Serie TV > NCIS
Ricorda la storia  |      
Autore: Gaia_dc    11/12/2015    1 recensioni
Un giorno ballerai con un uomo che merita il tuo amore. Tutti conosciamo queste parole. Sono quelle che Eli David disse alla sua bambina prima di partire per una missione. Ma cosa succedeva intanto nella vita di quella bambina, nella vita di Ziva David?
Per l'Hanukkah si esprime un desiderio al giorno, e quello di Ziva è di potersi liberare da un regalo di suo padre che la incatena ad un futuro che non vuole.
Tutti ci ricordiamo com'è iniziata la grande storia d'amore che ha accompagnato la serie di NCIS... E se non fosse quello l'inizio? E se risalisse a tanti, tanti anni prima?
Non ci state capendo molto, vero? E allora cos'aspettate? Leggete questa storia un po' AU e ditemi cosa ne pensate.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Tutti in riga e senza fiatare. Mani dietro la nuca e gambe divaricate!”
 
Questa è la sveglia quotidiana di una bambina che è costretta a diventare quello che sperava non avrebbe mai dovuto essere. E non è l’unica. Con lei ci sono anche altri bambini, tra cui il suo fratellone. Sono tutti maschietti a parte lei, e tutti hanno circa 11 anni. Lei ne ha solo 8.
 
Suo padre è il direttore del Mossad, Eli David, un uomo senza scrupoli e per il quale il lavoro viene prima di tutto, anche della sua famiglia e dei suoi figli. Ma sono scelte di vita, e Ziva non è nessuno per poter giudicare suo padre. Il loro rapporto è ben diverso dal solito ed è raro che Eli dimostri il suo amore paterno.
 
Aveva deciso di mandarla all’addestramento del Mossad perché già da quando era piccola aveva notato le sue potenzialità, e che fosse una femmina non gliene importava molto. Sarebbe diventata uno dei suoi uomini, che lavorano per lui e che spesso compiono atti disumani per il bene della patria. O almeno così dicono. Strappano le vite delle persone come si fa con la carta dei regali che si ricevono per l’Hanukkah.
 
Il fatto è che Ziva non sa nemmeno cosa sia l’Hanukkah. Ne sente parlare tanto dai suoi amici, dai suoi compagni di accademia nel Mossad, ed anche dalla sua famiglia. Infatti anche loro fanno l’albero come quello di Natale, accendono le candele … E poi basta. L’Hanukkah è solo questo. Divertirsi ad appendere quattro decorazioni ad un alberello spoglio che ogni anno riutilizzano e che usano come soprammobile, e scegliere le candele più adatte per ricordare quegli otto giorni importanti per tutti gli ebrei. Poi arriva il momento in cui ci si scambia i regali. Ogni anno Ziva riceveva un coltello ma da quando è entrata a far parte dell’addestramento del Mossad, suo padre le ha regalato delle pistole come quelle che regalava al suo fratellone Ari. Tali invece è ancora molto piccola, e non riceve nulla. Generalmente si esprime un desiderio al giorno, ma questo loro non lo facevano, perché il padre gliel’ aveva proibito.
 
Tutti i bambini erano rientrati da poco nella camera dove c’erano tutte le loro brandine e dove dormivano due volte a settimana.
 
“Rabi cosa ti regalano i tuoi per l’Hanukkah?”
“Non lo so ancora, Aron. L’anno scorso mi hanno regalato un elicottero telecomandato che mi sono divertito tantissimo ad usare. E a te che hanno regalato l’anno scorso?”
“Mi hanno regalato un cellulare nuovo. Però quest’anno vorrei qualcosa di più divertente, tipo un binocolo che ti permette di vedere anche al buio, così magari un giorno vieni da me e giochiamo insieme a fare le spie!”
“D’accordo ci sto! E tu invece, Ziva, cosa vorresti per l’Hanukkah?”
 
Ziva non sopportava che le si facessero domande personali. Non perché non avesse delle risposte, ma perché si sentiva al centro dell’attenzione così, e non lo sopportava. Ed ogni volta cercava di tergiversare.
 
“Non è il momento di parlarne. Dobbiamo prepararci per la cena” rispose alzandosi dalla brandina e dirigendosi al bagno.
“Che c’è? Hai paura che anche quest’ anno i tuoi ti regalino un coltello? Magari ti regalano la pistola vecchia di Ari!” la insultò Aron.
 
