Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    26/11/2015    4 recensioni
Le battaglie sono finite, le yoroi scomparse e tutto potrebbe andare avanti con tranquillità, i ragazzi potrebbero finalmente essere sereni. Ma niente è più lontano dalla verità, un'inspiegabile tristezza li allontana gli uni dagli altri.
Due di loro si incontrano a Yokohama e si confessano l'un l'altro.
[Fanfic ambientata tra il terzo cassette book e il terzo oav, dedicata a Sakura_hikaru e a Touma Hashiba]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Kento Rei Faun, Rowen Hashiba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mai un addio
 
Si suppone che io debba essere un arciere e, secondo la visuale zen, gli arcieri devono arrivare spiritualmente al cuore delle cose, ancor prima di centrare un bersaglio materiale.
Se non fosse tanto frustrante riderei… il cuore delle cose… proprio io che in questioni di cuore e di sentimenti sono negato come nessun altro. Quand’ ero bambino non ho saputo cogliere in tempo le problematiche che hanno portato i miei genitori a separarsi, così come non sono stato in grado di far comprendere loro quanto bisogno avessi di attenzione e di affetto, che non ero semplicemente un piccolo genio, ma ero, in primo luogo, un bambino come tutti gli altri.
E così non ho potuto fare nulla per salvare la mia prima famiglia.
Quel che mi fa soffrire ancora di più è che sto miseramente fallendo anche con la seconda, la vedo disgregarsi davanti ai miei occhi e non so che fare per ricomporre i pezzi; sembra che la scomparsa delle yoroi debba far sparire anche noi come simbiotica entità, non siamo più un cuore solo, ci siamo trasformati in cinque bambini smarriti che non sanno ritrovare se stessi… e non siamo neanche capaci di ritrovarci tra noi.
L’ultima volta che ci siamo riuniti tutti insieme è stato quando il padre di Ryo è caduto vittima di quel demone… per una battaglia quindi… ancora.
Il successivo incontro che avevamo in programma è saltato a causa di impegni… che sapevano tanto di scuse e alibi malamente balbettati.
Cosa ci sta accadendo non lo so, non so neanche se mi importa, la mia sola consapevolezza è che mi mancano.
Mi manca la completezza, perché in realtà li vedo… uno per volta.
Vedo Shin tutte le settimane, inscenando il ruolo del povero ragazzo lontano da casa che perde costantemente lo shinkansen e cerca l’accoglienza di un amico. Voglio perderlo quel maledetto treno, perché ad essere smarrito e ad aver perso la strada è quel povero ragazzo che se ne sta tutto solo in una casa troppo grande di Tokyo… troppo grande e vuota.
Io sono abituato a stare solo, Ryo è abituato a stare solo… Shin no, non può, non fa per lui, non lo ammetterà mai, ma lo so io e tanto mi basta per dargli quella poca compagnia che lui non richiede ma che, ne sono certo perché lo conosco troppo bene, brama come l’acqua che è il suo naturale elemento.
Questa settimana però no, non sto andando da lui; si starà chiedendo come mai non l’ho chiamato per farmi ospitare, ma mi farò perdonare riempiendolo di coccole la settimana prossima. La mia destinazione, questa volta, è Yokohama.
Lo so che Shu non è mai veramente solo, con la sua numerosa famiglia, un ristorante da gestire, una madre che lo tiene costantemente sotto torchio e lo fa sgobbare in aggiunta ai suoi doveri scolastici, eppure non posso credere che non si senta solo… non posso credere che davvero non trovi il tempo… o non senta il desiderio… di andare a trovare Shin, proprio mai, adesso che sono così vicini, quello che hanno desiderato per anni… e adesso non si cercano, adesso che potrebbero stare sempre insieme?
Perché? Cosa sta succedendo ai loro cuori?
Cosa sta succedendo al nostro legame?
Vado da Shu perché voglio… spero di capire quello che gli passa per la testa o di strapparglielo dall’anima.
Non ho usato giochetti strani, non ho finto di perdere il treno e di avere bisogno di ospitalità; semplicemente, quando ha risposto alla chiamata, ho pronunciato queste parole:
“Vengo a trovarti, ci vediamo alla stazione di Yokohama”.
Adesso, con il mento appoggiato su una mano, osservo la mia immagine riflessa nel finestrino del treno e da pessimo arciere non riesco a centrare il bersaglio dei miei pensieri confusi: è tutto un turbine che non ha fulcro né punto d’arrivo.
Il vetro riflette un viso pallido, dagli occhi segnati e una faccia da schiaffi che non sembra neanche più tale… sembra solo più triste e scocciata di tutto; come non riconosco i miei nakama, non riesco a riconoscere neanche me stesso e mi chiedo dove sono finito.
