Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: adler_kudo    27/11/2015    3 recensioni
Macabri ritrovamenti turbano la riva Sud della capitale del glorioso Impero Britannico: corpi cui manca qualcosa, sfregiati ed abbandonati; per mantenere la quiete pubblica il Cane della Regina viene incaricato di indagare su queste morti che paiono avvenire senza che alcuno se ne accorga. Con il fidato maggiordomo Sebastian le vie della Londra borghese vanno passate al setaccio per far luce sul mistero, i corpi esaminati, gli indizi verificati. Un nuovo gioco ha avuto inizio e Ciel Phantomhive vi è ben lieto di partecipare.
(n.b: la presenza di Lime è marginale)
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Era una notte serena. Il cielo di Londra era spruzzato di luminosi punti che cercavano di fare capolino tra le nuvole stirate che lo macchiavano promettendo il solito tempo uggioso per il giorno seguente. Non era poi così tardi; il Big Ben aveva appena rintoccato la mezzanotte e ancora le strade, illuminate da lampioni a gas, vedevano affaccendarsi per le vie gli avventori dei locali e i signori di ritorno dall’opera. Il vento freddo dell’inverno che soffiava incessantemente non impediva la vita notturna della capitale. 

Su una piccola via laterale, una coppia di ricchi borghesi si accingeva a rincasare a quell’ora. L’uomo, alquanto alticcio, teneva in mano una bottiglia di vino e veniva sorretto dalla moglie mentre la carrozza che con il fischietto aveva chiamato si fermava davanti a loro. Il vetturino balzò immediatamente giù dal suo posto per aiutare la signora con il marito; bastò un attimo affinché i loro occhi si incrociassero, l’azzurro cielo contro il verde bosco per un breve istante, un secondo di malato piacere nel far fondere quei colori così rari. L’uomo nella vettura s’acciglio per quel momento di stallo e prese la vita della donna con forza trascinandola dentro con lui di malagrazia nonostante le sue lamentele. Parole maleducate e perverse scrosciarono fuori dalla sua bocca mentre possessivamente lambiva il collo di lei con la lingua; scacciò con la mano il ragazzo che attonito assisteva alla scena, ignorò i colpi che la moglie gli infliggeva con i pugni e i suoi strilli di aiuto. D’improvviso un rumore di vetri rotti ruppe l’incantesimo del giovane; il colore rosso del vino prese a scorrere inondando la carrozza e colando ai suoi piedi sulla strada; l’odore frizzante del liquido risvegliò qualcosa in lui. Rapido come solo i poveri ragazzi di strada sanno essere, afferrò il collo della bottiglia e con la parte scheggiata di vetri acuminati colpì l’uomo al volto sfregiandolo irrimediabilmente; prima che potesse solo emettere un suono estrasse la pistola che teneva sempre con sé, sparò ed il sangue sgorgò a fiotti riversandosi sull’abito della donna sconvolta e sulle sue mani. Lui non fu più nulla se non carne. Il ragazzo, ricoperto del sangue alcolico, si voltò verso la signora ansimando. Il liquido vitale che gli scaldava le mani gliele faceva prudere; un senso di torpore si impossessò di lui. Quasi senza far oscillare la carrozza con il suo movimento, lentamente, allungò le mani verso di lei, che tremava e lo guardava ad occhi sbarrati; la donna non oppose resistenza quando le dita sporche le sfiorarono la pallida tempia disegnando rosse volute fino alla guancia. Ancora i suoi occhi celesti furono catturati da quelli smeraldini ed impallidì: il vivo guizzo che prima gli aveva caratterizzati ora era un velo grigio di fronte alle pupille e alle iridi. Il ragazzo parlò in un sussurro, vicino al suo volto, il caldo alito quasi una carezza. “Starai bene, madre”. Fu questo ciò che disse e poi la colpì alla tempia con il calcio dell’arma lasciandola priva di coscienza. Raccolse un coccio aguzzo e con esso la donna venne privata di ciò che non le sarebbe più servito in una serie di affondi scattosi e furenti intervallati ad altri delicati e morbidi. Ottenuto ciò che desiderava, la afferrò per le braccia e la gettò sul marciapiede; la vita che ancora scorreva in lei abbandonata sul ciglio della strada come un fazzoletto caduto. Lo stato di torpore in cui era scivolato non cessò nemmeno quando lasciò cadere la bottiglia, che s’infranse ulteriormente, e tornò alla sua postazione; fece schioccare la frusta sui cavalli infastiditi dall’odore pungente di sangue e vino che si era rimestato sulla vettura e sulla strada e sulle sue mani mentre teneva in pugno il suo ambito trofeo, penzolante come la testa di una gorgone.

 

***

 

-“…La polizia ha ritrovato all’alba di stamane il corpo di una giovane donna sul ciglio di una strada laterale nei pressi del Blackfriars Bridge in Southwark. Dalle indiscrezioni pare che la donna sia stata orribilmente fregiata in volto e che le siano stati asportati gli occhi, ma non si è riscontrata la presenza di alcun altro segno di violenza se non un livido alla tempia. Le ipotesi degli investigatori sono ancora riservate e lo rimarranno almeno fino a che la vittima non verrà identificata. Continuano infatti le ricerche di un qualche parente o conoscente…”-

Ciel aveva cominciato a leggere d’improvviso, mentre Sebastian ancora stava finendo di miscelare il tè nella tazza per la colazione.

-Prego?- domandò il servo, stranito, porgendogli la bevanda.

-Pare interessante, non trovi?- ribatté il ragazzino, il giornale posato per prendere la tazza.

Sebastian ridacchiò appena -Indubbiamente, mio signore. Non è certo una banalità.-

-No, infatti.- Ciel si accigliò appena -Molti gridano già al ritorno dello Squartatore.-

Il maggiordomo dovette notare in lui il cambio d’umore poiché provvide eccellentemente nello scostarlo dai cupi pensieri che assolutamente avevano annebbiato la sua mente: il ricordo della zia era ancora vivo e il sentimento recondito di infantile colpevolezza non era del tutto spento in lui.

-Davvero? Non mi pare nulla lo ricordi.-

-Infatti. Il modus operandi non è paragonabile.- rispose il conte, lo sguardo concentrato sulle volute di fumo che dal tè si levavano nell’aria.

-Uhm, un vero peccato che lo pensino. Intende lasciare tutto in mano alla polizia?-

Ciel sussultò, impercettibile per un essere umano; non si era atteso di essere preso in causa direttamente sul caso. Certo, la curiosità per quello che prometteva essere un interessante gioco era molta, ma alta era anche la pena che gli sarebbe valso mettersi in ballo come Cane della Regina senza che i suoi servigi fossero richiesti. Tuttavia, non credeva ci sarebbe voluto molto affinché venisse convocato e, se così non fosse stato, sarebbe significato che la questione era troppo elementare per qualcuno come lui; come probabilmente era.

-Passo il turno. Non significa che abbandono il gioco.-

Il demone sorrise tra sé e sé -Molto bene.- sussurrò lanciandogli uno sguardo di sottecchi e deliziandosi della sottile linea crucciata che gli arricciava la fronte.

Non occorsero poi molti giorni affinché la lettera della Regina venisse recapitata alla sua villa. Quello che pareva essere stato solo un caso isolato era stato succeduto da altre sette vittime in una settimana e, nel corso di essa, la polizia non aveva fatto altro che brancolare nel buio. Stupefacente fu per Ciel il conciso ordine con il quale, frettolosamente, la sovrana gli imponeva il nuovo incarico. Poche righe, rapide, così diverse da quelle ricche di inutili dettagli di corrispondenza che la Regina era solita ad allegare all’effettivo compito; ogni lettera vergata dava l’idea dell’urgenza di quella comunicazione.

-“Caro ragazzo, il sangue di donne innocenti scorre ormai inesorabile tingendo le strade della Nostra Londra di rosso. Mi terrorizza pensare al carnefice di quelle poverette a piede libero, la loro agonia e la loro immagine dolorante mi toglie il riposo e, come a me, a moltissimi inglesi preoccupati per le loro mogli. Sono certa che saprai come restituirCi sonni tranquilli.”- lesse il giovane conte ad alta voce, cosicché anche il maggiordomo potesse essere a conoscenza del contenuto.

