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Autore: PuccaChan_Traduce    07/12/2015    0 recensioni
Tauriel salva la vita a Kili durante la Battaglia delle Cinque Armate, alterando per sempre il corso della Storia.
Disclaimer: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
QUESTA STORIA È INCOMPIUTA.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kili, Nuovo personaggio, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

Oh, all of these minutes passing, sick of feeling used
If you wanna break these walls down, you're gonna get bruised
Now my neck is open wide, begging for a fist around it
Already choking on my pride, so there's no use crying about it

I'm headed straight for the castle
They wanna make me their queen
And there's an old man sitting on the throne that's saying that I probably shouldn't be so mean
I'm headed straight for the castle
They've got the kingdom locked up
And there's an old man sitting on the throne that's saying I should probably keep my pretty mouth shut.


Castle, Hasley

~~~
 
“Quanto ci vorrà per scavare un passaggio fuori di qui?” chiese Kìli, fissando la parete di ghiaccio scintillante che fino a poco prima era stata l’ingresso della fortezza. Si scorgeva un accenno di luce solare nella parte superiore, un lampo ingannevole di calore e cielo terso che riusciva a rischiarare il corridoio interno.
Gloin, le maniche arrotolate fino ai gomiti nonostante il freddo, si appoggiò alla pala che avevano trovato in uno stipo del salone principale, e grugnì. “Almeno mezza giornata. Dev’essere stata una slavina precipitata giù dal fianco della montagna.”
Kìli si passò una mano sul viso, accigliandosi. Sembrava stanco e preoccupato e Tauriel dovette reprimere l’urgenza di stendere una mano verso di lui. Sembravano trascorsi secoli dall’ultima volta che si erano toccati o avevano avuto un momento da soli. Persino un’occhiata al suo viso bastava a farle cantare il sangue, girare la testa, offuscarle il giudizio.
Invece guardò Bofur, che stava punzecchiando la neve con interesse mentre con l’altra mano si grattava il posteriore, e fece una smorfia, anche se era certamente una direzione più sicura verso cui guardare.
“La Principessa dice che gli altri devono essere vicini, forse ci troveranno prima,” disse Dwalin, con un piccone in spalla.
Come in risposta, la parete ghiacciata rumoreggiò minacciosamente e una pioggia di neve si rovesciò su di loro; Tauriel riuscì abilmente a scansarsi dalla traiettoria, ma gli altri non furono altrettanto fortunati. Bofur restò mezzo sepolto mentre Kìli barcollò all’indietro, scrollandosi la neve dai capelli. Tutti stavano imprecando.
“Oi!” giunse una voce dall’alto e la sagoma di una testa si affacciò su di loro; dovettero schermarsi gli occhi per proteggerli dal riverbero del sole che la contornava.
“Per le palle di Mahal! Durth, sei proprio tu?” chiamò Dwalin, mentre un gran sorriso si dipingeva sul suo volto e la sua testa pelata scintillava di neve sciolta.
“Sì, almeno lo ero l’ultima volta che ho controllato,” rispose allegramente il Nano appena arrivato. “È da tutta la dannata notte che vi cerchiamo. La Principessa è laggiù con voi?”
“Proprio così, gran pezzo di sterco di goblin, sana e salva grazie a noialtri!” esclamò Kìli, altrettanto sorridente e facendo sorridere anche Tauriel. Volse rapidamente lo sguardo su Bombur, che si stava pulendo il naso strofinandolo sulla manica della tunica, e rabbrividì disgustata, domandandosi se sarebbe mai riuscita ad abituarsi alle abitudine igieniche dei Nani.
“Mahal benedetto, era il giovane Kìli?” mormorò Durth con voce colma di meraviglia.
Ora che i suoi occhi si erano abituati alla luce Tauriel potè vedere il Nano più chiaramente: aveva una gran massa di capelli rossi scarmigliati e una lunga barba altrettanto rossa, seminascosta tra il petto e la neve. In viso aveva dei tatuaggi che gli marcavano la fronte e le tempie in disegni decisi e spigolosi che, stranamente, risultavano feroci e decorativi tutto in una volta. Stava fissando Kìli come se non riuscisse a credere che fosse proprio lui.
“Certo che sono io,” replicò Kìli in tono giocoso. “Ora, vuoi aiutarci a uscire o vuoi semplicemente restare lì a rimirarci?”
“Giusto, giusto, fatemi solo... per la barba di Mahal, quello è un Elfo?”
Tauriel avvertì un leggero pizzicore alla base del collo.
“Già, è una lunga storia,” intervenne Bofur, dopo esser finalmente riuscito a districarsi dalla neve e levando in aria il suo buffo cappello in segno di saluto. “Tranquillo però, non morde,” aggiunse facendole l’occhiolino, cui Tauriel non potè fare a meno di rispondere con un sorriso.
“Non troppo forte, perlomeno,” borbottò Gloin con un ghigno, e Bombur gli diede di gomito.
“Concentrati, Durth,” lo ammonì Dwalin. “Gli altri sono con te?”
“Oh, sì, non sono tanto lontani. Alcuni di noi sono stati mandati in ricognizione. Vi faremo uscire in un battibaleno.” Il Nano cominciò a indietreggiare dal cancello innevato della fortezza. “Aspettate lì!” esclamò prima di accomiatarsi, e Tauriel nascose una risatina dietro un colpo di tosse. Nani, pensò con un pizzico di affettuosa esasperazione.
