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Autore: Maty Frost    26/11/2015    3 recensioni
CW.
"Notte di Capodanno. Tutti i pony sorridono felici alla prospettiva dell'ultima notte dell'anno, tra cene in famiglia e fuochi d' artificio.
Solo una giumenta, passerà da sola la notte. La sua ultima notte."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nell’aria frizzante di fine inverno si respirava un’atmosfera di festa: il fiato dei pochi pony che camminavano per strada si addensava davanti ai loro musi, che si aprivano in un sorriso ogni volta che auguravano buona serata ad amici e passanti.
Alle finestre e ai balconi delle case erano ancora appese le decorazioni della Festa dell’Amicizia,e le luci drappeggiate ai cancelli illuminavano di colori sgargianti la strada, altrimenti  buia: Capodanno.
Una nuova festività portata ad Equestria dagli umani.
Totalmente inutile.
I pony aspettavano alzati fino a mezzanotte per far scoppiare petardi o fuochi d’artificio, e puntualmente qualche idiota si faceva saltare in aria qualche parte del corpo, o cominciava a sparare colpi in aria, colpendo qualche sventurato pegaso di passaggio.
Tuttavia, molti venivano in paese quella notte, per assistere ai fuochi, e si fermavano a dormire in albergo, come si accingeva a fare una giumenta dal manto arancio chiaro, la criniera mossa anch’essa arancione, ma di un colore più acceso e come Cutie Mark tre carote.
Camminava sul ciglio della strada, a testa bassa, con il cappello di lana sugli occhi e la sciarpa sul muso, trascinando una grossa valigia ed evitando gli sguardi della gente; si fermò davanti ad un piccolo albergo, in una stradina laterale, davanti ad una casa diroccata in ricostruzione, ed entrò furtivamente, sperando di non essere stata vista da nessuno.
Per sua sfortuna, qualcuno l’aveva vista.
All’angolo della strada, un gruppo di puledri stavano giocando a pallone. Tutti,  tranne una piccolina, dal manto bianco come la neve che la circondava e con la criniera bluastra.
Gli occhi azzurri non si erano staccati dalla giumenta per un attimo, e adesso erano socchiusi, in un’espressione pensierosa, tanto che non si accorse del pallone che le era rotolato tra gli zoccoli, e gli altri puledri dovettero chiamarla con grida e schiamazzi, cosa abbastanza difficile, visto che non conoscevano nemmeno il suo nome:- Ehi! Potresti ripassarci la palla? Torna qui a giocare!-
La puledra tirò un piccolo calcio alla palla, ma non si unì agli altri, ma si allontanò sorridendo:- Mi spiace piccoli, ma per oggi ho finito di giocare.-
La voce era quella di una giumenta matura, che mal si accordava con quel corpo piccolo ed esile: anche lei lo trovava molto scomodo, e non esitò a cambiarlo.
Lontana da occhi indiscreti attivò la sua magia e cominciò a crescere, il manto a scurirsi e a diventare grigio scuro, la criniera ad accorciarsi e a cambiare colore in viola.
Una volta terminata la trasformazione, si spazzolò via la neve dagli zoccoli con noncuranza e si allontanò.

 

