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Autore: IntoxicaVampire    08/12/2015    0 recensioni
«Ma... come fai?» gli chiesi, annebbiata da quel tepore. «Non fa male». Fissai il fuoco, che era basso e di un colore rosso intenso.
«Non ti farei mai del male, Rosalie».
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Alla Sky High, scuola per giovani aspiranti supereroi, Rosalie Frozehart, "Freeze Girl" con il potere del ghiaccio, è da sempre innamorata di Warren Peace, il ragazzo con il potere del fuoco. Ma Ghiaccio e Fuoco sono due Elementi opposti per natura, possono essi convivere senza distruggersi l'un l'altro? Il loro amore così contrastato potrà realizzarsi? Entrambi soffrono eppure è così difficile resistere a un amore reciproco così intenso...
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Warren Peace
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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9. Per caso vuoi ammazzarmi di tachicardia? Solo per sapere, eh...


«Finalmente! Allora adesso siete insieme?» disse Ashley, a cui sembrava che fosse passato il raffreddore.

Avevo appena raccontato alle mie migliori amiche della "dichiarazione" di Warren.

«Magari! No ma guardate che non credo manchi tanto, eh» riflettei io, sogghignando. «Beh, avreste dovuto vedermi! Cioè, io là tutta contenta e lui che mi fa "ok adesso ti saluto perché devo andare a farmi la doccia, perché, sai, il mio profumo non è esattamente un Chanel n° 5"!». Risi della mia interpretazione delle sue parole.

«Vabèh, comunque resta il fatto che si è dichiarato» aggiunse Ska, mordendo una fetta di pizza. «Ehi, non mangi niente? Dai che dopo hai fame!».

«Ma secondo te» puntai l'indice contro il suo pranzo «riesco ad ingerire qualcosa dopo tutto quello che mi è appena successo??? Che delusione, Scarlett, pensavo che tu mi conoscessi. Non mi parlare più. Addio». Feci la finta offesa, incrociando le braccia e girandomi dall'altra parte.

«Mi scusi, credevo che lei fosse la signora "Non-saprei-cosa-fare-senza-le-mie-amiche" ma ora mi rendo conto che lei è la signora "Egocentrismo". Lieta di non fare la sua conoscenza» scherzò.

«E io credevo di non avere fame ma ora invece ho un languorino...! Ma ciaaaaaao Scarlett, lo sai vero che ti voglio bene??». Mi leccai i baffi, fissando con sguardo famelico la fetta di torta al cioccolato in bella mostra sul suo vassoio.

«Eh no, eh no, se vuoi ti do la macedonia, ma questa no». Si affrettò a nascondere dalla mia vista la preda a cui stavo puntando.

«Ma in quella ci sono i kiwi! E lo sai che non mi piacciono, perché mi fanno venire la pelle verde!».

Alla fine, tra una cavolata e l'altra, giungemmo a un patto: lei mi aveva dato metà della sua torta, ma in cambio io avrei dovuto prestarle un mio vestito per quella sera; mi aveva detto che Joe l'aveva invitata a cena a casa sua, e lei ovviamente era la persona più felice del pianeta. Escludendo la sottoscritta, che di lì a poco avrebbe dichiarato tutta la sua passione a una certa persona col nome iniziante per "W". Sogghignai.

«Oddio, mica devi andare in guerra!». Scarlett mi guardava esasperata, ma poi ridemmo. Stavamo scendendo le scale, dirette in giardino. Non appena scorsi quella "certa persona", cominciai a farmi un sacco di pensieri di ogni tipo. Guardai Scarlett, che in risposta alla mia domanda né detta né pensata strinse le labbra e accennò un lieve “sì” col capo, come conferma di procedere.

«"Sì" a che!?» le chiesi, ridacchiando. Lei alzò un sopracciglio e poi mi spinse verso Warren.

Non credo mi sentì arrivare, perché non alzò la testa dal giornale sportivo che stava leggendo. Era come sempre seduto sul muretto, così io gli arrivai da dietro. Allungai la testa sopra la sua spalla destra e vidi, sul magazine, una pagina riguardante le auto da corsa.

Appena il ragazzo si accorse di me, arretrò, con uno sguardo tra lo spaventato e l'imbarazzato.

