni amici.
Dopo tanto sangue versato, finalmente la pace regnava tra i mondi. Sperai con tutto il cuore che fosse destinata a durare.
Ma non fu così.
Dopo i primi tempi, il malcontento ricominciò a serpeggiare, stavolta tra gli stessi Shinigami. Molti di noi non sopportavano l’idea che esseri con un simile potenziale si aggirassero e facessero i propri comodi nella Soul Society, nel mondo reale e nell’Hueco Mundo con tanta naturalezza, senza essere vincolati ad alcuna legge o società. Non erano Hollow né una minaccia per gli esseri umani, ma non erano molto diversi dai primi in fin dei conti: agivano solo in base ai loro desideri senza obbedire ad alcun obbligo morale che non fosse la volontà del loro leader prescelto e la promessa di non-aggressione del post-guerra. Sembravano quasi farsi beffe di quel sistema che noi avevamo costruito dopo tanti spargimenti di sangue e che cercavamo di far funzionare per migliorare il mondo. Se a questo si univa il disprezzo che diversi Shinigami provavano nei confronti di quei Kumiai che, in passato, avevano combattuto e ucciso altri della nostra razza per rubare i loro poteri e che ora vivevano serenamente senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni e alle vite che avevano stroncato, si otteneva un amalgama di rabbia e frustrazione crescenti.
Il principio perfetto per l’esplosione nel futuro di un nuovo conflitto.
Io e Daiki eravamo consapevoli della delicatezza della situazione, per questo c’incontrammo ancora per discutere una possibile soluzione. Era come stare in mezzo a un’immensa distesa di erba secca e dovevamo a tutti i costi evitare che scaturisse la scintilla che l’avrebbe trasformato in un vero inferno. Tuttavia, per quanto anche lui non desiderasse una nuova guerra, Daiki non poteva cambiare l’animo della sua razza, quello che era anche il suo animo, perciò non sarebbe mai riuscito a convincere i Kumiai a divenire parte della Soul Society o a seguire regole che avrebbero potuto limitare troppo la loro libertà. Soprattutto, nessuno di noi due sapeva come cancellare quella diffidenza e quella rabbia dovute ai trascorsi tra le nostre due razze e alla conoscenza delle loro reali capacità. Noi Shinigami, in particolare, ora che sapevamo qual era l’estensione dei poteri dei Kumiai, non riuscivamo a non provare un minimo di timore all’idea di una loro eventuale ribellione, mentre i Kumiai, dopo i Quincy, avevano iniziato a vederci perlopiù come un’altra potenziale minaccia e la creazione della Soul Society attuale non aveva fatto altro che renderli ancor più titubanti a fidarsi di noi. L’alleanza era finita insieme ai Quincy e il patto di non-aggressione non ci avrebbe difeso per sempre. In un lontano futuro, la diffidenza e la paura provate da entrambe le nostre razze avrebbero finito per sfociare in una nuova guerra e io e Daiki non potevamo permetterlo.
Alla fine trovammo una soluzione: un duello che decidesse la razza dominante. Non potevamo scatenare una nuova guerra né costringere i nostri compagni ad accettare le scelte di altri senza un motivo logico o una giustificazione, perciò decidemmo di affrontarci solo noi due e chi avrebbe vinto sarebbe diventato il leader di entrambe le razze e queste avrebbero dovuto obbedirgli senza discutere. Così non solo avremmo evitato che altro sangue fosse versato inutilmente, ma avremmo risolto una volta per tutte la disputa di chi fosse la razza più potente, quella degna di dominare. Assomigliava a un tentativo di dittatura, è vero, ma per quanto non piacesse a nessuno di noi due, non vi erano altre soluzioni. Quella storia doveva finire prima che potesse aggravarsi in modo irreparabile.
E quella fine arrivò molto presto: il giorno prestabilito, io e Daiki c’incontrammo con i nostri rispettivi popoli in un luogo all’esterno della Soul Society, dove avremmo combattuto. Shinigami e Kumiai avevano approvato le condizioni dello scontro, anche se con riluttanza, e ora si trovavano tutti lì, ad assistere alla vittoria di una delle due razze e all’imminente nascita di una nuova era.
Fu uno scontro terribile e violentissimo. Io ero il più potente Shinigami mai comparso fino a quel momento, ma Daiki non era da meno. La sua ultima vittima sembrava essere stata proprio un Vasto Lorde, molto forte per giunta, quindi i poteri che aveva acquisito rivaleggiavano coi miei, forse erano addirittura superiori.
Non era piacevole lottare con un amico, ma non potevo arrendermi. Dal risultato di quel duello dipendeva il futuro dei mondi, perciò non potevo tirarmi indietro e combattei con tutte le mie forze.