Osservai con attenzione l’ologramma in tre dimensioni che galleggiava sopra lo schermo del tablet: il vicolo, una diramazione secondaria della strada principale, si diramava tortuoso nella periferia del paese, circondato da casette l’una attaccata all’altra, tanto che lo spazio tra un lato e l’altro del vicolo era pressappoco nullo.
L’albergo si sviluppava in un palazzo a quattro piani, alto e stretto, con un cortile interno di ghiaia e alberelli secchi, che protendevano i rami al cielo come artigli neri. Anche il muro era diventato ormai nero, macchiato dalla fuliggine che gli altri edifici, molto più bassi, disperdevano dai camini.
Visto dalla strada, con le finestre sbarrate da sbarre di ferro, sembrava più un carcere, o un ospedale psichiatrico che un albergo; com’era presumibile, non molti pony erano disposti ad alloggiare li: solo chi voleva evitare di dare troppo nell’occhio sapeva di poterci trovare un riparo sicuro, quindi, poteva capitare di veder entrare dalla porta di legno scuro ogni genere di malfattori e pony poco raccomandati.
E lei. Almeno per Capodanno.
Carrot Top aveva preso quell’abitudine dopo un incidente avvenuto a casa sua: alcuni ignoti avevano “accidentalmente” lanciato un petardo nella sua camera da letto, rischiando di procurarle diverse lesioni gravi. 
“Il loro obbiettivo con molta probabilità era quello di ucciderla, ma avevano fallito miseramente. Ecco cosa succede a provare a farsi giustizia da soli. “
Da quell’anno aveva cominciato a dormire, almeno per la notte di Capodanno, nell’albergo, per la precisione nella stanza 22, al terzo piano, una delle poche camere con la finestra che dava sulla strada.
Esattamente in linea di tiro con un’altra finestra, sull’angolo opposto della strada, nella casa dal lato opposto della strada.
Quella casa, al contrario delle altre, era della stessa altezza dell’albergo, e non era abitata, almeno, non in quel momento: un incendio aveva distrutto gran parte dell’abitazione, che era stata abbandonata per molto tempo. Solo recentemente si era deciso di ristrutturarla, ma i lavori, in corso da più di un mese, non avevano ancora risolto nulla: i muri portavano ancora i segni delle fiamme, le travi e il pavimento, rovinato, non erano ancora stati ristrutturati. Le finestre fissavano la strada come orbite di un morto.
E da una di quelle finestre, avrei portato a termine il mio compito.
Diedi l’ultima occhiata alla mappa e finii di descrivere il piano alla Corporazione: era essenzialmente semplice, ma si basava su una serie di coincidenze a catena; un singolo margine di errore, e tutto poteva andare in malora. Alle 23:00 mi sarei intrufolata nella casa diroccata. Avrei risolto il problema della guardia, che probabilmente avrebbe pattugliato i dintorni, con un po’ di sonnifero. Avevo avuto modo di osservare il suo evidente piacere nel vino e nella buona compagnia. Avrei preso le sembianze di una cameriera dell’albergo, e gli avrei offerto una bottiglia di vino.
In caso del fallimento di questo piano, sarei ricorsa a soluzioni più drastiche: mi ero procurata una pasticca di veleno, che, una volta ingerita non lasciava traccia. Non avrei avuto difficoltà a fargliela ingoiare, e la mattina dopo sarebbe sembrato solo un incidente.
Sarei poi entrata, più o meno alle 23:15 nell’edificio, avrei trovato l’ultima stanza a destra, sul terzo piano, in linea di tiro con la stanza 22 dell’albergo di fronte.
Avrei avuto tutto il tempo di sistemare il fucile, un Calibro 50, e aspettare la mezzanotte. La vittima sarebbe salita a quell’ora nella stanza, per evitare i festeggiamenti. A quel punto avrei sparato.
La mattina dopo tutti avrebbero pensato ad un incidente, qualcuno che aveva sparato per aria e aveva colpito casualmente qualcuno. Senza contare, che il rumore dei fuochi d’artificio avrebbe coperto lo sparo.
Inviai il messaggio e corsi a prepararmi.
 