-La sovrana è stata piuttosto asciutta questa volta.- commentò Sebastian, mentre riponeva sul carrello la tazza da tè vuota.

-Ciò fa comprendere la portata del caso.- ribatté Ciel, gettando la lettera sulla scrivania.

-Dovrebbe preoccuparsene forse?-

Il ragazzino sorrise malevolo e schioccò la lingua con disprezzo -Dovrei, eh?- ridacchiò guardando l’altro in attesa di ordini.

-Prepara la carrozza. Andiamo a Londra prima che qualche altra donna ci rimetta la vita.-

Il demone ghignò mentre chinava la testa e pronunciava le sue parole di rito.

-Sì, mio signore.-

 

Le vie di Londra erano fuligginose come ogni giorno. Il cielo usualmente coperto, gli edifici grigi e sporchi di fumo di fabbrica delle periferie, l’aria spessa, il veloce passo delle persone ammantate per strada: ogni cosa contribuiva a costruire la cappa di ansiosa staticità che aveva avvolto la città da quando gli omicidi avevano cominciato a dilagare. Non era occorso poi molto affinché la carrozza scegliesse la sua prima destinazione dopo essere giunta nella capitale dell’Impero. L’obitorio dell’ospedale vicino a Scotland Yard era una tappa obbligatoria per conoscere maggiori dettagli sull’efferatezza dei crimini.

-Ehi, fermi!- gridò la sentinella all’ingresso del corridoio seminterrato dell’edificio non appena vide servo e padrone superarla senza troppi complimenti -Non avete il permesso di stare…-

Senza proferire, Ciel estrasse la busta bianca su cui il sigillo reale brillava di ceralacca rossa e la fece dondolare davanti agli occhi del giovane poliziotto. Questi, stranito, fece per prenderla, ma la mano del ragazzo fu più rapida e gliela fece sparire da sotto il naso, riponendola nella tasca.

-Se non fai troppe domande arriverai in alto qui, ragazzo.- gli suggerì il conte con un tono che velava a malapena la minaccia implicita.

Senza quindi ulteriori intoppi, giunsero alla sala dove i corpi di tre delle sette vittime erano conservati in attesa di essere riconosciuti e consegnati alla famiglie per la sepoltura. La stanza era illuminata solo artificialmente, non una luce proveniva dalle finestre sigillate in cima alle pareti; la temperatura era piuttosto bassa anche per la stagione in cui erano. Sei tavoli lunghi e stretti erano disposti a tre a tre e lasciavano un corridoio centrale per giungere all’unico scaffale su cui erano riposti gli strumenti vari; solo un lavabo piccolo e usurato era all’angolo della parete di destra. Tre di quelle brande erano occupate da teli bianchi che nascondevano il macabro contenuto, le altre tre rivelavano che i corpi precedenti dovevano essere stati spostati da poco; mosche cavalline svolazzavano qua e là, attratte dal fetore della morte; alcuni riccioli dorati ricadevano fuori dai giacigli così come una mano bluastra, penzolante, priva di anima.

Ciel fece per avvicinarsi ad un lembo di uno dei lenzuoli e sollevarlo, ma il maggiordomo lo prese delicatamente e ritrarre dietro a sé.

-Cosa fai, Sebastian?- lo rimproverò il padrone, ma non c’era vera rabbia nelle sue parole; nei suoi occhi però si poteva scorgere il sollievo di non dover guardare per forza quelle donne prive di vita.

-Permette?- disse semplicemente Sebastian accennando ai tavoli. Bastò un lieve cenno della testa del ragazzino affinché gli lasciasse la mano e sollevasse appena uno dei teli, avendo ovvia cura di non far trapelare alcun dettaglio.

-Allora?- domandò Ciel, impaziente di cominciare a giocare sul serio.

-Come ha già letto sul giornale, sono stati asportati gli occhi. In modo piuttosto brutale. Ma il resto del corpo è intatto eccetto per un colpo di arma da fuoco al ventre. La morte deve essere sopraggiunta in seguito alla copiosa perdita di sangue. La prima vittima non presenta tale dettaglio, però una commozione celebrale in seguito all’urto della tempia.-

-Quindi non è un esperto di chirurgia.- chiosò il ragazzino, lieto di non dover di nuovo fare il giro di tutti i medici con particolari perversioni presenti nell’Impero Britannico.

-No di certo. Inoltre pare che abbia un target preciso di vittima.- aggiunse Sebastian sfogliando uno dei fascicoli abbandonati sullo scaffale -Melanie Griffith, quarantott’anni, moglie di Alfie Griffith, impiegato bancario di cinquant’anni, madre di Sasha e Nevill Griffith, tredici e sette anni. Bionda, occhi azzurri. Helena Loren, quarantadue anni, moglie di Richard Loren, impiegato postale di quarantadue anni, madre di Trevor Loren, dieci anni. Bionda, occhi azzurri. Infine, Anne Boolean, quarantacinque anni, moglie di Gregor Boolean, professore di matematica di quarantasette anni, madre di Matthews Boolean, undici anni. Bionda, occhi azzurri.-

Ciel annuì e domandò -Le altre quattro?-

-Tutte donne, madri, sulla quarantina. In base alla descrizione dei familiari che sono venuti a reclamare il corpo, tutte con gli occhi azzurri.- spiegò il servo dando una rapida scorsa ai fascicoli precedenti.

Ciel annuì di nuovo, pensieroso.

D’improvviso la porta si spalancò e, tutto trafelato, entrò dentro l’ispettore Abberline, seguito timidamente dal poliziotto che aveva tentato di fermali prima sulla soglia.

-Conte Phantomhive! Cosa ci fa qui senza permesso! Se Lord Randall lo venisse a sapere…!-

-Ma non capiterà, nevvero? E anche se capitasse mi domando proprio cosa mai avrebbe da lamentare dato che sto solamente evitando che la sua incompetenza venga messa sulla pubblica piazza.- insinuò il ragazzino con un ghigno sardonico sulle labbra.

Sconvolto per quella affermazione, Abberline rimase di sasso per qualche istante prima di cercare di salvare il salvabile -Ma almeno poteva avvisare!-

-Io non devo avvisare nessuno, ispettore.- ribatté, poi si rivolse al maggiordomo passandogli alcuni dei fascicoli sulle vittime -Prendiamo questi, Sebastian. Andiamo e ringrazia come si deve lorsignori.- ordinò oltrepassando con noncuranza i due sulla soglia, attoniti mentre l’uomo metteva nelle loro mani una generosa manciata di sterline luccicanti e seguiva il suo padrone.

-Non… Non posso accettarli, conte!- gridò stizzito l’ispettore allontanando il denaro da sé come se fosse stato un insetto viscido. Ma il ragazzino e il suo servo erano già spariti nel nulla.

 

-Vediamo di mettere in chiaro la faccenda della prima vittima. La donna è morta, ma da quella sera  è sparito anche il marito e non è stato ancora ritrovato.- ragionò ad alta voce Ciel mentre, un passo avanti al maggiordomo, si faceva largo tra i passanti.

-Sì, mio signore.- rispose ovviamente l’altro. Tuttavia, entrambi erano consci del fatto che avrebbero faticato molto ad indagare liberamente per quelle strade poiché una fiera d’esposizione le aveva invase e con essa i londinesi. Bancarelle colorate con prodotti di importazione, altre più seriose con oggetti locali, si estendevano a vista d’occhio lungo tutto lo Strand. Profumi esotici e tradizionali si confondevano nelle narici, inebriando i passanti illudendoli di un pacifico connubio con il mondo dominato dalla Gran Bretagna. Quando, per la quarta volta, qualcuno urtò il giovane conte e non si voltò nemmeno per domandare perdono, questi perse le staffe e sbuffò irato a Sebastian -Stammi più vicino e portami fuori da questa bolgia!-

Ridacchiando, ma obbediente, il demone afferrò per il polso il ragazzino che senza alcuna opposizione si lasciò condurre in una delle vie laterali dove, ancora, la ressa non era giunta. Non era certo un vicolo di quelli in cui si incappa nei quartieri di alta classe, cui Ciel era uso; la muratura dei due edifici era piuttosto malmessa e file di bidoni traboccanti di rifiuti attendevano di essere vuotati, già pieni dopo la raccolta mattutina.

