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Autore: Sea    28/11/2015    2 recensioni
Il ragazzo della biblioteca è il classico esempio di ragazzo emarginato, lontano dalla società e dai contatti amichevoli, ma dietro il suo aspetto e i suoi modi c'è una storia complessa, una grave perdita. La vita sembra essersi stancata di lui, ma Ed continua ad andare al lavoro e a combattere contro il suo patrigno e il suo fratellastro per non perdere l'eredità di suo nonno: la sua casa. Sua nonna e la sua chitarra sono le uniche cose che gli restano, ma gli eventi prenderanno una piega inaspettata e tra un lavoro e l'altro, Marina entrerà prepotentemente nella sua vita.
Ecco una nuova storia dopo Afire Love! Spero di non deludere le aspettative. :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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XXIX




Il cielo era del tutto coperto.
Il freddo era più pungente degli altri giorni.
Sembrava che tutti fossero silenziosi, quel giorno.
O forse, era solo lui.
Era il 1° Gennaio 2015 e stava organizzando i funerali di sua nonna.
Era stato uno strazio parlare col tizio delle pompe funebri, ma per fortuna Marina era con lui. Aveva parlato lei per quasi tutti il tempo, lasciandogli la parola soltanto quando non sapeva cosa rispondere.
Non aveva smesso di stringerle la mano da quando era andato a prenderla quella mattina e gliela stringeva ancora mentre l’infermiera li guidava nella stanza di sua nonna. Non aveva il coraggio di entrare e guardarla. Non voleva rivivere il giorno della morte di sua madre. Non voleva che quella visione fosse reale.
  • Quando vuoi, puoi entrare. – disse l’infermiera, lasciandoli poi soli.
Marina, con gli occhi lucidi, lo guardò e si strinse al suo braccio. Cercò i suoi occhi, ma aveva una maschera così scura e spessa in volto, che non sarebbe riuscita comunque a vederlo.
  • Se non vuoi, non entriamo. – gli disse dolcemente.
  • No, voglio…voglio entrare. – rispose alla fine.
Se non l’avesse salutata lui, chi altro lo avrebbe fatto? Ben e Jef erano rimasti impassibili alla notizia, come se fosse morto il cane del vicino e lui non aveva avuto nemmeno la forza di provare rabbia.
Quando fece il primo passo, Marina lo seguì nella stanza col viso rigato dalle lacrime. Evangeline aveva il volto sereno, sembrava quasi che dormisse.
Si accostarono al letto e Marina sentì la stretta di Ed farsi più forte, mentre tendeva la mano a quella di sua nonna. Non appena fece quel gesto, Ed decise di non voler restare un secondo di più e tornarono fuori.
Richiuse la porta e si aggrappò disperatamente a lei, abbracciandola. Non poteva credere che non ci fosse più, ma si sentì meno solo quando Marina gli baciò la guancia ripetutamente, stringendolo più forte. Sentiva che anche lei stava piangendo, accollandosi una parte del suo dolore. Quella notte lo aveva invitato a restare a casa sua, ma aveva rifiutato, desiderando restare solo, ma ora che la solitudine era l’unica cosa che gli restava, la sua presenza era fondamentale.
Dovette parlare con le infermiere per informarle dell’agenzia di pompe funebri che sarebbe arrivata l’indomani, dopodiché dovette avere a che fare col direttore dell’ospizio per interrompere il contratto.
Ogni azione, ogni parola, odiava qualsiasi cosa. Odiava sentire le lacrime presentarsi di continuo ai suoi occhi, odiava vedere Marina altrettanto triste, odiava l’assenza di sua nonna.