“Avrei dovuto chiedergli com’è andata con gli Orchi,” disse Gloin, accigliandosi all’improvviso. Chiaramente era ancora preoccupato per suo figlio, e non si poteva biasimarlo.
“Ci sarà tempo per questo, una volta che saremo fuori,” disse Dwalin; quindi si voltò, già distratto. “Vado a dirlo alla Principessa.”
Gli altri ghignarono mentre il loro amico si allontanava, e Kìli aggrottò la fronte. Tauriel pensò che quel suo voler essere a tutti i costi protettivo con la madre – che era chiaramente in grado di badare a sè stessa – fosse adorabile.
“Avanti, Bombur,” disse in quel momento Bofur, battendo una manata sulla schiena dell’altro Nano. “Mi sa che è arrivata l’ora di una vera colazione.”

~
 
Dopo aver impacchettato le sue cose, ed essersi sentita genericamente inutile, Tauriel iniziò a vagabondare in giro.
Gli altri rimasero vicini all’ingresso o in prossimità del fuoco, parlando e mangiando mentre i loro aspiranti soccorritori cercavano di scavare una via per liberarli. Nulla si muoveva all’interno della fortezza, l’aria era viziata e pregna di decadenza ma, come nelle sale di Erebor, si avvertiva il peso della storia. Era dappertutto nei saloni, appesa lungo i corridoi, i resti di un popolo ormai scomparso impigliati tra gli arazzi e le sculture, tra i giocattoli rotti e i brandelli di abiti. Provava tristezza a quella vista, ma anche speranza. Un giorno, forse, quelle sale sarebbero state ripulite e ristrutturate e altri Nani sarebbero tornati ad abitarle.
Udì i suoi passi molto prima che lui la sorprendesse. Lo lasciò avvicinarsi, lasciò che continuasse a strisciare tra le ombre mentre il cuore le rimbombava nelle orecchie. La mano di lui trovò il suo corpo, scivolando sui fianchi fino a prendere la sua, e intrecciò le dita con le sue. Era buio pesto, la luce dell’ingresso si perdeva nei meandri della vecchia fortezza.
“Non è sicuro qui,” mormorò lei, fremendo al contempo di un caldo desiderio. Era impossibile controllare le proprie reazioni in sua presenza, ormai non ci provava neanche più.
Gli occhi di lui brillarono nell’oscurità, le pupille dilatate e quasi predatorie. “Faremo molta attenzione,” disse con voce profonda, spingendola in una rientranza vicina nella parete.
Era così buio che perfino lei distingueva a malapena i lievi contorni del suo viso e la curva delle sue spalle. Però lo sentiva – il suo calore, il suo bisogno, il suo amore. Trattenne il respiro, la pelle che le formicolava di anticipazione. Voleva toccarlo, e voleva che lui la toccasse. Il desiderio le offuscava la ragione e i pensieri e istintivamente si aggrappò a Kìli, mentre lui le prendeva delicatamente il viso tra le mani e lo abbassava verso il suo.
Il bacio fu insistente ed esigente – una domanda, una sfida – e il corpo di lei fremeva dalla voglia di affrontarlo su quel campo di battaglia fatto di lingue vogliose e mani frenetiche. In ogni momento che trascorrevano insieme una parte di lei, la più spaventata, sussurrava che quello poteva essere l’ultimo. Che ogni bacio, ogni carezza era un istante rubato al tempo e alla realtà. Sembrava tutto terribilmente fragile e prezioso e lei sentiva di non poter mai essergli abbastanza vicina, di non poterlo stringere abbastanza forte.
Come fosse colto dallo stesso incantesimo, Kìli avvicinò fermamente il suo corpo al proprio, strappandole un gemito che catturò con le labbra e che gli vibrò in petto a sua volta. Tauriel piegò le ginocchia, già indebolite, e si sedette a mezzo su una sporgenza che correva lungo tutta la parete; lui si spinse tra le sue gambe e si ritrovarono petto contro petto, respiro contro respiro, cuore contro cuore. Si sentiva consumata, come se si stesse tramutando in qualcuno o qualcosa di completamente diverso.
Lui si scostò leggermente, accarezzandole le spalle e le clavicole. “A volte,” sussurrò, le labbra solo a pochi millimetri dalle sue cosicchè lei potesse assaggiare ogni sua parola. “A volte ho la sensazione che potrei impazzire se non ti tocco.”
Le sue parole le fecero stringere lo stomaco e fiaccare le gambe e si aggrappò alle spalle di lui, immergendo le dita sotto la tunica fino a trovare la sua pelle. Il suo corpo era così perfidamente allettante, i muscoli si muovevano armoniosi mentre si chinava su di lei e si abbandonava alle sue carezze, e Tauriel smaniava di poterlo esplorare tutto in un posto luminoso e sicuro dove avrebbero potuto stare da soli per ore, possibilmente per giorni.
“Dovremmo fermarci, questo... questo non è il luogo...” ansimò, anche se il corpo continuava a tradirla arcuandosi sotto le sue mani che le tratteggiavano deliziosamente la spina dorsale.
“Hai ragione,” mormorò lui, facendo scorrere le labbra lungo i muscoli del suo collo. Tauriel dovette mordersi le labbra per frenare il gemito che sentiva nascerle in gola; niente le era mai parso più meraviglioso, più perfetto. “Ma volevo toccarti, anche solo per un momento. Ne avevo bisogno.”