-Disgustoso…- commentò il giovane coprendosi l’altezzoso naso con la mano avvolta nel nero dei guanti di velluto.

-Uscendo dall’altro lato e girando a destra dovremmo essere in grado di prendere una vettura fino al luogo del primo omicidio.- gli indicò il maggiordomo. 

Era pareva quasi ridicolo che, avendo a disposizione una carrozza privata, non si facesse uso di quella e che dunque si potesse attraversare liberamente la città senza intoppi, ma la differenza palese tra quelle di servizio e quelle che appartenevano a nobili casate era così evidente che non avrebbe avuto alcuna funzionalità per le indagini se non quella di attirare ancora più le attenzioni su di loro. Avrebbero dovuto agire nell’ombra per avere successo così il giovane conte aveva espressamente ordinato di procedere dalla residenza di città a Scotland Yard con una vettura pubblica; e dunque era in tal modo che erano finiti a piedi a vagare per Londra.

La carrozza che presero aveva il suo bel giro da compiere per arrivare dove era stato richiesto, onde evitare la confusione creata dalla manifestazione, ma il conducente non ebbe neanche il tempo di far schioccare la frusta che uomini in uniforme a cavallo cominciarono ad allontanare i più dal centro strada e a radunarli sui lati accanto alle bancarelle. Stupito e con un pessimo presentimento Ciel si sporse dal finestrino, giusto in tempo per vedere cosa da in fondo alla via stava giungendo. Gli mancò il respiro per un istante: mai e poi mai avrebbe immaginato che la donna più importante di tutto l’Impero Britannico passasse per una passeggiata proprio per quelle strade. 

La gente intorno cominciava ad esaltarsi. “La Regina! Sua Maestà!” gridavano calorosamente accogliendo il passaggio del cocchio reale dal quale la sovrana salutava sorridente i propri sudditi, ma gli schiamazzi vennero ben presto coperti dal suono potente della banda del corpo scelto di guardia che aveva iniziato ad intonare l’inno nazionale per salutare il passaggio della Regina. D’un tratto, dopo i primi giri di note, come un sol uomo l’intero viale cominciò a cantare a squarciagola God save the Queen

Anche Ciel stava intonando il canto. Era sceso dalla carrozza in segno di rispetto e, con la mano sul cuore, recitava il suo inno nazionale. Sebastian invece era rimasto nell’ombra, dentro la vettura, oscurato; un demone non ha sovrano fuorché il suo padrone e a lui non era stato ordinato il contrario, perciò decorosamente era rimasto nascosto alla vista affinché il giovane signore non provasse alcun riserbo nel mostrarsi in pubblico accanto al proprio maggiordomo, se mai ne avesse mai provato nell’essere da lui affiancato. Tuttavia, persino da quella posizione, ai suoi occhi infernali non sfuggì il breve cenno di sua Maestà nei confronti del conte: forse il percorso della passeggiata non era stato poi così casuale… E di certo il ragazzino ora lo sapeva. Sua Maestà era forse in dubbio sul suo operato? Non avrebbe avuto di che temere; presto il suo cane da guardia le avrebbe portato il risultato da lei anelato.

Non appena il flusso di persone ebbe ripreso il naturale corso, finalmente il conducente spronò i cavalli a lasciare quel posto ed, attraversando il Blackfriars Bridge, a giungere alla riva sud del Tamigi. Poco distante un efferato omicidio era stato consumato e gli altri erano lì nei dintorni susseguitisi; non occorreva chissà qual occulto potere per intuire che la faccenda era strettamente legata alle attività di Southwark.

Fu relativamente facile farsi indicare dai passanti l’esatto luogo del delitto, meno di sicuro fu a distanza di una settimana dall’accaduto trovare prove rilevanti; persino il demone faticava a riscontrare tracce di sangue, nonostante le testimonianze avessero ne confermato una grande quantità.

-Mi pare che qui sia un vicolo cieco. Eh, Sebastian? Fiuti nulla?- domandò il conte guardandosi attorno, deluso da quelle poche informazioni.

-Appena un accenno di sangue, mio signore. Nulla di rilevante ai fini del caso.-

-Uhm, siamo sicuri che nessuno abbia visto nulla? Nonostante sia una strada secondaria, è comunque una zona residenziale! Che nessuno si sia accorto di nulla? Per sette volte nei dintorni?- ipotizzò Ciel scrutando le finestre degli edifici per vedere se da qualcuna qualche vecchietta curiosa poteva aver ficcanasato per una volta in qualcosa di utile.

-Nessuno ha riportato nulla alla polizia.- gli comunicò Sebastian.

Il ragazzino si appoggiò ad una ringhiera che correva lungo il marciapiede e mormorò tra sé e sé -Manca proprio il materiale da cui partire, eh? Se quel becchino non si fosse rivelato un traditore come tutti gli altri, di sicuro avremmo avuto una descrizione più dettagliata dei corpi rispetto a quegli incompetenti della Yard…-

-Ma non possiamo far conto su di lui.- commentò il demone con una punta di durezza nella voce, nemmeno troppo celata; ricordava fin troppo bene cosa gli aveva fatto e aveva cercato di fare.

-Geloso, Sebastian?- lo stuzzicò il lord per puro diletto. Adorava metterlo in imbarazzo qualche volta, anche se l’altro sapeva perfettamente come restituirgli il favore. Era il loro gioco.

-Non vedo di cosa, mio signore. Piuttosto adirato, invece.-

Uno sghignazzo sfregiò per un istante il volto del ragazzino -Ma guarda, la pensiamo allo stesso modo a quanto pare.-

Il maggiordomo parve bearsi per qualche momento della crudele beltà di cui il viso pallido e celestiale del suo padrone si era tinto; così simile ai demoni piuttosto che agli uomini, così diabolicamente scaltro da ingannare anche sé stesso. Ma non poté contemplarlo a lungo: la carrozza che sulla strada gli era frecciata accanto aveva turbato le sue narici non poco. Seguì con lo sguardo la sua corsa fino a che essa non ebbe svoltato, ma non disse nulla: dopotutto era solo un mero servitore; non spettava certo a lui dare ordini.

Il giovane però non si lasciò certo sfuggire quel movimento d’occhi. Da unico centro di focalizzazione del demone era passato in secondo piano, trasparente, quando quella carrozza gli aveva oltrepassati. Dovevano essere vicini a qualcosa di importante se Sebastian aveva distolto da lui quello sguardo cremisi, lascivo e bramoso, che pareva trascinarlo nel più profondo Inferno.

-Cosa hai sentito, Sebastian?-

-C’era del sangue su quella carrozza.- rispose il servo con estrema semplicità, quasi stesse parlando del tempo o della colazione del giorno.

L’occhio di Ciel si riempì di soddisfazione, la cupidigia lampeggiò nelle sue iridi cerulee, le sottili labbra rosee si distesero in un malevolo sorriso; quale meraviglia sarebbe stato come creatura immortale e imperitura!

-Trovala.- ordinò; la voce che, acuta per l’eccitamento, fremeva ad ogni sillaba.

-Sì, mio signore.- si inchinò il demone, svanendo alla sua vista in un battito di ciglia. Ciel sospirò impaziente, un sadico sorriso gli increspò le labbra; non ci sarebbe voluto molto perché il caso fosse risolto.