Ormai Ziva ci era abituata, era la più piccola e tutti si prendevano gioco di lei. Chi più, chi meno. Entrò in bagno dopo avergli lanciato una gelida occhiata che lo fece rabbrividire si chiuse a chiave.
Rabi tirò una gomitata ad Aron e gli sussurrò nell’orecchio che forse aveva esagerato, ma il bambino continuò a stuzzicarla.
“Ho toccato un tasto dolente? Sei invidiosa di tuo fratello?”
“Smettila Aron… Adesso è troppo!” lo riprese Rabi.
“Voglio divertirmi ancora un po’” gli rispose senza farsi sentire da Ziva, che intanto cercava di mantenere la calma.
“Allora Ziva?” si avvicinò alla porta del bagno “Stai piangendo come una femminuccia?”
Aveva oltrepassato ogni limite. Uscì dal bagno sbattendo la porta, facendo sussultare il bambino. Con le mani gli prese il collo e lo sbatté al muro, sotto lo sguardo divertito di Rabi.
“Sarò più piccola di te, e sarò anche una femmina, ma questo non mi impedisce di prenderti a pugni se provi ancora ad insultarmi!” Lo minacciò seria.
“E… E dai… Io volevo solo… Sapere cosa volevi per l’Hanukkah…” rispose terrorizzato.
“Avanti Ziva… Lascialo in pace. Ha fatto lo scemo!” Ziva gli tolse la mano dal collo senza però staccargli gli occhi di dosso.
 
Aron riacquistò subito la sua sfacciataggine, con un sorriso malizioso, riprese a stuzzicarla.
“Non avresti avuto il coraggio di picchiarmi. Sei solo una bambina…”
“Anche voi lo siete!” rispose a tono Ziva.
“Credi che abbia paura di te solo perché sei la figlia del direttore? Ti sbagli. Non mi fa paura quell’uomo. E poi è cattivo. Non vi lascia nemmeno esprimere i desideri delle canele!”
Un altro attacco d’ira e Ziva si voltò di scatto buttandolo a terra. Nonostante tutto, lei amava suo padre… Forse solo perché era suo padre, ma non tollerava che venisse definito cattivo o cose simili. Era sempre suo padre.
Era ancora stesa su Aron dopo averlo fatto cadere, e gli aveva messo entrambe le mani sul petto.
“Non è che mi dispiaccia molto questa posizione, David… Sei molto… Sexy!”
Rabi continuava a ridere in modo sommesso e a gustarsi la scena. In altre situazioni si sarebbe unito all’amico, ma dal momento che quel giorno Ziva era molto nervosa, e sapeva che quando si arrabbiava, scoppiava il finimondo, rimase in disparte.
A quelle parole Ziva gli tirò un pugno sullo zigomo che si gonfiò immediatamente facendolo piangere.
“Hai finito?”
Si rialzò, ed uscì dalla camera per la cena.
 
Era il primo anno per lei e doveva ambientarsi. Non era facile dato il suo carattere riservato ma anche molto testardo e poco socievole. Rimaneva sempre in disparte sentendosi diversa, e quando qualcuno le faceva delle domande era sempre molto fredda e distaccata. Nascondeva così la sua timidezza, e spesso ricorreva alle mani per non apparire debole. Suo padre le aveva insegnato che essere timidi voleva dire essere vigliacchi, e Ziva voleva essere tutto tranne che una codarda.
 
 
Era trascorso un anno dal suo arrivo nell’accademia, e Ziva aveva dimostrato tutte le sue capacità, dalla lotta corpo a corpo, all’uso dei coltelli e delle pistole. Ma soprattutto, aveva acquisito una disciplina che la contraddistingueva dagli altri del suo gruppo.
Era sempre molto silenziosa, ma aveva anche iniziato a fare amicizia. Era diventata la più temuta da tutti, non solo per le sue potenzialità, ma anche perché era l’unica che riusciva a tenere testa ad Aron e ai suoi amici.
 
L’addestratore del Mossad, Hadar, aveva deciso che avrebbe fatto fare un test finale a Ziva, essendo lei molto più piccola della media, ed essendo una femmina. Generalmente era contrario al reclutamento di donne, ma lei costituiva un’eccezione, e non solo perché figlia del direttore.
Tutti i bambini, però, erano convinti che probabilmente erano loro ad aver bisogno di essere verificati, e non certo Ziva. Ma nessuno osò contraddire l’istruttore.
 
“Buona fortuna, Ziva”
“Saranno i soliti esercizi, Ilan”
 
Ilan, insieme ad Adam e Michael era un amico del quale Ziva si fidava particolarmente. Erano tutti e tre i migliori amici di Ari, ma da quando questo era passato ad un altro tipo di addestramento, si erano legati molto a sua sorella.
 