«Uh» disse, guardandomi. I miei capelli dondolavano sopra la sua spalla. «Non ero io quello delle apparizioni improvvise? Vuoi sfidarmi?».

«No, a dire il vero» scavalcai il muretto e mi sedetti alla sua destra «volevo vedere se ne ero capace anche io, di farti prender gli infarti. Sai, l'infermeria ha bisogno di pazienti». Arrossii, perché pensai che fra poco uno di quei pazienti sarei stata io, dovuta farmi ricoverare da eccessiva velocità dei battiti cardiaci.

«A proposito di infermerie» dissi «cosa ti ha detto la signora Spex?». La signora Spex era l'infermiera della scuola. Aveva i raggi-x negli occhi, perciò riusciva a trovare le ferite e le fratture in un baleno. Possedeva tutti i rimedi possibili e immaginabili.

«Beh, la tua supposizione era esatta» dichiarò lui. «Questo è quello che mi ha detto: il vortice di Speed succhia via l'ossigeno; una mossa utile per disabilitare tutti, ma particolarmente devastante su chi ha poteri col fuoco; che io uso più ossigeno di una persona normale e che ne accumulo di più nel mio corpo per aiutarmi con i miei poteri. E mi ha spiegato che, quando si è fermato, mi è ritornata abbastanza aria solo per tenermi vivo, non per accendermi. Perciò avevo un mal di testa». Alzò le spalle. «Quindi niente fiamme nel vuoto dello spazio, se mai dovessi andare in una missione intergalattica» aggiunse.

Risi. «Ti ha dato un'aspirina?»

«Sì. Mi ha anche messo in faccia uno di quei cosi per farti respirare ossigeno. Mi sentivo un idiota, ma almeno adesso sto meglio». E, con un'altra alzata di spalle, rise. Anch'io ora ero più sollevata.

«Insomma, episodio ormai passato» dissi.

«Già». Ridemmo di nuovo assieme, entrambi felici che ormai fosse tutto a posto, anche fra di noi.

Mi avvicinai a Warren. Subito mi sentii molto bene. Era caldo, rassicurante, ed era lì vicino a me, cosa che ancora stentavo a credere. Gli presi una mano, guardandola.

«Ma non hai caldo con questi guanti di pelle? In fondo siamo ancora in estate».

«Mettiamola così: io non soffro il caldo come tu non soffri il freddo. O sbaglio?». Parlandomi, aveva intrecciato le sue dita alle mie. Il mio cuore cominciò a battere fortissimo, tanto che lo potevo perfino sentire molto chiaramente. Volevo con tutta me stessa distogliere lo sguardo da quello di Warren, ma non ci riuscii. Ero sicura di avere il viso completamente rosso.

«Credo di no». Sollevò un angolo della sua bocca, continuando a intrappolarmi nella sua presa, sia con la mano che con lo sguardo. «E tu invece non sudi con quei guantini? In fondo, sono sintetici».

Fissai la mia mano, lieta di non essere più magnetizzata dai suoi occhi così belli e profondi. «No no, sono davvero leggeri. Anche se mi piacciono di più quelli in pizzo neri, ma anche questi bianchi non sono niente male». Oggi avevo optato per quelli bianchi in pizzo. Sul sintetico si era sbagliato. Sorrisi divertita. «Non sono sintetici».

Si fece altezzoso. «Oh, mi scusi, ma come vede non sono molto esperto in fatto di abbigliamento».

«Ma no, guarda che mi piace tantissimo come ti vesti, anche se la giacca in pelle con questo caldo stona un po'. Almeno oggi non la porti: mi fai caldo solo a guardarti!».

«Ah, grazie per il complimento, comunque non ti preoccupare: me lo hanno già fatto notare quindi per il momento l'ho rimessa nell'armadio. Ma se vuoi che ti faccia caldo non ci sono problemi...».

Waaaahh oddio ma cosa mi era saltato in mente!! Dovevo stare zitta, altrimenti questo scopriva il mio piano diabolico! E adesso cos'ha intenzione di fare? Mi guardava intensamente, sorridendo, sempre senza lasciare la presa. Poi delle fiamme avvamparono nella sua mano, avvolgendo anche la mia. Erano tiepide, non scottavano, non facevano male. Anzi. Era una sensazione piacevolissima, come non avevo mai provato prima. Stavo così bene...