Valar, la sua voce e le sue parole stavano spazzando via quel poco autocontrollo che le restava. La gente del suo popolo era riservata ed esitante quando si trattava di rapporti fisici e desiderio sessuale. Una coppia si univa per la vita e quel legame correva abbastanza in profondità da poter durare eoni, e tutto ciò che accadeva nelle camere da letto non era fatto per essere udito nè visto da estranei. Ma Tauriel ne sapeva abbastanza per comprendere il meccanismo. Ne sapeva abbastanza da capire cosa fosse quell’umidore che sentiva tra le gambe e la calda pressione in fondo allo stomaco che implorava di più. Che implorava lui.
Sapeva anche che stavano percorrendo una strada molto, molto pericolosa.
Come se stesse percependo tutti i suoi pensieri, le carezze di Kìli rallentarono la loro corsa e il suo corpo si scostò un po’ da quello di lei, finchè non le appoggiò la testa su una spalla e la circondò con le braccia, piano, come se temesse di farle del male.
Dopo un momento, disse: “Mi dispiace, è stato indecoroso da parte mia. Non dovrei trattarti così.”
Il senso di colpa nella sua voce era così evidente che anche lei lo abbracciò e appoggiò la testa sulla sua spalla, rannicchiandosi insieme a lui contro ciò che si trovava al di là di quel loro attimo rubato.
“Smettila,” gli rispose. “Non hai fatto niente che io non volessi.” Il che l’avrebbe fatta vergognare di sè stessa se non fosse stato vero e non si fosse trattato di lui. Lui la faceva sentire protetta, accolta, desiderata.
Kìli si fece indietro e la aiutò a rialzarsi, e lei sentì gli occhi di lui cercare i suoi nell’oscurità. “Ti desidero così tanto che mi fa male, Tauriel. E so che è vergognoso e sbagliato da parte mia, ma ci sono giorni in cui mi sento morire letteralmente dal desiderio di toccarti, di baciarti... di stringerti tra le mie braccia.”
Tauriel, sentendosi completamente smarrita e senza parole, stese le mani sul suo viso, facendo scorrere le dita lungo la sua mandibola, dove la barba pungeva. Valar, quanto teneva a lui, quanto desiderava tutte le cose che voleva lui; ma le sentiva giusto al di fuori della loro portata.
“I–io non so cosa fare,” confessò.
Lui le prese una mano e depose un bacio fermo sul palmo, come un dono, una promessa; come una pietra runica fatta apposta per lei. “Troverò un modo perchè possiamo stare insieme, lo giuro,” disse, e lei si sentì lacerare il cuore.
“Kìli...” cominciò, ma venne interrotta da un suono di voci che chiamavano dall’ingresso. Si separarono di scatto, e lei rabbrividì alla mancanza di calore del corpo di lui.
“Ti amo,” disse Kìli con fermezza, con ferocia quasi, prima di incamminarsi lungo il corridoio.
Tauriel si strinse le braccia intorno al corpo e sedette nell’oscurità per un certo tempo, cercando di conservare dentro di sè la sensazione e il ricordo delle sue carezze un po’ più a lungo.

~
 
Dopo ore di attesa, che Tauriel trascorse chiacchierando con Ori e Bofur e cercando con tutte le sue forze di non guardare in direzione di Kìli, i Nani delle Montagne Blu riuscirono finalmente a liberarli.
La venerazione che i quattro, emersi dal tunnel gelato tremanti e bianchi di neve, mostrarono per Kìli le scaldò il cuore, così come il suo imbarazzo mentre i soccorritori s’inchinavano profondamente davanti a lui e a sua madre. Egli era la prova vivente di un sogno a lungo sospirato e divenuto realtà contro ogni previsione. In lui essi vedevano l’alba del loro futuro, e lei dovette respingere con forza un qualcosa di egoistico e triste che sentì torcerle le viscere.
Dopodichè, le cose procedettero in fretta. Tutti raccolsero le proprie cose e si fecero strada con attenzione attraverso il tunnel, uno alla volta. Tauriel dovette strisciare sullo stomaco e fu l’ultima a uscire dalla montagna, ben conscia degli sguardi curiosi e alquanto ostili che i Nani raccolti all’esterno le lanciavano.
“Principessa,” disse un Nano vestito di una pesante armatura, facendo un passo avanti e cadendo in ginocchio. “Abbiamo temuto il peggio...” gracchiò, chinando il capo.
Dìs avanzò verso di lui, trascinando Kìli con sè. Tauriel avvertiva la sua riluttanza e il suo disagio, ma cionondimeno si lasciò doverosamente condurre.
“Stiamo bene, te lo assicuro. La compagna di mio figlio, la donna Elfo, è arrivata in tempo per salvarci,” rispose lei, accennando verso Tauriel.
Sentendosi più che mai a disagio a sua volta, ella si accostò alla Principessa sotto lo sguardo fisso di diverse paia d’occhi. Con la coda dell’occhio, vide che il giovane Thorin sogghignava.
“Ma da dov’è venuta l’Elfa?” domandò uno dei Nani – lei non riuscì a capire quale.
