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Autore: gloriabarilaro    02/12/2015    0 recensioni
"La mia storia d’amore inizia così: una ragazza dagli occhi ipnotici che mi chiede una sigaretta in una fredda mattina di ottobre. Allora non sapevo cosa significasse tenere davvero qualcuno, rimanergli accanto nonostante la sua presenza ti corrodesse piano a ogni suo semplice respiro. Allora non sapevo nulla, solo che quella ragazza sembrava troppo bella per essere vera: e con la vista un po’ annebbiata dall’alcool, l’unica cosa che i miei occhi catturavano con chiarezza era il colore dei suoi. Quell’azzurro ghiaccio, quel mare ghiacciato in cui mi sarei perso volentieri.
Quello sguardo di ghiaccio, quel sorriso rotto, quella mente contorta, lei: tutto quello di cui avevo bisogno; tutto quello che mi avrebbe distrutto."
[Jack O' Connell, Lily Loveless, Kathryn Prescott e Logan Lerman (crossover)]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quattro

“E possibilità d’amore e gloria
mi s’affacciano al cuore e me lo gonfiano.
[...]
Io sono ancora giovane e inesperto
col cuore pronto a far follie.”
 
[Camillo Sbarbaro, Io che come un sonnambulo cammino]



 
Non avevo chiuso occhio tutta notte.
Lily mi aveva buttato fuori dalla mia stanza senza maglia, lasciandomi gelare sul divano con una vecchia coperta dal forte odore di muffa buttata addosso.
Continuavo a fissare il soffitto e a pensare a quello sguardo di ghiaccio. Poco prima che mi chiudesse la porta in faccia le avevo proposto di dormire assieme, stringerci nel mio letto da una pizza e mezzo. Lei mi aveva guardato a lungo, con quelle gemme trasparenti, e poi aveva riso nervosamente; avevo avuto a malapena il tempo di ammirare il triangolo di pelle bianca nello scollo della mia polo sbottonata prima che la porta si chiudesse veloce. Lo scatto della chiave era un chiaro messaggio: non voleva essere disturbata.
Avevo rispettato questa sua volontà come se fosse sacra. In effetti mi stupivo persino io di me stesso per non aver insistito, per non essere rimasto lì, dietro la porta, in attessa che la riaprisse, supplicandola di farmi entrare.
La mattina sarebbe arrivata presto, io mi sarei addormentato e, quando avrei aperto gli occhi, lei avrebbe potutto essersene già andata, e l’avrei persa di nuovo.
Allora perché ero così tranquillo?
Ritornai a pensare al suo sguardo freddo. Sentivo che, in un modo o nell’altro, le risposte di cui avevo bisogno fossero tutte lì, in quello sguardo; era colpa di quest’ultimo, dopotutto, se ero così preso da lei, ma era anche merito di quest’ultimo se lei era così lontana nonostante ci separassero pochi metri e una porta di legno tutta ammaccata.
Cosa si nascondeva dietro di esso, però, non lo capii. Non capii cosa fosse ciò che mi faceva sentire così attratto da lei e al contempo così distante, ciò che mi aveva stregato sin dal primo istante in cui miei occhi avevano incontarto i suoi, su quella terrazza in compagnia di sigarette che sfrigolavano come piccoli fuochi in quel gelo mattutino che avevo sentito invadermi dentro fino alle ossa.
Mi addormentai così, con il collo storto e l’immagine di quella mattina stampata sotto le palpebre.
 
La mattina dopo fui svegliato da un gran fracasso. Aprii gli occhi e buttai all’aria la coperta, saltando in piedi in un nanosecondo. Macinai volecemente il paio di metri che mi dividevano dalla cucina e lì, sulla soglia, vidi Lily: era in piedi dietro un mucchietto di piatti rotti, con le mani fra i capelli e gli occhi chiusi, sigillati. Leggermente piegata in avanti, sembrava tremare. Spaventato, schivai i cocci e la raggiunsi.
« Lily, tutto bene? »
Lei non mi rispose. Rimase con le mani fra i capelli, in piedi, leggermente sporta in avanti.
« Lily? »
Alzò lo sguardo su di me lentamente, mi guardò persa: i suoi occhi erano rossi e lucidi, il suo labbro inferiore tremava. Feci per allargare le braccia e abbracciarla, quando lei aprì la bocca e cacciò un urlo agghiacciante.
Quell’urlo mi perforò i timpani, mi entrò fin dentro le ossa. Durò una manciata di secondi, ma sembrarono secoli. E io la guardai, incredulo, senza capire cosa stesse facendo. Quando richiuse la bocca prese un coccio e me lo puntò contro, intimandomi a gran voce: « Stammi lontano! Non ti avvicinare, altrimenti questo te lo ficco in gola. »
Io la guardai ancora più scombussolato. Cosa stava dicendo? Aveva gli occhi da pazza, quella mattina, mi guardavano fissi mentre annaspava e stringeva il coccio così forte da tagliarsi i palmi, vedevo il sangue colare dalle sue mani.
« Ehi, calma, sono io. »
Lei continuò a puntarmi contro il frammento di porcellana, mantenendo il suo sguardo ostile.
« Sono Jack – continuai, scoccando veloci occhiate all’ambiente circostante, cercando un’arma di difesa nonostante non avessi alcuna intenzione di farle del male – Jacky Jack. Ti ho portata qui ieri sera, eri troppo sbronza per ricordarti dove abitassi. Ti puoi fidare di me, ricordi? Te l’ho promesso, che non ti avrei fatto niente. »
Dissi tutto con calma, misurando il mio tono di voce, i miei movimenti. Il suo muro d’ostilità parve crollare un poco quando sentì il nomignolo che lei stessa mi aveva affibiato la sera prima; Le sue mani, però, continuavano a stringere il frammento di piatto, puntandolo contro di me.
« Cosa mi garantisce che hai mantenuto quella promessa? »
Mi venne quasi da ridere, quando me lo chiese. Fu quello che feci, in fondo: risi. Scoppiai a ridere di gusto, e lei mi guardò disorientata, abbassando pian piano l’arma e fissandomi perplessa.  Risi forte senza nemmeno sapere il perché, reggendomi lo stomaco, buttando la testa all’indietro; Lily mi seguì poco dopo. Esitante, ma mi seguì. Finimmo per ridere assieme, come stupidi. Riempimmo quella stanza di risate, così, senza un vero e proprio motivo per farlo.
 