“Ciao Ziva, buona fortuna... Ho sentito che Hadar ha preparato qualcosa di più adatto a te per il test” Aron era entrato nella camera dove c’erano tutte le brandine, e aveva già cominciato a stuzzicarla.
“Non mi provocare Aron!” rispose tentando di rimanere calma.
Le sue parole le avevano raggelato il sangue, e probabilmente una volta sarebbe entrata in bagno, avrebbe appoggiato la schiena alla porta cercando di mantenere la calma e sperare che non fosse vero, ma il Mossad l’aveva in qualche modo cambiata, e riusciva perfettamente a controllare le sue emozioni.
“Lo so che sei pericolosa… E a me piace il rischio!”
“Aron, stai giocando col fuoco…”
“Tranquillo Rabi, voglio solo vedere la nostra Ziva in azione! È molto sexy!”
Ziva che cercava di ignorarlo, tentando di mantenere il suo autocontrollo, senza scomporsi, estrasse il coltello a mollettone che suo padre le aveva regalato, avanzò lentamente verso il ragazzo sfacciato, che al contrario indietreggiò fino a trovarsi spalle al muro.
 
Intanto tutti i bambini erano rientrati e guardavano la scena rapiti e curiosi. Sentendosi tutti quegli occhi addosso, Ziva volle farla cessare lì.
“Perché tutta quest’agitazione? Hai forse paura? Signori abbiamo trovato cosa spaventa Ziva David: il fallimento!”
Senza pensarci due volte, Ziva lanciò il coltello che si conficcò nel legno del muro, a meno di un millimetro dall’orecchio di Aron, che rimase traumatizzato.
“La prossima volta, ricordati con chi stai parlando!”
 
Il test si rivelò essere non poco più duro dei soliti allenamenti. La paura di Ziva, era quella di deludere suo padre che, sapeva, aveva grandi aspettative in lei.
I loro allenamenti consistevano in esercizi molto pratici.
Spesso il loro addestratore ordinava di mettersi in fila a gambe divaricate, per svegliarli ed allenarli ad essere pronti a tutto. L’esercizio era una prova della soglia del dolore. Con una mazza in legno colpiva i bambini in punti strategici, e spesso accadeva che qualcuno finisse in infermeria. Nel suo test, Ziva dovette fare lo stesso esercizio, sopportando il dolore e rimanendo immobile con le mani dietro la nuca, e senza fare smorfie con il volto. Era un segno di debolezza. Successivamente passò ad altre prestazioni: la lotta corpo a corpo, un combattimento a 3 contro 1, il lancio dei coltelli, la mira della pistola, schivare i proiettili e per ultimo affrontare un uomo con un coltello. Tutti esercizi del tutto nuovi.
 
Superò il test brillantemente, diventando così, quasi una leggenda fra tutti i suoi compagni che vedevano in lei un modello cui ispirarsi.
Quando uscì dalla palestra, tutti i compagni la applaudivano, facendola sentire così ancora al centro dell’attenzione. Cercò di non dare molto peso alla cosa, e tornò subito nella stanza seguita da Ilan, Michael e Adam.
 
“Wow Ziva…Sei stata bravissima!”
“Si, Michael ha ragione. Quando hai schivato quei proiettili poi… Ma dove hai imparato?”
“Non ho imparato. Ho solo cercato di sopravvivere” tagliò corto lei.
“Aron se la sarebbe fatta sotto!” scherzò Adam
“Si! Dovevi vedere come ti guardava… Era impressionato!”
“Secondo me, Ilan, Aron era ancora traumatizzato dal coltello che si è visto arrivare!”
“Aron se la sarebbe cavata come me, e come tutti voi. Siamo stati allenati allo stesso modo!” rispose Ziva che non aveva voglia di sentirsi diversa ancora una volta. Si alzò e andò in bagno  a cambiarsi.
“Stai scherzando? Ziva tu sei una vera forza della natura. Noi non saremo mai come te!”
E questo non l’aiutava.
 