“Viaggia con noi,” rispose subito Kìli. “Ci ha guidati attraverso la foresta. Il suo Re l’ha nominata Ambasciatrice dopo la battaglia ed è stata accolta tra le mura di Erebor, con la mia benedizione.” C’era come una punta di acciaio nelle sue parole. Un che di duro e inflessibile che sfidava chiunque a contraddirlo.
Tauriel sollevò il mento e strinse i denti, fronteggiando lo sguardo fisso degli altri Nani.
“Come tu desideri,” disse un Nano ben vestito dalla barba grigia, “mio Re.” Permaneva tuttavia un’atmosfera incerta e ostile; Ori, che i Valar lo benedicessero, venne a mettersi protettivamente al suo fianco in un chiaro gesto di solidarietà.
“Dove sono gli altri?” chiese la Principessa, attirando l’attenzione di tutti.
“Su per il passo, mia signora,” rispose il Nano che aveva parlato per primo, rimettendosi in piedi.
“Qualcun altro è rimasto ferito, a parte Rune?” domandò Kìli. Il Nano in questione si appoggiava a Dwalin e aveva un aspetto molto migliore del giorno prima, ma era chiaro che non poteva fare molta strada.
L'altro Nano scosse il capo. “No, mio signore. Stavamo tutti cercando la Principessa.”
“Quanto è impraticabile il passo?” intervenne Dwalin.
Il Nano tornò a scuotere il capo e parecchi altri borbottarono cupamente tra loro. “Quello principale è praticamente impenetrabile, ma quello più piccolo potrebbe essere abbastanza sgombro. Abbiamo mandato dei ricognitori stamattina, a quest’ora si saranno già ricongiunti con il gruppo principale.”
“Dovremmo muoverci,” disse Kìli. “È già passato mezzogiorno, e le ultime settimane di viaggio sono state difficoltose.”
“Problemi lungo la strada?” chiese il Nano dalla barba bianca. Il suo sguardo era acuto e scaltro, ed era più alto e snello rispetto ai suoi compagni. A Tauriel rammentava Balin; i suoi occhi però non erano altrettanto gentili.
“Qualcuno,” ammise Kìli. “È che non abbiamo avuto molte occasioni di riposo dopo la battaglia.”
“Certamente,” rispose il Nano, spostando brevemente gli occhi sottili e intelligenti in direzione di Tauriel; turbata, ella distolse lo sguardo.
Venne approntata una lettiga per la guardia ferita e la compagnia dei Nani girò intorno alle mura della fortezza, iniziando prontamente la scalata; Tauriel rimase indietro mentre Kìli e sua madre passavano in testa. Si sentiva stranamente svogliata e come legata, con una dozzina di quelli del suo popolo frapposti tra loro due, e immaginava che in futuro ce ne sarebbero stati sempre di più.
Lui non si girò a guardarla, e lei tentò di aggrapparsi alle parole che le aveva sussurrato nell’oscurità; ma lì, nella luce abbacinante del giorno, parevano già evaporarle tra le dita.

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Tauriel si accorse che Ori, Bofur e Bombur non si allontanavano mai troppo da lei; Gloin invece, dopo essersi ricongiunto con sua moglie e suo figlio, era più assente.
Conversarono con lei quando, più tardi quel giorno, il gruppo si riunì alla compagnia più numerosa e iniziò a predisporre l’accampamento per la notte. Condivisero il fuoco con lei, ridendo e scherzando, e invitando chiunque si trovasse a passare a unirsi a loro; la maggior parte, non senza lanciarle occhiate diffidenti, accettò comunque di stabilirsi vicino a lei. Ogni conversazione sembrava richiedere la sua attenzione o un suo parere e Tauriel pensava che fosse terribilmente gentile da parte loro, anche se le loro intenzioni erano fin troppo ovvie. Sapeva bene che, senza di loro, la presenza di diverse centinaia di Nani diffidenti e guardinghi l’avrebbe sopraffatta, specialmente adesso che non riusciva più a vedere Kìli se non di sfuggita, e sempre attorniato da altri Nani.
“Prima o poi si abitueranno,” disse con calma Bofur; Tauriel credette di cogliere un lampo di malizia nei suoi occhi, come se egli non si stesse del tutto riferendo al fatto che lei era un Elfo.
“Lo spero, visto che sono appena riuscita a far smettere voi di fissarmi e imprecarmi contro,” rispose con blando umorismo scaldandosi le mani vicino al fuoco, mentre il sole tramontava del tutto e le stelle cominciavano a brillare in cielo.
“Beh, a parte il giovane Thorin, direi,” disse Bombur dall’altro lato del focolare, masticando allegramente un pezzo di carne secca.
Tauriel trasalì e arrossì. “Non ho mai avuto la possibilità di scusarmi per il mio comportamento. So che è un vostro parente...”
“È solo un moccioso viziato,” ribattè Bofur accendendosi la pipa, con il fumo che gli oscurava il viso. “Quel marmocchio si meritava una bella lezione. Anzi, sono stato tentato di dargliene una io stesso.”
“Ma non spettava a me,” bofonchiò lei, pungolando le braci con un bastoncino. Gli altri Nani si preparavano a coricarsi e Tauriel sapeva che sarebbe stata una notte molto lunga e solitaria; era buffo, pensò, come uno potesse essere circondato da tante persone e sentirsi comunque terribilmente solo.
“Forse no,” rispose sbrigativamente Bofur. “Ma Kìli dovrà prendere provvedimenti prima o poi, e non mi fido neanche un po’ di Dàin.”