23:00
La luce azzurra del mio corno illuminò l’orologio che avevo allo zoccolo, per poi spengersi subito dopo.
La prima fase del  piano era appena iniziata e già stava andando tutto storto.
Mi trovavo nascosta dieto l’angolo della strada, nascosta da occhi indiscreti: indiscreti come quelli delle quattro guardie che pattugliavano la zona di fronte al cantiere in costruzione.
Certo, mi ero aspettata un minimo di sorveglianza, visto che era risaputo che alcuni puledri avevano l’abitudine, durante le feste, di entrare nelle case in rovina e nei cantieri in costruzione e di imbrattare le pareti con scritte oscene, ma avevo pensato ad una guardia, maledizione, non quattro!
Ma dovevo portare a termine il piano, inconvenienti o meno.
Nascondendomi nuovamente dietro il muro, feci levitare fuori dalla mia bisaccia una boccetta contenente un liquido trasparente, con relativo contagocce: sonnifero.
Silenzioso, efficace, non lascia tracce, tranne un sapore amaro in bocca al risveglio, totalmente insospettabile.
Nascosta nell’ombra, corsi fuori silenziosamente, scivolando alcune case più avanti e nascondendomi nuovamente dietro un cassonetto, vicino al cancello del cantiere ma nascosto dalla visuale delle guardie dalle case, davanti alla porta secondaria dell’hotel: l’odore dei rifiuti mi fece arricciare il muso, ma mi rannicchiai ancora più vicina, rabbrividendo per il contatto freddo del metallo contro la schiena.
Le guardie non si erano accorte di niente.
Ora che ero più vicina, riuscivo a vederle meglio.
La prima,un unicorno abbastanza robusto,era stravaccato su una sedia vicino al gabbiotto di controllo e si dondolava con fare annoiato mentre si guardava attorno.
Le luci colorate appese alle finestre della casa vicina, rivelavano che il suo manto era di colore grigio sporco. La criniera era coperta dal cappello della divisa, grigio anche esso.
Tra tutti era il più attento: la seconda guardia e la terza guardia, fratelli, a giudicare dallo stesso colore giallo del manto e dalla stessa criniera spettinata di color rosso, erano occupate in una partita a carte,con tanto di premio in denaro, sedute attorno ad un tavolo. Una di loro stava tracannando da una bottiglia di vino mezza piena.
Mi trattenni dallo scattargli una foto e inviarla al suo superiore. Odio chi beve sul lavoro.
Senza contare che da ubriaco non avrebbe potuto vincere la partita a carte, e suo fratello stava facendo scivolare furtivamente una moneta alla volta nella tasca della divisa.
La quarta guardia era un pony piccolo e nervoso, che avrebbe potuto arrivarmi fino alla spalla, non di più: la tuta gli ballonzolava addosso, nonostante si fosse arrotolato le maniche fin sopra le ginocchia e la visiera del cappello gli scivolava continuamente sopra gli occhi.
Camminava avanti e indietro per tutto lo spiazzo davanti al cantiere, battendo nervosamente gli zoccoli sul terreno. Persino dal mio nascondiglio riuscivo a sentirlo borbottare preghiere a Celestia, farcite di bestemmie che avrebbero fatto impallidire uno scaricatore di porto.
Sembrava terrorizzato e continuava a lanciare occhiate veloci all’ingresso dell’edificio, come se fosse stato una bocca spalancata pronta ad inghiottirlo in un sol boccone.
Gnam!
Non riuscii a trattenere una risatina. Mi ero preoccupate per niente. Persino dei puledri sarebbero stati in grado di entrare senza essere visto, magari da un’entrata secondaria.
Comunque, decisi di attenermi al piano, meglio non rischiare.
Nascondendomi meglio dietro il cassonetto attivai la mia magia:piano piano sentii la criniera allungarsi, e quando una ciocca mi cadde davanti agli occhi, vidi che aveva cambiato colore in un arancione acceso.
Quando sollevai uno zoccolo, vidi che anche il manto si era schiarito, fino a diventare color vaniglia.
Poi, cominciarono i dolori. Digrignai silenziosamente i denti, mentre le mie membra si contorcevano,come trafitte da migliaia di coltelli, e il mio corpo cambiava diventando più minuto, gli zoccoli si accorciavano e i lineamenti del muso cambiavano.
Poi, come era cominciato, il dolore svanì.
Mi specchiai in una pozzanghera di neve sciolta, che mi rimandò l’immagine di una giumenta giovane, all’apparenza pony terrestre, con manto color vaniglia e criniera arancione, che mi affrettai a sistemare in due trecce.
Anche i vestiti erano cambiati: al posto della tuta nera, indossavo calze a rete e un vestitino a righe bianche e rosse, con trine di pizzo e sbalzi sul corpetto e, che lasciava un po’ troppa pelle scoperta sul dietro; lo stesso vestito che indossavano le cameriere dell’albergo.
Solo gli occhi erano rimasti i miei, azzurri. Lo specchio dell’anima, non si possono cambiare.
Dalla bisaccia tirai fuori una bottiglia, afferrandola per il collo, e per poco non mi scivolò a terra: grazie ai “miglioramenti" della Corporazione, avrei potuto afferrarla tranquillamente con gli zoccoli, ma alle guardie sarebbe venuto di certo qualche dubbio se mi fossi presentata camminando su due zoccoli. Quindi, mi sarei dovuta accontentare di portarle tra i denti, con relativi inconvenienti. Tolsi il tappo, versai dentro al vino il sonnifero che mi ero procurata, e riappaia la bottiglia.
Poi aprii la porta secondaria dell’hotel e la luce delle cucine si riversò fuori, arrivando fino alle quattro guardie.
Feci finta di uscire in quel momento, retrocedendo e chiudendomi la porta alle mie spalle, facendo ripiombare la strada nella semi-oscurità.