Certo, Tenku no Touma non esiste più… esiste solo Touma Hashiba, il bambino che non è mai stato tale, la cui storia è stata interrotta nel momento in cui Kaosu è entrato nelle nostre vite… e che ora deve riprendere, in una normalità che non è più in grado di affrontare.
È così per tutti noi, lo so, ed è questo che ci impedisce di fare chiarezza in noi stessi.
La mia immagine riflessa mi restituisce un sorriso amaro: è paradossale, sembra dirmi. Abbiamo imparato a combattere, a mettere le nostre vite a disposizione di una causa più grande di noi, abbiamo accettato di arrivare a un passo dalla morte, di entrare in contatto con demoni d’altri tempi… e ce l’abbiamo fatta… e non sappiamo, invece, vivere nella semplicità del quotidiano, ci risulta troppo difficile, troppo incomprensibile questo quotidiano…
Più dello Youjakai?
Evidentemente sì se ci sta psicologicamente facendo a pezzi.
O forse è perché ne siamo stati tagliati fuori tanto a lungo che non sappiamo più come affrontarlo: siamo semplicemente rimasti indietro e questo mondo normale corre troppo per noi e ci lascia soli, incapaci di afferrare certezze.
Al tempo stesso ci impedisce di ritrovarci a vicenda perché, diciamo la verità, nel mondo normale noi non c’entriamo nulla gli uni con gli altri, cinque mondi inconciliabili che solo la guerra ha unito… e che la pace separa.
Il mio volto disegna una smorfia nel vetro.
Shin deve avermi contagiato se la penso così anche io… Shin… la sua presenza… mi fa male?
Questa è la conclusione cui sto giungendo? È questo che ci accade?
Vedo i miei occhi ingrandirsi, terrorizzati. Shin è solo perché la sua presenza è diventata malsana… lui che un tempo era la nostra gioia, colui che sapeva trovare una parola di conforto anche nei momenti più oscuri, lui che sapeva sempre sorridere anche quando il suo cuore andava in pezzi… adesso ci trasmette solo tristezza?
Siamo giunti a questo punto dunque, ci allontaniamo perché ci temiamo… abbiamo paura gli uni degli altri.
Non è più una domanda quella che mi pongo, è una certezza, e proprio per questo ancor più terrorizzante.
Il treno rallenta, mentre viene annunciata Yokohama come prossima fermata. Sussulto, alzandomi velocemente, ero talmente perso da aver dimenticato dove mi trovavo, così incespico, travolgendo più di un passeggero. Hanno tutte le ragioni di guardarmi malissimo e, se ci fosse Shin, mi beccherei una bella ramanzina.
Se ci fosse il vecchio Shin…
Quello di adesso… non so neanche se si accorgerebbe di qualcosa.
Forse Seiji… almeno con lui sento ancora tutto quello che prova per me, ed io per lui, ma da soli non riusciamo più a tenere unito il gruppo e, da soli, senza di loro, avremmo senso noi due?
Non ne sono certo.
Il mio amore per lui non cambia, il suo per me non cambia, ma noi cinque non possiamo diventare due. O tutti e cinque o, ciò cui saremo condannati, è la solitudine, lo so e lo sa anche Seiji, per quanto ci aggrappiamo l’uno all’altro con le unghie e con i denti.
Salto giù dal treno e travolgo letteralmente una persona che mi si era posta davanti.
Accidenti a lui, non è colpa mia, lo sanno tutti che prima di salire bisogna lasciar scendere chi sta sopra, lo sa persino un distratto come me!
“Touma!” esclama una voce dispettosa, “sei sempre più alto, ma io sono ancora abbastanza forte per raccoglierti!”.
Il mio naso è letteralmente incollato al naso di Shu, i suoi occhi grandi sopra al sorriso che mi sta rivolgendo.
“Sempre entrate in scena plateali tu, eh? Un saluto normale no?”.
“Mi piace sorprenderti” ridacchia lui e io gli rispondo posandogli una mano sul capo, tra i capelli. Essere così alto rispetto a lui mi mette in un’equivocabile posizione di superiorità, che mi fa venir voglia di prenderlo in giro.
“Devi ben rifarti in qualche modo, visto che ti stiamo superando tutti”.
Il suo sorriso scompare e si trasforma in un broncio indignato, solleva un pugno e, con l’altra mano, si tocca il braccio, poco sotto la spalla.
“L’altezza non serve quando ci sono i muscoli a compensare e tu…”.
Mi pizzica il braccio nello stesso punto in cui ha toccato il proprio:
“Tu non hai praticamente niente qui!”.
Sbuffo e gli arruffo i capelli, non c’è niente da fare, Shu mi spinge spesso a dimenticare che dovrei essere più piccolo di lui.
Mi scosta la mano con un ringhio:
“Sei molesto, ha ragione Shin!”.