«Ma... come fai?» gli chiesi, annebbiata da quel tepore. «Non fa male». Fissai il fuoco, che era basso e di un colore rosso intenso.

«Non ti farei mai del male, Rosalie» mi disse serio. Non feci neanche in tempo a pensare alle sue parole che subito cambiò espressione, fissò le nostre mani in fiamme. «Sai, io riesco a controllarne la temperatura, ma di solito cambia in base alle mie emozioni. Ad esempio, se sono incazzato ti conviene starmi distante». Rise. Io in quel momento non ne ero capace; mi sentivo come se mi fossi drogata. Almeno credo ci si sentisse così. Ero leggerissima, come se avessi potuto toccare il cielo con un dito, e stavo molto bene. Eccome.

«Non vuoi?» mi chiese, una nota di dispiacere nel suo tono, vedendo il mio sguardo assente.

«No, no, ti prego, sto da dio così. È una sensazione magnifica». Avevo una voce assonnata. Ora che ci pensavo, non dormivo da tutta la settimana.

Senza riflettere, stanchissima, mi strinsi a lui, appoggiando la mia testa sulla sua spalla. Era molto confortevole. Chiusi gli occhi.

 

«Ehi, Bella Addormentata, guarda che la campanella è suonata da un pezzo! Ma che fai? Dormi?? Ué, sveglia!».

Mi sembrava di conoscere quella voce... tipo... di una migliore amica...

Accidenti! Scarlett! Ma... eravamo a scuola? Avevo l'impressione di essere sul mio letto, tanto bene stavo. Ma poi realizzai. Eravamo a scuola -eh, appunto-, era appena finita la pausa post-pranzo, avevo parlato molto con Warren, mi ero sentita benissimo mano nella mano con lui, e poi... oddio- mi ero addormentata su di lui!!!

Aprii gli occhi, e mi ritrovai abbracciata a nientemeno che Mister "Ti-faccio-caldo-volentieri", le mie braccia intorno al suo petto e la mia testa appoggiata sotto l'incavo del suo collo.

E fra tutto questo popò di roba, Scarlett cosa c'entrava??

«Ma dai, sei peggio di un gatto». Si stava divertendo come una matta. «Scusa Warren, adesso te la tolgo di dosso e dalle scatole» disse, ma non si mosse di un centimetro. Io invece avrei dovuto farlo, ma non ne avevo nessuna voglia. Stavo troppo bene così! Scorsi Ska farmi l'occhiolino.

«Vabbè dai, non mi dà mica fastidio. Almeno non è fredda come pensavo. Beh così va bene, la temperatura» le rispose lui. Come come? Aveva detto così sul serio, oppure ero io che stavo ancora immaginando il tutto?

«Ah no, oddio, sì beh non volevo cioè, credo che... sia il caso...» farfugliai.

Scarlett mi diede man forte. «È da lunedì che non chiude occhio» spiegò. Ehm, grazie, pensai.

«Di niente» rispose ad alta voce, sovrappensiero. Mimò con le labbra un "ops" e stavolta fui io a chiarire le idee. «Scarlett legge nel pensiero» dissi a Warren, liberandolo dalla mia presa e dandomi una sistemata ai capelli. Mi alzai in piedi. «Grazie» gli sorrisi. «Sono stata molto bene, insieme a te. Ora però purtroppo dobbiamo proprio andare. Ehm... vieni anche tu? Le lezioni sono già ricominciate...»

«Giusto». Si alzò in piedi, abbozzando un sorriso. Sembrava deluso per qualcosa.

Scarlett sogghignò. «Che hai?» le chiesi.

«Oh, niente...». Aveva una voce forzatamente innocente. Cercai di ignorarla, ma mi risultò particolarmente difficile, visto che manteneva quel ghigno stampato in faccia. Solo la presa di Warren riuscì a distogliermi lo sguardo da Ska.

«Se non sbaglio abbiamo questa lezione tutti e tre assieme». Intrecciò le sue dita alle mie. «Andiamo?». Era a dir poco euforico.

«C-certo» risposi, disorientata. Avevo totalmente perso la cognizione del tempo.