Per anni, era stata tutto ciò che significa ‘famiglia’ ed ora doveva lasciarla andare.
Quando il giorno dopo, nel pomeriggio, si recò in chiesa per la celebrazione della messa, trovò Marina e i suoi genitori in prima fila ad aspettarlo. Lily lo abbracciò e Daniel gli posò una mano sulla spalla, con sguardo eloquente e carico di comprensione.
Lentamente, la chiesa cominciava a riempirsi. Pit, Nathan, Jessica, Louisa, Matt, Mary, tutta la squadra dell’Hawking Pub lo raggiunse per dargli un abbraccio e dirgli una parola di conforto. L’abbraccio di Nathan e le sue parole di comprensione gli strinsero il cuore. Non avrebbe ringraziato mai abbastanza il suo amico. Quando il sacerdote chiese se qualcuno volesse dire qualcosa per ricordare Evangeline, Marina si alzò in piedi, lasciandolo di stucco. Avanzò lentamente verso l’altare, sfiorando la bara ricoperta di fuori bianchi e andò a posizionarsi dietro al microfono.
  • Ho avuto la fortuna di conoscere Evangeline poco tempo fa e chi di voi la conoscesse, sa bene di cosa parlo quando dico che era un’eccezione. – si schiarì la voce. – Non parlo di quanto fosse simpatica o di quanto fosse educata, mi riferisco alla sua voglia di vivere. Quando l’ho guardata negli occhi per la prima volta, mi sono detta che da vecchia avrei voluto essere come lei: avere negli occhi una tale luce e nella voce una tale gioia, da non desiderare mai di morire. L’ho guardata e mi sono riconosciuta in lei come non mi era capitato mai con nessuno. Sapere che non è più in vita mi ha spezzato il cuore, ma lei – per me – non morirà mai. Ha saputo donarmi così tanto in così poco tempo, che una parte di lei resterà sempre viva in me. In tutti noi. In chiunque abbia avuto la fortuna di imparare la gentilezza e l’amore da lei. – guardò Edward, rivedendo in lui lo sguardo di sua nonna. – Credo…che il meglio che possiamo fare, adesso, sia sfruttare al massimo i suoi insegnamenti ed essere delle persone migliori. La vita ci da e ci toglie qualcosa di continuo, ma alcune cose restano in eterno. E io le sarò sempre grata per questo.
Quando terminò di parlare, non seppe più trattenersi e pianse. L’intera chiesa applaudì le sue parole, ma lei riusciva a sentire soltanto il battito del suo cuore, mentre tornava da Edward. Lui la abbracciò e non ci fu bisogno che dicesse niente. Le sue mani che la stringevano e il suo respiro irregolare, significavano più di qualsiasi discorso lei potesse fare.
Lui non si aspettava che lei dicesse qualcosa, ma le era grato, con tutto il cuore. Sapere che sua nonna aveva un’altra anima – oltre la sua – in cui vivere per sempre, era il più bel regalo che Marina potesse fargli.
Al termine della funzione, accompagnò sua nonna fino al cimitero vicino, seguito da una lunga fila di persone. Molti degli amici di suo nonno e in generale della sua famiglia, mostrarono molto rammarico per la sua perdita e negli occhi di qualcuno aveva visto la sua stessa tristezza. Quando la bara fu calata nella terra, accanto a quella di suo nonno, pensò che quelle fossero le persone migliori che avesse incontrato in tutta la sua vita. E giurò – ripensando alle parole di Marina – che avrebbe fatto del suo meglio.
Avrebbe fatto in modo che il segno lasciato da Henry ed Evangeline non svanisse mai dalla sua anima.
 