23:15
Trotterellai verso il cantiere, raggiungendo i quattro stalloni, che mi guardavano come una sorta di apparizione.
Il pony piccolo e nervoso, Guardia numero 1, si avvicinò velocemente, bloccandomi la strada quando ormai ero entrata nel cantiere.
-“Signorina? Signorina, mi scusi, ma non può stare qui! Questo è un luogo riservato solo agli addetti ai lavori, e potrebbe essere pericoloso…”-  mi spinse verso il cancello
-“Oh, andiamo….sono solo venuta per portarvi questa bottiglia di vino”- posai la bottiglia a terra, e mentre mi chinavo il vestitino scivolò più su di quanto avessi voluto, tanto che anche Guardia numero 1 ci diede un occhio.
-“Una…bottiglia di vino?- balbettò rosso in viso.
Anche la guardia che prima era seduta sulla sedia si avvicinò.
Io annuii:-“ In omaggio dall’hotel. Sapete…non deve essere facile passare tutta la notte di Capodanno, qui, soli e sotto la neve…deve essere davvero faticoso…”- sbattei le ciglia
La guardia che giocava a dama sorrise-“ Già…faticoso…ma non per noi. Sappiamo montare anche di notte.”-
Che Celestia mi salvi.” Quello era un pervertito.
-“ Non ne dubito.Siete davvero molto forti..- feci una risatine sciocca:-" Ora, che ne dite di bere tutti insieme? Nessuno dovrebbe stare solo, questa notte.”-
L’ubriacone, che non aveva mai perso di vista la bottiglia, annuì convinto, e cominciò a tracannare il vino: il compagno di giochi afferrò la bottiglia e cominciò a bere, cercando di impedire all’altro di riprendersela.
Alla fine intervenne l’unicorno, che prese l’oggetto della contesa con la magia, bevendo qualche sorso prima di passarlo alla guardia mingherlina, che diede un’occhiata al vino prima di bere le ultime gocce.
Poi, si rese conto che io non avevo bevuto, e provò a scusarsi:-“ M-mi dispiace signorina…ci siamo scordati di lei…”-
-“Oh, tranquillo. Non ha importanza.”-
-"Oh, bene….credo che…noi…."- mentre parlava gli si chiudevano lentamente gli occhi. Il sonnifero faceva effetto.
Anche gli altri tre cominciarono a barcollare, e in pochi secondi caddero tutti a terra, con un tonfo sordo.
Controllando che in giro non ci fosse nessuno, sistemai le guardie in modo che tutti pensassero che si fossero semplicemente addormentati sul lavoro -cosa che era effettivamente vera-, poi mi diressi verso l’entrata dell’edificio.
Entrai.