 

In realtà sarebbe stato meglio se gli avesse persino detto di portarlo con lui… Almeno in quel momento non si sarebbe trovato da solo per strada a congelarsi; gli occhi dei pochi passanti rivolti su di lui con curiosità e sospetto, aveva udito persino qualcuno mormorare di dare “qualche soldo in elemosina a quel povero piccino!” o di condurlo verso una qualche chiesa dove avrebbe potuto trovare ricovero. Ma scherzavano?! Non si vedeva che non era uno straccione qualsiasi? E dire che la stoffa e la fattura del cappotto gli parevano piuttosto pregiati… Tuttavia certo non poteva biasimarli: chiunque avrebbe pensato tali idiozie a vedere un tredicenne appoggiato ad un muretto per più di mezz’ora. Sbuffò per l’ennesima volta in quei minuti; Sebastian ci stava impiegando decisamente troppo e sperava per lui che non si fosse attardato per qualcuno dei suoi orribili gatti o davvero questa volta gli avrebbe fatto rimpiangere l’Inferno. Starnutì, rabbrividendo per l’aria fredda che gli aveva avvolto le membra; cercò di riscaldarsi sfregandosi le braccia con le mani guantate e si sollevò il bavero del cappotto. Se si fosse ammalato per una negligenza del suo maggiordomo poteva assicuragli che non l’avrebbe passata liscia. Si soffiò sulle dita nel tentativo di farle riprendere sensibilità; il suo respiro affannoso si condensava nell’aria in volute biancastre. Fissò il cielo grigio: non un solo spiraglio di sole lo riusciva a penetrare. Sospirò ancora, indeciso se incamminarsi verso il centro di Londra o attendere ancora. Di sicuro il demone lo avrebbe trovato ovunque fosse stato, ma il suo intento in quel momento era solamente quello di scaldarsi e senza un soldo in tasca avrebbe solo fatto ridere di sé una volta entrato in un caffè per una bevanda calda. Si frugò da ogni parte alla ricerca di qualche spicciolo che non gli avrebbe certo scomodato, ma trovò solo la rivoltella e un fazzoletto ricamato con lo stemma di famiglia. In una parola: inutili. Un nuovo sospirò abbandonò le sue labbra, irritate e gonfie per averci continuato a passare sopra la lingua nel tentativo di scaldarle. La strada ormai si era fatta sempre più deserta: se prima passavano ogni due, tre minuti delle persone, ora nemmeno l’ombra di un passante si intravedeva. Appoggiò tutta la schiena al muretto e si lasciò scivolare a terra, rannicchiandosi con le ginocchia al petto. Quando udì il vicino campanile battere i rintocchi dei tre quarti, sollevò lo sguardo vuoto ed aprì la bocca in un muto sussulto: mancavano pochi minuti all’ora di pranzo e Sebastian era sparito da quasi due ore. Il panico si impossessò per qualche attimo della sua mente. Cosa era successo? Non poteva essersi fermato a giocare con i gatti per così tanto tempo. Era un demone, non poteva essergli accaduto nulla di serio, no? Allora perché non aveva ancora fatto ritorno? 

Si levò in piedi. Al diavolo la discrezione, si mise a chiamare a mezza voce -Sebastian. Sebastian!-

Guardò attorno a sé il nulla. Si schiarì la voce, resa tremante dal freddo e dal prolungato silenzio.

-Sebastian! Vieni subito, è un ordine!-

Attese. Fermo, immobile. Il volto di una statua greca, severo e impassibile. L’aria fredda che gli scompigliava appena i capelli sotto la tuba. Concesse solo al suo occhio di vagare in leggera preoccupazione verso l’orologio del campanile che si scorgeva alto nel cielo. Un’altro minuto stava volgendo al termine.

Sussultò e si voltò di scatto quando sentì una mano afferrarlo per la spalla con delicatezza. Il demone era tornato; perfetto e sardonico come al solito, non presentava alcun segno di ferita o alcuna giustificazione evidente per il suo ritardo increscioso.

-Mi…- tentò di dire Sebastian, ma Ciel lo interruppe bruscamente con uno schiaffo.

-Dove sei stato?- domandò con ira scandendo bene ogni sillaba.

Gli occhi del maggiordomo si tinsero per un istante di rosso vivo in risposta all’umiliazione subita, ma fu calmo -Mi perdoni.-

-Non mi hai risposto.- fece notare il conte con freddezza.

Il demone sorrise con uno sguardo che pareva quasi tenero. Si avvicinò a lui e gli cinse la vita con un braccio.

-Cosa fai?- tentò di protestare Ciel allontanando il viso ed occhieggiando alla strada. L’altro non lo badò -Cosa ne dice se prima andiamo a casa?- propose, una sfumatura di stanchezza forse nella voce.

Il calore che incredibilmente il contatto con quel corpo non umano gli aveva provocato fece sciogliere ogni reticenza al ragazzino che, con il semplice movimento della testa, acconsentì e si abbandonò in braccio all’altro. Sapeva di essere stato sollevato da terra e sapeva anche che i piedi stessi del demone non stavano più toccando il suolo, ma non volle aprire gli occhi ne scendere fino a che non sentì il caldo profumo della sua stanza da letto avvolgerlo.

-Ha ancora freddo, mio signore?- domandò il servo posandolo al suolo e cominciando a sfilare con lentezza e precisione ogni bottone del cappotto nero del bambino dalla sua asola. Per fare ciò si era inginocchiato di fronte a lui, in tal modo Ciel poteva ammirare con sdegnoso piacere il demone servirlo e comportarsi per il cane che era. Non rispose alla domanda; si limitò ad osservare ogni suo movimento, impassibile, e quando i loro occhi si incontrarono di nuovo nient’altro se non gelo si poteva scorgere nei suoi occhi.

-Oh.- fece ammiccate il demone ridacchiando tra sé e sé -Si è raffreddato anche nell’animo, mio signore?-

Si avvicinò a lui e gli cinse nuovamente la vita come aveva fatto precedentemente innumerevoli volte; sorrise abbassando la testa per raggiungere la sua.

-Che fai?- domandò seccato il ragazzino cercando invano di spingerlo via; girò la testa di lato per evitare il contatto con i suoi occhi -Stai al tuo posto, demone.- ordinò.

Sebastian si bagnò le labbra con la punta della lingua rivelando per un istante le zanne aguzze che manteneva solitamente celate alla vista; la coda dell’occhio di Ciel non perse quel frammento. Piegò ancora più in avanti il busto fino a lambire il collo del ragazzino con i ciuffi più lunghi di capelli corvini.

-Lei sa dove è il mio posto, mio padrone.- soffiò caldo all’orecchio; con l’altra mano,ora libera dal guanto, gli sfiorò la guancia diafana percependola ancora gelida così come le labbra.

-Ha ancora freddo, mio signore?- ripeté la domanda in un sussurro, l’enfasi che si usa con i bambini più piccoli.

Ciel accennò appena a volgere il capo verso di lui, gli occhi che ancora lo vedevano distante.

-Sì.- rispose in un soffio.

-Cosa desidera che faccia?- chiese Sebastian facendo scorrere le dita sul niveo collo.

Il conte deglutì -Scaldami.- pronunciò quella parola che avrebbe voluto dire fin dal principio.

Non rispose verbalmente il demone, mentre si avventò sulle labbra della sua preda che fin troppo lo aveva fatto attendere. Senza alcuna reticenza Ciel si lasciò condurre in quel gioco nel quale i suoi sensi non riuscivano a prevalere sull’altro. Gli portò un braccio dietro al collo, la mano a scompigliargli i capelli, e con l’altra lo afferrò per la giacca traendolo in modo possessivo a sé. Lasciava che l’altro suggesse, mordesse e leccasse liberamente e con estrema lentezza mentre cercava invano di imporgli un ritmo più famelico. Volontariamente, ritirò la testa all’indietro per scoprire il collo e cedergli il controllo, impaziente; Sebastian accolse con una sommessa risata a fior di labbra quell’invito incantevole, ma si abbassò lentamente giocando con ogni centimetro dell’inebriante e candido tessuto, così lentamente che fu il ragazzino, spazientito, a spronarlo verso un contatto maggiore premendogli il capo verso il basso.

-Oh, il mio signore sembra piuttosto bisognoso oggi.- ridacchiò il servo che, arrestatosi, si era alzato quel tanto che bastava per raggiungere di nuovo la bocca schiusa del giovane padrone, arrossata e ansiosa per la passione. 

-Sta zitto.- replicò l’altro cercando di riguadagnare le sue labbra.

-Non sarebbe meglio spostarsi?- propose Sebastian trasportandolo verso il talamo che, immacolato, li attendeva. Lo depose sul copriletto con delicata premura e si coricò su di lui; sostenuto dai gomiti, riprese da dove si era interrotto posando le labbra sulle sue, lento e passionale; un ginocchio che già si era insinuato tra le gambe ad aprirle per accogliere futuri piaceri. Ciel aveva allacciato le braccia al suo collo e lo stava trascinando sempre più dentro quell’inferno di lussuria e agonia che mai prima di allora il demone aveva vissuto per un umano.