  • Edward, caro – gli disse Lily, una volta terminata la funzione. – se dovessi avere bisogno di qualcosa, non esitare a chiedere.
Annuì, ringraziando sommessamente la madre di Marina, per poi salutarla. Il loro treno sarebbe partito a breve ed erano già in forte ritardo, ma li ringraziò ripetutamente per essere venuti fin lì.
Lui e Marina rimasero soli, appena fuori dal cimitero.
  • Ti va un the? – chiese lei, delicatamente.
Ci pensò su, ma non sapeva cosa fare. Non aveva voglia di niente, voleva solo restare in silenzio con lei.
  • Ehi – Marina gli carezzò il viso, costringendolo a guardarla – se non ti va di tornare a casa, puoi stare da me.
La guardò, sentendo quella sua proposta così allettante, ma non voleva invadere i suoi spazi.
  • Non preoccuparti di niente – continuò lei. – non mi va che resti solo.
Finì per sospirare, annuendo. Si arrese volentieri ai suoi occhi languidi, già più sereno al pensiero di non dover avere a che fare con Ben e Jef. Tuttavia, doveva tornare a casa per avvertire Ben e per prendere almeno il suo spazzolino e un ricambio. Era una pazzia andare a stare da Marina, ma – come avrebbe detto sua nonna – meglio il rischio della felicità, che un’eterna solitudine. Se a lei andava bene, era lo stesso anche per lui.
  • Devo passare prima da casa. – le disse, continuando a guardarla.
  • Va bene. – annuì. – Vieni pure quando vuoi.
Lei gli diede un bacio sulla guancia, senza preoccuparsi del fatto che lui non ricambiasse e gli disse nuovamente che lo aspettava a casa, andando via.
Ormai solo, infilò le mani in tasca e si avviò a passo lento verso Backtown Street.
Quando rientrò a casa, prese il suo zaino e la sua chitarra, raccattando tutto il necessario per un paio di notti fuori, recuperò il testamento e i documenti pensando che non fosse il caso di lasciarli lì e tornò al piano di sotto.
  • Dormo fuori. – disse, atono – Devo lavorare.
  • Come sarebbe a dire? – disse Ben, alzandosi dalla poltrona del salotto. – Chi prepara la cena? – Era spietato. La peggiore specie di uomo che conoscesse.
  • Se non vado al lavoro, non l’avremo una cena.
A quelle parole, il suo patrigno non osò aggiungere una parola. Non gli aveva mai parlato in quel modo ed era strano che non lo avesse già messo spalle al muro. Ma chi se ne fregava di Ben, che facesse e dicesse ciò che voleva e se non aveva altro da obiettare, sarebbe andato via.
  • Porta la paga o ti sbatto fuori.
Gli voltò le spalle ed uscì, prendendo a pedalare verso casa di Marina. Più si allontanava da lì, più si sentiva meglio.
 
