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Autore: luxuryloser    29/11/2015    3 recensioni
Arthur, Merlin, e il dramma dello svegliarsi la mattina.
Doveva esserci qualcosa di eccitante nella completa e totale stupidità di Merlin, perché a quelle due, quasi derisorie parole si sentì improvvisamente catapultato fuori dal regno di piume bianche che separa il sonno dalla veglia, con tutte le forze necessarie per ucciderlo per l’affronto. O per afferrare uno dei cuscini con cui fino a un attimo prima si schermava dalla luce del sole e lanciarlo senza troppe cerimonie contro il servitore, facendogli perdere l’equilibrio.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione, Contesto generale/vago
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Genesi di una breve storia.
È sabato mattina, dopo la prima notte in cui ho dormito abbastanza.
Riguardo puntate di Merlin a letto. 2x02, the once and future queen.
Arthur parla della giostra, dice “It’s not a pillow fight, Merlin.”
Io decido di tirar fuori qualcosa di Merthur anche da questa puntata,
e vengono fuori mille parole di fluff incontrollato.
Here’s to you.
 
 



It’s not a pillow fight


 
Luce.
Più o meno l’ultima cosa che avrebbe desiderato vedere in quel momento, da cui nascondersi seppellendo la testa tra i cuscini, coprendosi con la coltre di tessuto rosso. Galli cantavano in lontananza, luce, più luce ancora, che quasi passava attraverso le lenzuola.
Fino a che anche quell’unica barriera tra i suoi occhi strizzati ed i raggi solari non fu sollevata. Senza la sua approvazione.
Merlin.

“Buongiorno, pigro fiorellino!”

Il suo servitore lo guardava sfocato dal fondo del letto a baldacchino, una pila di coperte appallottolate tra le braccia, a coprirlo quasi del tutto, lasciando visibili solo gli occhi, e quelle sue assurde orecchie.

“È ora di alzarsi, sire, una fantastica giornata vi attende!”

Chissà come, ma era certo che vi fosse qualcosa di derisorio nel suo tono troppo allegro, accompagnato da un sorriso a trentadue denti, che si estendeva quasi da un orecchio all’altro.
Fosse stato più lontano dalle braccia di Morfeo, si sarebbe chiesto il motivo di quella improvvisa ossessione per i padiglioni auricolari del servo. Fortunatamente, non era ancora abbastanza vigile per farlo.
La sua vista si era finalmente adattata alla insopportabile quantità di illuminazione, iniziò a distinguere appieno le forme, i contorni, l’odore della colazione. Le fossette agli angoli delle labbra di Merlin, che scomparvero non appena il suo sguardo divenne troppo insistente.
Si riscosse.

Merlin, cosa abbiamo detto riguardo lo svegliarmi quando non ce n’è un motivo valido?”

“Che la prossima volta sarei finito alla gogna.”

Il servitore scrollò le spalle, inclinando la testa da un lato e lasciando cadere la pila di coperte ai piedi del letto, dimostrando meno anni di quanti ne avesse.

“E provi particolare piacere, dimmi, ad essere coperto di frutta e verdura?”

Arthur si rigirò nel letto, ormai quasi del tutto sveglio, quasi pronto a scendere dal letto, solo per nulla intenzionato a farlo. Trasse a sé l’ultimo, leggero strato di lenzuola, sentendo il tessuto morbido a contatto con la pelle scoperta del petto, lasciandosi sfuggire un mugolio soffocato.

“Fortunatamente per le provviste di Camelot, c’è un motivo valido.”

Lo fissava con quel suo sorriso da idiota, le mani sui fianchi, quella solita aria quasi beffarda.

“Sto aspettando.”

Ebbe addirittura la faccia tosta di ridere.

“È mattina.”