Dei forti tocchi alla porta riecheggiarono per la stanza dove solo dei respiri spezzati si potevano udire. Sebastian, represso il soffio irritato che automatico gli era salito al naso, fece per alzarsi, ma il giovane lo trattenne a sé emettendo un miagolio contrariato.

-Mister Sebastian? Ho portato del latte caldo per padron Ciel.-

La voce di Agni filtrò attraverso la spessa porta di legno e così anche il richiamo di Soma al curarsi maggiormente della salute; Ciel, ruotando gli occhi verso l’alto, abbandonò le braccia sul letto e con un sbuffo accennò all’uscio. Ghignando per il comportamento del padrone, Sebastian si ricompose e andò ad aprire.

-Grazie mille, padron Soma e signor Agni, per il pensiero verso il padroncino. Ve ne è infinitamente grato. Desidera riposare attualmente.- fece il servo; così falso con la sua gentilezza che il ragazzino, ancora nella medesima posizione di prima, schioccò la lingua contro il palato con fare sarcastico. 

-Ricorda… a… Ciel… Agni!-

Questo era Soma, quel principe sempliciotto che balbettava, ancora scioccato dalla sgridata di Sebastian.

-Il principe desidera comunicare a padron Ciel di avere più cura della sua salute e di avvisare del suo arrivo. Inoltre di scrivere più spesso.- comunicò asciutto e cordiale Agni al posto del suo padrone. Probabilmente aveva anche condito la frase con un sorriso amabile.

-Riferirò. Grazie ancora.- li congedò Sebastian e senza molte altre cerimonie, il latte caldo sul vassoio tesogli, chiuse la porta ricordando di girare la chiave nella toppa.

-Padrone, desidera…?- fece per chiedere il maggiordomo accennando alla tazza, ma si bloccò nel vedere gli eloquenti spazientiti occhi del ragazzino, ora coricato su un fianco con la testa capricciosamente tenuta in aria dalla mano.

-Finisci quello che hai cominciato, demone.- ordinò.

 

Sul letto sfatto, steso con le spalle all’amante, Ciel stava scrutando fuori dalla finestra, in attesa. Sapeva che presto la mano di Sebastian si sarebbe posata tra i suoi capelli per farlo voltare con una carezza e che avrebbe trovato un ghigno infernale sul volto di quella immonda bellissima creatura, gli occhi brillanti soddisfatti della seduzione. Come previsto il tocco tra le sue ciocche antracite arrivò, ma stavolta il giovane non accennò ad alcun movimento. Non era così sprofondato nelle spire del demone da dimenticare.

-Non hai ancora risposto alla mia domanda.- gli fece notare, il tono distaccato.

Udì chiaramente la sommessa risata che lasciò la peccaminosa bocca dell’altro e soffiò infastidito da quel comportamento decisamente poco conforme al suo ruolo.

-Rispondimi. Ti devo ricordare che sei solo un servo?- lo spronò perentorio; voleva porre fine a quel giochetto in cui non era lui a condurre l’andamento.

-Ho solo fatto ciò che mi ha ordinato, mio signore.- rispose allora Sebastian con estrema cortesia, ma una nota di ironia traspariva appena; il conte non poté non notarla.

-Non ti ho certo ordinato di sparire per due ore.-

-Nella carrozza c’erano dei passeggeri, non potevo semplicemente fermarla. Ho atteso che questi scendessero, ma il conducente ha continuato a viaggiare fino ai sobborghi di Londra. Si è fermato in un viottolo di un quartiere dormitorio, ovviamente nessuno era presente lì poiché i residenti erano in fabbrica. Ha aperto dall’esterno con una chiave la portiera, ha estratto dalla giacca una pistola e ha sparato dentro; ha trascinato fuori una donna sulla quarantina, bionda con gli occhi azzurri. Era molto debole per la perdita di sangue. L’ha spinta dentro una rimessa e ho udito dei lievi lamenti che lentamente sono scemati, dopo qualche tempo è uscito trasportandosela sulle spalle, la donna era senza occhi, brutalmente strappati, senza più coscienza, l’ha ributtata dentro la carrozza. Ha ripreso la guida fino ai dintorni di dove era rimasto lei e l’ha gettata in un vicolo poco trafficato. Era ancora viva tuttavia quando mi ha chiamato anche se le restava davvero poco da vivere. Al momento però sarà morta dissanguata se nessuno l’ha trovata.-

Ciel non disse nulla. Si sentiva terribilmente in imbarazzo per essersi fatto divorare da quel senso di fastidio che gli dava non sapere cosa il demone avesse fatto. Deglutì e schiarì la voce per mascherarne il leggero tremolio.

-E perché mai non lo hai preso?- domandò con altezzosità.

-Non mi era stato ordinato, mio signore.-

-Dannato…- sibilò il ragazzino ingiuriando. Solo quel sadico dannato non avrebbe mosso un dito in una situazione del genere perché non gli era richiesto. Avrebbe dovuto cogliere in flagrante di nuovo quello psicopatico.

Voltò il capo per guardarlo finalmente e, come sapeva, trovò quel viso dannatamente perfetto ad attenderlo con un sogghigno stampato sulle labbra. Riconobbe su di esse il morso che gli aveva dato quando le aveva assaggiate con foga durante l’amplesso; sorrise soddisfatto. 

-Ho fame, Sebastian.- comunicò.

-Lo credo, mio signore. L’ora di pranzo è passata da un po’. Andrò a prepararle qualcosa.-

Il maggiordomo scivolò fuori dalle coperte che stavano celando il suo corpo statuario; Ciel trattenne un istante il respiro nel vedere la sua figura longilinea totalmente scoperta alla luce del giorno. Era raro che avessero rapporti di quel tipo durante la giornata e la luce notturna era illuminava altro rispetto a ciò che il sole scopriva. Lo osservò con finto disinteresse ricomporre la sua divisa abituale e celare la pelle dal profumo diabolico sotto strati di stoffa nera.

-Tornerò il prima possibile.- comunicò al suo signore mentre lo faceva scorrere fuori dalle lenzuola e gli infilava la camicia da notte per tenerlo caldo -Si può riposare.- concesse con un sorriso prima di uscire. Ovviamente si sarebbe riposato anche senza che gli fosse stato detto, non era certo il suo servo a dirgli cosa fare. Tornò a stendersi nel letto, rimpiangendo di non essere alla villa, ma nella sua residenza di città: era assolutamente meno morbido lì il materasso. Il loro odore era ancora forte tra quelle lenzuola, doveva dire a Sebastian di cambiarle non appena fosse tornato; qua e là giaceva ancora qualche suo indumento: non sarebbe stato certo facile spiegare quel disordine se Soma o Agni fossero entrati. Ma la vera questione in quel momento non era certo quella; era necessario fermare quell’assassino in modo definitivo e senza usufruire dell’inconscia partecipazione di una nuova vittima. D’un tratto un’idea sadica e perversa gli nacque nella mente. Ridacchiò. Sebastian avrebbe ricevuto gli ordini precisi che tanto agognava.

Non passò poi molto affinché il maggiordomo facesse ritorno alla sua stanza con un vassoio su cui una zuppa di carote e porri fumava.

-Solo questo?- domandò il conte osservando il piatto.

-Ormai è già tardi per un pranzo completo e se mangiasse di più rischierebbe di non avere più appetito a cena.- spiegò il maggiordomo.

Ciel sbuffò: non aveva certo voglia di una minestra di verdure in quel momento.

-E il signor Agni ha preparato questo per lei.- aggiunse poi il servo tendendogli un involto dentro al quale il giovane fu ben lieto di trovare del curry-pan.

-Bene.- chiosò addentandolo. Decisamente più gustoso della zuppa, nonostante fosse certo fosse deliziosa.

Spazzolato anche il piatto della minestra, Ciel si appoggiò alla testiera del letto, satollo.

-Noto che ha gradito, mio signore.- sorrise il maggiordomo togliendogli il vassoio da davanti.

-Vestimi.- mugugnò il conte.

-Sarò alla scrivania fino a cena. Tu continua pure i tuoi compiti.- comunicò poi una volta ricomposti i suoi abiti.

-Come desidera, signorino.- si congedò Sebastian. Ciel sorrise demoniaco: non aveva idea di cosa avesse in serbo per lui.

