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Autore: Kia85    29/11/2015    5 recensioni
Dio, se c’era una parola che potesse essere abbinata a George Harrison era sicuramente sole.
Avrebbe vissuto abbastanza per vedere tornare il sole?
Sperava di sì, almeno un’ultima volta, ma sapeva, in profondità dentro di lui, che no, non l’avrebbe più rivisto.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, George Harrison
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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R.I.P. George

 

Here comes the sun

 

 

Le gocce di pioggia battevano contro il vetro quasi volessero entrare a qualunque costo nella stanza.

Era assurdo, pioveva incessantemente da giorni su Los Angeles.

Non che a George non piacesse. Dopotutto la pioggia era vita per le sue amate piante. Ma dannazione, stavano rendendo i suoi ultimi giorni di vita più cupi di quanto già non fossero.

Sì, era così. Stava morendo. Come lo sapeva? Beh, glielo aveva detto il suo dottore, no? Anche se, andiamo!, non ci voleva certo una laurea in Medicina per capirlo. Dopo quello che aveva passato, sapeva perfettamente che il suo corpo stesse cedendo lentamente alla malattia e che la sua anima si stesse preparando a lasciare la vita terrena e… andare oltre. Non sarebbe stato facile, ne era convinto. Ed era la cazzata più colossale del mondo dire che non avesse paura. Tutti l’hanno. Possono fare gli sbruffoni quanto vogliono, ma è inevitabile.

Aveva paura, ma non tanto perché non avrebbe vissuto più. Quello in fondo rientra nel normale cerchio della vita. Piuttosto la sua paura era dovuta al fatto che avrebbe affrontato tutto questo da solo. Sì, sicuramente ci sarebbe stata la sua famiglia accanto a lui, a infondergli coraggio e amore, ma sarebbe stato solo. E questo spaventava infinitamente.  

George cercava di non darlo a vedere, soprattutto davanti a suo figlio, ma dubitava che stesse facendo un gran lavoro. Probabilmente tra qualche mese Dhani avrebbe detto che George Harrison fosse stato un grande anche in questo, che aveva avuto il coraggio e la forza di un leone fino all’ultimo momento della sua straordinaria vita. E forse era vero, o forse no, ma non importava.

Ciò che contava era solo sforzarsi di stare bene, per quanto la sua situazione glielo permettesse. Per suo figlio, per non farlo preoccupare. Dhani era già fin troppo... non sapeva neanche che aggettivo usare, nessuno sembrava adattarsi.

Per questo motivo aveva bisogno del sole. Col sole sarebbe stato tutto molto più facile, ne era certo.

Dio, se c’era una parola che potesse essere abbinata a George Harrison era sicuramente sole.

Avrebbe vissuto abbastanza per vedere tornare il sole?

Sperava di sì, almeno un’ultima volta, ma sapeva, in profondità dentro di lui, che no, non l’avrebbe più rivisto. Era una certezza, tanto quanto il sapere che non avrebbe resistito fino alla settimana successiva. Il respiro era ogni giorno più difficoltoso, le gambe gonfie gli impedivano di camminare ormai da settimane, e le forze stavano abbandonando lentamente le sue membra. Anche il più piccolo gesto era diventato così faticoso da costringerlo quasi a rinunciarci.

Tuttavia, c’erano azioni per cui doveva compiere lo sforzo, come ad esempio, allungare la mano per accarezzare la testa di Dhani, appoggiata  sul materasso. Amava i suoi capelli, erano fini e setosi come quelli di Liv.

Il suo ragazzo passava tutti i giorni a casa con lui. Di tanto in tanto si dava il cambio con sua madre, ma sostanzialmente suo figlio non lo abbandonava mai. E se questo da un lato lo rincuorava, dall’altro lo faceva sentire in colpa. Dhani aveva solo 23 anni. Avrebbe dovuto vivere la sua vita da ragazzo, sarebbe dovuto uscire con gli amici e la fidanzata, stare fuori fino a tardi, vivere con passione ogni istante della sua vita. Avrebbe dovuto far preoccupare George, quando non tornava a casa all’ora stabilita, non doveva essere il contrario.

Non doveva essere George a farlo stare in ansia, perché ogni giorno poteva essere l’ultimo trascorso insieme. Era terribilmente frustrante.

Era frustante come sapere che non sarebbe stato lì per il prossimo compleanno di Dhani, e neanche per il prossimo Natale.

Era frustante non vederlo più vivere, abbandonare al mondo quel figlio tanto desiderato, e non essere più in grado di proteggerlo dalla cattiveria della gente, perché la gente è cattiva dentro ed era capace di fare del male a quell’animo sensibile. 

George non sarebbe stato lì quando Dhani avrebbe compiuto trent’anni, quando si fosse sposato, quando avrebbe avuto il suo primo figlio.