Ci avviammo verso l'aula con Miss Ghigno alle calcagna, che non mi perdeva d'occhio un minuto.

 

Quando varcammo la soglia, ci si parò davanti uno spettacolo a dir poco fantastico. Tutta l'aula era in subbuglio. C'erano aerei di carta che volavano, gli studenti ridevano e scherzavano, nessuno seduto al proprio posto, la lavagna era piena di scarabocchi e qualcuno si era anche azzardato ad accendere la musica. Anarchia Time?!

«È finita la scuola?» chiesi stupidamente io. Poi realizzai che il professore non c'era: dov'era finito? Mr. Perkins era uno di quegli insegnanti che non si ammalavano mai, che se c'era uno sciopero generale lui era l'unico a venire a scuola, e quindi era impossibile che fosse assente.

«Ehi Ash, che succede?» chiese Ska ad Ashley.

«Ciao Ska! Ci chiedevamo dove eravate finite. Perkins oggi sta male, è andato a casa dopo pranzo ma non so il perché. L'unica cosa di cui sono certa è che mi sto divertendo come una matta!». E si vedeva bene!

«Ma cos'ha Rose? È proprio sulle nuvole!» la sentii chiedere a Scarlett.

«Mah, indovina??». Indicò Warren accanto a me. Lui mi stava guardando, forse pensava che mi fossi fatta di qualche sostanza stupefacente. Non sapeva quanto c'era vicino...! Peccato che la sostanza fosse lui.

Molto stranamente non mi venne la voglia di unirmi ai miei compagni a fare casino in quel momento, preferii starmene seduta su un banco a riflettere sulla mia attuale situazione. E che di solito ero io la più casinista di tutti, quella che si metteva a ballare e gridare "Su le maniii, su le maniii, everybody everybody su le maniiii!" e a trasformare l'aula in una specie di cabaret ogni volta che avevamo un'ora senza professori.

Mi diressi in fondo all'aula, il posto più tranquillo, seguita a ruota da Warren. Raggiunsi un banco vuoto e mi ci sedetti sopra. Misi i piedi sopra la sedia e afferrai la cartella; ne estrassi una penna viola e il mio diario dei Tokidoki. Adoravo quei cosini carinissimi e li disegnavo ovunque, inoltre il loro creatore era italiano, proprio come me! Non potei fare a meno di scrivere sulla pagina del giorno "OGGI GIORNATA FANTASTICA!!! Meglio di così la vita non potrebbe andare!! :D :D" con faccine felici e cuoricini fluttuanti. Annotavo sempre quando succedeva qualcosa di interessante, per non dimenticare.

Sbirciai attraverso la cortina dei miei capelli, che avevo lasciato ricadere alla mia destra per nascondere il diario, e scorsi Warren guardare fuori dalla finestra con uno sguardo assorto. Era appoggiato al muro con le braccia incrociate. Guarda che roba! Quasi quasi gli faccio una foto. In effetti il mio cellulare avrebbe bisogno di un nuovo sfondo... Quello con lo Stregatto mi ha stufata, ormai, e Warren sarebbe il soggetto perfetto!

Il mio piano diabolico avrebbe anche potuto avere buon esito, se non fosse stato che lui si girò verso di me.

Mi affrettai a nascondere il diario in cartella. L'ultima cosa che volevo era che vedesse tutte le pagine che avevo riempito con il suo nome.

Mi spostai il ciuffo di capelli dietro l'orecchio e anch'io lo guardai. Appoggiai una mano sotto il mento mentre lui si avvicinava verso di me. Si accomodò sulla sedia del banco vicino, sedendosi al contrario.

«Era bello il panorama, fuori dalla finestra?» chiesi, scherzosamente.

«Preferisco questo». Si riferiva a me, ovviamente, perché non stava osservando altro. Sentii le mie guance diventare rosse, ma questa volta non abbassai lo sguardo. Ormai l'imbarazzo se ne era andato.

«Wow, grazie». Sorrisi. «Beh, inutile che faccia commenti su di te, lo sai come la penso».

«Uhm, a dire il vero... no. Anche se forse qualcosa ho capito».

Quasi mi arrabbiai. «Ma dai, è così evidente! Cioè, non per dire eh, ma tutte quelle volte che ci siamo parlati... ogni volta che mi guardi, divento rossa. E ti dico sempre che con te sto bene! Per te cosa significa??»

