Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: venusmarion    01/12/2015    3 recensioni
"Mi avevi detto di non sparire", disse Effie.
Haymitch la indicò con la bottiglia. "Ed eccoti qui."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

DON’t BE A STRANGER

 

“Gimme a chance to wake up, sweetheart.”
The Hunger Games

 

La bottiglia pesava, anche se era vuota. O forse non era la bottiglia. Forse era la mano. Ma come poteva essere la mano? Le dita non facevano nemmeno pressione sul collo di vetro, troppo pigre - troppo stanche - per aggrapparsi a qualcosa, persino all’alcool. Eppure tutto era pesante. Forse la testa. I capelli sporchi. Haymitch si mosse al rallentatore, riuscendo ad aggrapparsi al tavolino davanti al divano, e a tirarsi su. Posizionò la bottiglia con molta cura sul legno scuro, bisbigliando tra sé e sé un’unica parola. "Mogano."

Non aveva scelto lui quel tavolino. Non aveva scelto lui quella vita. Non aveva scelto quella pesantezza. Il soffitto intonacato di fresco che sembrava intenzionato a schiacciarlo. Il cerchio alla testa. Le immagini dietro le palpebre chiuse degli occhi. Sempre presenti. In velocità. In fermo. In replay. La sua mente ormai era uno dei tanti schermi di Panem. Ma lo show era scadente da un pezzo. E a nessuno piaceva guardarlo.

Riuscì a trascinarsi fino al bagno e a togliersi i vestiti. Per un momento restò a fissarsi nello specchio, con la pelle d’oca che lo ricopriva dalla testa ai piedi per via del freddo. Il suo corpo era solido, un alleato di cui negli anni si era sempre fidato, e che aveva ripagato quella fiducia. Sì, le cicatrici non erano un bello spettacolo, ma erano anche un giusto prezzo per la strada che era stata fatta. Facevano solo male. Sempre. Senza un solo giorno di tregua. E se non facevano male sulla pelle, facevano male da qualche altra parte. 

Haymitch entrò nella doccia, scrutando per un momento i comandi tecnologici con sospetto. Avrebbe preferito un catino d’acqua da far bollire, ma hey, dolcezza, la vita di un vincitore doveva essere vissuta in una certa maniera. Cercò di non impazzire tra la scelta di saponi e aromi, e poi schiacciò il pulsante dell’acqua con un po’ troppa foga. Si fece male, ma il dolore durò solo per una frazione di secondo. Le sue mani erano così ruvide, callose, sassi attaccati ai polsi, armi primitive - praticamente accessori esterni, niente di troppo personale. 

L’acqua ghiacciata fu come una scarica elettrica lungo la spina dorsale. Haymitch la sentì scivolare sui capelli unti, sulle spalle tese, le gambe rigide. Poi quando arrivò un mix di bagnoschiuma e shampoo dovette usare tutta la sua concentrazione per non farseli finire sulla lingua. Preferiva tenersi il sapore dell’alcool, senza ombra di dubbio. E preferiva l’acqua tiepida, che adesso stava arrivando. Il tepore sulla pelle era come una carezza. Una carezza che lavava via lo sporco, e che cercava anche di scavare più a fondo, levando la pesantezza, la rigidità, la rabbia, la paura, il panico. Ma erano solo momenti di tregua. Bravi e fugaci. L’acqua già si faceva bollente e il corpo tornava in guardia, rigido e teso come la corda di un arco. L’arco di Katniss. La ragazza di fuoco. A quel pensiero Haymitch si lasciò scappare un sorriso. Perché la sua vera vittoria se lo meritava.

Quando uscì dalla doccia la testa gli sembrò per un momento più leggera. Forse perché era pulita. Forse perché l’acqua aveva un non so che di miracoloso che lui continuava a rifiutarsi di capire. Era una bella sensazione, in ogni caso. 

Entrò dentro un accappatoio di uno strano blu scuro, ma tenne i capelli bagnati. Non sopportava il rumore del phone, né l’idea di avere un getto d’aria calda sparato nell’orecchio. Preferiva la cervicale. E un’altra bottiglia. 

