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Autore: MadAka    05/12/2015    3 recensioni
Matthew Evans – il principe della situazione – è un celebre giocatore di rugby riconosciuto a livello internazionale.
Danielle Philips – la Cenerentola di turno – è una delle donne di servizio dello stadio in cui lui gioca insieme alla sua squadra.
A fare da sfondo Cardiff e il Galles, per una stessa passione raccontata da due punti di vista diametralmente opposti.
Genere: Commedia, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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– Ventinove –

 

Danni

 

 

Matt mi cammina davanti di qualche passo, si volta verso di me, sorride e mi tende la mano:

«Vieni» dice appena gliel’afferro.

Proseguiamo per il corridoio e come dà sull’esterno una luce bianca quasi mi acceca. I miei occhi si abituano in fretta a questo improvviso bagliore, Matt smette di camminare e così faccio anche io. Lascio scorrere lo sguardo tutto intorno a me, facendomi sfuggire una monosillabica espressione di sorpresa appena mormorata fra le mie labbra.

Sono al Millennium Stadium, sul prato del Millennium Stadium e vi sono appena entrata attraverso il corridoio che i giocatori imboccano ogni volta che devono prepararsi a giocare la loro partita. Sto avendo la possibilità di ammirare uno dei mostri sacri degli stadi rugbistici completamente vuoto a eccezione di me e Matt. Sembra tutto quanto surreale, quasi magico. Non ho mai visto questo stadio senza persone, tutte le volte che ho messo piede qui dentro l’ho sempre fatto quando ogni posto a sedere era occupato da qualcuno, quando Delilah rimbombava ovunque fra queste mura. Invece ora c’è solo silenzio, silenzio dappertutto. Sembra davvero un altro posto, pur essendo lo stesso mi sembra di essere entrata in un luogo in cui non avevo mai messo piede prima. Per me è un’emozione unica, proprio come unico è il fatto di poter fare questa esperienza in compagnia di Matt, che ora posso definire a tutti gli effetti il mio ragazzo.

Domenica scorsa, il giorno dopo la partita fra Galles e Nuova Zelanda, il giorno dopo quel terzo tempo, io e Matt ci siamo visti per chiarire diverse cose riguardo la relazione che eravamo in procinto di iniziare. Il ragazzo mi ha raggiunto a casa mia, appena arrivato ci siamo dati un lungo bacio, probabilmente ben più lungo dei due che lo hanno preceduto e davanti a un caffè abbiamo semplicemente parlato di ciò che speriamo e ci aspettiamo di vivere in compagnia dell’altro. Nessuno dei due vuole una relazione superficiale. Essendo entrambi più vicini ai trent’anni che ai venti pensiamo che la nostra storia debba essere affrontata da persone mature ed è esattamente così che abbiamo deciso di portarla avanti. Ognuno di noi ha bisogno dei propri spazi, dei propri momenti da trascorrere con gli amici o in solitudine. Matt non ha esitato a dirmi di rispettare il mio volermi sentire emancipata e indipendente, così come io gli ho garantito che avrà sempre il mio sostegno e la mia comprensione per quanto riguarda la sua carriera rugbistica. So perfettamente che non sarà tutto semplice, perfetto e bellissimo, che ogni tanto qualche battibecco fra di noi ci sarà sicuramente, che scelte infelici potrebbero essere prese da parte di entrambi, ma sono pronta a correre il rischio, se così lo possiamo chiamare. Matt mi piace veramente, ora non ho più dubbi.

Smetto di guardarmi intorno, accorgendomi che lui mi sta osservando, sorridendo:

«Che te ne pare?» chiede.

«È incredibile. Mette quasi i brividi» rispondo, lanciando un’ultima occhiata in giro, sugli spalti vuoti.

