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Autore: Death_    29/11/2015    2 recensioni
[...]Ansiosa e tremante, chiuse gli occhi, dandosi della fifona. Sicuramente il suo Signore non avrebbe avuto la benchè minima paura di qualche uccellaccio.
«Lui non ha paura di voi.» fece indispettita nella direzione di un ignaro gufetto.
«Lui non ha paura di nulla.» continuò, immersa nell’immaginare il signor Sesshomaru comparire tra le fronde di quelle quercie.
Chiuse gli occhi e contò.
Uno, due, tre.
“Jaken...” Avrebbe dovuto ascoltare i suoi rimproveri.
Quattro, cinque, sei, sette.
“Signor Sesshomaru...” Sarebbe venuta a prenderla? Lei che, dopotutto, non era che un peso? Come nei suoi sogni, forse?
Otto, nove, dieci.
«Rin.»
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inuyasha, Jaken, Kagome, Rin, Sesshoumaru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La via del ritorno.


«Eddai Inuyasha, smettila!» sbottò alterata Kagome, camminando a fianco del mezzodemone.
«Ma cosa ho fatto questa volta?» si lamentò di rimando Inuyasha, proseguendo sul sentiero e allontanandosi sempre più dalla foresta. In lontananza Rin poteva sentire ancora il loro battibeccare.
Distratta da quei rumori, perse l’equilibrio e cadde dall’albero su cui si stava arrampicando, finendo a terra malamente.
Si rialzò un po’ acciaccata, scuotendo la testa per togliere la terra dal viso. Si guardò le ginocchia un po’ tremanti per lo spavento che si era presa scivolando, ma fortunatamente non si era sbucciata.
Battendo le mani sullo yukata arancione, si inoltrò tra gli alberi. Sgattaiolò tra tronchi e arbusti, fermandosi ora a fissare ed a molestare un povero bruchetto verde, ora per raccogliere e mangiare qualche fragolina di bosco dal dolce quanto esiguo succo.
Jaken l’aveva lasciata da sola per andare alla ricerca della stessa sacerdotessa dai capelli corvini che aveva visto allontanarsi, e che tante volte era stata dolce con lei. Il kappa verde doveva pure averle spiegato il perchè di quella missione, ma lei se lo era dimenticata.
Il signor Sesshomaru, come di norma, era volato via senza proferir parola, solo lanciandole un’occhiata ammonitrice.
Ma essendo lei una piccola, combinaguai, forza della natura, poteva starsene buona e quatta là dove Jaken l’aveva costretta ad aspettare? No, s’intende.
Stava vivendo la sua piccola avventura, fingendo di avere lunghi e nivei capelli, la forza di mille e più demoni e la velocità del vento. Immaginava di poter volare tra i banchi di nuvole come solo il suo Signore sapeva fare, sognava di poter sentire il battito d’ali di una libellula a migliaia di miglia di distanza.
Si esibiva in complicate e immaginarie acrobazie ed inciampava, inesorabilmente, atterrando sulle ginocchia già livide o sul didietro.
Poi si rialzava, senza fare espressioni di alcun tipo. Il suo signore Sesshomaru non le faceva. O meglio, lui le faceva e lei non se ne perdeva nemmeno una. Quando era infuriato tendeva a guardare fisso dinanzi a sè e serrava impercettibilmente la mascella; quelle poche volte che era rilassato distendeva i muscoli della fronte e le sopracciglia si abbassavano. Solo quando combatteva si potevano vedere i suoi occhi – oh, quegli stessi occhi che lei sognava ogni volta e che venivano a salvarla sempre, senza mai deluderla – accendersi e ardere. Ma gli altri non le vedevano quelle infinite quanto minime sfaccettature. Forse non volevano, forse era lo stesso signor Sesshomaru che non lo permetteva.
In un qualche egoistico modo, lei era davvero felice di essere l’unica a poter godere di quel privilegio. Era letteralmente entusiasta ed inebriata dalla sensazione di poter quasi toccare quel viso, di poter quasi soffiare su quelle ciglia lunghe e forti.
 
Il sole andava calando, ma lei si rese conto troppo tardi di essersi allontanata troppo. Decise saggiamente di tornare indietro, ma per quanto si sforzasse non rammentava la via del ritorno. Si guardò a destra, poi a sinistra, contò quanti passi faceva in ogni direzione, cercò di seguire le sue impronte – come faceva il signor Sesshomaru, quando era suelle tracce del nemico – ma non trovò nulla di familiare.
Molte volte era rimasta da sola, di notte, nella foresta, ma ora – nemmeno lei sapeva perchè – provava angoscia e quasi timore. Forse temeva di non poter tornare dal suo Signore, che lei alla fin fine era solo una bambina e che il Grande Generale non sarebbe mai venuto a cercarla.
Nei suoi sogni lo faceva però. Lo faceva ogni volta.
Doveva forse chiamarlo?
Magari sussurrare il suo nome, lasciarlo portare dalla fresca brezza serale fino alle sue orecchie da demone.
«Signor Sesshomaru...» pigolò a voce bassissima, tanto che nemmeno lei si era sentita.
Il sole era ormai completamente scomparso ed il cielo notturo si faceva strada tra le sporadiche nuvole grigie, erranti e sospinte dal vento.
Rin si sedette accanto ad un tronco e raccolse le gambe al petto.
Era sempre stata così silenziosa la foresta? I gufi e le civette l’avevano sempre fissata con quella insistenza?  Ansiosa e tremante, chiuse gli occhi, dandosi della fifona. Sicuramente il suo Signore non avrebbe avuto la benchè minima paura di qualche uccellaccio.
«Lui non ha paura di voi.» fece indispettita nella direzione di un ignaro gufetto.
«Lui non ha paura di nulla.» continuò, immersa nell’immaginare il signor Sesshomaru comparire tra le fronde di quelle quercie.
Chiuse gli occhi e contò.
Uno, due, tre.
“Jaken...” Avrebbe dovuto ascoltare i suoi rimproveri.
Quattro, cinque, sei, sette.
“Signor Sesshomaru...” Sarebbe venuta a prenderla? Lei che, dopotutto, non era che un peso? Come nei suoi sogni, forse?
Otto, nove, dieci.
«Rin.»
E mai si vide un sorriso come quello che la bambina regalò al demone che la venne a riprendere, incamminandosi lungo la via del ritorno.
Esattamemte come nei suoi sogni. 
  
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