Dopo un intero giorno di combattimento, finalmente iniziai a prevalere sul mio avversario.. ma fu allora che avvenne l’irreparabile. Quando fui sul punto di sconfiggere Daiki, questi ordinò ai suoi Kumiai di attaccare ed eliminarci tutti. Fu allora che capii che, malgrado il suo giuramento, non aveva mai avuto davvero l’intenzione di rispettarlo perché non avrebbe mai tollerato di sottostare agli ordini di qualcun altro, nemmeno se fossi stato io. Il suo spirito indomito era quello di chi si ritiene un leader assoluto e non si sarebbe mai piegato a nessuno, qualunque fosse stata la conseguenza. Non ero riuscito a comprenderlo prima, purtroppo.
Così quello che doveva essere un duello si trasformò in una carneficina, un vero e proprio massacro: nessun Kumiai si oppose all’ordine del suo leader e noi Shinigami non potemmo fare altro che reagire e combattere quella che ormai era una guerra totale. Solo una delle due razze sarebbe sopravvissuta.
Tre quarti dei Capitani del Gotei 13 persero la vita quel giorno e, con loro, più della metà degli Shinigami, ma alla fine la debolezza e le ferite rimediate nel duello da Daiki giocarono a nostro favore e così fummo noi a prevalere. Quel giorno, come i Quincy prima di loro, anche la razza dei Kumiai scomparve per sempre.
Ma fu allora che Daiki scagliò su di noi la sua maledizione. Disperato e furioso per la morte dei suoi compagni e l’imminente sconfitta, trovò incredibilmente la forza per resistere alle ferite mortali riportate, rialzarsi e scagliarsi contro di me in un ultimo assalto. Lo trafissi ancora una volta con la mia Zampakuto, ma stavolta era una trappola: quando lo colpì, Daiki bloccò la lama nel suo corpo e tentò di fare quello che nessun Kumiai aveva mai osato tentare: cercò di assorbire la mia reiatsu e di fonderla alla sua mentre ero ancora vivo. Qualcosa di cui gli stessi Kumiai ignoravano le conseguenze.
I Kumiai poteva assorbire la reiatsu dei defunti perché, dopo la morte, essa perde la sua identità, diventa come neutra finché non si reincarna, e la loro anima era in grado di raccogliere quella reiatsu neutra e unita alla propria, dandole così una nuova identità e assorbendo le capacità intrinseche rimaste al suo interno. Questo era il loro segreto, ma all’epoca non lo sapevamo. Se lo avessi saputo, non avrei mai permesso che Daiki facesse ciò che ha fatto.
L’esito fu catastrofico. Una reiatsu appartenente a un’anima vivente non può fondersi forzatamente con quella di un’altra ancora viva perché le loro diverse identità si contrastano e annullano a vicenda, come i due poli di un magnete. Perciò, quando Daiki cercò di strappare e assimilare la mia reiatsu nella sua, le nostre identità si sovrapposero e si innescò inevitabilmente una reazione di rigetto che minacciò di distruggerle entrambe. Alla fine, però, fu solo la sua reiatsu, ormai troppo flebile per sopraffare la mia, a implodere e, con essa, anche la sua anima.
L’istante prima di esplodere, Daiki mi urlò queste fatali parole: “VOI SIATE MALEDETTI, SHINIGAMI! TU SIA MALEDETTO, SHIGEKUNI GENRYUSAI YAMAMOTO! LA PAGHERETE CARA! NOI NON SAREMO MAI DIMENTICATI!! RICORDATEVELO!!!
L’esplosione che seguì fu tremenda e coinvolse non solo me, ma anche altri due Shinigami, miei diretti sottoposti, che erano accorsi per aiutarmi. Non so come, sopravvivemmo tutti e tre e la battaglia ebbe così fine con la vittoria del Gotei 13.
Ma solo qualche tempo dopo, quando la Soul Society ricominciava finalmente a risollevarsi, le ultime parole di Daiki si palesarono: io e gli altri due Shinigami coinvolti nell’esplosione dell’anima del leader dei Kumiai, i miei Luogotenente e Terzo Seggio dell’epoca, iniziammo ad avere degli strani sintomi. Aumenti ed emissioni improvvise e incontrollate di reiatsu, ridotto controllo sui nostri poteri, ansia, scatti d’ira, aggressività crescente.. e una tremenda sensazione interiore, come una voce che ci sussurrava direttamente nell’anima.
Fu solo dopo molte ricerche della Dodicesima Brigata che scoprimmo la terribile verità: quando era implosa, l’anima di Daiki si era frammentata in tre parti e, siccome in quel momento le nostre anime erano in parte legate, uno dei frammenti aveva finito per fondersi con la mia, mentre gli altri due erano penetrati all’interno degli esseri viventi più vicini in quel momento, ovvero i miei due subalterni, e si erano fusi con le loro anime. Tuttavia, la sua anima aveva dimostrato di possedere una vitalità incredibile che nemmeno quell’esplosione aveva potuto cancellare del tutto, per questo, ogni frammento aveva mantenuto una traccia dell’identità di Daiki ed era rimasto, in un certo senso, vivo...
E, in virtù di quella vitalità, ora cercava di prendere il sopravvento ed espandersi per inglobare il resto dell’anima “infettata” e dare così origine a un nuovo essere. Un ibrido pieno solo dell’odio e del risentimento di una razza estinta, un abominio di pura ira e violenza che desidera solo distruggere e infliggere ad ogni altro essere vivente la stessa sofferenza che quella razza aveva provato...
 