«Vero. Anche se lo preferisco pieno di gente, devo ammettere che in questo stato mi rilassa notevolmente»

Avanzo di qualche passo, affondando appena con le scarpe nel prato del campo da rugby. Alla fine, un passo dopo l’altro, arrivo al centro dello stadio. Mi volto verso Matt, rimasto fermo sulla linea di bordocampo. Lui ricambia il mio sguardo e subito dopo si avvia, raggiungendomi e fermandosi di fronte a me.

«Pronto per domani?» gli chiedo non appena l’ho vicino.

Si volta un momento, osservando il corridoio di ingresso al campo. Domani lo attende l’ultimo dei test match di novembre, contro la nazionale sudafricana. Gli Springboks sono secondi nel ranking mondiale e certo non sono avversari semplici contro cui misurarsi. Sono certa che Matt lo sappia meglio di me e sospetto che uno dei motivi per cui abbia deciso di venire qui oggi sia quello di tentare di trovare un po’ di pace prima della partita.

Torna a guardarmi:

«Sì. Direi proprio di sì» risponde, con quella sua sicurezza unica.

Gli sorrido, felice nel vederlo così. Domani sarà un’altra prova importante per lui e la nazionale gallese e certamente ogni giocatore darà il massimo per chiudere questo Autunno Internazionale nella maniera migliore, dando l’ennesima prova di determinazione e orgoglio che certo non manca ai quindici che scenderanno in campo da titolari.

«Con chi verrai a vedere la partita?» chiede Matt quasi subito.

Due giorni fa mi ha regalato due biglietti per il match, quelli che la squadra concede abitualmente ai propri giocatori. Matt mi ha detto che gli avrebbe fatto piacere avermi sugli spalti e potermi vedere anche prima del terzo tempo a cui questa volta parteciperò a tutti gli effetti come la ragazza del capitano – appellativo che, ho scoperto, mi era stato attribuito dalla ragazza di Mark al termine della scorsa cena.

«L’ho dato a Jamie» gli confido.

Sorride:

«Ero convinto ci saresti venuta con Jenna»

«No, lei può benissimo vederla a casa con il suo fidanzato. Per Jamie invece vivere le partite della nazionale al Millennium Stadium è sempre un’emozione unica. Non potevo lasciargliela sfuggire dopo l’opportunità che mi hai dato»

«Allora Jamie sarà contento»

«Lo è già»

«Mi fa piacere»

Mi limito a sorridere, aspettando che lui continui la conversazione, abbastanza sicura che a breve Matt aprirà bocca per dire qualcos’altro. Tuttavia nulla di tutto questo succede; il ragazzo non fiata, si limita a inumidirsi appena le labbra, protraendo ulteriormente il silenzio.

«Sei davvero sicuro che sia tutto a posto?» domando poi, notando che il suo sguardo vaga sugli spalti in modo sempre più incerto.

«Sì, certo. È solo che sono un po’ nervoso. Lo sono sempre prima di un match, specie se importante quanto quello di domani»

Penso il più in fretta possibile a cosa potergli dire per tranquillizzarlo, ma lui riprende parola prima che possa pronunciare qualsiasi cosa:

«È solo che, il più delle volte prima di una partita, mi trovo sempre a chiedermi cosa spinga Jones a ogni convocazione a riconfermarmi» Si stringe nelle spalle: «Non mi riferisco solo al mio ruolo di capitano, ma anche a quello di numero sette. Davvero in tutto il Galles non esiste un terza linea migliore di me?»

Rimango a osservarlo, colpita dalle sue parole. Matt mi ha appena rivelato una delle sue insicurezze più grandi e non so quante persone ne siano a conoscenza poiché lui non parla molto di sé di sua spontanea volontà. Fatto sta che questa volta so perfettamente cosa rispondergli, perché ho avuto modo di osservarlo come semplice tifosa prima e come amica e ragazza dopo.