 

Appena dopo cena, il conte convocò il suo maggiordomo nella stanza per farsi servire del tè. La luce del giorno era ormai spenta e lampade davano un aspetto più caldo all’ambiente e ai suoi ospiti.

-Desiderava altro, signorino?- domandò il demone dopo aver posato la tazza fumante davanti al suo padrone; delizioso era il pallido bagliore che il riflesso delle luci aranciate creava sulle sue guance.

-Sì, Sebastian. Questa sera prenderemo definitivamente quel criminale. La nuova vittima che c’è stata oggi deve essere l’ultima. La regina non perdonerà ulteriori indugi.- spiegò Ciel risoluto. Nulla dalla sua espressione o dal suo tono lasciava trasparire ciò che aveva in mente, eppure il fermento della sua anima era chiaramente percepito dal demone.

-Cosa ha in mente?-

-Poiché sappiamo che il killer ha uno specifico target di vittima, sarai tu ad interpretare la donna che stasera verrà da lui privata degli occhi. Sebastian, è un ordine.-

Il giovane ammirò gli occhi dell’altro brillare d’indignazione per quella richiesta alla quale non poteva sottrarsi né replicare, l’ultima parola era già stata pronunciata.

Rigido, accennò ad un inchino -Molto bene, mio signore.- fece con voce dura.

Ciel si adagiò soddisfatto allo schienale della sua poltrona, prese la tazza in mano e cominciò a sorbirne il rilassante contenuto; per qualche istante avvertì la sensazione effimera di aver invertito il ruolo che lo vedeva come preda; un inebriante piacere lo avvolse, un attimo prima di rendersi conto che il demone aveva cambiato forma in un lieve turbinio di spire nere proprio davanti a lui. Allibito, non si trattenne dallo sgranare gli occhi. Davanti a lui, un’incantevole e prosperosa donna dai lunghi capelli ricci e biondi morbidamente acconciati lo scrutava con ira appena celata dallo sguardo ceruleo. Vestita di un abito scuro, il corsetto che indossava metteva in mostra persino più del dovuto agli occhi del giovane, la pelle diafana era adornata da gioielli eleganti di perle e cammei. Ma più di ogni altra cosa fu la voce a lasciarlo di stucco: dolce e melodiosa eppure al contempo fredda e infastidita.

-Può andare, mio signore?- domandò ancheggiando in modo, Ciel poteva giurarci, volutamente provocante verso di lui. Il sorso di tè che aveva appena preso in bocca scivolò fuori finendo di nuovo nella tazza e dovette, rosso in volto, affrettarsi ad asciugare le labbra e il mento. Alla vista di tanto imbarazzo, il demone rise di gusto. Una risata acuta, femminea; così diversa da quella cui era abituato, tuttavia così cattiva che poteva sembrare sua gemella.

-Devo dedurne che preferisca questo?- fece indicando se stesso con malizia -Se gradisce, posso farglielo apprezzare anche di più.- propose facendosi sempre più vicino fino a posare entrambe le mani sullo scrivano e appoggiarsi all’altezza del suo padrone, il quale occhio non era certo legato ai suoi come al solito.

-Vorrebbe…?- ammiccò indicando la propria scollatura. Beatitudine pura pervase il suo spirito alla vista incantevole delle guance dipinte di rosso del ragazzino; così vicino da potere sentirne il respiro sul volto.

Ciel sollevò una mano e posò la punta delle dita sulle labbra della donna che stava davanti a lui. Una totale sconosciuta. Quella bocca era troppo morbida, quelle curve assolutamente inadatte, quel colore di occhi e di capelli troppo angelico per quello che era la creatura davanti a lui; desiderava che tornasse ciò che era sempre stato. E poi quell’abito che lasciava decisamente poco spazio all’immaginazione…

-Sebastian!- esclamò d’un tratto allontanandolo -Per l’amor del cielo! Copriti!- 

Il demone si ritrasse leggermente stupito di quella reazione; non era così sicuro che il signorino fosse in grado di resistere, tuttavia ne fu in qualche modo estremamente lieto.

-Perdoni, padrone, ma molti uomini trovano attraente questa forma.- ridacchiò con fare quasi civettuolo, perfettamente adatto al ruolo che doveva interpretare.

-Beh, ma non io!- sbottò finalmente riuscendo a voltare il capo verso il focolare che improvvisamente pareva così interessante.

Una nuova risata si levò da quelle labbra straniere al che Ciel non riuscì più a trattenersi -Dannazione! Almeno ora parla normalmente! Non sopporto quel cinguettio irritante!- confessò strizzando gli occhi.

-Oh, mio signore.- replicò Sebastian, tutto pareva essere tornato normale nel suo tono -Non è da lei…- commentò fingendosi deluso da quella brusca interruzione.

-Silenzio.-

Il maggiordomo si avvicinò di nuovo, costringendo il ragazzino a guardarlo; il sollievo nel suo sguardo nel vederlo di nuovo normale.

-Preferisce così?- domandò a bassa voce. Nessuna implicazione nel suo tono, nessuna.

-Demone, sii quello che ti ho ordinato di essere.-

-Sì, mio signore.-

 

In quell’aspetto a dir poco prorompente, Sebastian anche solo camminando per la passeggiata della Southbank attirava su di sé qualche sguardo. Nonostante il cappotto, che nascondeva ciò che il padrone aveva ordinato, le forme di quella donna erano ben visibili e assolutamente venivano notate dagli ubriaconi che a quell’ora cominciavano ad uscire dai pub. 

-Sebastian, cerca di essere meno compiaciuto del commenti, per l’amor del cielo!- sbottò sottovoce Ciel, a mano con l’altro.

-Mi perdoni, non mi pareva di farlo. Sono piuttosto rivoltanti…-

-Non darmi del lei! Sono tuo figlio ora!-

Un ghigno comparve sul volto della donna. Il target delle vittime imponeva tra le caratteristiche la maternità, così avevano passato tutto il viaggio fino a lì a cercare di inculcare quello che le persone definivano “linguaggio materno” nella testa del demone che, per quanto si sforzasse, davvero non riusciva a comprendere cosa il signorino intendesse per “amore filiale”; quel tono da madre che, in teoria, avrebbe dovuto trasparire dalla voce durante il dialogo con il colpevole. Era una creatura infernale, non c’era motivo per lui di capire l’amore e di conoscerne l’intonazione; tanto più che il suo signore pareva essere quanto di più distante da un buon insegnante su quel campo. Non riusciva a spiegare le sfumature che caratterizzavano la voce di una madre dolce e premurosa; diceva di ricordava appena quelle della sua e di sicuro non avrebbe speso ulteriore tempo nel rammentarne ancora. Nonostante la freddezza che ostentava su quell’argomento, Sebastian aveva ben percepito il profondo della sua anima tremare: non era senza cuore, aveva solo imparato ad usarlo meno. Alla fine del tragitto erano arrivati alla conclusione di presentarsi insieme  come madre e figlio al posto che prendere due carrozze separate, tanto per far sembrare più credibile la donna che tutto poteva parere tranne che moglie e madre; la decisione non aveva certo lasciato il ragazzino contento.

-Dai, individua quella carrozza, saliamoci ad ogni costo e chiudiamo questa storia.- ordinò Ciel con un sospiro mentre svoltava l’angolo e si ritrovava nello stesso quartiere dove era stato abbandonato quella mattina.

-Sì, mio s… Bambino.- si corresse all’ultimo il demone ridacchiando. Si guadagnò uno sguardo trovo dal padrone: ancora quella civettuola irritante sconosciuta voce che lo disturbava come poche cose al mondo.

Non occorse molto nel trovare la vettura, ora tutto stava nell’attirare l’attenzione sulla loro relazione madre-figlio e aspettare che abboccasse all’amo. Fu Ciel ad avere una geniale idea appena un attimo prima che la carrozza passasse davanti a loro.

-Ferma!- gridò ridendo come il bambino sconsideratamente ingenuo che avrebbe dovuto essere invadendo la strada volontariamente troppo vicino alle ruote del carro.

-S…Ciel! Tesoro, cosa fai? è pericoloso!- gli urlò dietro in apprensione Sebastian tirandolo per un braccio di nuovo sul marciapiede.