Non rispose a nessuna delle mie domande. Continuava a contemplarmi. Io cercai di calmarmi, facendo un respiro profondo. Fissai il muro.

«Davvero stai bene con me?» mi chiese.

«Certo.»

«Allora Scarlett aveva ragione, dicendo che sei peggio di un gatto: vai in cerca del calore, eh?» mi prese in giro. «Comunque è simpatica, la tua amica. Forse potrei riconsiderare la tua proposta».

«Intendi quella di entrare nella nostra compagnia?». Solo all'idea ero euforica.

«Sì, però non conosco quasi nessuno, a parte Joe, che siamo molto amici» rifletté.

«Davvero?» chiesi io stupidamente, la solita ignorante che non sapeva un tubo del mondo che le girava attorno. «Come non detto, adesso che ci penso lo sapevo. Vi ho visti spesso in giro assieme. Ah ah, adoro quel ragazzo! È anche il mio migliore amico, lo sai? E Scarlett ha una cotta per lui dall'estate scorsa!».

«Ma non mi dire??». Era così evidente?

«Sì sì! E adesso devo prestarle uno dei miei vestiti per stasera: Joe l'ha invitata a casa sua. Dice che cucinerà lui, anche se non credo sia un bene... l'ultima volta ha bruciato tutte le cotolette e alla fine abbiamo dovuto mangiare solo un'insalata!». Feci una smorfia al ricordo. Mentre ridevo, mi girai automaticamente verso la cattedra dove Ashley e Scarlett stavano guardando le foto sul cellulare. Come mi voltai, Ska mi rivolse un'occhiataccia: evidentemente aveva sentito tutto attraverso i miei pensieri. Feci un sorriso enorme e la salutai con la mano e lei, invece che venire a picchiarmi, mi sorrise. Significava che mi aveva perdonata.

«Certo che tu e lei vi divertite tantissimo assieme». Warren si era avvicinato di più a me.

«Sì! Ci conosciamo dalle medie. Sai, mi sono trasferita qui negli USA dall'Italia quando avevo circa undici anni». Amavo raccontare di me stessa agli altri.

«Italia?» chiese lui, sorpreso. «Ma non sei americana?».

«No, e sono molto fiera delle mie origini» Sorrisi. Quanto poco che ci conoscevamo! «L'Italia è, beh... era, un paese fantastico. I miei genitori sono entrambi italiani. Mio nonno paterno era emigrato in America molti anni fa, per trovare lavoro, e si era portato dietro tutta la famiglia. Mio papà è stato cresciuto seguendo la cultura e le tradizioni dell'Italia, come lo sono io, e così, prima di sposarsi, è tornato al suo paese d'origine. Lì ha conosciuto mia mamma e, beh, siamo nati io e mio fratello Alex».

Sembrava affascinato dalle mie parole. «Dev'essere proprio un bel posto. Io non ci sono mai stato, mi piacerebbe andarci un giorno». Fece una pausa, mentre io pensavo a quanto "bene" si viveva lì con quei bellissimi politici che avevamo, con i tagli alla cultura e alla sanità, e all'altissima disoccupazione giovanile. Sì, proprio un bel posto.

Warren mi guardò, fortunatamente non potendo sapere quali pensieri omicidi mi stavano aleggiando nella mente. «Però sapevo che avevi un fratello».

Sorrisi. «Certo, e come faresti a non conoscere Alex...» ridacchiai, perché anche se l'anno scorso era il suo primo anno alla Sky High (lui aveva 15 anni e a Marzo ne avrebbe compiuti 16) era già diventato famoso, sia perché era mio fratello, sia perché era entrato a far parte della band della scuola come batterista, e soprattutto perché era un figo, punto. «Sai, adesso i miei l'hanno mandato in Svizzera da dei nostri zii per un viaggio-studio. Dovrebbe tornare fra qualche mese. È partito all'inizio dell'estate, aveva detto che non voleva stare via un anno intero. Beh, per avere la sua età è molto bravo, è sempre stato indipendente. Lui ha il potere di controllare l'elettricità, circa come mio padre. Gli voglio un bene dell'anima, siamo inseparabili!». Sorrisi. Se pensavo ad Alex, mi veniva un magone che non finiva più. Mi mancava tantissimo. «Ma adesso mi parli un po' di te? Mi piacerebbe davvero tanto conoscerti fino in fondo».