Pochi secondi dopo uscì dal bagno, mentre cercava invano di convincere i suoi amici che quello che aveva fatto non era poi chissà che cosa, e mentre si stava abbassando la maglietta.
Adam si accorse subito di un particolare e la bloccò.
“Ziva che ti sei fatta?”
“Niente”
“Ziva che cosa ti sei fatta?” si intromise Ilan.
“E questo lo definisci niente?” chiese sarcastico Michael alzandole la maglietta al livello del costato. Aveva una garza che probabilmente aveva appena messo quando si era cambiata, con una macchia rossa al centro, che si espandeva a vista d’occhio.
“Niente!” negò stizzita.
“Ziva quando te lo sei fatto?”
Ormai era inutile nascondere e decise di confidarsi con i suoi amici.
“Durante la lotta col coltello. Hadar me lo ha infilato nel costato… Ma non fa male. Non è niente!”
“Questo Hadar lo sa?” chiese Adam preoccupato.
“No, e non lo deve sapere. E nemmeno mio padre. Non lo deve sapere nessuno!” si agitò abbassandosi la maglietta.
 
“Cos’è che non possiamo sapere?”
La voce di Aron si insinuò tra i bambini che si voltarono immediatamente e all’unisono quasi gridarono “Niente!”.
I tre ragazzi si erano messi davanti a Ziva, come a formare una barriera per paura che Aron e Rabi potessero vedere la ferita nonostante la maglia.
“Niente? Davvero Ziva?”
“Già… Davvero?” aggiunse Rabi.
Da dietro i tre bambini spuntò Ziva, che però si diresse verso Rabi.
“Sai Rabi, Aron è uno scemo, è vero. Ma tu sei proprio senza carattere!”
I tre ragazzi si sarebbero messi a ridere in altre circostanze, ma avevano paura che Ziva potesse mettersi di nuovo a lottare con i due, e si facesse male alla ferita.
“Non hai spina dorsale! Credi di essere importante solo perché stai sempre appiccicato ad Aron, ma non ti accorgi che ti sta solo usando!”
“Ehi come ti permetti?! Aron non mi sta usando… Vero?” chiese conferma all’amico.
“Ziva sei più perspicace di quello che pensavo… Ma non abbastanza. Vieni Rabi andiamo”
Prese per mano l’amico che continuava a chiedere conferma, e fece per uscire. Poi si fermò sulla soglia
“Sei stata davvero eccezionale oggi… Ho seguito con molta attenzione il tuo test!” disse con un sorriso maligno in volto.
 
Quella sera tutti i genitori dei suoi compagni erano andati a prendere i loro figli per riportarli a casa. Ogni volta Ziva scendeva nell’atrio con la speranza di vedere tra i tanti il viso di suo padre, ma ogni volta rimaneva delusa. Spesso rimaneva a dormire nell’accademia, e la sera andava ad allenarsi di nascosto. L’avrebbe fatto anche quella notte, ma ormai era una settimana che non tornava a casa, e decise di raccogliere le sue cose, che altro non erano se non il suo coltello, la pistola di Ari e un pantalone con una maglietta di ricambio, e tornò a casa a piedi.
 
Era buio pesto, e Ziva non riusciva a vedere ad un palmo dal suo naso. Sentì dei rumori provenire da un vicolo che aveva appena superato e si voltò di scatto.
“Chi è?” chiese spaventata.
Era forse la ragazza più capace tra i suoi compagni, ma aveva sempre 8 anni, era sola e con una ferita che cercava di nascondere anche a se stessa.
 
Un tempo si sarebbe messa a correre verso casa, ma come già detto, il Mossad l’aveva resa diversa.
Iniziò a guardarsi in giro con circospezione.
“Aron sei tu? Guarda che non mi fai paura”
Poi vide un ciuffo di capelli castani provenire da dietro un barile, e si avvicinò cauta.
“Chi sei?”
Ma non rispose.
“Guarda che ti ho visto… È inutile che ti nascondi!” disse girando intorno al barile e trovando una figura accovacciata.
“Ma… Io non mi stavo nascondendo… Stavo solo… Allacciando le scarpe!”
Un bambino alzò la testa, sfoderando un meraviglioso sorriso, ma non fu quello ad accecare Ziva. Aveva due occhi verdi che da soli emanavano luce, e la bambina rimase immobilizzata per una frazione di secondo.
 
“Hai bisogno di aiuto?”
“Aiuto? Io? Non credo proprio…”  rispose il bambino.
“Come ti chiami?” aggiunse subito dopo.
“Ziva… E tu?”
Il bambino esitò un attimo per poi rispondere.
“Bond. James Bond.”  Disse imitando il film di 007, mettendosi un paio di occhiali.
“Non c’è sole… E poi che razza di nome è James Bond? Sei americano?” rispose  accigliata.
“Tu… Tu vuoi dirmi che non conosci James Bond?” chiese il bambino ancora più stupito di lei, togliendosi gli occhiali.
“No… Dovrei?”
“Occhioni belli… Tutti conoscono il grande James Bond… Chiedi a tuo padre, lui saprà sicuramente!”
Non era proprio il caso di chiedere, e Ziva cambiò subito argomento.
“Non mi hai ancora detto che ci fai qui!” disse in tono seccato.
“Beh… Io…”
“Fermo! C’è qualcuno!” lo zittì.
 