“No?” indagò Tauriel, osservandolo in viso.
Bofur aveva aggrottato la fronte, il che gli conferiva una serietà che non gli si addiceva. “Oh, mi fido del fatto che si farà da parte quando lui tornerà. Non rischierà una guerra civile, non con metà del popolo fedele alla linea di Kìli, ma non per questo renderà le cose facili.”
“O non approfitterà delle sue debolezze, potendo,” mormorò Tauriel. Bofur alzò gli occhi nei suoi e lei non dovette più chiedersi cosa sapesse; era chiaro come il sole.
“Già,” affermò il Nano, prima di distogliere lo sguardo.
Tauriel, sentendosi completamente avvolta dal senso di colpa, non rispose nulla.

~
 
La mattina seguente spuntò chiara e luminosa e Tauriel si rese utile aiutando a smontare il campo e a riavvolgere i sacchi a pelo. La maggior parte dei Nani continuava a fissarla con diffidenza; alcuni però erano semplicemente curiosi, soprattutto i bambini.
Mentre lei si chinava per aiutare a caricare alcuni bagagli su di un pony, un piccolo infante corse in avanti e senza preamboli le toccò il viso, sbalordendo sia Tauriel sia tutti i presenti.
“È morbido,” proclamò l’esserino con un cipiglio semplicemente adorabile. Tauriel non era certa se si trattasse di un maschietto o di una femminuccia, poichè il visino angelico già recava ciuffi di una barbetta rossiccia.
“Valria!” esclamò una giovane donna Nana correndo alla sua volta, ma Tauriel era già conquistata. Raramente gli Elfi mettevano al mondo figli propri e molti anni erano trascorsi da che si era trovata in presenza di un bambino.
“Va tutto bene,” disse sorridendo al faccino curioso. Le piccole mani si mossero sul suo volto, sugli zigomi alti e su fino alle orecchie, che premettero delicatamente.
“Sono a punta,” disse la bimba, Valria, con una certa meraviglia. Tauriel poteva sentire la tensione degli altri Nani radunatisi, quasi come se temessero di vederla scattare od offendersi a tali parole; ma invece lei stese un dito e lo poggiò sul nasino, sempre sorridendo. “E tu sei carina,” disse alla bambina – ormai era certa che fosse una femmina anche per il nastro rosa che le legava i capelli in una lunga treccia – che rispose con una risatina. Dopodichè le rivolse un sorrisone, mostrando che non aveva ancora tutti i denti, e si precipitò dalla madre con uno squittio di eccitazione.
“È molto dolce,” disse Tauriel alla donna, cogliendo l’occasione per una parola gentile.
La Nana, robusta, dai capelli rossi e con indosso un abito di lana grezza, la guardò da sotto in su per un attimo prima di rivolgerle un sorriso incerto. “Grazie. Ha preso da suo padre, è troppo curiosa perchè sia un bene... spero non ti abbia offesa.”
“No, affatto,” rispose Tauriel, guardando la piccola che strofinava il visetto contro la mano e il braccio della mamma. “Molti anni sono trascorsi dall’ultima volta che ho visto un bambino.”
La donna aggrottò la fronte, perplessa. “La tua... gente non fa figli?”
Tauriel sentì il sorriso spegnersi sul suo volto, e le sue parole suonarono intrise di rammarico persino a lei. “Non più da lungo tempo, temo. Grazie per avermi permesso di conoscere la tua, Lady...?”
La donna scosse il capo, arrossendo leggermente. “Oh, non sono una Lady. Mi chiamo Felenis, e servo Lady Thria.”
“Piacere di fare la tua conoscenza, Felenis. Io mi chiamo Tauriel.”
“Davvero provieni da Bosco Atro?” chiese la Nana, chinandosi per prendere in braccio sua figlia e appoggiarsela a un fianco.
“Sì. Sono rimasta dopo la battaglia per servire come ambasciatrice,” rispose Tauriel; le sue stesse parole le parvero stranamente vacue, ma la donna sembrò non farci caso.
“Allora l’hai vista? Hai visto Erebor?”
Tauriel sorrise alla sua ovvia ansia di sapere e meraviglia. “Sì, anche se non ho avuto molto tempo per visitarla. I saloni sono splendidi e Kì– il Re ha già cominciato le ristrutturazioni.”
La donna scosse il capo, come frastornata. “Mia madre ci raccontava sempre storie sui suoi grandi saloni, anche se lei stessa era poco più che una bambina quando la montagna fu perduta... se solo fosse qui per rivederla.”
“Ebbene, adesso potrai mostrarla a tua figlia, raccontare a lei le tue storie,” disse Tauriel.
La Nana s’illuminò e uno sguardo dolce, quasi grato, le attraversò il viso. “Sì, lo farò.”
“C’è... forse qualcosa che posso fare per aiutarti? Confesso che mi sento alquanto inutile,” disse ancora Tauriel, speranzosa.
Felenis esitò per un momento prima di rispondere: “Beh, a me e alle altre donne potrebbe fare comodo un aiuto per raccogliere la nostra roba. Molte di noi hanno figli piccoli sempre tra i piedi...”
“Sarei lieta di aiutarvi, se non vi dispiace.”
“Alcune potrebbero essere un po’ nervose, sai com’è, non siamo abituate ad avere Elfi intorno; ma gli passerà presto. Specialmente se le aiuterai con i carichi più pesanti. Non vorrei approfittare troppo, però...”