Girò scalzo per la casa buia e deserta, conoscendo a memoria le ombre, gli spigoli, i cassetti. Aveva un delizioso porta liquori in salotto, un regalo di Peeta… Delizioso ma piccolo. Aprendolo, vide che le sue scorte erano in bollino rosso. Gli restava solo una bottiglia. La prese e fece per precipitarsi al telefono. In questi momenti, c’era solo un numero da fare, un numero che sapeva a memoria. Katniss era l’unica che capiva questo suo genere di astinenze… Ma il telefonò squillò prima che potesse raggiungerlo. Lo sollevò in fretta, con la mano che non stringeva la bottiglia. "Katniss?"

Lo squillò continuò da qualche altra parte, lontano dal suo orecchio. Guardò la cornetta con sospetto, e ci mise parecchi secondi per capire che non era il telefono che continuava a suonare. Lo posò e si sporse in corridoio, serrando lo sguardo sulla porta di casa. Il campanello. 

Dietro il vetro smerigliato, una figura esile e non troppo alta si teneva stretta a sé, forse per il freddo. La postura era dritta, come quella di una ballerina su un palcoscenico, ed i capelli erano troppi, finti, con un profilo troppo sfarzoso. Haymitch si trascinò fino alla porta come in trance. Aprì.

Effie Trinket era lì, in un tailleur color malva, un coprispalle di pelliccia viola e una parrucca rosa. O forse era bianca. O biondo salmone. Haymitch dava sempre poco credito a quelle parrucche. Di solito a catturare la sua attenzione erano le ciglia finte che Effie portava sempre, al momento di una rosa shocking accecante. Ma anche quel trucco durava poco, per Haymitch. Tempo per Effie di mettere su un sorriso, e gli sfarzi di Capitol City le scivolavano via di dosso. Perché continuasse a metterli su, Haymitch lo capiva bene. Era il modo di Effie per combattere la pesantezza. Le sue parrucche e il suo trucco esagerato erano un po’ come le bottiglie di alcool che usava lui. Ognuno aveva i propri rimedi. Tutti buoni. Nessuno funzionava. In quel momento, uno di fronte all’altra, Haymitch intuì che lo stessero capendo entrambi. "Ciao, dolcezza."

Effie cercò di moderare il proprio sorriso. Adesso era più un’espressione di imbarazzo. Come se si fosse pentita di aver fatto tutta quella strada per arrivare fin là e ritrovarsi un uomo con i capelli bagnati, i piedi nudi e un accappatoio di un colore non troppo di moda. Ma a guardarla meglio no, non era l’imbarazzo di chi si stava pentendo. Era l’imbarazzo di chi l’ultima volta aveva salutato con un bacio sulle labbra, e adesso non sapeva bene come si proseguisse da lì. "Mi avevi detto di non sparire," disse Effie. 

Haymitch la indicò con la bottiglia. "Ed eccoti qui."

Effie chiese con gli occhi di poter entrare. Stava congelando, nelle sue calze argentate sottili. Haymitch fece per farla passare. Ma la porta non era aperta abbastanza, e se la ritrovò tra le braccia. La bottiglia gli scivolò di mano, frantumandosi a terra. Il rumore dei vetri fece sussultare Effie per la sorpresa, ma non la distrasse abbastanza da farle abbassare lo sguardo. Haymitch lo sentì ancorarsi al suo. "Non ho più nulla da offrirti," le disse. Stava parlando dell’alcool. O forse no. Per un momento, né lui né tanto meno Effie riuscirono a capirlo. Poi lei sorrise. "Non voglio niente," disse. 

E il richiamo fu primordiale, viscerale, istintivo. L’impulso era lo stesso che spingeva alla sopravvivenza, Haymitch riuscì a riconoscerlo, ma c’era anche qualcosa di inedito e incomprensibile che non sapeva spiegare, né tanto meno controllare. Si ritrovò solo le labbra di Effie tra le sue, e il sapore di un rossetto fruttato che combatteva con il retrogusto dell’alcool, e il retrogusto della vita, il retrogusto della vittoria, il retrogusto della sconfitta. Chiuse la porta distrattamente, con una spinta della mano, e chiuse gli occhi. Il rossetto fruttato era al gusto di pesca. E forse era un premio che Haymitch non meritava affatto. Ma era il primo che riusciva a godersi. Il primo che non sarebbe sparito. 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: venusmarion