Si nascose dietro l’angolo e cacciò lentamente la sua pistola, facendo sgranare gli occhi al bambino.
“Da voi è normale che le femmine portino una pis…”
“Shh!!!”
Si affacciò leggermente per poi sospirare.
“Ah… Era solo Hadar. Ma tu prova a chiamarmi femmina ancora una volta e giuro che ti strappo il braccio e lo uso per bastonarti a morte!”
Il ragazzo fece uno sguardo misto tra il terrorizzato e il sorpreso… Insomma il tipico sguardo da Tony DiN… Em… James Bond… Da James Bond!
“Sono del Mossad.” Spiegò con nonchalance.
“Il Mossad? Vuoi dire che fai spionaggi e porti la pistola con te? Ma non è una cosa da uomini?”
Non fece in tempo a pentirsi dell’ultima frase, che si ritrovò con la faccia per terra ed una mano fra le scapole…
“Mi sa che non avrei dovuto dirlo!” farfugliò.
“Tu credi?” rispose divertita.
Comunque non mi hai ancora detto perché sei qui…” aggiunse.
“Mio padre è qui per lavoro e…”
“Ehi ehi… Non ho capito niente! Parla bene!”
“Se mi lasciassi andare…”
In men che non si dica, il bambino fu rimesso in piedi e ancora frastornato disse
“Ma sei una ninja o cosa?”
“Te l’ho detto faccio parte del Mossad… E tu?”
“No io non ne faccio parte…”
“Intendevo cosa fai qui a quest’ora…”
“Oh scusa… Mio padre è venuto qui per lavoro ed io l’ho seguito. Non torna in albergo da due giorni ed io sono uscito a visitare Tel-Aviv…”
“E ti sei perso…” terminò la frase in una risata sommessa.
“Scherzi? I DiN… Bond! I Bond non si perdono mai!”
Ziva sorrise per il tentativo del bambino che aveva davanti, circa della stessa età di suo fratello, di convincerla che il suo nome fosse James Bond e che non si fosse perso…
 
Alla fine fu costretto ad ammettere che non aveva la minima idea di dove fosse e si fece riaccompagnare a casa da Ziva.
 
Si trovò di fronte alla porta di casa sua, aveva fatto tardi e lo sapeva. Cos’avrebbe detto a suo padre? Certo non poteva dire che aveva conosciuto un ragazzo… O chissà come sarebbe finita.
Entrò in casa e si accorse che c’era uno strano silenzio. Entrò in salotto e trovò sua madre che era affacciata sul balcone.
“Mamma? E papà dov’è?”
“È dovuto partire per lavoro amore…” disse la madre di Ziva voltandosi e non pensando al ritardo della figlia.
“Ancora? E quando torna?”
 
Eli David partiva spesso all’insaputa dei figli per missioni segrete del Mossad, ed essendone lui il direttore, era tenuto a prenderne parte. Ogni volta Ziva aveva paura che potesse tornare ferito o che non tornasse proprio. E avendo iniziato ad allenarsi nel Mossad, aveva capito che il pericolo era ancora maggiore di quanto si aspettasse.
 
“Presto tesoro, te lo prometto. Per il tuo compleanno ci sarà.”
Senza spendere altre parole la bambina annuì e andò in bagno a cambiarsi e fasciarsi nuovamente la ferita. Non aveva intenzione di dirlo a nessuno. Le faceva male, ma doveva sopportare il dolore come le era stato insegnato. Si mise un top lasciando scoperta la ferita e guardandosi allo specchio iniziò a respirare profondamente.
“Il dolore è solo nella tua mente Ziva. Tu non provi dolore, e mai ne proverai” si ripeteva. Era una promessa. Nella vita non avrebbe mai sofferto come sua madre per l’uomo che amava. E per questo motivo, non si sarebbe mai innamorata.
Aveva rimesso la benda quando d’un tratto la porta si aprì.
“Tali che succede?”
“Ho fatto un incubo Ziva. Mi sono girata perché così mi abbracciavi ma tu non c’eri. E sono venuta in bagno!”
rispose la bambina sfregandosi gli occhi assonnata.
 