Si blocca improvvisamente e anche io schiudo la bocca, incapace però di replicare: la sua battuta ha colto di sorpresa entrambi. Allora ci pensa a Shin… è come se la sua presenza, adesso, aleggiasse tra noi, tristemente però.
Lo guardo con più attenzione e mi accorgo che mi ero sbagliato: quegli occhi grandi non sono più così vivaci, neanche più luminosi, hanno la stessa oscurità che si è impadronita di quelli di Shin… e forse anche dei miei.
Ma un’altra cosa mi sconcerta ancora di più: si è vantato dei suoi muscoli, come sempre e certo, resta il più robusto tra noi, ma dov’è finita la sua morbidezza? Cosa è successo ai suoi fianchi ed al suo viso tondo?
Non che sia troppo magro… ma non è quel Shu un po’ troppo rotondo, non richiamerebbe più battute in quel senso e il suo viso…
Mi viene spontaneo un gesto che non è troppo da me, uno di quei gesti che solo i miei nakama sono, a volte, riusciti a strapparmi: sollevo una mano e gli sfioro, con le dita, una guancia.
I suoi occhi si fanno ancora più grandi, la loro grandezza è accentuata da quel dimagrimento non naturale in lui, apre la bocca, ma non dice nulla, mentre io poso la mano sulla sua guancia troppo scavata.
“Shu... stai bene?”.
“Pe… perché?”.
“Mi sembri… dimagrito”.
Mi dà le spalle, come se volesse sfuggire al mio tocco e ad ogni altra mia indagine.
“Sono semplicemente più in forma!” cerca di tagliare corto, con una risatina che suona imbarazzata.
Si trattasse di chiunque altro potrei anche crederci, effettivamente il suo fisico si è fatto più slanciato, i muscoli possenti al punto giusto e una figura piacevole… ma i suoi occhi, le ombre del suo sguardo, mi suggeriscono che quel dimagrimento non è dettato dal desiderio di mettersi in forma ed apparire più attraente.
Mi rendo conto che si è messo a camminare davanti a me, in direzione delle scale mobili, così mi affretto a raggiungerlo, rimettendomi al suo fianco.
“Sei sicuro?”.
“Perché non dovrei?”.
Continua a camminare, con lo sguardo fisso davanti a sé ed un sorriso che mi sembra fin troppo costruito, quasi meccanico.
“Perché io mi preoccupo, sono abituato a vederti più…”.
Si ferma di botto e mi punta il naso contro… e deve sollevarsi in punta di piedi per farlo:
“Non osare dire che sei abituato a vedermi più grasso!”.
Non è arrabbiato davvero, lo conosco, sta fingendo di scherzare, ma non mi incanta.
Gli faccio una linguaccia.
“Lo sai cosa intendo”.
Si abbassa e solleva il naso per aria, cercando di darsi un tono e mi farebbe ridere se tutto non risultasse così… artificiale alle mie percezioni.
Sempre con il naso per aria si rimette a marciare in maniera buffa e io gli corro di nuovo dietro.
“Davvero Shu, forse dovresti fare dei controlli, forse hai qualche problema di salute, ci hai pensato? Magari devi fare qualche cura e…”.
“Touma!” mi blocca con gli occhi levati al cielo, “ho una salute di ferro, sto solo mangiando meno e facendo tanto sport, quindi datti una calmata, va bene?!”.
La seconda cosa va bene, ci sta, è la prima che mi preoccupa; Shu che mangia meno?
“Hai sempre fatto tanto sport…” cerco di obiettare.
“Ne faccio di più!”.
“O forse mangi troppo poco”.
“Non ho bisogno che tu prenda le veci di Shin, ne basta una di mammina!”.
Ancora quel nome e, di nuovo, è sufficiente a farci ammutolire entrambi.
Lui fa finta di nulla, si riavvia e, a questo punto, io sono talmente sconcertato che non so più che dire, né come reagire.
Uno dietro l’altro, lasciamo che le scale mobili ci portino al piano superiore.
Il silenzio tra noi si fa persino imbarazzante quando usciamo dalla stazione; odio ammettere di sentirmi imbarazzato con Shu, proprio io che l’ho sempre preso sotto la mia ala e che ho sempre saputo come trattare con lui, ma il suo cambiamento è così profondo da mettermi a disagio, come se fossi entrato in contatto con una persona nuova.
Alla fine è così per tutti: i nostri problemi derivano proprio dal fatto che dobbiamo fare i conti con i nuovi noi stessi ed è come se dovessimo imparare a conoscerci tra noi in queste nuove vesti. Ma ciò non significa che non si possa fare, giusto? E allora perché è così dannatamente difficile?
Fisso la schiena di Shu, quasi mi aspettassi di trovare l’ispirazione per dire qualcosa, inutilmente. Rassegnato, sospiro e continuo a camminare, infilando le mani in tasca, sperando che venga dal nulla l’occasione di iniziare un discorso… qualunque cosa.
