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Autore: _Teartheheart    25/11/2015    1 recensioni
Il 6 Dicembre dell'anno 2010 io morì, non il mio corpo, ma la mia anima, cessò di vivere nello stesso istante che quel maligno mi ha marchiata.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Rianima la mia anima. 
Prologo. 
 
Cinque anni dalla mia morte, cinque anni da quando la mia vita si è spezzata, da quando ho attraversato quel vicolo cieco cercando di scappare da quel mostro, da dove sono rimasta immobile, aspettando che tutto finisca. 
Non è facile da spiegare ciò che ho passato, ricordo ancora le sue sudice mani su di me, mentre cercava di marchiarmi, ricordo le mie di mani che cercavo di scansarlo con tutta la forza che tenevo nel mio corpo, ricordo anche di aver pianto, tanto ma non urlavo, non ci  riuscivo. 
Ricordo di aver pensato che era finita che stesse per uccidermi, perché lo avevo visto in viso, pensavo che quando avesse finito il suo divertimento mi avrebbe uccisa, ma così non è stato, non è riuscito a finire il suo diverto e non h potuto nemmeno uccidermi, quando un passante ha sentito i mie gemiti e le parole forti del mostro si è fermato urlando verso di lui. 
«Che stai facendo?» diceva, ricordo solo questo, poi il buio. Mi ritrovai qualche ora dopo nella stanza di un ospedale, attorno a me i miei volti più cari, mia madre, mio padre e mio fratello, ricordo i loro pianti, mi fissavano, ero morta? Era la mia anima che li stava fissando? Contemplavo il loro dolore?
No. Erano solo afflitti da ciò che mi era accaduta, la guardavo, guardavo la donna che mi aveva messa al mondo, ed avevo vergogna, come ho potuto lasciare che tutto questo accadesse? Perché è successo? Era stata colpa mia? Perché ho attirato l'attenzione di quel mostro quel pomeriggio? 
Ricordo che mia madre fece per avvicinarsi, voleva abbracciarmi ma il mio istinto fu di allontanarmi, di non lasciare che qualcuno si avvicinasse al mio corpo, nessuno, nemmeno i dottori. Per quest'ultimi fu difficile, dovevo lasciarli fare ma non ci riuscivo, il suo avvertire qualcuno che volesse toccarmi mi metteva i brividi. Dovettero sedarmi, ed io li lasciai fare ... non sentire nulla era ciò che volevo. 
Il 6 Dicembre dell'anno 2010 io morì, non il mio corpo, ma la mia anima, cessò di vivere nello stesso istante che quel maligno mi ha marchiata. 