George avrebbe perso tutto.

Tutto, cazzo.

Tutto.

Eppure sapeva che in qualche modo, parte della sua anima sarebbe rimasta dentro quel giovane, bellissimo ragazzo.

In qualche modo sarebbe stato lì con lui, a vivere le stesse cose con lo stesso entusiasmo. E questo piccolo raggio di speranza era così vitale ora che George vi si aggrappò con disperazione, stringendo la mano di suo figlio.

In quel momento, la testa del ragazzo si mosse, segno che si stesse svegliando.

“Mm… papà?” mormorò lui, assonnato, “Che succede?”

George sorrise, dandogli un piccolo buffetto sul dorso della mano, “Niente, non ti preoccupare. Torna a dormire.”

Ma Dhani non lo ascoltò e alzò definitivamente il capo per guardare a fondo suo padre.

“Sei sicuro?”

“Ma certo.”

Dhani annuì, ma lui lo sapeva e George lo sapeva, che avesse intuito perfettamente cosa stesse pensando. Era solo un’altra cosa di cui George non avrebbe mai parlato. Non con lui, almeno, perché non avrebbe mai potuto dargli questo ulteriore peso.

“D’accordo.” sospirò il ragazzo, “Come vanno le caviglie? Ti fanno ancora male?”

“Non come stamattina.” rispose George, provando a muovere le gambe.

“Davvero?”

“Certo, se dicessi ‘ehi figliolo, mi sento alla grande’, capiresti anche tu che si tratterebbe di una bugia colossale, ma credimi, va sicuramente meglio di stamattina.” affermò George, mostrandogli il segno della vittoria.

“Bene, allora. Hai bisogno di qualcosa? Un po’ d’acqua, o un succo? Che ne dici?”

George scosse il capo alle proposte di Dhani. No, con tutto quello scrosciare d’acqua non aveva sete per nulla. Piuttosto, aveva un desiderio da soddisfare prima che fosse troppo tardi.

“Vorrei che cantassi per me.”

Da troppo tempo non c’era più musica in quella casa. Era anche vero che non fosse la sua casa, con le sue cose, il suo studio, le sue chitarre, che tanto lui aveva amato, che erano state abbracciate e accarezzate dal suo corpo con l’unico scopo di creare musica. E ora quelle chitarre giacevano da qualche parte senza vita, senza che lui potesse più suonarle. Non poteva, lo sapeva, anche se avesse provato. Le dita gonfie non glielo avrebbero mai permesso.

Ma Dhani sì, Dhani era ancora lì per lui ed era la sua unica e ultima occasione di ascoltare ancora musica.

Il ragazzo batté le palpebre un po’ preso in contropiede, ma alla fine annuì e sorrise.

“Va bene.” esclamò, avvicinandosi ad un angolo e recuperando la sua chitarra, “Qualche richiesta particolare?”

“Prova a indovinare. Sei bravo in questo.”

Dhani lo osservò e George sorrise, sicuro che suo figlio avesse già capito.

Due minuti dopo, infatti, dopo aver sistemato velocemente l’accordatura, Dhani iniziò a pizzicare le corde e la melodia che George aveva composto in un assolato pomeriggio di primavera di molti anni prima invase la stanza e il suo cuore.

La voce di Dhani era chiara e limpida, il suo pizzicato pulito e preciso, era una gioia vederlo suonare e sentirlo cantare. In quel momento George non poteva essere più orgoglioso e sì, felice.

Perché per quel breve momento, il sole era tornato nella sua triste stanza a Los Angeles.

Dhani era sempre stato il suo sole e George era felice di averlo potuto vedere l’ultima volta, mentre suo figlio avrebbe sempre avuto occasione di rivedere suo padre e risentire la sua voce. Con tutto il materiale dei Beatles prima, e da solista dopo, davvero non avrebbe avuto modo di dimenticare la sua voce, o la smorfia che faceva quando parlava.

George non era esattamente convinto che fosse una cosa positiva. Forse i primi tempi sarebbe stato molto, troppo difficile. Ma una volta che la ferita si fosse cicatrizzata, Dhani ne sarebbe stato felice e si sarebbe sentito molto fortunato. Non era da tutti, purtroppo.

La canzone terminò e George applaudì dolcemente, mentre Dhani si alzava e si avvicinava.

“Come è andata?”

George fece una smorfia di biasimo, “Insomma, dovresti sistemare ancora qualche passaggio-”

“Ma-”

“Ma mi è piaciuta molto, grazie mille.” affermò George, interrompendo tutte le proteste di Dhani.

Il ragazzo si ritrovò a sorridere molto compiaciuto. Non era da tutti ricevere un complimento da George Harrison in persona.