Marina decise di tagliare per la scorciatoia che faceva quando andava di fretta. Desiderava fare una doccia veloce prima che Edward arrivasse a casa, ma un sms la distolse dal suo intento.
| Sto arrivando. Sei a casa? |
| Non ancora, ma sto tagliando per quella scorciatoia di cui ti ho parlato, quindi dovremmo arrivare nello stesso momento.|
Avrebbe dovuto farcela giusto in tempo. Era stato piuttosto veloce, non se lo aspettava. Si inoltrò nel vicolo, affrettando il passo, ma qualcosa la fermò. Non riuscì ad andare oltre e bastò un secondo per capire che qualcuno la stesse trattenendo per un braccio. Scattò, voltandosi indietro e il viso pallido di Jef era già troppo vicino. Aveva le guancie cave per la magrezza e delle profonde occhiaie scure intorno agli occhi. Le pupille erano dilatate. Inalò tutta l’aria che potè, spaventata.
  • Ciao, Marina. – biascicò. – Dove vai tutta sola?
Senza pensarci due volte, cercò di separarsi da lui con uno strattone, ma non servì a niente e rimase agganciata a lui.
  • Lasciami! – disse immediatamente.
  • Non essere capricciosa, altrimenti diventi ancora più eccitante.
Jef rideva in maniera insana, avvicinandosi ancora. Strinse i denti, cercando di ritrarsi, ma si sentiva già con l’acqua alla gola, col piede nella fossa.
  • Dove hai lasciato il mio fratellino, eh? Era così agitato…voleva scoparti per primo.
Cercò di indietreggiare, ma più provava a divincolarsi, più Jef si avvicinava. Il respiro cominciò a farsi pesante, non potendo più gestire la paura. Quella volta era terrorizzata, non riusciva più neanche a pensare.
  • Lasciami stare! – urlò.
  • Dammi un bacio.
Allungò l’altra mano sul suo polso, tirandola a sé. Marina scostò il viso, disgustata e impaurita. Era più alto di lei e molto più forte, non riusciva nemmeno a ritirare le braccia. Si guardò intorno, sperando che ci fosse qualcuno, ma non c’era anima viva lì dietro.
  • Aiuto! – urlò con la voce ormai rotta, ma non ebbe risposta.
  • Shhh…
La presa di Jef si faceva stretta come una trappola e ormai lo aveva addosso. I suoi occhi vuoti la guardavano con un perverso desiderio, come se la stesse già violando. Quando il terrore la fece del tutto sragionare, si mise ad urlare, strizzando gli occhi.
  • Sta zitta! – urlò Jef, strattonandola.
  • Aiuto! – urlò ancora.
  • Taci, puttana!
Jef le torse un braccio, facendola ammutolire, ma riuscì ad approfittare della sua posizione per sferrargli un colpo ben assestato alle parti basse. Sentì l’aria entrare di nuovo nei suoi polmoni quando lui mollò la presa e si piegò su se stesso per il dolore. Si mise subito a correre, sentendo il cuore in gola e le lacrime riempirle gli occhi. Credette di essere riuscita a metterlo ko, ma due secondi dopo fu smentita.
  • No!
Jef l’aveva raggiunta in un istante ed ora la immobilizzava, stringendola con le braccia e sollevandola. Scalciò, urlò con tutto il fiato che aveva, ma non arrivava nessuno. La visione del vicolo vuoto fu al pari di una pugnalata.
  • Ferma!
La lasciò soltanto quando furono abbastanza vicini al muro da intrappolarla nuovamente. Con tutte le forze che aveva, cercò di spingerlo via, ma era come se gli facesse il solletico.
  • Ho detto ferma! – urlò, bloccandole le mani sopra la testa e il corpo con il suo.
Non la guardò nemmeno, pensando soltanto a lanciarsi sul suo collo e a sbottonarle il cappotto con la mano libera. Le venne da vomitare.
