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Autore: _mary_laura_    26/11/2015    0 recensioni
Digrignò i denti, pronta ad uscire allo scoperto , la testa alzata e ben in vista; quando il Difensore si voltò puntando i suoi occhi su di lei. Le mancò il respiro e il suo cuore perse un battito. Eccolo, finalmente. Il suo sguardo era sorpreso, quasi perplesso e non aveva ancora attaccato. I capelli neri, un po’ più lunghi di quanto un soldato li avrebbe dovuti portare, svolazzavano nella brezza estiva, illuminati dai raggi della luna.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuova generazione di Semidei
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La spada era pesante e l’elsa scivolosa nella sua mano sudata. Con passo leggero correva nel bosco buio, il respiro perfettamente regolare, le orecchie tese a cogliere ogni rumore. In lontananza si udivano le urla di guerra dei suoi compagni addetti a difendere la bandiera. Improvvisamente il rumore di un rametto spezzato la fece bloccare e mettere in guardia, lo scudo con il simbolo di Apollo davanti al petto, le ginocchia leggermente piegate, pronte a farla scattare in avanti, contro il suo aggressore. Due occhi gialli la fissarono da un cespuglio vicino a lei, poi una lepre bianca iniziò la sua folle corsa verso il ruscello.

I muscoli delle spalle le si rilassarono e abbassò la guardia sospirando, mettendosi a posto il cappuccio nero.

Sentì l’adrenalina scorrerle nelle vene come argento vivo quando notò il luccichio di un’armatura nell’ombra a nord-ovest rispetto a lei. Sorrise a se stessa e fece roteare la spada che tagliò l’aria con un suono secco. Aumentò la presa sullo scudo e si acquattò quasi rasente il suolo, avvicinandosi circospetta. Essendo figlia di Ade era naturale che sentisse la bramosia di osservare un corpo senza vita, ma con gli anni aveva imparato a tenere a bada i suoi istinti.

Il suo nemico era di spalle, da solo, vicino alla bandiera rossa con il simbolo del dio della guerra. Era stata lei a scegliere di allearsi con Apollo. Da quando lui era arrivato al campo aveva avuto la voglia pazza di combatterlo a duello.

Digrignò i denti, pronta ad uscire allo scoperto , la testa alzata e ben in vista; quando il Difensore si voltò puntando i suoi occhi su di lei. Le mancò il respiro e il suo cuore perse un battito. Eccolo, finalmente. Il suo sguardo era sorpreso, quasi perplesso e non aveva ancora attaccato. I capelli neri, un po’ più lunghi di quanto un soldato li avrebbe dovuti portare, svolazzavano nella brezza estiva, illuminati dai raggi della luna.

Si alzò in piedi, la guardia pronta; anche lui assunse la posizione d’attacco, senza smettere di fissarla, di studiarla.
La cosa che veramente la colpivano erano i suoi occhi. Il destro nero come la pece, il sinistro verde smeraldo. Erano di un’intensità assurda, quasi fossero stati appena dipinti e la vernice fosse ancora fresca.

Uscì dal bosco e fece qualche passo nella sua direzione, il cappuccio le scivolò, scoprendo la chioma fulva e riccioluta. Cos’era quello? Un sorriso? Inspiegabilmente gli angoli della bocca del suo avversario ebbero un guizzo verso l’alto, per poi tornare subito seri. Basta aspettare, doveva agire. La bandiera era sulla sua sinistra, lui era davanti a lei ma erano equidistanti da essa, uno scatto era impensabile. Aveva una menta fredda e calcolatrice, soprattutto quando si trattava di combattere corpo a corpo con la spada.

Fece un altro passo verso di lui e notò che lasciava scoperto il lato destro del corpo più del dovuto quando indietreggiava. Fece un respiro profondo, poi i suoi piedi scattarono verso di lui, la spada lo colpì dove lei aveva visto che abbassava la guardia. Lui emise un rantolo, toccandosi il fianco, dove una sottile striscia di sangue sporcò la sua mano.  Lei lo guardò mordendosi un labbro, non aveva fatto un bell’affondo, ma lo aveva comunque graffiato. Sorrise di sbieco. Lui approfittò di questo momento per avventarsi su di lei, la spada alzata, ma quella di lei la fermò un attimo prima che potesse scalfirle la spalla sinistra, facendo poi leva sull’elsa per disarmarlo. Spinse il polso verso il basso e l’arma del suo avversario cadde a terra. I suoi occhi la osservarono, sgranati. Il figlio del dio della guerra che perde contro la figlia del dio dei morti? Inaudito. Eppure si attenne alle regole: si allontanò, le mani alzate e la lasciò prendere la bandiera scarlatta, per poi guardarla nasconderla sotto al mantello. Una soddisfazione dolce e potente si era impossessata di lei, ci era riuscita, di nuovo. Si voltò un attimo prima di addentrarsi nuovamente nel bosco, giusto per vederlo sedersi a terra ed osservarla scomparire nel buio della sera.