“Allora è questa la verità. È questo ciò che sono... Un abominio... Un mostro.”



Note:
Sonohoka = l'altro
Kumiai = unione

Daiki = grande gloria

Eccoci qua! Ora sapete che cos'è ciò che sta logorando l'anima di Keishin. Una mia amica mi ha fatto notare che assomiglia un po' agli Horcrux di Harry Potter (e le dò ragione in effetti), ma vi assicuro che non ci avevo minimamente pensato quando l'ho scritto. Così come inizialmente non avevo pensato di creare un'altra razza.. tutte le idee del flashback mi sono venute mentre scrivevo e spero che il risultato sia buono. Se avete ancora interrogativi su questo oscuro passato, come è giusto, vi informo che il racconto di Yamamoto è incompleto: ci sono alcune verità non ancora rivelate, ma che getteranno una nuova luce su questa storia. Per quanto riguarda domande come perchè Yamamoto non sia più "infettato", come mai Keishin lo è se nemmeno era nato all'epoca dei Kumiai e dove sia il terzo frammento, avrete le vostre risposte nel prossimo capitolo!
Meryu e Soifon? Eheh, quei due sono sempre più vicini e cotti, chiaro, ma non lo ammetteranno mai con chiarezza, almeno per ora. Altrimenti.. bè, non sarebbero loro, no? Posso assicurarvi che c'è ancora molto da aggiungere al loro rapporto.. tuttavia continuerà a svilupparsi ed evolversi, credetemi!
Kaisui ha qui un'immagine molto più umana e piangente, ma non provate nemmeno a definirla debole perchè sapete benissimo che sarebbe una bugia. Chiunque sarebbe scoppiato a piangere dopo aver passato quello che lei aveva passato e lei aveva un disperato bisogno di sfogarsi.. tutti ne hanno bisogno prima o poi, e io sono del parere che il pianto non è sinonimo di debolezza ma di una grande nobiltà d'animo e coraggio perchè vuol dire non avere paura di mostrare le proprie emozioni. Non temete: la Kaisui determinata e gentile di sempre tornerà più decisa che mai nel prossimo capitolo. Aspettate di vedere quando saprà la verità su Keishin...
Ormai ci siamo: siamo a -1 dalla fine! E pubblico questo penultimo capitolo il giorno dopo il mio anniversario su EFP per giunta! Un anno esatto che sono qui e che leggo storie sempre più meravigliose oltre a scriverne a mia volta! Credo che anche a voi certi pensieri diano una grande eccitazione, eh? XD Vi prometto che non ci metterò mai più così tanto a scrivere un nuovo capitolo e, se vi dispiace che questa storia stia per finire, non temete: scriverò il suo seguito, ma prima ancora ho altre due opere da proporvi e che arriveranno molto presto. Spero apprezzerete anche quelle come questa!
Ci vediamo al prossimo ed ultimo capitolo! Ja naa minna!!!
   
 
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