Mi fermo in tempo per non incespicare contro di lui quando si blocca e noto che anche lui ha le mani in tasca… e ho come la sensazione che voglia nasconderle, per non mostrarmi quanto stiano tremando. Alla fin fine lo conosco sempre, le persone non cambiano mai davvero e Shu sarà sempre il nostro Shu… il mio Shu.
Alza il naso al cielo e lo sento appena sussurrare:
“Touma…”.
Mi sta chiamando guardando il cielo… vorrà ben dire qualcosa, penso. Sono questi i momenti in cui ancora spero.
Mi rivolge un’occhiata solo quando lo raggiungo per ascoltare quel che ha da dirmi.
“Cosa vorresti fare?”.
Parla a voce troppo bassa: altra caratteristica poco sua, sembra persino avere paura della sua voce, quasi potesse risultare fuori luogo. Lui, che non è mai stato davvero timido.
“Be’, andare a mangiare non sarebbe una cattiva idea”.
Sorrido, nella speranza che quell’argomento riaccenda nei suoi occhi quella luce che mi manca tanto. Purtroppo non accade, l’espressione rimane immutata, mi chiedo se davvero gli interessi la mia idea e tanto basta a confermare le mie paure: evidentemente il cibo non gli interessa più. Se a Shu non interessa il cibo, vuol dire che non gli interessa neanche vivere, è spaventoso il solo pensarlo e mi ricorda un’altra persona, che ora se ne sta tutta sola, in un grande appartamento di Ueno.
“Ti dispiace se non ti porto a casa mia?” si limita a dire, “ci starebbero tutti tra i piedi e…”.
Si blocca e distoglie lo sguardo, come se quel che sta per dire lo mettesse in imbarazzo.
“Vorrei che ce ne stessimo per i fatti nostri”.
Sorrido e gli do una gomitata:
“Tradotto: vuoi stare da solo con me perché è più romantico, vero?”.
La sua reazione è quella che mi immaginavo: le guance si infuocano e mi squadra in preda ad uno sconvolgimento senza pari:
“Non la perdi mai l’abitudine di dire scemenze?!”.
Lui e Shin non si sono mai resi conto di quanto riescano ad essere simili riguardo a certe cose, per questo sono sempre stati così in simbiosi, per questo sono sempre stati i due clown del nostro gruppo, la nostra allegria, la nostra consolazione in tanti momenti che, senza la loro adorabile presenza, sarebbero stati troppo duri da affrontare.
Mi lascio andare ad un ghigno dispettoso… e credo anche affettuoso:
“Tutto, pur di suscitare reazioni che mi ricordino i vecchi tempi”.
Non avrei voluto, ma la mia frase suona malinconica alle mie stesse orecchie e vedo che Shu ha colto questa sfumatura, perché un velo di tristezza appanna i suoi occhi.
Distoglie lo sguardo da me, lo so che lo fa perché io non lo noti, ma è troppo tardi.
“Ti ho rattristato, eh?”.
Vedo di nuovo solo la sua schiena, mentre le sue spalle si scrollano in un gesto di finta indifferenza:
“Perché dovresti avermi rattristato?”.
E io mi chiedo perché debba continuare a mentire a me e a se stesso, tanto ormai l’abbiamo capito tutti e due, anzi, probabilmente tutti e cinque che non siamo più quelli di un tempo e che abbiamo più di un motivo per sentirci tristi.
“Perché lo siamo, non è vero?” mi sento dire, “vuoi negarlo? Tu non ti senti triste? Perché io un po’ lo sono”.
Si immobilizza e vedo il suo corpo scosso da un tremito, poi si volta verso di me e i suoi occhi ora sono lucidi, tremolanti di pianto a malapena trattenuto. Vorrei tornare indietro ed inghiottire la mia lingua, parlo sempre troppo ma, forse, questa volta è meglio… meglio esprimerli questi maledetti sentimenti, piuttosto che lasciarsi vincere da un’anestesia dell’anima che non risolve niente, no?
Forse non risolveremo niente comunque, ma almeno vorrà dire che, tra noi, la sincerità non è venuta del tutto meno.
Le sue labbra si schiudono in un mormorio e io lo sento appena.
“Touma…”.
Ricambio il suo sguardo, credo che il mio sia sperduto come il suo, poi lo abbasso e scuoto il capo:
“Scusami…”.
Il suo sospiro raggiunge le mie orecchie, anche se non lo sto guardando e, dopo pochi istanti, sento la sua mano infilarsi nella mia, quella sua mano che è sempre stata così possente ora mi sembra più piccola, come indifesa… ma potrebbe essere la suggestione delle mie percezioni distorte dalla preoccupazione che provo per lui.
“Sono contento che tu sia venuto a trovarmi”.
Lo dice con un tono tale che quasi scoppio a piangere e, per quanto cerchi di trattenermi, non posso evitare di tirare su col naso.