Alzo appena le spalle:

«Beh, probabilmente, da qualche parte, un numero sette migliore di te può esserci. Tuttavia, ammesso che esista, non si è ancora fatto vivo»

Abbozza un sorriso e io riprendo parola:

«Jones non è uno sprovveduto, ha sicuramente i suoi buoni motivi per darti fiducia ogni volta e, sai, io sono perfettamente d’accordo con lui. Semplicemente tu sei il più indicato sia come terza linea che come capitano, al momento non c’è in giro nessuno in grado di sostituirti in uno di questi due ruoli. Se c'è una cosa che ho imparato in tutti questi miei anni da tifosa del Galles, è che tutti i mille sessantanove uomini che hanno vestito quella maglia prima di te erano testardi e orgogliosi, esattamente come lo sei tu»

Respiro, guardando il ragazzo dritto negli occhi:

«Tu sei un Dragone. E se mi dicessi di nuovo che non sei sicuro di questo io non ti crederei»

Lui sa perfettamente di cosa sto parlando. Sulla maglia della sua divisa da giocatore, proprio sotto il simbolo della nazionale, vi è cucito con del filo bianco il numero 1070. È un monito, una promemoria: serve a ricordare che, prima di lui, altri mille sessantanove uomini sono stati giocatori del Galles e che tutti loro hanno onorato e rispettato la maglia rossa nell’esatto modo in cui ora lo sta facendo Matt. Il suo sorriso si fa più convinto, torna a essere sicuro e luminoso, così come il suo sguardo si fa fiero.

«Grazie» dice.

Replico con un sorriso, sentendomi soddisfatta dell’esito che le mie parole hanno portato al giocatore. Credo fortemente in tutto ciò che gli ho appena detto e sono contenta di essere riuscita a confessarglielo, anche se certamente non può valere quanto una dichiarazione d’amore. A quest’ultimo pensiero mi viene spontaneo schiarirmi la gola, come preoccupata che Matt possa aver sentito quanto ho appena pensato.

Punto con il dito su uno degli spalti, più o meno all’altezza della quinta fila di sedie:

«Domani, a quest’ora, io sarò lì» dico.

Sono consapevole che non c’entri nulla con quanto stavamo dicendo prima io e il ragazzo, ma forse cambiare argomento pur continuando a parlare di rugby e della partita di domani, ci eviterà di infilarci in conversazioni troppo profonde per cui devo ammettere di non sentirmi ancora pronta. Io e Matt stiamo insieme da soli cinque giorni e, qualunque cosa possano pensare gli altri, cinque giorni per riuscire a gettarsi totalmente in una storia non sono sufficienti. Anche se ora posso permettermi maggiori libertà con il ragazzo, esternare il mio lato più sentimentale mi fa sempre sentire in imbarazzo e, ciò che gli ho detto poco prima, almeno per me, non sono state parole semplici da mettere in fila.

Matt porta lo sguardo sul punto che ho appena indicato, dopodiché controlla rapidamente l'orologio e torna a rivolgersi a me, sorridendo:

«Io invece sarò qui»

Entrambi abbassiamo lo sguardo sul campo da gioco, la cui erba è perfettamente tagliata. Nessuno di noi dice più nulla, quando sollevo lo sguardo su Matt mi accorgo che continua a tenere gli occhi fissi sul prato, apparendo pensieroso.

«Non ti ho mai visto tanto preoccupato» gli dico.

Torna immediatamente a guardarmi, gli occhi celesti si posano subito sui miei e sul suo viso affiora un sorriso, prima un semplici abbozzo, quasi intimidito, che si fa via via più dolce:

«Non mi hai mai visto prima di una partita, in effetti» confida.

Rimango a guardarlo, pensando un momento alle parole giuste da potergli dire. Reprimo l'istinto di avvicinarmi a lui e baciarlo, per il semplice fatto che il nostro reciproco scambio di sguardi, al centro del Millennium Stadium, mi sta dando sufficienti emozioni.

«Domani andrà bene, vedrai»

«Come fai a esserne sicura?» domanda, sollevando quasi impercettibilmente le sopracciglia.