Jef infilò la mano sotto i suoi vestiti, sapendo bene di averla incastrata, ma lei non smise di divincolarsi. Le morse il collo troppo forte, facendola urlare ancora.
  • Ti prego, lasciami… - lo pregò, scoppiando a piangere.
  • Te l’avevo detto che con questi pantaloni neri sei troppo sexy.
Non appena Jef terminò di parlare, Marina si bloccò. Era lui. Era sempre stato lui a mandarle quei messaggi. Jef era lo stalker di cui aveva paura. Spalancò la bocca, ancora inorridita, quasi assente, ma bastò che Jef le sbottonasse i pantaloni per rinvenire.
  • No! NO! – cercò di fermarlo. – Lasciami stare!
Riuscì ad aprire anche la zip e Marina non riusciva più e respirare. Era stata del tutto annullata dalla mano di Jef, gelida, che giocava col bordo delle sue mutandine.
Era sicura, sentendo le lacrime ghiacciarsi sul viso, che fosse spacciata, che nessuno sarebbe mai passato di lì, ma un tonfo la fece sobbalzare e così anche Jef. Ringraziò il cielo, credendo che fosse un passante, poi il rumore di alcuni passi in corsa e la voce di Edward, rimbombarono nel vicolo.
  • Jef! – lo spinse via da lei – Maledetto stronzo!
Marina si lasciò cadere a terra, allontanandosi di peso dal muro. Si alzò, portandosi le mani alla bocca guardando la scena che aveva davanti.
  • Bastardo!
La sua voce era così forte da far tremare anche lei, ma ciò che più la turbò fu il modo in cui si avventò su di lui.
Ed prese Jef per il cappotto e lo spinse contro il muro, sferrandogli un pugno in pieno viso. Jef cadde a terra, troppo indebolito dalla merda che si era fatto per reagire contro di lui, lasciando al rosso la piena libertà di prenderlo a calci.
Ed non ci vedeva più dalla rabbia. Aveva perso ogni facoltà di autocontrollo e non sentiva altro che la voglia di ucciderlo con le sue mani, lì, in quell’istante. Gli diede un calcio, due, tre, ma gli sembrò che non bastassero mai, voleva con tutto se stesso farlo soffrire di più.
  • Edward! – la voce di Marina che urlava, era quasi un sussurro in confronto alla confusione che sentiva. – Edward, così lo ammazzi!
Piangeva, ma non riusciva a fermarsi.
  • No, fermati!
Jef aveva cominciato a sputare sangue e Marina non riusciva più ad assistere a quello spettacolo. Il viso di Edward era del tutto trasformato, non aveva più niente della persona che conosceva, ma la sua paura era che se non si fosse fermato in tempo, lo avrebbe ammazzato davvero. Nonostante fosse spaventata dalla rabbia con cui urlava, corse lì e lo tirò per un braccio, facendo fatica anche a farsi sentire.
  • Edward, fermati! Basta! – lo strattonò. – Lo uccidi! – urlò più forte.
Tutto d’un tratto, si fermò. Come se avesse staccato la spina, Edward si allontanò da Jef, respirando affannosamente. Probabilmente negli ultimi due minuti aveva sfogato tutto il rancore che aveva accumulato negli ultimi anni e non riusciva in alcun modo a pentirsene. Quando la sua mente non fu più offuscata, si voltò immediatamente verso Marina e la prese tra le braccia.
Aveva ancora fresca nella mente l’immagine che aveva visto girando l’angolo e il pensiero che sarebbe potuto arrivare troppo tardi, gli fece rivoltare lo stomaco.
Sentì Jef alzarsi e lo guardò, ma quello zoppicò via, tornando indietro e sparendo in una traversa secondaria.
Un secondo dopo, Marina scoppiò in lacrime.
 