Cinque anni dopo, dopo cinquanta psicologi e vari psicofarmaci, sono ancora qui con la mia mente ferita, e il mio corpo marchiato. 
Mi alzo, per la milionesima volta sono pronta ad andare dal mio nuovo psicologo, credo che tra poco qualsiasi collega di questi ultimi, metteranno il mio viso sulle bacheche con la scritta ''EVITATELA'' e come dargli torto, quando mi siedo sui loro divano, il mio silenzio si fa strada nel loro. 
Aspettano una mia reazione, ma io non ho mai parlato con nessuno di loro, mi limitavo ogni volta  a guardare la lancetta aspettando che questa passasse l'ora in cui sarei rimasta li. 
Non credo che qualcuno possa riportarmi in vita, sono morta, dentro. 
Nessuno può rianimare la mia anima, non esiste cura per la mia malattia. 
Guardo la mia stanza, diversa da quei lontani cinque anni, dopo essere uscita dall'ospedale decisi di cambiarla, rammento il mio urlo arrivata in camera mia, le mie mani contro i mobili lanciati sul pavimento, la carta da parati strappata, mio padre che cercava di calmarmi, ed io che lo respingevo, urlando ancora più forte. 
Sento bussare alla porta, sono seduta sul letto indecisa su quale calze indossare, come se qualcuno le notasse, opto per quelle nere. «Avanti» dico, mia madre entra con gran sorriso, le sorrido a mio volta, non è come il suo però, il mio è finto quello della mia dolce mamma ritrae qualcuno che ha ancora speranza contro la ragazza svampita che si ritrova davanti. 
Quando guardo mia madre mi rivedo io tra qualche anno, certo i suoi occhi sono blu come la notte, i miei occhi sono uguali a quelli di mio padre, neri come l'oscurità che mi attanaglia, i capelli rossi li ho presi da lei però, lei ha quel rosso naturale che tutti le invidiano, anch'io li avevo di quel colore, ma poi decisi che non mi bastava, così ho colorato i miei capelli di un rosso più scuro. 
Il naso è uguale, sottile e all'insù, le labbra carnose con una fossetta ai lati ogni volta che apriamo bocca. 
Si siede accanto a me, appoggiando la sua mano sulla mia spalla, non mi ritraggo, su una cosa ho fatto progresso, sul fatto di aver un contatto fisico con le persone, o almeno con la mia famiglia, di loro mi fido e li lascio abbracciarmi di tanto in tanto, mi aiuta. 
«Sei pronta ad andare dal nuovo psicologo?» mi chiese lei tutta entusiasta, ironicamente dissi: «Yeah, sono contentissima» lei sbuffa e un po sembra arrendersi ma si riprende immediatamente «Charlotte, prima o poi dovrai parlare con qualcuno di ciò che ti è accaduto, ti farà bene tesoro» stava continuando ma io mi alzò in segno di resa agitando le mani in aria
«Va bene, va bene, cinque minuti e andiamo» 
Mi ritrovo fuori dalla porta del mio nuovo e inutile psicologo, mi madre mi dice che tornerà fra un ora, la salito per poi entrare dentro lo studio, tra me e me sorrido, pensando a questo povero uomo che dovrà sopportare i miei infiniti silenzi. 
Mi siedo in sala di attesa, sono sola, nessuno tranne me occupa quella sala con tante sedie, mi soffermo sul tavolino al centro pieno di riviste con su titoli ''Ti aiuterò'' oppure ''Abbandona i tuoi demoni'' erano le stesse riviste, viste in ogni psicologo conosciuto da cinque lunghissimi anni, dovrò cercane alcune nuove per loro, almeno mi rendo utile. 
Dieci minuti dopo, un uomo sulla cinquantina esce, salutando il dottore dietro di lui, ringraziandolo ripetutamente, l'uomo sembrava felice, o forse no, ma comunque non m'interessava. 
Quando quest'ultimo andò via, una voce roca attirò la mia attenzione «Charlotte Graham?» chiede, io mi alzo prendendo un grosso respiro prima di entrare dentro la camera delle torture. 
«Piacere Charlotte» dice porgendomi la mano, io non ricambio il saluto mi limito a fare un cenno con la testa, non posso però ammirarlo, è giovane, non è il solito vecchio rimbambito o vecchia che mi ritrovo davanti. 
Il suo capelli sono castani leggermente ondulati e perfettamente curati, i suoi occhi verdi attirando la mia attenzione, sembra esserci il mondo dentro, le sue labbra sono sottili e di una forma perfetta, le sue spalle larghe attirerebbero chiunque in un abbraccio, ma io non posso, l'abbraccio scaturirebbe emozioni diverse dalla semplicità di un abbraccio, probabilmente urlerei. 
Ritrae la mano capendo il mio intendo di non salutarlo, mi volto guardando la stanza perfettamente a tempo di anni, attrezzata in stile moderno, il divano che occupa i pensieri dei suoi pazienti è invece una sedia sdraio, di pelle nera, una scrivani è nell'altro lato della camera, è scura anch'essa,  con un penna stilografica e piena di scartoffie, c'è anche un armadio nel perfetto stile della camera, la sua poltrono è bordeux, diversa dall'arredamento, è di stoffa, e sembra essere anche comoda. 
Con la sua voce roca dice «Siediti pure li» mi indica la sedia che poco prima ammiravo, annuisco andandomici a sdraiare, inizio a sospirare guardando il soffitto, lui si siede anche guardando la mia cartella clinica, un po lo guardo anche io, è molto bello, stare qui non mi renderà la cosa noiosa, avrò cosa ammirare almeno. 
«Allora Charlotte, mi racconti un po di te?» chiede, io rimango il silenzio, continuando a guardare il soffitto bianco, coperto di piccoli faretti invece di lampadari. 
«Cosa senti in questo momento?» continua, noia, vorrei rispondere, ma non lo faccio. 
Adesso sto guardando le lancette scorrere, e scorrere. Per tutta l'ora continuo a far scorrere il mio silenzio, mentre lui continua  a fare domande inutili alla quale non risponderò mai. 
Finalmente l'ora è passata, e il suo viso mi guarda contrariato quando mi alzo prendendo le mie cose, prima di aprire la porta mi ferma «Non puoi continuare a tenerti tutto dentro» dice, io apro la porta e vado via, certo che posso, posso tenere tutto dentro come ho sempre fatto, parlandone non farà cambiare niente, quel giorno nessuno h raccolto i miei cocci, anche se provassi a rimettere insieme quei pezzi, ne mancherebbe sempre qualcuno, piccole schegge essenziali per la mia vita. 
L'Audi di mia madre si ferma dinnanzi a me, mi fa segno di salire, non vedo l'ora di tornare a casa, entro in auto e la prima cosa che mi chiede è «Come è andata?» domanda sperando di trovare un entusiasmante risposta «Come al solito» rispondo. 
   
 
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