“Sciocca scimmietta” mugugno, “anche io sono contento di essere venuto”.
Lo sono davvero, perché guardandolo adesso posso rendermi conto di quanto abbia bisogno di compagnia, proprio come Shin. È vero, lui non è solo come Shin, ma neanche una famiglia numerosa può sconfiggere la solitudine dell’anima, se manca chi veramente si vorrebbe avere al proprio fianco.
Sorride, ma anche il suo sorriso emana una tristezza che stringe il cuore e mi rendo conto che non riesco a sostenere il suo viso. Una volta guardarlo significava sentirsi felici, inebriarsi della gioia solare dei suoi occhi e delle sue labbra, un animo triste poteva essere curato dalla sola presenza di Shu.
Non voglio pensare che quel ragazzo non esista più, spero che se ne stia solo nascosto da qualche parte, dietro quel volto tetro, spaventato da circostanze che nessuno di noi sa come affrontare.
Quel ragazzino gioioso, probabilmente, non trova più appigli per dare sfogo alla sua gioia di vivere, ma aspetta il momento giusto per mostrarsi, per tornare allo scoperto e rimettersi a ridere e a farci dispetti, per poi abbracciarci in cerca di affetto.
Mi rendo conto da solo quanto siano patetici i miei pensieri ma, in qualche modo, ho il sentore che la nostra stessa situazione abbia qualcosa di profondamente patetico.
Mi mordo le labbra, mentre una sensazione di bagnato mi invade le palpebre inferiori.
“Touma!”.
Sussulto. Eccolo davanti a me, adesso non solo triste, ma spaesato quasi da ciò che sta vedendo… che io gli sto mostrando.
Sollevo un braccio e mi strofino prepotentemente gli occhi, imprecando tra me… e contro di me.
Cosa sto facendo?
Come se non avessimo già abbastanza problemi, come se lui non fosse già abbastanza infelice senza che io debba trasmettergli la mia personale infelicità.
“Scusami”.
Mentre soffio fuori quella parola, tiro su col naso… non che la cosa aiuti molto a darmi un contegno, lo so.
Poi sento la sua mano che, delicatamente, sfiora la mia e lui scuote il capo:
“Non ti scusare per qualcosa che capisco benissimo…”.
Sospiro.
È come immaginavo, lo so che mi capisce, ma il fatto che mi capisca non rende le cose più facili o più accettabili per me.
“Cerchiamo un posto dove mangiare?” gli chiedo, non per cambiare discorso, in realtà vorrei che parlassimo di ciò che ci accade, vorrei che mi spiegasse ciò che ha dentro, ma vorrei farlo mentre siamo seduti tranquilli ad un tavolo, anziché tra le grida e la folla di Yokohama che ci gravita intorno. E ancora non siamo arrivati al quartiere cinese… anzi… mi rendo conto solo ora che Shu mi ha condotto in un’altra direzione.
“Al porto c’è un posto carinissimo, dove si mangia bene” mi spiega, mentre la stretta sulla mia mano si fa più energica e lui prende a trascinarmi, come se avesse fretta di sviare la situazione nella quale ci eravamo venuti a trovare.
“Così… parliamo un po’…” provo a dire, un po’ per sondare il terreno.
“Di cosa?”.
Sento la sua mano irrigidirsi, anche il tono di voce è un po’ sulla difensiva.
“Di… di noi… di tutti noi… di quello che…”.
Mi rendo conto che la mia voce è bassa ed è quasi subito sovrastata dalla sua esclamazione:
“Guarda che bello!”.
Con il dito indica un punto distante, una striscia di mare solcata da un sontuoso traghetto con un dragone rosso a prua.
Non mi incanta, sono sicuro che l’ha già visto un sacco di volte e anche io l’ho già visto. Sta cercando di fare finta di niente.
“Stupendo” borbotto senza troppa convinzione.
La mia voce è più viva sulle parole successive.
“Sarebbe bello prenderlo tutti insieme una volta, non trovi?”.
Attendo la sua reazione che, all’inizio, è un semplice staccarsi della sua mano dalla mia, un velocizzare il passo; nel frattempo il silenzio si allunga e si fa snervante.
“Ci siamo quasi”.
Le mie labbra si stringono in una smorfia: ha fatto finta di non sentirmi? Siamo dunque arrivati al punto in cui non vuole neanche sentir parlare di noi… tutti insieme?
Non parliamo più, che senso ha parlare se non possiamo parlare… di noi?
Forse lui pensa la stessa cosa, perché rimane pensieroso per tutto il resto del percorso e la sua mente sembra riattivarsi soltanto quando entriamo in un delizioso ristorantino che stuzzica subito le mie narici… e la mia pancia comincia a brontolare.
“Che profumino!”.
Cerco di rendere allegra la mia esclamazione, sperando che serva a modificare un po’ l’atmosfera che si è creata tra noi.