23:30
Montare il fucile da cecchino, fu facile.
Arrivare alla stanza giusta attraverso i labirintici percorsi dell’edificio fu un po’ meno semplice.
Sapevo bene la strada da percorrere, ma le travi che erano cadute dal soffitto impedivano il passaggio, le mattonelle del pavimento erano state divelte e rischiai di inciampare diverse volte; la luce del mio corno non riusciva a illuminare bene il luogo, e nemmeno la torcia che mi ero portata dietro, e l’atmosfera era davvero lugubre.
Alla fine riuscii ad arrivare, con ragnatele infilate nei capelli e polvere sui vestiti.
-“ Meno male che questa casa è in ristrutturazione”- borbottai, mentre sistemavo gli ultimi ritocchi.
Poi, controllai attraverso il mirino che il fucile puntasse esattamente alla finestra, e per poco non mi venne un colpo.
Nella stanza numero 22, esattamente quella dove io avrei dovuto uccidere la vittima, una cameriera stava raccogliendo tutti i suoi oggetti personali in una valigia, con tutta l’intenzione di portarla via.
Per qualche motivo, Carrot Top voleva cambiare stanza.
-“Merda”-
Lasciando stare il fucile corsi fuori dalla stanza, scesi le scale pericolanti di corsa, quasi volando, attraversai i corridoi al buio saltando le travi cadute e le mattonelle rotte; in un attimo ero in strada, e stavo già mutando aspetto.
La criniera diventò color bianco, con striature rosa, il manto sempre rosa, ma più chiaro, e con forti dolori, che ignorai, cominciai a diventare sempre più piccola, fino a rassomigliare ad una puledra.
Entrai di corsa nell’albergo, spalancando la porta e facendo entrale nella hall un refolo di vento gelido: lo stallone al bancone mi gridò qualcosa, ma io non lo sentii nemmeno, e feci di corsa tutte le scale fino al terzo piano evitando i pony che scendevano.
Arrivai al corridoio, sempre correndo, e mi scontrai contro un pony, senza poterlo evitare: per mia fortuna era proprio la pony che cercavo.
-“ Mi dispiace tantissimo!”- dissi, modulando la voce in  modo che sembrasse quella di una bambina, mentre aiutavo la cameriera a raccogliere i vestiti e gli altri oggetti caduti dalla valigia.
-“Oh, non preoccuparti cara…può capitare…”-  Aveva tutta l’aria di volermi strozzare
-“Lascia che ti aiuti! Dove devo portarla?”- chiesi afferrando il bagaglio e cominciando a trascinarlo per il corridoio.
-“ Aspetta!”- mi corse dietro, e afferrò un angolo della valigia:- “Non sai nemmeno dove devo portarla!”- biascicò tra i denti:- “Stanza 28”-

La stanza era poco distante, nello stesso corridoio. Solo che dava sull’interno e non sulla strada; avevo previsto ogni singolo punto di quel maledettissimo piano, e ora, quel singolo, minuscolo, gigantesco problema, mi mandava a monte tutto.
Come era potuto accadere! Carrot Top  non aveva mai cambiato la stanza, mai! E andava a farlo proprio questa volta! Perché?!
Lo chiesi alla cameriera, simulando l’ingenua curiosità solita dei bambini.
-“ E’ arrivato un ospite nuovo?”-
-“No. Una cliente cambia la camera.”- la cameriera era di buon umore, e continuò a chiacchierare allegramente, felice che qualcuno, seppur una bambina, avesse il tempo di ascoltarla.
-“ Sai, alcuni teppisti hanno deciso di rompere la finestra con dei sassi; fortunatamente la cliente non era in camera, l’ha scoperto solo dopo. Non sembrava nemmeno spaventata, ha detto di esserci abituata.”- la cameriera storse il naso, quasi disgustata:-“ Sai, mentre mi parlava, non potevo far a meno di odiarla. Era veramente insopportabile, e pensa che non so nemmeno io il motivo!”- qui scoppiò a ridere.
Eravamo arrivate davanti alla camera 28, lei aprì la porta e trascinammo la valigia dentro.
La stanza era uguale alla 22, con il letto sulla parete esterna, un divano alla destra della porta, un armadio e una cassapanca in fondo al letto. L’unica differenza era la finestra, che dava sul cortile e non sull’eterno.
Aiutai la pony a sfare la valigia, portando i vestiti nella cassettiera: cercavo disperatamente qualcosa che avrebbe riportato la vittima nella stanza 22, mentre la cameriera continuava a parlare:- “Così Daisy, sai, la pony al balcone, mi ha fatto prendere tutta la sua roba e mi ha detto di portarla nella 28. Lei nel frattempo se ne era andata chissà dove, senza nemmeno ringraziare: non che qualcun altro di solito mi ringrazi, ma poteva anche fare uno sforzo!”-
Io annui, ascoltandola per metà. Non avevo trovato ancora niente di utile.
-“ Insomma, le ho praticamente portato qui tutta la casa! Non sai quante cose ha in questa valigia!”- tirò un calcetto spazientito al bagaglio, poggiato per terra:-“ Vestiti che potrebbero essere indossati da un intero reggimento, sciarpe, cappelli, una quantità assurda di spazzole e saponi. Cosa dovrà farci poi con tutto quel sapone? Per una notte!!”-
Annuii distratta.
-“Per non parlare di tutte queste erbe!”- tirò fuori da una tasca posteriore un sacchetto di erbe grosso quanto uno zoccolo:-“ Probabilmente sono un qualche tipo di erbe magiche. sai cosa si dice di lei?”- si avvicinò al mio muso, sussurrando, forse sperando di spaventarmi:-“ Si crede che sia una strega!”-
Spiacente, lo sapevo già” . Avevo passato più di una settimana a cercare informazioni su di lei.
-“ Probabilmente queste erbe sono velenose. O forse le usa per qualche tipo di rito. Comunque, secondo me non dovrebbero permetterle nemmeno i uscire di casa. Non è nemmeno pensabile farla girare liberamente per il paese, potrebbe combinare qualcosa di grosso…”-
Continuò a parlare senza sosta, mentre riordinava la stanza, ma io non la stavo più ascoltando; quello che aveva detto mi aveva fatto ricordare una cosa: le erbe nel sacchetto non servivano ne per avvelenare qualcuno, ne tantomeno per dei riti. Erano erbe per dormire! La “strega” non poteva farne a meno. Ogni sera, prima di coricarsi, prendeva una dose di erbe sciolte nell’acqua.
Ecco come avrei fatto a far tornare la vittima nella stanza 22!
Avrei portato il sacchetto nella stanza, e  lei, non trovandolo nella 28, sarebbe tornata nella 22 pensando che la cameriera l’avesse fatto cadere o l’avesse dimenticato lì.
A quel punto, l’avrei uccisa.
Guardai l’orologio alla parete: “23: 45"
Mancava un quarto d’ora alla mezzanotte, e a quel punto lei sarebbe entrate in camera, per non prendere parte ai festeggiamenti insieme agli altri.
Dovevo sbrigarmi.
Senza farmi vedere presi il sacchetto di erbe dal ripiano della cassapanca su cui la cameriera l’aveva appoggiato, poi la seguii fuori dalla stanza, con il sacchetto nascosto tra le pieghe dei vestiti.
Salutai cordialmente con un grande abbraccio rubando il pass per aprire le stanze, aspettai che la cameriera scendesse le scale e mi diressi verso la stanza 22, controllando che nel corridoio non ci fosse nessuno, poi aprii la porta con la chiave ed entrai. Misi il sacchetto di erbe per terra, vicino alla cassapanca, calcolando che per prenderlo la vittima si sarebbe dovuta avvicinare alla finestra, finendo sulla mia linea di tiro.