Ziva sapeva bene che la madre aveva altri pensieri per la testa, e per questo era lei ad occuparsi della sorella, ogni volta che era a casa. Forse era l’unico vero motivo che la spingeva a tornare dall’accademia. Amava Tali, e per lei avrebbe fatto di tutto.
“Ziva che ti sei fatta?”
“Niente… Non è nulla. Adesso vieni qui che andiamo a fare la nanna” la rassicurò prendendola in braccio.
“Sei sicura che non ti fa male?”
“Sono sicura. Però tu devi promettermi che non lo dici a nessuno.”
Tali aveva solo tre anni ed essendo molto stanca non fece discussioni.
Ziva la portò nel lettino accanto al suo, ma Tali si agitò.
“Che succede Tali? Dai che è tardi”
A tenerla in braccio le faceva male la profonda ferita, e non avrebbe retto a lungo.
“Voglio restare con te…”
“Mi metto nel letto con te e ti abbraccio?” propose.
“Si… Però voglio l’altra Ziva. Quella buona.”
Quelle parole le fecero male. Sapeva che non erano dette con cattiveria, ma le fecero mancare il respiro e fu costretta ad appoggiarla sul lettino.
Sapeva cosa intendesse, ma lo negava a se stessa. Da quando era entrata nel Mossad era diventata una macchina che quasi non provava emozioni, e Tali se n’era accorta. Ma quello era il suo destino, e non poteva far altro che accettarlo.
 
Si addormentarono così quella notte. Abbracciate, sapendo che probabilmente sarebbe stata una delle ultime volte in cui Ziva si sarebbe comportata per com’è veramente, e non come una macchina da guerra.
 
Erano le 5:30 del mattino e alle 6 Ziva doveva già essere al Mossad. Quando si svegliò aveva forti dolori al costato. Tali le era rimasta abbracciata tutta la notte stringendola proprio sulla ferita. Ma Ziva non aveva detto nulla. Per Tali era disposta a sopportare di tutto.
 
Le diede un bacio sulla fronte e tentò di staccarsi da lei senza svegliarla. Si accorse che aveva ancora il top, e se sua mamma fosse entrata avrebbe visto la ferita. Corse in bagno a vestirsi e in due minuti era già fuori dalla porta. Ma una sorpresa l’attendeva.
 
Camminava velocemente lungo le strade della sua città quando fu afferrata per un braccio e trasportata in un vicolo. Ma in men che non si dica, il suo aggressore si ritrovò per terra con la pistola puntata sulla fronte.
“Ehi occhioni belli. Sono io!”
Era il ragazzo dagli occhi verdi che avevano incantato la piccola Ziva.
“Che vuoi?” chiese scorbutica. Non si sentiva molto bene, ed al Mossad l’aspettava una lunga giornata.
“Come mai così nervosa?”
“Ho la luna girata!”
“Storta… Hai la luna storta!” la corresse il bambino ridendo.
 
Da quando James, o qualunque fosse il suo nome, aveva detto di essere americano, i due comunicavano sempre in inglese. Ziva era bravissima, perché suo padre le aveva fatto imparare circa 10 lingue, dicendole che le sarebbe servito per essere un’agente del Mossad. Ogni tanto però sbagliava i proverbi americani…
 
Il bambino tentò di convincerla a farsi portare nella sede del Mossad, ma Ziva non si fece intimidire e lo rispedì a casa.
 
Una volta arrivata, Ilan, Michael e Adam la stavano aspettando in palestra.
“Ziva!” gridarono in coro.
“Ragazzi che succede?”
“Hadar ha intenzione di fare lotta corpo a corpo… E pensiamo ti metta in coppia con Aron. Insomma voi siete i più bravi…”
“E quindi?”
Sapeva quali erano le preoccupazioni dei suoi amici, ed erano anche le sue. Ma non poteva mostrare di aver paura. Perché così le era stato insegnato.
“Ziva… Dovresti parlarne con Hadar!”
“No! Mai! Non avete fiducia in me? Credete che una semplice ferita mi impedisca di atterrare quel verme? Vi sbagliate!”
In realtà stava cercando di convincere più se stessa che i suoi amici, ma l’ansia si faceva sentire, e lei la sopprimeva. Un giorno o l’altro sarebbe scoppiata. Solo che quel giorno veniva sempre posticipato…
 
“David, Segel: Sulla pedana!”
Ziva ed Aron ubbidirono e salirono entrambi sulla pedana, pronti a combattere. Aron aveva un sorriso maligno, lo stesso che Ziva gli aveva visto sull’uscio della porta la sera prima. Iniziarono a combattere, e sulle prime non si capiva chi dei due stesse avendo la meglio. Finché un calcio ben mirato, pose fine al combattimento…
Aron aveva tirato un calcio con tutta la forza che aveva proprio sulla ferita di Ziva, che accecata dal dolore cadde a terra con un gemito.
 