« Scusa se ho dubitato di te. »
Scrollai le spalle, continuando a fissare il televisore che trasmetteva il telegiornale. « Tranquilla, è tutto okay. »
Lei tacque per un attimo e io, con la coda dell’occhio, la guardai: aveva abbassato lo sguardo sulla tazza di caffé, si stava mordicchiando un labbro.
« E scusami anche per le scarpe, per il calcio e per i piatti. »
Stavolta mi voltai verso di lei del tutto. Mi misi composto sulla sedia e la guardai: eravamo seduti uno di fronte all’altra, lei aveva i capelli umidi per la doccia e i vestiti della sera prima, più una mia felpa buttata addosso che la faceva sembrare ancora più piccola e fragile.  Il suo viso era pallido e i suoi occhi spiccavano ancora di più su di esso, senza tutto quel trucco. Era molto più bella così, pensai in quel momento, ma poi scacciai quel pensiero scuotendo la testa.
« Non c’è alcun problema, te l’ho detto. »
Lei annuì e si voltò verso la finestra: fuori il cielo era nuvoloso, grigio e bianco, si rifletteva nei suoi occhi. Io continuai a guardare il televisore, facendo finta di essere interessato alle notizie.
Finimmo i nostri caffè, finimmo il silenzio che c’era fra noi: la bocca mi si era riempita di parole che avevo bisogno di dire, domande che mi premeva farle; eppure nessuna sopravvisse quando i nostri sguardi si incrociarono, così, per caso. Rimasi imbambolato a guardarla, mentre lei sorrideva timidamente a quella coincidenza.
« Sei stato fin troppo paziente, con me. Mi stupisce che tu non mi abbia ancora buttato fuori a calci. – Si morse il labbro forte, stavolta, stringendosi nelle spalle – Devo averti terrorizzato, prima. »
« Oh no, per niente. Cioè, più che altro mi ero preoccupato per te, ma non mi hai spaventato. »
« Perché? » domandò lei, guardandomi senza capire.
Io ridacchiai. « Ho visto molto di peggio... » feci per dire, ma lei mi bloccò, scuotendo la testa. « No, non quello. Hai detto... Hai detto che ti sei preoccupato per me. Perché? »
La guardai per qualche secondo, in silenzio, soppesando le sue parole e il tono esitante con cui mi aveva porto quella domanda. Lei mi guardava con un filo d’ansia nello sguardo, tamburellando le dita bianche sulla tazza che aveva tra le mani.
« Eri messa davvero male... »
« Ma mi conosci a malapena! »
Le sorrisi. « Questo è vero, ma... »
« Ma? »
Presi tempo, prima di risponderle. La guardai a lungo. « Niente, lascia stare. Più che altro, tu, perché ti reggevi la testa con le mani, e perché hai urlato quando mi hai visto? »
Lily abbassò lo sguardo e deglutì. Aveva le labbra sottili e rosse, in netto contrasto con la pelle bianca e i capelli chiarissimi dai riflessi dorati. Sembrava sovrappensiero, come se quella domanda l’avesse turbata; mi rispose solo dopo qualche secondo, sospirando e rilassando le spalle prima di sorridermi e dire: « Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti. »

 

Gloria c'è e non c'è in questo periodo.
C'è perché oggi pomeriggio al posto di studiare storia dell'arte è al computer che aggiorna questa fan fiction mentre guarda How I Met You Mother,  e ieri al posto di studiare filosofia ha continuato a scrivere questa fan fiction, e si è accorta che avrà un massimo di quindici capitoli e sta venendo fuori una storia piuttosto banale, a suo parere, ma preverisce che siate voi a deciderlo.
Così ho aggiornato, e spero tantissimo che questo capitolo (che credo sia uno dei più belli che io abbia mai scritto) vi sia piaciuto. 
Per ogni altra cosa, come sempre, io sono qui dietro questo schermo. 
E, come sempre, le recensioni sono più che apprezzate!
Baci! 
   
 
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