-Ma… Mamma! Avevi detto tu che volevi prendere la carrozza!- protestò l’altro infantilmente. La carrozza si fermò: come era previsto. Il conducente scese per aprire la portiera cordialmente: come aveva dedotto.

-Buonasera signora.- salutò il vetturino, un ragazzo che non doveva avere più di venti anni. Dai capelli castani e gli occhi verdi era davvero un bel giovane, ma qualcosa cambiò nel sorriso non appena posò lo sguardo sui due. La luce dei suoi occhi parve incupirsi, le linee delle labbra stirarsi ulteriormente come a voler forzare la curvatura.

-Ha degli occhi splendidi.- mormorò tra sé e sé; un normale umano non avrebbe dovuto udire quel commento. Ma Sebastian non lo era.

-Cosa ha detto?- domandò stranita la donna fingendo di aver capito male.

-Oh, nulla, signora. Prego, salga. Il suo bambino è proprio bello, sa? Ha preso gli occhi dalla madre…-

Malinconico, fu questo l’aggettivo che la mente di Ciel usò per classificare la considerazione appena fatta. La sua sete di sangue doveva essere in qualche modo legata alle sue relazioni famigliari, dedusse.

-Dove desidera andare?-

-102, Belgravia.-

-Molto bene.-

Non appena saliti, fu palese che il ragazzo avesse serrato la porta dall’esterno; entrambi avevano udito i giri di mandata che li avevano bloccati all’interno. Le tende scure e la luce fioca impedivano una corretta visuale delle strade fuori: avrebbe potuto portarli persino di fronte al palazzo reale e loro non se ne sarebbero accorti se non avessero davvero prestato attenzione, o se Sebastian non fosse stato un demone. Molto chiaro come nessuna delle sue vittime si fosse mai accorta del tragitto sbagliato, sia durante la notte che durante il giorno: i vetri erano a specchio.

-Ci siamo.- bisbigliò Ciel -Quanto hai detto che impiega per arrivare?-

-Quasi un’ora. è piuttosto fuori, le ho detto.-

-Allora torna normale.- ordinò. Aveva sopportato abbastanza quella vista vergognosa e quella voce cinguettante. Voleva di nuovo davanti a sé lo sguardo di fuoco che lo incatenava ad ogni occhiata; il brivido che mandava per la sua schiena la vista di quel viso, e di quel corpo, perfetti, forgiati dalle più altissime mani celesti eppure volti a servire le tenebre più peccaminose. 

La voce di Sebastian, quella a cui era sempre stato abituato, risuonò ancora una volta alle sue orecchie -Potrei pensare che si diverta a vedermi comparire così se continua a chiedermi di cambiare ogni volta.-

Il conte non rispose; effettivamente un minimo di gusto ci trovava nel vederlo diventare a comando una donna: era in suo più totale potere. La realtà però era che qualsiasi forma Sebastian avesse mai potuto assumere non avrebbe mai superato la bellezza sconsacrata che quel bastardo mostrava solo per lui: negli occhi arsi dalla brama, nelle labbra assetate e affamate appena incurvate in costante sogghigno, in ogni curva che il suo scultoreo fisico muoveva solo e soltanto per lui. Il solo pensiero che qualcun altro potesse godere del velluto di quella pelle e del calore dei suoi gesti faceva rodere le interiora al giovane: il demone era suo, solo e soltanto suo. E, nonostante l’aspetto diverso, nonostante la voce acuta, quando fu ora di fermarsi e lasciare che l’uomo avesse per qualche istante la meglio su di loro, il proiettile che perforò l’addome del demone, ora donna che proteggeva il figlio, e le mani sporche del sangue di sette vittime di quell’assassino sulla pelle di questo disgustarono il ragazzino, quasi più delle stesse che lo tirarono giù a terra facendolo cadere tra la polvere.

-Entra, moccioso.- lo minacciò con la pistola in conducente. Questa volta non erano in un quartiere dormitorio, che a quell’ora sarebbe stato pieno di gente; erano in un capanno fuori città, per questo il viaggio era durato così a lungo. Il casolare, abbandonato a quanto pareva, era illuminato solo dalle luci provenienti dalle lanterne della carrozza, la porta era già spalancata, diventa da un calcio violento di quel ragazzo il cui umore era cambiato così rapidamente. Stava trascinando con sé il corpo della donna, senza alcuna cura, senza alcun ritegno, l’arma puntata però direttamente al viso del ragazzino.

Ciel non poté far altro che obbedire. Lo seguì con atteggiamento spaventato dentro il capanno, si lasciò spingere in un angolo con un calcio selvaggio al torace che gli procurò un’emorragia tale da fargli sputare sangue. Non gridò aiuto nemmeno quando venne legato senza alcuna cura e abbandonato a giacere al suolo come uno straccio sporco. Tutto ciò gli fece male; rabbia e dolore che esplosero non appena vide l’uomo estrarre un coltello dalla cintola e chinarsi per dedicarsi al volto della donna priva delle funzioni vitali a terra.

-Degli occhi così belli…- mormorò adorante come in preda al deliro -Così delicati, così dolci… Così…Falsi!- cambiò tono d’un lampo, i gesti carichi di ira mentre gettava il corpo su un tavolaccio per poter lavorare meglio -Così falsi! Così inadatti ad una donna così brutta! Madre!-

In un solo affondo la lama calò all’angolo del bordo palpebrale strappando i delicatissimi muscoli che reggevano il bulbo; un altro affondo analogo dall’altro lato aprì con crudeltà uno squarcio lungo la guancia mentre le mani affannose del ragazzo cercavano di sollevare l’organo senza danneggiarlo per reciderne il nervo ottico. Nonostante Ciel si fosse costretto a resistere, l’odore e la vista del sangue che sgorgava, dell’umore vitreo che scendeva come lacrime bagnando le orecchie e i capelli, biondi e scarmigliati, della donna, il bulbo penzolante, l’iride del colore del cielo che pareva ancora viva ed infine il bacino vuoto dilaniato dal coltello violento, stimolarono il suo cervello al tal punto che un conato di vomito si riversò fuori dalla sua bocca prima che ne avesse coscienza. L’assassino non se ne fece certo scrupolo e raggiunse rapido un vaso sostanza collosa e viscida dentro il quale lasciò cadere il suo primo trofeo e in breve tempo anche il secondo. L’odore non era sconosciuto al conte: formaldeide, una sostanza di nuova concezione usata per conservare componenti deperibili a scopi scientifici. La domanda era: come se l’era procurata? Altri due contenitori rivelavano qua e là gli stessi macabri premi e sotto un telo sudicio poco distante dovevano essercene altri; quindi come un ragazzo di non più di venti anni si era procurato tale composto? Questioni che la sua mente gli aveva permesso di considerare solo per non badare all’orribile volto sfigurato ora totalmente rivelato ai suoi occhi.

-Seb…- balbettò alla vista del demone ridotto a quello stato, e per un suo capriccio per di più. Contro il dolore all’addome, Ciel cercò di rimettersi in piedi, ma il ragazzo aveva altri progetti per lui.

-Tu…- lo indicò come se si fosse appena ricordato della sua presenza -Tu! Perché hai i suoi occhi! Hai rubato anche tu gli occhi a mia madre?!- gli urlò addosso e in un attimo gli fu sopra con il coltello puntato al suo volto. Il bambino spostò appena in tempo il capo per evitare la lama conficcarsi nel suo cranio, ma con i polsi bloccati dalle corde ed il torace schiacciato dal peso dell’altro poteva fare ben poco.

-Se… Sebastian!- gridò -Sebastian!-

Rifiutava di farsi bloccare la testa, sarebbe stata la fine; come aveva potuto essere così sciocco e mettere di propria spontanea volontà il demone fuori dalle sue pedine?

La benda gli scivolò dalla sua usuale posizione rivelando il luminoso contratto, per un istante l’assassino vacillò a quella sovrannaturale vista.

-Sebastian! Uccidilo, è un ordine!- 

-Basta chiamare questo nome!- gli gridò sopra il ragazzo tentando di soffocarlo per metterlo a tacere.