“David! Rialzati!”
Ziva provo a rialzarsi, ma non ci riusciva. Ilan e Adam erano seriamente preoccupati per lei, mentre Michael non voleva vedere mentre la sua amica soffriva, e si era rintanato nella sua brandina.
 
“David! Che aspetti? Non ti ho forse insegnato che il dolore è solo nella mente? Non era nemmeno un calcio ben assestato!” insistette Hadar.
Aron doveva aver visto mentre Hadar le aveva infilato il coltello nel costato, e si era preparato. Ziva non voleva essere debole, e tentava in tutti i modi di rialzarsi, ma davvero le era impossibile.
 
“David sei la delusione del Mossad! E quando lo verrà a sapere tuo padre… Dubito che metterai più piede qua dentro. Questo non è un posto per femminucce!”
Mentre Ziva si contorceva dai dolori allucinanti, le parole di Hadar la ferivano ancora di più. Avrebbe voluto piangere, e tornare dalla sua sorellina. Tornare ad essere la Ziva di una volta. Felice e solare.
 
Adam non poteva sopportare di vederla così, e corse da Hadar.
“Ziva non è una femminuccia! E tantomeno una delusione. È il miglior uomo che il Mossad abbia mai avuto! E se adesso è lì per terra dovrebbe chiedersi il perché!”
“Mizrachi! Come ti permetti? Stasera niente cena! E quanto a te David… Puoi raccogliere le tue cose ed andartene. Il Mossad non ha bisogno di deboli!”
 
Ma davvero voleva buttare tutto all’aria così? Davvero voleva che Aron la passasse liscia? Non poteva arrendersi. Doveva combattere. E mentre tutti a parte Ilan e Adam erano di spalle, mentre Hadar se ne stava andando e Aron stava scendendo dalla pedana, con un salto Ziva si rialzò.
“Vai Ziva!” urlarono all’unisono i due amici.
Hadar si rigirò e guadò la scena un po’ stupito. La piccola Ziva si era rialzata e aveva preso Aron, che in pochi minuti venne spinto fuori dalla pedana.
 
Questo significa essere agente del Mossad. Avere una forza di volontà che è difficile da trovare in natura. E Ziva ne è l’esempio. D’ora in poi si sarebbe sempre rialzata. Sempre. Con onore. Perché Ziva non è debole.
 
“Allora? Mi devi delle spiegazioni!”
“Vuole delle spiegazioni? Eccole!” disse alzandosi la maglietta e mostrando la garza mentre Aron ancora tentava di capire cosa fosse successo.
“Me lo sono fatto durante il combattimento con il coltello. Si è infilato nelle costole… E Aron mi ha colpito lì!”
Un sorriso inaspettato comparve sul volto del suo addestratore.
“Complimenti Ziva. Ti sei rialzata alla grande!”
 
Poche settimane dopo la ferita si era quasi rimarginata. Eli era ancora fuori, e probabilmente non sarebbe mai venuto a saperlo.
 
Il giorno del suo compleanno era trascorso come tutti gli altri giorni. Non che volesse qualcosa di speciale. In fondo era un giorno normale, con la differenza che adesso aveva 9 anni. L’età giusta per una sorpresa del tipo che aveva intenzione di farle suo padre? Probabilmente no. Ma orami era deciso. Come promesso Eli era tornato a casa in tempo per il compleanno di Ziva, e quella sera, mentre lei osservava Tali dormire come un angioletto, sperava e pregava per lei che non dovesse mai avere una vita complicata come quella che si proiettava davanti a lei. D’un tratto si accorse di rumori provenienti dalla cucina. Erano i suoi genitori, che come sempre in quel periodo, litigavano senza curarsi delle bambine che dormivano.
 
“È già successo una volta, ma ho lasciato correre. Pensavo che saresti cambiato! Ma evidentemente mi sbagliavo”
“Rivka, ma capita a tutti una volta nella vita. E poi tu chi sei per parlarmi in questo modo?”
“Sono tua moglie, e dovrebbe bastarti! Ho accolto quel bambino come fosse mio figlio, ma giustamente lui aveva la sua mamma… Ed anche un papà! Peccato che adesso quel papà…”
“Papà…”
Ziva era rimasta dietro la porta ad ascoltare. Non sapeva perché, ma quando i suoi genitori litigavano, sentiva una sensazione di ansia e paura in lei, che la spingeva a fare cose azzardate. Come interrompere la loro discussione.
 