Entrambi volevano dimenticare quella giornata.
Seduti sul divano, finalmente a casa, avevano trascorso l’ora successiva in silenzio, soltanto i singhiozzi di Marina riempivano la stanza. L’aveva tenuta in braccio senza mai smettere di stringerla, ma non era riuscito a dirle niente, la voce ancora bloccata per la paura e la rabbia che lui stesso aveva provato.
Jef stava per violentare la sua Marina.
Al solo pensiero sentiva ancora l’impulso omicida che lo aveva impossessato prima nel vicolo. Non sapeva cosa sarebbe successo se Marina non lo avesse invitato a stare da lei e se avesse percorso la strada principale invece della scorciatoia. Non ci volle pensare, carezzandole i capelli.
  • Edward – finalmente parlò – Jef…Jef nelle ultime settimane mi ha mandato degli sms un po’, ecco…spinti.
  • Come…?! – disse, allarmandosi ulteriormente, chiedendosi perché lei glielo avesse taciuto.
  • Non sapevo che fosse lui, l’ho capito prima.
  • Cioè, qualcuno ti scriveva sms strani e non me lo hai detto?
Lei si sentì mortificata, ma lui non ebbe il coraggio di rimproverarla oltre dopo tutto ciò che era accaduto ultimamente e dopo lo shock che aveva subito poco prima, ma lei continuò a parlare.
  • Io volevo andare alla polizia, ma poi non avevo mai il tempo o rimandavo. – lo guardò. – Però adesso voglio denunciarlo.
Ed scattò, dilatando gli occhi. No, non poteva chiamare la polizia, non prima che avesse riavuto la casa. Se avessero scoperto che avesse fatto il corriere per Jef, la sua situazione sarebbe stata compromessa e ogni cosa sarebbe stata vana. No, doveva impedirglielo.
  • No! – disse, troppo agitato. – Non puoi!
  • Cosa? – lei lo guardò quasi sconvolta. – Come puoi dire questo?
  • N-no, cioè, aspetta – tentennò. Non sapeva cosa fare. Non aveva scuse valide, ma aveva paura di dirle la verità. – Marina, c’è qualcosa che non ti ho detto.
Lei lo guardò, scostandosi ulteriormente dal suo petto per guardarlo meglio, col viso accigliato e l’espressione confusa. Ed deglutì, guardandola negli occhi.
  • Vedi, quando ci siamo conosciuti, ecco…Jef mi ha costretto a fare da corriere per lui.
  • Per cosa?
  • P-per la droga.
Marina spalancò la bocca, perdendo colorito.
  • Cosa? Perché…? – chiese, la delusione nel suo tono.
  • Io non volevo farlo, ma…
Le raccontò per filo e per segno tutto ciò che era successo: di Tyler, della polizia, delle minacce e delle conseguenze che la sua denuncia poteva avere per lui. Marina non disse una parola per l’intero racconto, limitandosi a guardarlo con aria quasi assente. Lui restò immobile, attendendo che lei facesse qualcosa, terrorizzato che a momenti lo sbattesse fuori di casa – e avrebbe avuto ragione.
  • Perché non me lo hai detto? – chiese, flebilmente.
  • Non volevo metterti ulteriormente in pericolo. – le spiegò, semplicemente.
Lei non disse niente sulla casa o sulla polizia, l’unica domanda che gli porse fu quella, dopodiché si richiuse in se stessa, rannicchiandosi di nuovo sulla sua spalla.
Le promise, mentre il buio calava definitivamente, che quando sarebbe tutto finito sarebbero andati alla polizia insieme e lei annuì in silenzio.
Marina, persa del tutto nei suoi pensieri, fu richiamata dal brontolio dello stomaco di Ed dopo un tempo indefinito, ma molto lungo, infatti quando guardò l’orologio erano le 22: 25 e loro erano senza cena.
Come un automa, si alzò e preparò qualcosa per entrambi. Seduta accanto a lui, non riusciva a smettere di pensare a quante cose fossero accadute nel giro di 48 ore, per non parlare del fatto che un organizzazione criminale l’aveva seguita e spiata senza che lei si accorgesse di niente. Avrebbe parlato meglio con Ed di quel dettaglio quando fosse stata più lucida, ora tutto ciò che voleva era sentire il suo calore e dimenticare le mani gelide di Jef che le carezzavano il ventre.
  • Ti va se ti suono qualcosa? – chiese lui, molto più rilassato di prima.
Lasciò che prendesse la chitarra e cominciasse a suonare accanto a lei.
Ed aveva capito che Marina fosse un pochetto arrabbiata per la questione della polizia, ma riuscì a convincersi che lo avesse perdonato. La guardava negli occhi, cantandole la sua canzone. Non si aspettava di riuscire a strapparle un sorriso, ma eccolo lì che le decorava il volto. Lui stesso si sorprese di essere così tranquillo, ma sapeva che era merito di Marina, della sua casa e della sua presenza. Suonare, lo aiutò a distendere ulteriormente i nervi.
  • Quando l’hai cantata all’Hawking avrei voluto fartela cantare a ripetizione. – gli confessò, guardandolo in viso, i lividi ancora scuri. Lui sorrise, ripensando alle sue labbra. – Ora sai cosa provi?