«Ok, se vuoi puoi farmi il terzo grado, sono qui apposta». Rise.

«Ah, l'hai detto eh!». Gli puntai un dito contro. «Va bene, cominciamo allora! Aspetta... posso farti una domanda?»

Warren alzò un sopracciglio come a dire ''ma se è quello che ti ho appena detto''.

«Cosa intendevi prima con "di solito cambia in base alle mie emozioni"? Mi riferisco alle tue fiamme».

«Beh, ecco vedi... mia madre ha il potere di controllare le emozioni e gli stati d'animo».

«Ah, come Joe, allora!»

«Non esattamente. Joe riesce a farti sentire felice, depresso, arrabbiato quando gli pare e piace, mia madre invece riesce ad estendere agli altri il suo stato d'animo. Ad esempio, se lei è triste, può far sentire triste anche te. Mi ha sempre raccontato che i suoi poteri tendevano a correre via da lei se non stava attenta, e per questo si esercitava con tecniche meditative e corsi yoga. Ha cercato di propinarli anche a me, ma per fortuna l'ho convinta che non era il caso». Ridemmo. «Mi ha raccontato un sacco di episodi divertenti che le sono successi. Ad esempio, ancora quando andava a scuola, un giorno era molto depressa perché le era andato male un compito, e si è ritrovata con l'intera mensa che piangeva. Un'altra volta era andata a scuola senza aver dormito abbastanza, e il risultato ottenuto è stato che tutta la sua classe si è addormentata sul banco».

«Ahaha! Che roba!» Era davvero divertente! «Ma quindi è per il potere di tua madre che riesci a regolare la tua temperatura?»

«Credo proprio di sì. Beh, non ci sono molte altre opzioni, no?». Sorrise, e io non potei fare a meno che ricambiare.

Non mi andava di fargli altre domande sulla sua famiglia, sapendo come reagiva quando si nominava suo padre.

«Comunque» cominciai «volevo chiederti scusa lo stesso, per prima». Mi riferivo a quando lo avevo usato come cuscino. «Diciamo che sono stata un po' invadente».

«Solo un po'?» chiese, scettico. Ci rimasi male.

«Ehm, un po' tanto, ok lo ammetto. Beh mi dispiace se ti ho dato fastidio».

Mi guardò strano. «Ma cos'hai capito? Stavo scherzando. D'accordo, è vero che all'inizio mi sono molto sorpreso quando ti sei avvicinata e ti sei appoggiata a me. Solo non me l'aspettavo, tutto qui.»

Le speranze tornarono subito. «Quindi... sei stato bene anche tu?»

«Certo». Lo disse come se fosse una cosa ovvia. «Sei morbida, mi piaceva come sensazione».

Eh? Ero... morbida?

«Wow». Portai le braccia dietro la schiena, appoggiando le mani sul banco. Mi scostai una ciocca di capelli dal viso.

«Cosa c'è?». Mi si era avvicinato di più, guardandomi in volto. Io avevo lo sguardo altrove.

«Mi sembra che sia tutto così strano! Che tutto stia succedendo troppo in fretta. Voglio dire, è solo la prima settimana di scuola!»

«E allora?»

Lo ignorai. «Di questo passo dove andremo a finire?». Davvero, ero abbastanza incredula.

«Beh, magari potremmo...». Lo fissai, curiosa di come avrebbe completato la frase. Ma non fece in tempo a finire che sentimmo Scarlett gridare: «Shhhhhh!!! Dobbiamo fare meno casino, altrimenti ci scoprono! Ehi tu, spegni quella cavolo di radio!». Ma non la ascoltavano. Allora urlò disperata: «Ashley fai qualcosa!!!» e subito la classe calò in un silenzio di tomba, grazie ai suoi poteri. Ska ed Ash si diedero il cinque («Dammi il cinque, sorella!»).

Sospirai. Scesi dal banco e, accomodandomi sulla sedia, con la coda dell'occhio vidi Warren alzarsi e uscire dall'aula. Mah.