“Vi aiuterò con gioia, te l’assicuro,” insistette Tauriel; e con un altro sorriso, Felenis le fece strada.

~
 
Durante il viaggio i Nani rimasero di ottimo umore.
Il passo principale si rivelò effettivamente troppo pericoloso da attraversare ma il secondo, meno usato, era percorribile, e fu da lì che essi procedettero. Stando a quanto le disse Ori, in cinquecento avevano intrapreso quel viaggio iniziale mentre diverse altre migliaia progettavano di trasferirsi negli anni a venire, una volta sistemati i propri affari e dopo che Erebor sarebbe stata resa di nuovo abitabile. Per il primo viaggio si era deciso di mandare i Nani con le abilità lavorative più utili insieme alle loro famiglie.
Nonostante la palese diffidenza che molti ancora le mostravano, Tauriel iniziava a divertirsi. Le giornate erano chiare e soleggiate e i bambini giocavano allegramente a rincorrersi in mezzo agli adulti, le loro risate che risuonavano tra le montagne. Le donne chiacchieravano e gli uomini scherzavano, mentre Ori restava fisso al suo fianco, narrando storie e invitando parecchi suoi amici a unirsi alla conversazione. Era sorprendentemente piacevole, anche se lei diceva molto poco. Si accontentava di ascoltare, osservare e imparare, prendendo nota di tutte le diverse dinamiche culturali.
Le donne venivano accudite in maniera straordinaria. Tutti gli uomini mostravano loro una deferenza – per non dire adorazione – evidente, persino quelli delle caste inferiori. Era un comportamento affascinante, per quanto un po’ difficile da comprendere. Tauriel avrebbe odiato essere trattata come un fragile oggetto, ma donne come la Principessa, o Lady Thria, sembravano riuscire ad aggirare la questione abbastanza bene. Felenis l’aveva introdotta nella cerchia dell’imponente nobildonna, la quale le aveva rivolto una rapida occhiata e l’aveva messa subito al lavoro; una situazione cui l’Elfa si era adattata senza alcun problema.
L’apparente noncuranza di Lady Thria per tutte le persistenti differenze razziali sembrava avere effetto anche sulle altre donne fino a che, lentamente ma inesorabilmente, si abituarono alla sua presenza e iniziarono a rivolgerle le prime, timide domande e a parlare con lei. Onestamente, andava meglio di quanto Tauriel avesse osato sperare.
Nei giorni successivi vide molto poco Kìli. Lui colse il suo sguardo un paio di volte, di sfuggita, e lei vi lesse dentro tutto il suo desiderio e il suo rammarico, ma non c’erano spazi per le parole nè per altri istanti rubati. Gli rispondeva sempre con un sorriso perchè capiva, anche se le mancavano la sua presenza gioviale e il suo caldo sorriso, che quello non era il momento per abbandonarsi a vuote ciance. Le cose sarebbero state diverse adesso, naturalmente, e lei avrebbe solo voluto sapere a cosa lui pensava, e se sapeva quale avrebbe potuto essere il suo posto in quel mondo così straniero in cui era stata spinta a forza.
Fu solo nel quinto giorno del loro viaggio di ritorno che Tauriel iniziò a sentirsi a disagio. Il passo li stava conducendo giù in una piccola valle stretta tra due crinali, con molte sporgenze a strapiombo che gettavano ombre nell’ambiente sottostante. Mentre vi passavano sotto sentì le spalle tendersi e la pelle accapponarsi.
Quella sensazione di minaccia non fece che aumentare mentre proseguivano attraverso il passo e Tauriel prese a scrutare con attenzione le bianche creste sopra le loro teste. Appoggiò la mano sull’impugnatura del coltello, lasciando che il freddo metallo contro il palmo le arrecasse un po’ di conforto.
“Cosa c’è?” Bofur le chiese accigliato, affiancandosi improvvisamente. Gli altri continuavano a ridere e scherzare, ancora presi dalla gioia di aver ritrovato parenti e amici. L’atmosfera era simile a quando si rilascia un gran sospiro dopo un forte spavento.
“Solo una sensazione...” rispose lei, silenziosamente rimproverandosi per essere tanto paranoica e costringendosi a rilassarsi un po’. Trascorreva troppo tempo a trasalire davanti alla più piccola ombra, riflettè.
Ma Bofur, dal canto suo, sembrava condividere la sua preoccupazione. Aggrottò la fronte, scrutando i picchi sporgenti con gli occhi socchiusi. “Hai ragione,” disse dopo un momento. “Qualcosa non va. Gli esploratori avrebbero dovuto essere già di ritorno.”
Si girò per dire qualcosa a Dwalin, che stava ridendo a una battuta di Bombur, e proprio in quel momento una freccia passò sibilando sopra la sua testa e centrò un altro Nano in mezzo agli occhi. Ci fu un alto spruzzo di sangue e un gemito strozzato mentre il Nano cadeva in ginocchio, e poi scoppiò il caos.
“Un’imboscata!” ruggì Dwalin togliendosi l’ascia di dosso sotto una pioggia di frecce, che colpirono parecchi altri Nani.