“E sentirai il sapore”.
“Scommetto però che non è come il sapore della cucina di Shin!”.
Non c’è niente da fare, io sono un testone e ci riprovo, ma Shu si distrae per parlare con il cameriere che ci indica un tavolo… distrazione voluta temo.
Sospiro e mi siedo di fronte a lui.
Me ne accorgo solo ora… piastra bollente in mezzo ai convitati… può voler dire solo una cosa e ancora non me ne ero reso conto.
Ero talmente perso nei miei pensieri che non ho fatto caso al tipo di locale nel quale Shu mi ha condotto.
“Okonomiyaki?!” esclamo incredulo.
Lui sorride e questa volta è sinceramente divertito. È bello vederlo sorridere con effettiva allegria.
“Porti uno di Osaka a mangiare okonomiyaki a Yokohama?”.
La sua risata si fa più decisa:
“Proprio perché so come li fanno qui, altrimenti non mi sarei mai arrischiato”.
“Potranno farli benissimo relativamente alla zona del Kanto, ma per quanto bene li facciano non saranno mai quelli di Osaka!”.
“Non fare il saputello, se ne sei proprio convinto si accettano scommesse. Quanto mi dai se ho ragione?”.
“Mmmh…”.
Rifletto qualche istante, poi faccio un gesto di noncuranza con la mano, suscitando ulteriore ilarità. Meglio non rischiare, in fondo sono talmente goloso che so già quanto mi sembreranno buoni.
“Vuoi stare lontano dal quartiere cinese oggi?”.
Cerco di avviare una conversazione, mentre l’impasto già sfrigola davanti a noi e io ho cominciato a servirmi… come immaginavo il mio stomaco gradisce.
Shu invece è molto più lento, confermando le mie paure. Un tempo si sarebbe avventato su quell’okonomiyaki senza quasi dargli il tempo di cuocere, tutto concentrato sul cibo. Invece adesso non sembra neanche interessargli, ne ha preso una fetta quasi di malavoglia e gioca con le bacchette senza decidersi a portarsele alla bocca.
Si stringe nelle spalle:
“Sono là tutti i giorni, incontrarmi con te è un po’ una scusa per staccare”.
È fin troppo strano questo Shu… strano come lo è Shin… come lo siamo tutti probabilmente.
Eppure io non mi sento cambiato, o meglio, lo sono, eccome se lo sono da quando ho incontrato loro, cambiato in meglio. Non sono cambiato nei loro confronti in questi ultimi mesi, sono e rimarranno sempre il tassello più importante di tutta la mia esistenza, coloro che hanno dato effettivamente senso alla mia vita. Per loro è diverso, non si ritrovano più, mentre io vorrei ritrovarli tutti.
Lo fisso intensamente per qualche istante, mentre lui tiene insistentemente lo sguardo rivolto altrove e continua a prendere un boccone ogni tanto, giusto per non lasciar bruciare l’impasto sulla piastra.
“Non sarà invece che vuoi staccare la tua vita reale… da noi?”.
Non so perché mi sia uscita una frase simile, eppure la sensazione è proprio quella: è doloroso quanto intenso questo sentore, ho semplicemente esternato quello che mi si agita dentro da un po’ e non ho mai avuto il coraggio di ammettere a me stesso.
Non riesce a trattenere un piccolo sussulto, gli occhi si sgranano nel piatto, ma non si sollevano verso di me. È una reazione che conferma i miei timori purtroppo e mi dimostra, al contempo, che neanche lui se ne era reso realmente conto, ma sa che è così.
“Be’ sai” ridacchia in palese imbarazzo, la risata più finta che abbia mai visto provenire da lui, “faticavamo così tanto a ritrovare la nostra vita reale che ora… sembra impossibile esserci riusciti e… forse… la paura che ci venga di nuovo tolta…”.
Sta balbettando e continua a non guardarmi; non può credere davvero in quello che dice, non oso pensare che ci creda davvero.
Mi sento soffocare per un attimo, ma non voglio che noti il mio disagio; inghiotto il groppo in gola e cerco di rendere ferma la mia voce, ma so che mi esce più roca di quanto vorrei:
“Meglio… che ci venga tolta la nostra vita insieme, allora?”.
Le bacchette di Shu ricadono nel piatto e le sue mani si abbassano, rifugiandosi sotto al tavolo, probabilmente nascondendosi tra le ginocchia; conosco bene questo atteggiamento del tutto disarmante. Anche il suo viso si fa più basso, così tanto che vedo la frangetta oscillare davanti a lui, nascondendo completamente i lineamenti del volto.
È tuttavia lo scuotersi delle spalle a mettermi davvero in allarme e a farmi sentire uno sciocco… sciocco ed insensibile… se questo è il modo migliore che ho trovato per rendermi utile e portare conforto ad un nakama, sto fallendo miseramente.