Cos'avrei fatto lì, per un'altra ora senza il professore? Avremmo dovuto avere due ore di fila con Perkins, oggi. Due ore di Letteratura Inglese. E non avevo nessuna voglia di fare casino. Divertita, pensai che se Ashley fosse stata un'insegnante durante le sue lezioni non sarebbe volata una mosca. Ridacchiai.

Proprio in quel momento entrò in classe la vicepreside e tutti si alzarono in piedi. Warren rientrò appena in tempo, mantenendosi sulla soglia della porta.

«Allora ragazzi: il signor Perkins sta male, e probabilmente non potrà fare lezione per tutta la prossima settimana. Oggi le vostre lezioni finiscono prima: potete andare a casa!»

Appena pronunciò quelle parole, tutti gli studenti andarono in subbuglio, felici come non mai. Manco fosse l'ultimo giorno di scuola! pensai. Ma ovviamente anch'io ero molto felice!

Ci dirigemmo in massa verso l'uscita, con tutti gli studenti delle altre classi che si affacciavano alle finestre sorpresi, lamentandosi con "Ma uffa!" "Non è giusto!" "Anche noi vogliamo!".

Salutai Ashley, che si diresse da Chris e Joe, e salii in corriera, con Scarlett e Warren che mi seguivano.

«Ma tu non prendevi quell'altro autobus?» chiesi a lui.

«Oggi prendo questo» disse, e mi fece l'occhiolino.

Lo lasciai passare avanti, voltandomi verso Scarlett. «Ehm... Ska, ti dispiace se stavolta mi siedo vicino a Warren?». Ero sicura che mi avrebbe lasciato fare senza problemi.

Ammiccò. «Sono profondamente offesa».

«Grazie amica, ti devo un favore». Le feci un gran sorriso.

«Ma quale favore! Adesso sbrigati, il tuo ragazzo ti sta aspettando!»

«Ma cosa dici! Non è il mio...». Non mi lasciò finire e mi spinse nel corridoio dell'autobus.

Mi accomodai sul posto che Warren mi aveva riservato.

Gli sorrisi: «Ciao».

«Ciao, da quanto tempo che non ci vediamo!» scherzò.

Presi una mentina dalla tasca anteriore del mio zaino e me la appoggiai sulla lingua.

«Vuoi?». Allungai il pacchetto in direzione del ragazzo.

«A cosa sono?»

«Menta». Ne prese una. «Sono molto rinfrescanti» aggiunsi.

La osservò. «Un po' piccole, ma grazie». Se la mise in bocca.

Dopo un po' esclamò: «Cavolo, altro che rinfrescanti! Queste sì che sono davvero potenti! Ho la bocca congelata!». Mi sfilò la scatoletta di mano e la osservò. «È con queste che ti droghi, di solito?»

Gli mollai una sberla sulla spalla scherzosamente. «Spiritoso! Te l'hanno mai detto che sei scemo?»

«Adesso sì». Ridemmo e lui mi restituì il pacchetto di mentine. Ero ancora un po' sorpresa dalla confidenza che avevamo acquisito nel giro di pochi giorni. Ero così felice!

«Comunque ho notato che oggi hai parlato meno.» disse lui, di punto in bianco. «Sei stata abbastanza tranquilla mentre facevi i tuoi discorsi, non ti sei lasciata prendere dall'entusiasmo. Dev'essere stato un lavoro molto duro, per te». Ridacchiò.

«Sì, mi sono impegnata davvero tanto!»

«Apprezzo lo sforzo». Mi sorrise sincero, e io ricambiai il sorriso.

Per il resto del viaggio non parlammo molto, ero impegnata a leggere gli sms isterici di Scarlett, che si era seduta in fondo.

 

Eh no Rose, adesso esageri però!!!

 

Aprii la tastiera del cellulare.

 

Ma che ho fatto?

 

le chiesi, confusa.

 

Dopo ti spiego! Aspettati una bella predica muahahaha >:D

 

Ci stavo capendo sempre meno.

 

"Dopo" quando???

 

E lei mi rispose:

 

Eh, dopo ah! Beh ti devo dire una cosa

 

Misi da parte la sua pazzia e appoggiai la testa sullo schienale del sedile. Ero pronta al peggio.

  
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