“Figurati, papà.”

“E’ meglio che ti prepari ora. Non devi uscire con i tuoi amici stasera?”

“Sì, ma posso rinviare e restare.”

George si affrettò a scuotere il capo con tutta la forza che gli era rimasta in corpo, “No, no, vai e divertiti anche per me. La prossima volta usciremo insieme solo io e te, ok?”

“Papà…”

George gli sorrise, prima di allungare una mano e accarezzargli una guancia.

“Vai ora e non ti preoccupare. Andrà tutto bene, amore mio.”

Andrà tutto bene.

Andrà tutto bene.

Non erano andate esattamente bene le cose. Suo padre era morto tre giorni dopo. E sebbene George si fosse preparato in tutti quegli anni con la meditazione e il graduale distacco dal proprio corpo, la fine era stata terribile. Terribile davvero. Anni di sofferenza culminati negli ultimi strazianti giorni, con il corpo di George che si era arreso definitivamente alla malattia.

Dopo quelle ultime parole di speranza, George era entrato in un coma profondo. Non era esattamente coma, ma non faceva altro che dormire e aveva il respiro pesante… come lo aveva chiamato l’infermiera? Russante, sì, quello tipico di chi sta per morire. Dhani poteva benissimo ricordare il brivido che l’aveva percorso quando l’infermiera gli aveva spiegato tutti questi particolari tecnici.

Stava davvero arrivando la fine.

E poi…poi…

Poi poco prima di morire era peggiorato tutto. Quando George se n’era andato, era più sveglio che mai. I suoi occhi spalancati e spaventati cercavano lui e sua madre con disperazione, chiedendo un aiuto che nessuno poteva più dargli. In quel momento Dhani era impazzito in quella stanza. A un certo punto aveva anche provato ad uscire per scappare il più lontano possibile, ma il senso di colpa lo aveva afferrato per la pancia ed lo aveva fatto rientrare due minuti dopo.

Non poteva scappare. Non avrebbe mai lasciato suo padre da solo in quel momento, proprio come lui non aveva mai lasciato solo suo figlio.

Infine tutto si era calmato, il respiro di George si era fatto più debole fino a quando non era cessato del tutto.

Il corpo era ormai privo di vita, ed era diventato subito freddo. Dhani non avrebbe mai dimenticato la sensazione della sua mano fredda che molte volte si era intrecciata con la sua da piccolo. Ora invece era rigida. Non avrebbe mai più potuto stringere la sua, né accarezzarlo, né sfiorare le corde di una chitarra.

Dhani si chiese quanto suo padre avesse sofferto per l’impossibilità di suonare negli ultimi mesi. La chitarra era la sua vita. Le uniche volte in cui non ne imbracciava una era per stringere lui e sua madre o per occuparsi delle sue piante. Ma per il resto la chitarra era una sorta di naturale continuazione del suo corpo.

Forse per questo motivo Dhani aveva deciso quel giorno di prendere la sua chitarra e andare in giardino a suonare.

La canzone, naturalmente, era sempre quella. Da piccolo pensava che avesse il magico potere di far apparire il sole. Era stato suo padre a dirglielo, e gli aveva garantito che funzionava sempre, al 100%. Ma con Dhani non aveva mai funzionato. Forse perché non era lui l’autore, si diceva da piccolo.

Tuttavia proprio ora, quando il cielo plumbeo era così perfetto per rispecchiare il suo stato d’animo, alle prime note della canzone, il sole fece capolino tra le nubi con un raggio che illuminò la città di Los Angeles.

Stava funzionando.

Solo che, Dhani ne era convinto, non era merito della canzone, né tantomeno suo.

No, certo che no.

Era merito di suo padre. Lui aveva fatto arrivare il sole, proprio come la sua canzone lo faceva arrivare nei cuori delle persone che la ascoltavano.

E lo aveva fatto proprio in quel momento, dopo tanti giorni di pioggia e temporali, per assicurare a Dhani e Olivia che stesse bene, dove si trovava ora.

Per dirgli ancora una volta…

Andrà tutto bene.

 

Note dell’autrice: era da un po’ che volevo scrivere una os di questo tipo, e finalmente ce l’ho fatta per l’anniversario della morte di George.

Non è stato per nulla facile, ma ci ho provato. Purtroppo è la storia più personale che abbia mai scritto. Ma sentivo proprio di doverlo fare in questo periodo.

Comunque, ringrazio tantissimo Anya che mi ha sostenuto e spronato a scriverla, nonostante sapesse quanto fosse difficile per me, per la sua pazienza infinita. E la ringrazio anche per la correzione. <3

Grazie anche a Chiara e Paola per l’incoraggiamento e l’affetto che mi mostrano. :)

Alla prossima

Kia85

 

   
 
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