Mi sporgo in avanti, sfidando il calore che sale dalla piastra e rischiando di scottarmi, ma non meriterei niente di meglio e riesco a posargli una mano su quella spalla sussultante.
“Non volevo dire quello che ho detto!”.
La sua testa si solleva di scatto, permettendomi di scorgere i suoi occhi pieni di lacrime.
“Oh, sì che lo volevi, è quello che sappiamo tutti, lo sappiamo come ci stiamo comportando, che stiamo scappando… io sto scappando, Shin sta scappando…”.
La sua tristezza mi contagia… in qualche modo, a mio modo, lo sto facendo anche io, perché non è che non mi colgano i medesimi pensieri, non è che io non pensi mai: “Al diavolo tutto, dimentica Touma Hashiba, torna alla normalità che avete sempre ricercato, dimentica tutto e vivi come tutti i ragazzi della tua età! Dimenticali…”.
È a questo punto che i miei pensieri si arrestano, quando l’attenzione va a quel… dimenticare loro…
Come posso? Sarebbe giusto?
In alcuni momenti tutti noi pensiamo che sì, sarebbe la cosa migliore, lo so che lo pensiamo tutti… ma poi… no… sarebbe anche la cosa peggiore, il torto più distruttivo e crudele che potremmo fare alle nostre anime e ai nostri cuori.
Completamente dimentico del cibo che ha davanti a sé, Shu si rannicchia su se stesso; è incredibile come riesca a farsi piccolo adesso, talmente indifeso che mi risulta insopportabile alla vista. Non credo che mi abituerò mai a vederlo in queste vesti così strane per lui.
“Non potrei dimenticarvi… neanche se lo volessi”.
La sua voce è flebile quanto sembra minuscolo il suo corpo e io non posso resistere oltre, il cibo non interessa più neanche a me e questo la dice lunga sul malessere che sento.
In pochi passi sono al suo fianco e mi acquatto dove lui è seduto, cercando le sue mani con le mie; ho la sensazione che tenti di sottrarmele quando le raggiungo, ma poi si arrende e le abbandona al mio tocco.
“Tu cosa vorresti, Shu?”.
Si raggomitola su se stesso fin quasi ad implodere.
“Non lo so cosa vorrei… sarebbe assurdo dire che vorrei tornare a quando combattevamo, non è così, la sola idea mi terrorizza, ho ancora incubi a volte… tu no?”.
A volte?
“Ho incubi tutte le notti Shu. Non riesco neanche più a dormire bene come un tempo…”.
Annuisce:
“Tutte le notti… sì… e a volte persino ad occhi aperti… E a volte penso che… dimenticare voi…”.
“Significherebbe dimenticare tutto” concludo al suo posto, a fatica, perché il groppo che ho in gola si fa più intenso e soffocante. “E sarebbe bello… dimenticare tutto… tutta quella paura… vero?”.
Annuisce, fissando le nostre mani intrecciate.
“Mettere tra parentesi ciò che è accaduto in questi ultimi anni… da quando le yoroi sono venute a noi… poi dal nostro incontro… cancellarlo… cancellare tutto…”.
Parlo senza sopportare quello che dico, vorrei inghiottire la mia stessa lingua e strozzarmi con essa, perché è troppo doloroso ascoltarmi… ascoltare quella parte di me che davvero desidera una cosa simile.
Ma non è doloroso solo per me, me lo dicono le braccia che si avvolgono intorno al mio collo, il corpo di Shu che letteralmente si accascia contro di me.
“Smettila” singhiozza, “ti prego, smettila!”.
Quella reazione non può fare a meno di suscitare curiosità nella gente intorno a noi, ma a me ovviamente non importa e Shu non è in grado né di accorgersene né di pensarci in questo momento.
Mi alzo da terra ricambiando l’abbraccio e mi siedo accanto a lui, continuando a circondargli le spalle.
“Scimmietta…”.
Consapevole degli sguardi intorno a noi, rendo la mia voce un sussurro che solo lui possa udire e intanto faccio scivolare una mano lungo la sua guancia. Mi sembra di consolare un bambino disperato e non so come riuscirci dato che il mio umore, in questo momento, non è certo migliore del suo: sento dentro di me una tristezza che mi rende consapevole di quel cuore che un tempo dubitavo quasi di avere… è assurdo come possa fare male il cuore quando soffre… quel cuore che loro mi hanno fatto scoprire… ora vorrei che non fosse accaduto, ma continuo ad odiare quella parte di me che lo pensa.
Tutto quel che posso fare, in questi istanti terribili, è renderlo utile il mio cuore dolorante, lasciando che sia lui a guidarmi, a trovare le parole giuste… per me è sempre difficile, troppo difficile.