La testa le faceva male, le tempie le pulsavano e vedeva sfocato. Con un brontolio si mise seduta sul letto e si appoggiò con i gomiti alle ginocchia. L’aveva fatto di nuovo. Si era lasciata trascinare nel vortice della festa e qualcuno la aveva drogata. Succedeva sempre, anche nel mondo dei semidei, seppure le droghe fossero un po’ diverse. Dopo essersi stabilizzata si alzò in piedi e si diresse in bagno. L’acqua fredda sul suo viso dissipò anche l’ultimo velo di nebbia che le offuscava la mente. Quando si guardò allo specchio vide l'Alexis di sempre, coi capelli di un rosso rame brillante, ricci verso le punte e morbidi, gli occhi grigi resi ancora più penetranti dal fatto che quello di destra era per tre quarti azzurro, il corpo ancora un po’ da bambina sebbene avesse compiuto diciassette anni due mesi prima. Sorrise al suo riflesso.

 Si piaceva. Era strano per un’adolescente, persino le figlie degli dei avevano le tipiche crisi di quell’età, ma lei no. Si sentiva in pace con se stessa. Aveva l’abitudine di parlare poco, ma aveva una grande amica. Sun. Il nome diceva tutto. Era una figlia di Apollo, alta, slanciata, bionda, sembrava una ragazza californiana. Quando camminava accanto a lei si sentiva un po’ nana nonostante i suoi 165 centimetri di altezza. Forse il suo unico vero problema erano i piedi, un po’ tendenti verso l’interno. Se Sun era bravissima nel tiro con l’arco e nelle cure mediche che ricorrevano all’uso di erbe, lei eccelleva nella corsa, nel combattimento con la spada e nel disegno. La sua camera era piena di disegni fatti da lei. La maggior parte ritraevano paesaggi del campo mezzosangue o di luoghi inesplorati del bosco, nel quale le piaceva addentrarsi per stare un po’ da sola. Eppure da un mese, se disegnava senza pensare, il suo lapis tracciava delle mascelle scolpite, delle sopracciglia folte e corrugate, due occhi di colore diverso che la fissavano, dei capelli neri come la pece. Disegnava lui. Ogni volta che le capitava accartocciava il foglio, lo gettava per terra, lontano da lei. Poi batteva per tre volte il piede sul suolo e un piccola voragine inghiottiva il suo disegno.

Si vestì senza pensarci, indossò una canottiera nera con lo scollo a U non troppo evidente e un paio di pantaloni attillati neri che le arrivavano al ginocchio. Quando uscì di casa osservò il sole coprendosi gli occhi con una mano. Merda. Aveva superato lo zenit e adesso rodeva caldo e forte sulla sua testa. Saranno state le due del pomeriggio. Iniziò a camminare nel giardino che c’era nell’ampio spazio tra le varie capanne e si riparò sotto ad un salice i cui lunghi rami toccavano terra, creando una specie di tenda naturale. Si abbandonò sull’erba, con i capelli sparsi ad aureola attorno alla testa, gli occhi chiusi e le braccia sopra alla pancia. Le dicevano che respirava troppo velocemente, così iniziò ad inspirare lentamente, contando fino a dieci, per poi buttare fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni. Questo esercizio la faceva sempre rilassare da capo a piedi, sciogliendole tutti i nodi che aveva nei muscoli. Erano dei passi? Si chiese sentendo un rumore. Scosse la testa e continuò a respirare con gli occhi chiusi. Un altro fruscio attirò la sua attenzione e stavolta si mise seduta, con le mani in grembo e le gambe incrociate. Tese l’orecchio per avvertire una presenza ma non sentì nulla. Stava per ridistendersi quando una voce parlò da dietro di lei.

-Ci vediamo di nuovo.

Disse qualcuno, un ragazzo, la cui voce roca e bassa risuonò all’interno della piccola radura naturale.
Lei fece come per gridare, ma una mano pesante le tappò la bocca, togliendole il respiro. Era ruvida, callosa, grande. La sua lingua si fece spazio tra le labbra ed andò a leccarne il palmo nel tentativo di toglierla. Lui sbuffò.

-Non mi fa nessun effetto, puoi pure continuare a leccare se ti va.