Doveva esserci qualcosa di eccitante nella completa e totale stupidità di Merlin, perché a quelle due, quasi derisorie parole si sentì improvvisamente catapultato fuori dal regno di piume bianche che separa il sonno dalla veglia, con tutte le forze necessarie per ucciderlo per l’affronto. O per afferrare uno dei cuscini con cui fino a un attimo prima si schermava dalla luce del sole e lanciarlo senza troppe cerimonie contro il servitore, facendogli perdere l’equilibrio.
Dopo il primo, un secondo, un terzo, un quarto, fino a che non li ebbe finiti, le gambe attorcigliate nel lenzuolo, le labbra aperte in un sorriso che quasi faceva male.
Era facile, tutto, con Merlin. Forse era il suo terribile senso dell’umorismo, forse il fatto che non sembrava avere il minimo interesse nell’osservare i comportamenti che chiunque avrebbe tenuto di fronte al principe ereditario di Camelot, forse ancora perché aveva afferrato al volo l’ultimo guanciale, a un millimetro dalla punta del suo naso, e lo stava guardando come un bambino nel mezzo dei giochi, sul punto di vincere.
Arthur, però, non perdeva mai.
Il tempo di battere le ciglia, di pensare a quale fosse l’oggetto più vicino da lanciare, e Merlin era a due spanne di distanza, le dita affondate nel cuscino di piume, una risata interrotta sul nascere ma dipinta nel sorriso sul suo volto. La sua presa sul guanciale si strinse, e Arthur sapeva che se avesse oltrepassato quel limite, se avesse scherzato con lui fino a quel punto, non sarebbe stato affatto come un gioco tra due ragazzini.
Non gli lasciò nemmeno il tempo di un respiro, aggrappandosi a quella minima, languida occasione di qualcosa che non avrebbe saputo definire.
Un movimento, addominali contratti, mani strette intorno alle sue spalle, e Merlin era sotto di lui, tra quello che rimaneva del corredo del letto e quel cuscino che aveva appena sfiorato il suo volto, a guardarlo con quegli accidenti di occhi blu, con una maledetta espressione che non sapeva interpretare.
Lui non perdeva, mai.

“Tu, piccolo—“

Lui non rispose e socchiuse gli occhi, trattenendo le risate o il suo perenne e masochistico desiderio di dargli dell’asino, un raggio di sole a colpirlo sugli zigomi, a proiettare ombre angolose.
Una spanna. Mezza. Meno ancora.
Aveva delle ciglia veramente lunghe.
Prima ancora di pensarci, prima ancora di sapere di desiderarlo, prima ancora di realizzare che la distanza tra loro si era ridotta a tal punto da non essere più ripristinabile, si ritrovò a coprire le labbra di Merlin con le sue.
Erano così morbide, solo leggermente screpolate, calde, immobili per un istante a quel contatto, e poi all’improvviso ancora più vicine, tanto da non distinguere tra la pelle di uno e quella dell’altro, tanto da confondersi su come si facesse a respirare, e farlo insieme quando mancava ormai il fiato…
E ricevere un cuscino in pieno volto, nell’unico istante in cui si era distratto, dal ragazzo che ora gli giaceva a fianco, i capelli scompigliati, le labbra lievemente arrossate.
Arthur lo fissò per qualche istante di troppo, chiedendosi quanto tempo fargli trascorrere alla gogna, quanto a rigovernare i suoi cavalli, quanto a baciarlo fino a lasciarlo senza respiro.
Forse era quell’ora del mattino, forse era il sole che non accennava a spegnersi, forse ancora era la sua risata, il modo in cui in quel momento non parlava, forse il vento, forse il sidro della sera prima, forse quella lotta coi cuscini, forse i suoi occhi, forse le sue orecchie.
Decisamente le sue orecchie, quelle c’entravano in tutto.

“Neanche questa è una lotta con i cuscini, Merlin.”

“Ah no?”

No, gli rispose, senza parole, chiudendo ancora una volta quella minima distanza, nel momento in cui entrambi chiudevano gli occhi, ma chissà come il blu di quelli di Merlin gli restava spalancato di fronte.
È molto di più.
 






 
Coming next, in un contesto totalmente diverso, gli stessi due idioti.
 
“Non esiste problema al mondo che non possa essere risolto con un gelato."
La voce di Hunith interruppe i suoi pensieri vuoti, subito seguita da due giganteschi barattoli di B&J piazzati nel pieno del suo campo visivo.
“Se non funziona, è perché il gelato non è abbastanza grande.”
E mi godo una relazione con due uomini in simultanea. Ben e Jerry.
 “Così sarò depresso e grasso?”
Ancora non aveva finito la frase, che Gwaine aveva già agguantato un cucchiaio da tavola, con il quale aveva senza troppe cerimonie attaccato il gelato al brownie.
C’era da dire che lui non avrebbe avuto difficoltà a smaltirlo.
 
  
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