Uscii dalla stanza chiudendo la porta alle mie spalle,poi galoppai via, galoppando giù dalle scale e attraversando l’albergo: con la coda dell’occhio vidi Carrot Top seduta sola ad un tavolo a bere da una bottiglia. non sembrava aver fretta di alzarsi, ma tra poco si sarebbe alzata.
Uscii velocemente e la differenza di temperatura dall’interno all’esterno mi mozzò il fiato; mi nascosi nelle aree all’ombra della strada, passando da una panchina a una cassetta delle lettere, fino ad arrivare dalla parte opposta della strada, nel cantiere.
Le guardie dormivano ancora appoggiate al gabbiotto di sicurezza.

 

23:58 
Mi infilai nell’edificio diroccato, e abbandonai il mio travestimento, correndo per i corridoi, per la seconda volta, rischiando di inciampare.
Arrivai nella stanza dove avevo messo il fucile, mi posizionai di fronte ad esso e guardai nel mirino.
La stanza era ancora vuota.


23:59
La pony entrò nella stanza scuotendo la testa. Barcollava, era ubriaca, ci mise un po' a capire dov’era il sacchetto di erbe.
Da fuori cominciai a sentire il conto alla rovescia dei pony che aspettavano l’inizio del Nuovo Anno:
Cinque!
Quattro!
Tre!
Due! 
Uno…

Premetti il grilletto.

I fuochi d’artificio coprirono il rumore del tonfo sordo che provenne dalla camera: Carrot Top si accasciò a terra, il sacchetto stretto tra i denti e una macchia rossa che si allargava sul suo fianco.

Morta.



Angolo autrice
Finalmente sono riuscita a finire questa storia.
Mi dispiace per non esserci riuscita anche con l'altra.
Spero comunque che vada bene.

   
 
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