“Lo vorresti fare? Se adesso te ne fosse offerta la possibilità, se qualcuno venisse e ti dicesse: da questo momento dimenticherai tutto, tornerai a quel momento in cui eri un ragazzo normale, ignaro di yoroi, di Youja da combattere… e di nakama con i quali condividere paura e dolore che ti aspettano… tutto dimenticato, come se non fosse mai esistito… accetteresti?”.
E io… io accetterei?
Prima di tutto… prima di loro… prima di Ryo, di Shu, di Shin… di Seiji… a quando non li conoscevo… vorrei tornare a quel momento?
Provo ad immaginarmelo, mentre lo sguardo di Shu si perde davanti a sé, colmo di terrore in seguito alla mia domanda… provo ad immaginare quella scelta… e il suo terrore diventa il mio, insieme al senso di vuoto che si allarga nel mio petto.
La conosco bene la risposta: in quel caso, se scegliessi di cancellare gli ultimi anni, allora davvero il mio cuore scomparirebbe per sempre.
Shu non riesce a rispondere, ma si rannicchia contro di me, le sue mani cercano le mie con una disperazione palese, come se temesse…
“Resta qui” sussurra all’improvviso e allora ne sono certo… come se temesse che la mia ipotesi si palesasse davvero, rendendomi uno sconosciuto davanti ai suoi occhi… e del tutto inesistente nei suoi ricordi.
Sospiro.
“Cancella quel che ho detto… io non vorrei mai dimenticarmi di te… come potrei?”.
Stuzzico il suo naso, in un gesto che vorrei rendere giocoso, ma il momento non favorisce certo un’atmosfera di leggerezza.
“Neanche io voglio… e ho paura di volerlo al tempo stesso… e la paura di volere una cosa del genere mi terrorizza più ancora dei ricordi e degli incubi”.
Sembra un discorso contorto e confuso, ma io lo capisco benissimo, so cosa intende.
“Sai Shu… credo che questo non dovremmo temerlo perché… anche se volessimo… non riusciremmo a dimenticarci a vicenda. Persino le nostre paure sono talmente simbiotiche da renderci una cosa sola. Non importa quanto ci distanziamo gli uni dagli altri, anche se dovessimo non rivederci più saremmo sempre, reciprocamente, quanto di più importante abbiamo gli uni per gli altri e saremo comunque vicini”.
Ridacchia, ma senza gioia.
“Non è consolante… quando la cosa più importante c’è e non c’è al tempo stesso… io… non so se potrei sopportarlo. Stiamo facendo di tutto per non vederci più… io e Shin… cercavamo ogni occasione per incontrarci e adesso… quasi non ci cerchiamo… vedo Ryo, ma non è la stessa cosa… Seiji mi chiama spesso e mi sento in colpa, perché non sono mai io il primo a prendere il telefono per chiamare… e tu sei qui, davanti a me, sono felice che tu ci sia ma sono triste, perché tutto è così diverso… è come se dovessi dirti addio…”.
Il discorso già sofferto si spezza definitivamente a causa delle lacrime che di nuovo non controlla più. Per me è insopportabile, è più che abbastanza; lo attiro con decisione contro di me, le mie mani cercano le sue guance, perché voglio che mi guardi, voglio che senta la sincerità di ciò che sto per dirgli. Lo sento tremare e il mio cuore continua a fare male, perché trabocca del desiderio di restare con lui, vorrei non andarmene più, perché lasciarlo solo mi spaventa.
“Non potrai dirmi addio, perché per quanto tutti voi ci proviate non riuscirete a liberarvi di me… io vi cercherei in capo al mondo, al di fuori del mondo, in ogni luogo o anche nel nulla se fosse necessario, perché per me non esiste altro… rinunciare a voi sarebbe come rinunciare alla vita”.
“Touma…”.
I suoi occhi si illuminano un poco, vi è ora in essi almeno uno sprazzo di quella luce che ha sempre tenute accese le nostre speranze nei momenti più difficili.
“Mi cercheresti? Se io non avessi più la forza o il coraggio di cercarvi… tu mi cercheresti? Lo faresti?”.
Che domande.
“Cercherei te, Ryo, Seiji, Shin e vi costringerei a cercarvi, non vi permetterei di perdervi”.
“Lo prometti?”.
Appoggio la fronte alla sua, rendendo i nostri occhi così vicini che possiamo specchiarci l’uno nell’altro:
“Lo giuro su di noi. E credimi, nessun giuramento avrebbe più valore di questo per me”.
Chiude gli occhi, sospira e si abbandona del tutto: so che mi crede e che si sta affidando a me, a questa promessa. Non posso rendere eterno il nostro abbraccio, presto lo shinkansen mi condurrà lontano da lui. Lo giuro a me stesso questa volta: nessun abbraccio, nessun gesto d’affetto scambiato con uno dei miei nakama sarà mai l’ultimo, nessun nostro saluto sarà mai un addio.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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