Lei alzò gli occhi al cielo ed incrociò le braccia al petto, arrabbiata, come faceva quando era piccola. Emise un mugolio, seguito da un grugnito quando lui le tirò leggermente una ciocca di capelli.

-Prometti che se ti lascio andare tu non gridi?

Chiese di nuovo, molto più vicino di prima. Poteva sentirne il fiato caldo su collo; probabilmente si era rannicchiato dietro di lei. Annuì e lui subito levò la mano.

-Si può sapere cosa cavolo ti è saltato in mente?!

Chiese girandosi verso di lui per poi rimanere bloccata alla vista di quegli occhi. Dei suoi occhi. Perché sì, il ragazzo al quale aveva appena leccato la mano era lui. Il figlio di Ares. Spaventata, si tirò indietro, lontana dalla sua portata. Come mai? Perché era lì? L’aveva seguita? Voleva vendicarsi della sconfitta del giorno prima? A quel pensiero un brivido le percorse la schiena. Con un veloce sguardo esaminò il ragazzo di fronte a lei. Non sembrava portare armi. Quel giorno indossava una maglietta azzurra e un paio di jeans scoloriti tagliati malamente al ginocchio. Anche così era talmente bello da farla rimanere senza fiato.

-Guarda che non ti mangio mica

Disse lui ridacchiando leggermente. “Dei Miei” pensò lei. Aveva una risata bellissima. Il modo in cui scopriva i denti bianchi e regolari e in cui alzava leggermente gli zigomi, rivelando due fossette ai lati del viso la facevano impazzire.

-Lo spero

Rispose lei in un soffio, sorridendo senza mostrare i denti. Si sentiva una stupida se lo faceva. Aveva la voce bassa per essere una ragazza, ma non le dispiaceva. Sun era un soprano ed infatti quando rideva la sua risata era acuta e cristallina.

-Volevo solo sapere il nome di colei che ieri mi ha disarmato e ferito al fianco

Fece assumendo una smorfia di dolore al ricordo. Quindi era così. Semplice curiosità.

-Scusa per ieri, ma volevo provare un affondo. Comunque il mio nome è Alexis e sono figlia di Ade, dio dell’oltretomba.

Rispose arrossendo leggermente. Si notava subito, a causa della sua pelle chiarissima. Lui sorrise e le tese la mano che prima aveva leccato dopo averla asciugata sui pantaloni.

-E io sono Achille, figlio di Ares. Scusa per lo spavento, non volevo farti paura.

Ammise stringendosi nelle spalle ed avvicinandosi a lei. Da lì poteva sentire il suo profumo, sapeva di cenere, di sudore e di bosco. Sorrise.

-Tranquillo. Devo dire che i nostri padri vanno d’accordo dato che il tuo fornisce morti al mio

Osservò lei trattenendo una risata. Lui gettò indietro la testa e rise di gusto, scompigliandosi con una mano i capelli neri.

-Hai ragione

Ammise per poi guardarla.

-Mi piacciono i tuoi occhi

Sussurrò lui dopo un istante di silenzio, per poi avvicinarsi lentamente al suo viso. Ogni suo muscolo era teso, aveva gli occhi sgranati e le mani stringevano nei pugni due ciuffetti d’erba. Poi accadde qualcosa di magico ed inaspettato. Le labbra di lui vennero premute sulle sue ed un brivido di piacere le percorse la colonna vertebrale. Per un attimo non riuscì a muoversi, incapace anche di respirare; poi reagì, circondando il viso di Achille con le sue mani, mentre lui le metteva un braccio attorno alla vita, tenendola più vicina a sé. Le sue labbra si muovevano veloci e decise sulle sue ed era così presa dal bacio che temette di svenire quando la lingua di lui picchiettò sulle sue labbra, cercando una via per la su bocca. Con un sospiro schiuse la bocca e subito iniziò una danza vorticosa insieme a lui. Quando si staccarono erano accaldati, le guance rosse e col fiatone. Non riuscì ad aprire gli occhi per un po’, ma quando fece per allontanarsi ed Achille la tenne stretta a lui, spalancò le palpebre e fissò il suo sguardo in quello del figlio di Ares.

-Cos’è questo?

Chiese sussurrando, tremando al pensiero di essere stata solo un oggetto su cui sfogarsi. Lui sorrise e le riavviò una ciocca dietro l’orecchio destro.

-E’ l’inizio di qualcosa, figlia di Ade. Ma sta a te decidere di cosa.

Sorrise timidamente e si sporse di nuovo verso di lui. Sapeva esattamente di cosa voleva fosse l’inizio e di sicuro non si sarebbe lasciata sfuggire questa occasione.
 
   
 
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