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Autore: Il_Genio_del_Male    09/12/2015    7 recensioni
C’era un volta la Vita, che serbava nel cuore un dolore inesprimibile. La Vita amava la Morte, sua gemella, da più tempo di quanto esistano le parole per descriverlo. Questa è la loro storia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kai, Kai, Sehun, Sehun
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incest
- Questa storia fa parte della serie 'Quei fagiani maledetti'
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Autentico word vomit ispirato a questa cosa: http://images-cdn.9gag.com/photo/abyDDD9_700b_v1.jpg. Chiedo perdono ad Esiodo per aver rivoltato come un calzino la sua Teogonia e a chiunque di voi leggerà quanto segue. Non ha senso, è inutile e assurdamente angst. Ma dovevo.

P.S. Il rating è arancione per via della tematica trattata; quando si scrive Incest è meglio prendere qualche precauzione in più.

 

 

 

 

 

In un’epoca in cui l’universo era in balìa del Caos primigenio e sulla Terra regnavano le tenebre della notte eterna, avvenne un giorno che Cronos, il Tempo, portasse per primo la luce nel mondo. Con una falce evirò il padre Urano, sprofondato da secoli nel ventre della potente Gea; cielo e terra vennero separati e il sole inondò con i suoi caldi raggi le terre ubertose, i monti, lo sconfinato oceano. Dall’oscurità ebbe origine il giorno, dalla stirpe divina quella umana. Il Caos divenne Cosmo, ordine perfetto.

 

 

Non esiste inizio che non derivi da una fine. L’equilibrio viene raggiunto con l’estinguersi del disordine. La luna si alza in cielo non appena il sole cala ad Ovest, e la sfumatura purpurea che ne tinge gli ultimi raggi ricorda il sangue di una creatura che sta esalando l’ultimo respiro.

Sono due i numi che sovrintendono al principio e al termine di ogni cosa, sia essa inanimata o meno, corporea o meno. Entrambi frutto del seme di Cronos, concepiti nel grembo di una sacerdotessa orientale dalla chioma più nera della cenere e la carnagione pallida come nebbia autunnale, al momento della loro nascita vennero battezzati dalla madre con i nomi che, nella sua lingua antica, significavano rispettivamente Vita e Morte.

Sehun e Jongin.

L’uno è bianco ed intriso di luce; la sua risata è acqua cristallina che sgorga dalle sorgenti ed irriga le messi ed i prati ricchi di boccioli. Il suo dono è la nascita e, segretamente, gli piace pensare che ogni essere vivente sia una minuscola parte di sé, un suo infinitesimale figlio. L’altro è ombroso, le sue vesti scure ed opache. Rifugge il sole al pari della speranza, poiché non esiste consolazione nella fine. L’oblio è il suo dono, il suo unico dono.
Tuttavia Sehun ama teneramente il fratello e sin dalla loro infanzia -sempre che gli dèi ne abbiano una- gli sta accanto, non lasciandolo solo nemmeno quando gli viene ingiunto di farlo. Coglie per lui i fiori più profumati, gli riserva l’ambrosia più dolce ed i sorrisi più genuini. Jongin, sebbene incredulo e di indole ritrosa, finisce per accettare le attenzioni del suo gemello. Non è in grado di ricambiarle perché non ha nulla da offrire in cambio, è la Morte, e se ne vergogna. Sehun capisce e non pretende alcunché. Fintanto che Jongin afferrerà con forza la mano che lui gli tende, sarà felice.

 

 

La Vita dovrebbe temere, se non tenere a debita distanza, la Morte; eppure l’impossibile accade.

 

 

Anni dopo, divenuti adulti abbastanza da potersi separare e prendere possesso dei rispettivi regni (tanto, troppo distanti l’uno dall’altro), Sehun quasi impazzisce di dolore. Tutta la bellezza della natura, i colori dell’arcobaleno, il miracolo di una nuova vita –niente di ciò che solitamente lo rende felice riesce a colmare il vuoto che scava una voragine nel suo cuore al pensiero dell’imminente distacco da Jongin. E perciò compie un atto impensabile, folle, che infrange il più atavico dei tabù: giace con il proprio fratello.
La madre li sorprende durante l’amplesso, i giovani corpi adagiati su vesti nere di morte, e non ha nemmeno la possibilità di chiedersi se si tratti di stupro o di un atto consensuale; grida, si strappa ciocche di capelli dalle radici insanguinate, si batte il petto in segno di lutto. I suoi gemelli, i suoi preziosissimi tesori, perduti per sempre. Eternamente maledetti. Cronos sente le urla di sconforto della donna e accorre sulla scena ove è stato consumato il crimine supremo. In preda all’ira, cieco di fronte alle lacrime e sordo alle suppliche della madre dei suoi stessi figli, si erge a giudice e commina la pena, crudele come il piccolo dio che un tempo aveva evirato il terribile Urano.

Sehun e Jongin sono condannati a trascorrere il resto della loro esistenza in completa e totale solitudine. Questa è la punizione che subisce chi osa alterare l’ordine del Cosmo. Vita e Morte devono restare separate; e così accade.

 

 

C’era una volta la Vita, che aveva le affascinanti sembianze di un ragazzo e un dolore nascosto negli anfratti più reconditi del cuore. La Vita amava la Morte -anch’ella con l’aspetto di un giovane di misteriosa bellezza- da più tempo di quanto esistano le parole per descriverlo. Tuttavia i due amanti non potevano stare insieme e nemmeno incontrarsi perché erano l’uno l’opposto dell’altro, e la loro vicinanza avrebbe causato gravi ed inimmaginabili scompensi nell’equilibrio del mondo. Sicché la Vita, per ricordare alla Morte che l’avrebbe sempre amata nonostante il crudele destino che le aveva separate, le spediva infiniti doni: esseri umani, animali, piante di ogni tipo. Non voleva che l’altra si sentisse sola. Le mandava le proprie creature quando erano ancora minuscole, cuccioli traballanti e timidi germogli, giacché sapeva che il loro viaggio sarebbe stato lungo e faticoso.
Alla fine, trascorsi diversi anni, esse arrivavano a destinazione; ma erano ormai stanche, invecchiate o strappate prematuramente al loro destino. Avevano bisogno di un luogo dove riposare e domandavano asilo alla Morte. Ci manda la Vita, dicevano per convincere la nera figura che le accoglieva al limitare del crepuscolo. Siamo il suo regalo per te. E la Morte, che lo sapeva, accettava quei doni e li teneva con sé. Per sempre.

   
 
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