Lui abbassò lo sguardo, ricacciando fuori tutta l’aria in una lieve risata, per poi tornare a lei.
  • Sì, lo so.
Marina sorrise e si sporse verso la sua guancia, per posarvi un bacio. Lui non smise di suonare per un po’, fin quando non decise che dovesse essere lei a provare.
Riuscì a distrarla, giocando col lei sul divano, finchè – stremati – si addormentarono con la lampada accesa.
Nel pieno della notte, Ed si svegliò, sentendosi confuso come se il tempo fosse scivolato via troppo in fretta, come se le cose fossero successe ad alta velocità. Il peso della testa di Marina gravava sulla sua spalla. La guardò e si chiese come si sarebbero svegliati l’indomani, con quali intenzioni. Aveva paura che lei, ragionando più lucidamente, si sarebbe infuriata.
Respirava con la bocca leggermente aperta, ma il suo viso era sereno. Delicatamente infilò una mano nei suoi capelli, le resse la testa e cercò di spostarsi e quando riuscì a mettere il braccio dietro al suo collo e l’altro sotto le sue gambe, la prese in braccio. Era stanco morto, ma riuscì comunque ad alzarsi. Si diresse direttamente alla camera da letto, spingendo la porta con un piede e una volta al letto, si abbassò per posarvela. Cercò di essere delicato, ma lei si svegliò. Si mosse, ancora tra le sue braccia e i suoi occhi si aprirono lentamente. La fioca luce che proveniva dall'altra stanza le bastò a riconoscere il suo viso.
La lasciò definitivamente sul materasso, cominciando ad alzarsi.
  • Scusa. – le sussurrò. – Dormi pure.
Stava per lasciarla sola, convinto che sarebbe crollata entro pochi secondi, ma la sua voce roca e assonnata lo fermò.
  • No, Edward. Resta qui.
La guardò indicare il posto vuoto accanto a lei e si sentì andare in fiamme. Dormire nel suo letto?
  • Ti prego. – disse, rialzandosi dal cuscino per cercare il suo pigiama.
  • Sei sicura? – le disse, incerto.
  • Non mi va di restare sola. – disse lei, ma senza alcun imbarazzo.
Cercò il suo sguardo e non vi trovò insicurezza. Fece il primo passo verso il letto e lo aggirò, andandosi a sedere sull’altra sponda. Si sfilò le scarpe, senza riuscire a mettere un punto ai suoi pensieri, ma che poteva farci? Era un uomo.
Marina sparì oltre la porta, così approfittò per andare a recuperare la sua tuta e cambiarsi. Lei tornò nella stanza con indosso un pigiama, ma non era quello con gli orsetti, uno più standard. Più da adulta, diciamo così. Le diede il cambio al bagno per lavarsi i denti e si guardò allo specchio. Istintivamente si sistemò i capelli e si diede da solo dello sciocco: non si era mai preoccupato del loro ordine ed ora voleva sistemarli.
Quando tornò nella stanza, lei aveva tirato via le coperte e guardandola finalmente notò una certa rigidità nei movimenti. Allora non era il solo ad essere nervoso. Tuttavia, la seguì sotto quel manto, sentendo le lenzuola fredde congelargli i piedi. Marina si era voltata verso di lui e avendo i suoi occhi incollati addosso, non potè voltarsi dall’altra parte per sfuggire all’imbarazzo. Era assurdo: era a letto con Marina e la fissava. Probabilmente stava sognando e si sarebbe svegliato l’indomani con la vaga sensazione di aver dormito male, ma un movimento di Marina lo fece agitare a tal punto che il cuore prese a battere in modo tachicardico. Lei, struccata e con gli occhi assonnati, si spostò i capelli arruffati dal viso e si sporse verso di lui, cercando le sue labbra. Bastò un attimo per accettare il suo invito, sentendo un improvviso ardore nel petto. Le andò incontro, rosso come i suoi capelli e la baciò, chiudendo gli occhi. La sensazione delle lenzuola pulite e quella delle sue labbra calde erano la perfetta combinazione per la felicità. Le carezzò il viso, ormai rassegnato al fatto di essersi innamorato e di essere contento di trovarsi in quel letto. Mentre Marina gli dava un bacio sul naso e gli carezzava la barba, non esisteva un’altra cosa al mondo che importasse di più.
Spensero la luce e l’ultima cosa che percepì, fu la vita di Marina sotto il suo palmo.






Angolo autruce:

Ok. Trucidatemi. Sono pronta.
Scusate, non aggiungo altro perchè sto per crollare sul pc, ma volevo comunque aggiornare dato che domani ho da fare e siete tantissimi, non voglio farvi aspettare oltre.
Vi aspettavate un capitolo del genere? Personalmente, non è tra i miei preferiti, ma è comunque importante. Fatemi sapere cosa ne pensate!

NON PERDETEVI IL PROSSIMO CAPITOLO (che sarà pubblicato tra mercoledì e giovedì) !

Grazie a tutti. :)

S.



Bonus: Ed e un'ipotetica piccola Kathy (foto trovata su tumblr - proveniente da instagram) e Ed che dorme. :)

 

   
  
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