«Me lo ha detto Jamie»

Matt sfodera l'ennesimo sorriso, scuotendo appena il capo:

«Mi piace quel piccoletto» ammette in tono divertito.

«Jamie piace a tanti ora che ci penso» confermo.

Il ragazzo lancia un'occhiata in direzione del corridoio, il punto da cui siamo entrati:

«Forse è meglio se andiamo. In realtà non dovremmo essere qui ora, se ci dovessero trovare potrebbero non essere pienamente d'accordo»

«Anche se sei il capitano del Galles» domando scherzosamente.

«Sì, anche se sono il capitano del Galles» risponde lui, sempre tenendo gli occhi sull'ingresso.

«D'accordo. Ma prima voglio fare una cosa»

Come termino la frase mi siedo immediatamente sul prato del campo da rugby, per poi distendermici sopra. Ho sempre desiderato sapere cosa si prova stando sdraiati su un vero campo da gioco, uno di quelli che viene calpestato, violentato dai tacchetti delle scarpe, eppure, allo stesso tempo, amato come fosse un suolo sacro da chi su questi stessi fili d'erba si sente a casa.

«Del tipo?»

Matt pronuncia queste parole tornando a voltarsi verso di me. Mi accorgo che non mi vede, assume un'espressione sorpresa che poi diventa divertita quando vede dove sono finita. Si mette a ridere, finendo poi per imitarmi e sdraiarsi accanto a me:

«Era questo che volevi fare?» chiede.

«Già e sono contenta di aver avuto la possibilità di farlo. Mi spiace solo che non ci sia il tetto aperto ora» dico, gli occhi fissi sulla copertura in acciaio della struttura.

Matt non replica, quando mi volto appena per vedere cosa sta facendo mi rendo conto che anche lui continua a osservare il tetto che abbiamo sopra. Rimaniamo in silenzio uno al fianco dell'altra per diversi minuti, dopodiché, convinta di dover essere io a dire basta, mi muovo per rialzarmi:

«Ok, sono soddisfatta. Possiamo andare»

Matt mi afferra la mano, fermandomi:

«No, aspetta. Rimaniamo un altro po'»

Mi guarda negli occhi e io non riesco più a dire nulla. Torno a sistemarmi vicino a lui, senza lasciare la presa dalla sua mano. Fra di noi cala una specie di silenzio di raccoglimento, uno di quelli quasi reverenziali che nessuno ha mai il coraggio, o la voglia, di spezzare. Nonostante il passare dei minuti Matt continua a essere sempre concentrato sul soffitto di lamiera, sicuramente sovrappensiero. Il suo respiro comincia a farsi sempre più profondo e regolare. Non ho il coraggio di dire o fare nulla perché mi rendo conto che, finalmente, lui è riuscito a tranquillizzarsi. In qualche modo Matt è riuscito a ritrovare sé stesso e la calma di cui è sempre in possesso. Non so a cosa stia pensando, che cosa stia vedendo in realtà invece di ciò su cui ha gli occhi, ma sono certa che le preoccupazioni che lo attanagliavano prima sono quasi completamente scomparse. Domani Matt scenderà in campo con la stessa determinazione di sempre, pronto a guidare la sua nazione contro rivali agguerriti e forti come gli Springboks, determinato a fare il possibile perché tutto vada per il meglio. Sono certa che se ora gli chiedessi di dirmi come pensa che andrà domani la risposta sarà un semplice "bene", ma carico di tutta la convinzione che lui possiede.

Mi sistemo quanto più comodamente possibile, ritornando a guardare fisso davanti a me, rendendomi conto di sentirmi in pace. Non ho assolutamente idea di quanto tempo trascorrerà ancora prima che Matt si decida a rialzarsi, ma sono disposta ad aspettare. Perchè alla fine qui, accanto a lui su questo prato, ci sto incredibilmente bene.

 

 

  
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