La paura le artigliò la gola mentre Tauriel sguainava i pugnali e scandagliava la folla in cerca di una testa scura a lei ben nota; quella situazione le era disgustosamente familiare. Valar, quanto avrebbe voluto avere con sè il suo arco. Si lanciò in avanti, combattendo l’urgenza di urlare il nome di lui mentre i Nani correvano da tutte le parti per sfuggire alle frecce, le guardie e i guerrieri che tentavano di proteggere donne e bambini nel miglior modo possibile. Mentre il panico montava in lei finalmente lo scorse, con l’arco in mano, la madre accanto e l'aria feroce.
Kìli colse il suo sguardo. “Dobbiamo liberare il passo!” urlò.
Tauriel annuì e si accucciò mentre una freccia le fischiava vicino alle orecchie; quando guardò di nuovo, Kìli era circondato da guardie.
“Con il Re!” gridò Dwalin mentre lei aiutava una madre terrorizzata a prendere il suo bambino e sosteneva un’altra donna che aveva inciampato.
“Presto!” esclamò. “Dobbiamo sgombrare la valle!”
“Tauriel!” gridò qualcuno, e lei si girò in tempo per vedere Ori lanciarle un involto: conteneva un arco e delle frecce. Rapidamente rinfoderò i pugnali e liberò l’arco dall’involto.
Incoccò una freccia, si fece avanti e saltò su un masso. Scelse un obiettivo, ma vide diversi altri Orchi. Tendendo l’arco, che era più pesante di quanto si aspettasse, riuscì a scoccarne tre in rapida successione che andarono tutte a segno, spostandosi poi con un salto dalla traiettoria di una pioggia di frecce nemiche.
“Ne ho contati trenta,” esclamò in direzione di Dwalin, che stava facendo da scudo a una donna. Il Nano annuì cupamente.
“Intendono bloccarci nel passo; dobbiamo liberarcene,” disse quando lei lo ebbe raggiunto di corsa.
“C’è un altra via d’uscita dalla valle?”
“Un piccolo sentiero che taglia per quelle rocce più avanti,” intervenne Bofur. “Non riusciremo a farci passare tutti, ma dovremmo essere in grado di radunare abbastanza uomini per combatterli.”
Dwalin annuì. “Alcuni di noi dovranno restare con Kìli, ma gli altri possono–”
“Ehm, a proposito di questo, mio signore,” lo interruppe un Nano con fare chiaramente esitante. “Il Re si è già diretto verso il passo, ma ha preso la maggior parte delle guardie con sè...”
Dwalin imprecò con veemenza in Khuzdul e si fece largo tra la massa di Nani. “Tauriel, Bofur, voi venite con me. Lasceremo gli altri a proteggere il resto del gruppo. Accidenti a quel ragazzo, tale e quale a suo zio.”
Tauriel si affrettò dietro di lui, ma si fermò istantaneamente quando scorse un nastro rosa dall’aria familiare che fluttuava nel vento, insieme a una ciocca di capelli rossi. Valria era china sulla sagoma immobile di sua madre: una freccia spuntava dal petto macchiato di rosso di Felenis. Tauriel si sentì stringere lo stomaco e scattò di corsa verso la bambina, che correva il serio pericolo di essere trafitta a sua volta. La mente la incalzava, ricordandole che anche Kìli si trovava in grave pericolo, ma non poteva assolutamente abbandonare la figlia della donna che era stata così gentile con lei.
Prese Valria in braccio e la bambina, il visetto pallido e striato di lacrime, si rannicchiò contro il collo di Tauriel. “Mamma! Mamma!” piangeva disperata.
L’Elfa stese una mano tremante e prese il polso della donna, alla ricerca del battito... ma sentì solo carne fredda.
Aa' menealle nauva calen ar' malta,” sussurrò con un filo di voce prima di voltarsi e riprendere a correre, stringendo il corpicino tremante.
Scorse Ori e si affrettò da lui, per consegnargli la bambina. Valria gemette e stese le braccine verso Tauriel ma lei doveva andare ad aiutare Kìli, anche se il pensiero di lasciarla le spezzava il cuore.
“Bada a lei, Ori. Sua madre...” Ma non fu in grado di terminare la frase.
Ori però comprese e si strinse al petto la bimba piangente. “La proteggerò a costo della vita, lo giuro.”
Tauriel gli rivolse solo un breve cenno prima di correre da Dwalin e dagli altri.
Erano nel pieno dell’azione quando li raggiunse. Gli Orchi avevano serrato i ranghi e stavano cercando di circondare la decina di Nani in mezzo ai quali stava Kìli. Fu sorpresa di vedere tra loro anche il giovane Thorin, che si dava parecchio da fare con l’ascia e con la spada.
Tauriel s’inginocchiò nella neve e prese a scoccare sistematicamente frecce nell’orda di Orchi, riuscendo a scoraggiarli dalla manovra di accerchiamento. Ce n’erano almeno altri quindici che riusciva a contare, ma ormai conosceva i Nani abbastanza da sapere che le probabilità avevano poca importanza. Essi combattevano con quel tipo di ferocia che si doveva ammirare quanto temere.
Quando terminò le frecce si unì alla mischia, in un turbinio mortale di lame e capelli fiammeggianti.
“Ce ne hai messo di tempo, ragazza,” disse Dwalin ansimando, con un taglio superficiale alla tempia e il sudore che gli faceva scintillare la testa.
“Ho pensato di dover concedere a voi Nani un po’ di vantaggio,” ringhiò lei trafiggendo un’armatura scadente dopo l’altra, mentre sangue nero le macchiava le mani.