-Sì, mio signore.-

Una voce profonda ed gutturale reste statica l’aria nella stanza; entrambi si girarono verso quello che doveva essere ormai solo il cadavere di una donna. La presa sul collo del giovane si allentò, il coltello scivolò dalle mani, quando le dita del corpo ripresero vita e l’intero essere trasfigurò di fronte a loro. L’abito lungo e sensuale mutò in pantaloni, le gambe si allungarono verso il basso fino a toccare il suolo; con la schiena inarcata all’indietro che lentamente si faceva eretta la composta figura di un maggiordomo demoniaco emanava escrescenze infernali; i capelli ora neri, più spettinati del solito, incrociavano il perfetto eburneo viso; gli occhi che avrebbero dovuto essere solo due orbite vuote erano intatti, rossi ed accesi di un bagliore iracondo; unghie nere e il simbolo del legame risaltavano sulle eleganti mani.

-Cosa…- balbettò l’assassino appena prima di essere, con un solo gesto di mano, scaraventato al suolo dall’altro lato della stanza; un urlo di terrore invase le pareti alla vista del demone che avanzava lento e letale.

-I bambini non dovrebbero giocare con i coltelli.- commentò fredda la creatura infilandosi il guanto destro, solo la collera per il trattamento subito traspariva da ogni fibra del suo essere.

Il ragazzo urlò ancora una volta, terrificato da quella visione -Demonio! Sei un demonio! Madre! Mamma!- 

Era rannicchiato in un angolo, privo di ogni pensiero coerente invocava la madre con un tono supplichevole; invocava Dio, chiedeva perdono per il padre, perdono per avere lasciato che la uccidesse, perdono per le madri a cui aveva tolto occhi e vista, perdono per figli a cui le aveva sottratte e perdono per quel marito che aveva ucciso e seppellito in casa. Penoso spettacolo di tentata redenzione ad un passo dalla morte, l’invocazione all’Altissimo non sarebbe servita a fermare l’ira del diavolo, né a salvarlo da essa. Quando ormai il demone aveva teso la mano sinistra verso la sua testa arruffata, il giovane uomo aveva preso a gridare -Dio! Dio! Salvami! Io sono un bravo figlio!-

-Non serve che gridi.- intervenne Ciel, spuntato da dietro il maggiordomo. La voce dura, lo sguardo tetro ed impietoso; quei rivoli di sangue ormai condensato che sporcavano il suo pallido viso e il suo vestiario; la candida bellezza della sua nera anima sembrava splendere vicino alle spire della creatura, dalle quali quasi parve essere accolto, avvolto in esse senza paura, come se il suo posto fosse sempre stato lì, come se fosse della stessa natura. 

-Dio non interviene mai. Non importa quanto urli o strisci. Non c’è. Non ti sente e non lo farà.- proseguì agguantando il tessuto della giacca del maggiordomo per reggersi -Se vuoi salvarti devi strisciare, implorare pietà al diavolo e sperare che ti degni della sua attenzione. In cambio della salvezza avrai l’eterna dannazione, la tua anima sarà macchiata, divorata, strappata dal tuo corpo.-

Una lieve risata si liberò dalle sue labbra -Non è meraviglioso? Sentirsi strappare qualcosa che ti appartiene, sentirla scivolare via da te e non poter far nulla per fermarlo? Posso ordinare di farlo, posso ordinare di strapparti pezzo per pezzo, lembo per lembo, occhio per occhio. Posso farti dilaniare il corpo e l’anima e tu rimanere ancora vivo. Posso farti assaporare ciò che tua madre ha provato. Posso farti espiare le tue colpe con la morte più orribile che ci sia come pena. Ma… Perché dovrei farlo? Perché dovrei darti questo piacere?-

Il ragazzo aveva smesso di urlare, di muoversi, o anche solo di respirare; gli occhi fissi a quelli spaiati e spietati del bambino. Ma lui non lo guardava; lui aveva rivolto la testa al demone e sorrideva alla vista di quella creatura infernale e del suo volto iroso, ma ora più calmo.

-Poni fine alla sua vita, Sebastian.- ordinò Ciel guardando con vivo interesse la mano marchiata che ora calava inesorabile sulla testa dell’assassino, l’afferrava e premeva.

-Chiuda gli occhi, padrone.- suggerì Sebastian non appena avvertì i piagnucolii della vittima e sentì il tessuto osseo cominciare a cedere.

-No, voglio vedere. Fallo.- 

L’altro si rifiutò di ascoltarlo: voleva assaporare la morte come un demone per una volta.

-Dio! Madre!- implorò il ragazzo ormai in agonia. Sebastian ci stava impiegando più tempo del solito, notò Ciel.

-Ti ho già detto di chiedere al diavolo, ragazzo.- gli ricordò con un accenno sadico nella voce.

-Pietà!-

-No, non a lui. Lui non ti ascolterà. Lui è solo mio.-

Il volto gelido, sadico, disgustato e terrificato del giovane conte e le sue parole furono gli ultimi frammenti di memoria che al ragazzo fu concesso di conservare prima che della sua testa non restasse altro che un cumulo di carne ammassata e sanguinolenta.

Con una scrollata, il demone pulì rapido la mano e infilò il guanto a coprire anche quella. L’ira che lo aveva dominato fino a poco prima pareva essersi dissolta dal suo viso: sorrideva.

-Ben fatto, mio signore.- lo lodò raccogliendolo tra le braccia -Suggerisco sia ora di andare a casa. L’ora della nanna è passata da un bel po’ per lei.-

Ciel ridacchiò -Non che a dormire ci vada sempre quando vado a letto.-

-Sono dettagli irrilevanti, mio signore.- ribatté divertito il demone uscendo da quel capanno disgustoso.

L’altro lo ignorò di proposito -Invia una lettera a Scotland Yard a mio nome e spiega ciò che già sai. Il mio compito è finito, la Regina può dormire sonni tranquilli ora.-

-Sì, mio signore.- assentì il maggiordomo quasi spiccando il volo dalla velocità con cui saltava e correva verso la dimora del Padrone.

-Fermiamoci a Londra, torneremo domattina a casa.-

Quasi in un batter di ciglia furono alla residenza di città, e ancora più rapidamente furono dentro la stanza del conte rifatta e pulita come sempre. Nelle altre camere, Soma e Agni stavano sicuramente riposando dato l’orario così cercarono di fare il più piano possibile.

Sebastian spogliò Ciel di ogni indumento mentre la vasca da bagno lo attendeva piena di acqua calda e schiuma. Le dita del demone indugiarono a lungo sull’ematoma violaceo che lo stivale di quell’immondo essere umano aveva lasciato; quella pelle nivea, quel corpo delicato, così brutalmente fregiati davanti a lui.

-Stai pensando che se ti avessi permesso di fare a modo tuo questo non sarebbe successo.- dedusse Ciel.

Colto in flagrante, il servo non poté che annuire.

-Ma sai che sono io a stare giocando questa partita.-

Ancora una volta, Sebastian affermò con il capo. Un largo sogghigno si aprì sulla bocca del giovane.

-Che cosa patetica… Fare tutto questo per una madre uccisa dal marito anni addietro.- commentò il demone. Condusse Ciel alla vasca e lo aiutò a calarvisi dentro, inginocchiandosi accanto per lavarlo.

-Gli esseri umani sono patetici. Patetici ed ipocriti. Pensavo avessi ormai imparato a vedere bene attraverso di noi.-

Un breve contatto di sguardi bastò a far intendere dove la conversazione avrebbe portato.

-Sono desolato, mio signore. Ma ultimamente i miei occhi sono stati occupati in altro.-

Un grugno lasciò le narici di Ciel; allungò la mano fuori dalla vasca e la posò sulla pelle impossibilmente liscia dell’altro impedendogli di scostare da lui il volto.

-I tuoi occhi… Questi tuoi occhi… Sono solo per me.- asserì il giovane; sapeva ormai come sedurre il suo demone, era un gioco a cui si giocava in due ovviamente.

-Lo sono.- confermò il servo e scostò una lieve ciocca dalla fronte del padrone.

-Dimostramelo. Guardami.-

-Sempre.-



Angolo Autrice:
Buongiorno(/sera)
Spero abbiate gradito ^^. Era da parecchio che non mi cimentavo nella stesura di un caso anche se ho dato più importanza al dinamismo degli eventi rispetto all'indagine vera e propria. Le scene tra i due... Beh mi sono lasciata prendere, devo ammettere. Li adoro. Punto, fine. 
Grazie per la lettura.
-AK

  
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