“Ah!” fece Bofur abbattendo allegramente un Orco. “Questa è una sfida, se mai ne ho udita una!”
Tutto l’umorismo si perse, però, quando quattro Mannari montati da altrettanti Orchi spuntarono sulla china e si lanciarono su di loro con le zanne luccicanti di morte.
“Riformate la linea!” gridò Kìli accorrendo al suo fianco con un sorriso malizioso, che le fece venir voglia di strangolarlo e baciarlo al tempo stesso. Doveva proprio essere così dannatamente spericolato?
“Giuro che, se ne usciamo vivi, ti strozzo con le mie mani,” disse Dwalin, ricalcando i suoi stessi pensieri. Beh, almeno in parte; Kìli comunque non sembrò turbato.
Ripensando al corpo freddo e senza vita di Felenis, Tauriel schivò una lama di Orco, spiccò un salto e affrontò il primo degli Orchi cavalieri. L’orrida creatura sputò, sibilò e si dibattè, ma lei si limitò a fissarlo negli occhi mentre la sua lama gli affondava in petto.
Mereth en draugrim,” sussurrò cupamente, osservando la vita abbandonare i suoi occhi. Una parte di lei era turbata da quel comportamento insolitamente brutale, ma il resto della sua persona pensava alla bambina che avrebbe dovuto crescere senza una madre. La sua lama rappresentava il dolore di Valria e la perdita di Felenis, e non sarebbe mai stato abbastanza.
Dopodichè finì tutto rapidamente, anche se parecchie cose accaddero al contempo: l’ultimo dei Mannari cadde, trafitto da una freccia di Kìli a un occhio e dall’ascia di Dwalin alla gola, e il giovane Thorin riuscì ad uccidere l’Orco che restava; l’ultimo colpo della sua spada però lo sbilanciò e i suoi piedi scivolarono fino a che, all’improvviso, stava praticamente per cadere giù dal dirupo. Nessuno se ne accorse tranne Tauriel, la quale, tremante, si rimise in piedi, ripulì la lama nella neve e, con un grido che si perse tra le esclamazioni di vittoria degli altri, si lanciò in soccorso del giovane Nano.
“Tauriel!” urlò allarmata una voce a lei familiare, ma era troppo tardi.
Osservò con terrore crescente i piedi di Thorin scivolare verso l’abisso sottostante, subito seguiti da gambe e busto. I loro occhi s’incrociarono in quella distanza e lei vi lesse dentro la paura e la disperazione, mentre le sue dita insanguinate artigliavano freneticamente pietra e ghiaccio. Un attimo prima che tutto fosse perduto, lui stese una mano e lei piantò il pugnale nella roccia, afferrandola.
Il dolore si propagò in entrambe le sue braccia, la sua spalla recentemente ferita protestò a gran voce, ma Tauriel mise tutto da parte in favore della sopravvivenza quando entrambi scivolarono oltre il bordo con solo il suo pugnale a tenerli ancorati alla parete rocciosa. Penzolavano pericolosamente e il coltello si sfilò leggermente, strappandole un gemito. Per un momento interminabile rimasero lì appesi, troppo storditi per parlare.
“Pe – penso di poter raggiungere il bordo se mi fai oscillare,” gracchiò Thorin alla fine, mortalmente pallido in viso. Adesso non c’era traccia di cattiveria nei suoi occhi.
“Tieniti forte", rispose lei cominciando la manovra, ben consapevole che la lama poteva sfilarsi in qualunque momento e spedirli entrambi alla morte centinaia di metri più in basso, dove il fiume era poco più che un serpente argentato.
La stretta del Nano era calda e liscia sul suo avambraccio, mentre lei lo guardava oscillare al di sotto e cercava di non fare caso all’altezza nè al lontano mormorio dell’acqua. Improvvisamente la lama si allentò, scivolando di parecchi centimetri, e Tauriel si lasciò sfuggire un grido di dolore e di paura; la schiena e le spalle le bruciavano per lo sforzo, la mano che stringeva l’impugnatura tremava pericolosamente.
“Non riesco più a tenerti!” gridò sentendo le dita indebolirsi intorno al manico, ma lui era così vicino, così vicino al bordo del dirupo.
“Ancora un poco!” urlò il giovane Thorin in risposta, guardando non lei ma la roccia sempre più vicina alle sue dita tese.
Facendo appello a tutta la sua forza lo fece oscillare un’ultima volta, con un grido strappato dal fondo dei suoi polmoni. Le dita di lui mancarono la presa per un terribile momento, poi la recuperarono, i suoi stivali si aggrapparono alla roccia e, per un qualche miracolo, egli restò là. Un’ondata di sollievo travolse Tauriel poco prima che il pugnale si sfilasse del tutto e lei si ritrovasse senza più sostegno; non riuscì nemmeno a respirare, il mondo rimase stranamente immobile per un breve, dolorosissimo istante.
Il giovane Thorin stese una mano verso di lei con un sussulto terrorizzato, quasi cadendo di nuovo, ma lei era già troppo lontana. Cadeva e cadeva, il tempo che sembrava riavvolgersi all’indietro e il vento che le ululava nelle orecchie come un lupo. Troppo sbalordita per urlare, Tauriel alzò gli occhi su di un volto pietrificato che la fissava, mentre l’urlo che era il suo nome si perdeva negli echi della valle.
  
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