“Ziva torna a dormire!”
“Non ce n’è bisogno Eli… Me ne vado io!”
La donna si avvicinò a Ziva e l’abbracciò come non aveva mai fatto.
“Bambina mia, ricordati che la mamma è sempre con te. Anche quando non mi vedi”
 
Furono queste le ultime parole che Ziva sentì pronunciare a sua madre, prima di vederla andare via per sempre. Si avvicinò al padre, che con un gesto inatteso abbracciò sua figlia.
Le voleva bene anche se molto in fondo. Ziva non rimase rigida, come avrebbe fatto l’agente del Mossad che lentamente cresceva in lei, perché sapeva che entrambi avevano bisogno di conforto.
“Ziva… Papà deve ripartire presto per una missione…”
“Di già? E quando torni?”
“È diverso… Non so se tornerò”

Aveva deciso di essere sincero quella volta. Perché era tutto diverso.
“Però ancora non ti ho dato il mio regalo”
Quelle parole suonarono strane nelle orecchie della bambina. Non aveva mai ricevuto un regalo prima.
“So cos’è successo durante la mia assenza. So di Aron e della ferita, e per come ti sei comportata, sappi che sono orgoglioso di te. Dalla settimana prossima cambierai corso di addestramento, e presto sarai un’agente. Molto presto. Ti allenerai per far parte del Metsada”
Ziva non fece domande, ma si limitò ad abbracciare suo padre, ed a ballare con lui per un tempo indefinito. Sapeva che il Metsada era un dipartimento del Mossad specializzato in omicidi. Sarebbe diventata un’assassina.
 
Ma in fondo lo sapeva che sarebbe finita così. Tutto quello che spera non dovesse mai affrontare le si era messo davanti. Ed essere un’assassina era l’incubo che la perseguitava, e come tutti i suoi incubi presto divenne realtà.
 
“Un giorno ballerai con un uomo che merita il tuo amore”
Ziva non disse nulla per tutta la serata, finché stanca non tornò nel letto. Sentì una strana sensazione che non provava da tempo. Gli occhi le bruciavano, e d’un tratto sentì sulle sue gote delle gocce che scendevano fino al collo. Lacrime amare. Di paura ansia, di sogni infranti. Le lacrime di una bambina di 9 anni che sa di dover portare su di sé il fardello della vita di persone innocenti. Ma lei era Ziva David. Quella nuova. Non la bambina che si prendeva cura delle sorella. Era la bambina diventata uno degli uomini di suo padre.
Nata in una famiglia che non avrebbe mai compreso il suo cuore. Una principessa che si è dovuta trasformare in una guerriera. Un angelo dall’anima nera.
 
“Cos’è l’Hanukkah?”
“È come per voi il Natale. Solo che dura otto giorni”
I due bambini stavano camminando per le strade della città. Era un periodo importante per gli ebrei. Gli otto giorni erano finalmente arrivati, e ogni bambino poteva rimanere a casa con la sua famiglia. Ma come aveva previsto Eli, non era a casa per quell’anno. Tali stava facendo il riposino pomeridiano e Ziva era uscita per mostrare al bambino che con i suoi occhi l’aveva rapita, la sua città. La città per la quale avrebbe dovuto uccidere.
 
“Quindi è la stessa cosa del Natale, e in più si possono esprimere i desideri?”
“Si, ma uno al giorno! E devi accendere una candela quando lo fai”
“E che aspettiamo? So già cosa desiderare”
Andarono a casa di Ziva e dopo le tante domande su cosa significasse per lei l’Hanukkah, finalmente Ton… James… Poté accendere la sua candela.
 
“Vorrei poter vedere tutto il mondo. Parigi, Berlino, Los Angeles, Roma… Anche la Somalia”
Ziva lo guardò confusa.
“Ma non avevi detto che eri stato già in tutti questi posti?”
“Si certo… Ma non sempre ci sono due occhioni belli che ti riportano a casa quando esci aspettando che tuo padre rientri a casa”
Solo in quel momento Ziva capì che forse anche la famiglia di quel bambino non era tutta rosa e fiori. Non ci aveva mai pensato, ma era quasi un mese che quel bambino era a Tel-Aviv, e suo padre non era ancora rincasato.
“Adesso tocca a te”
“Vorrei non dover mai uccidere nessuno”
Il bambino la guardò un po’ confuso dal suo desiderio, ed un po’ rapito dalla sua bellezza.
“E vorrei poter vedere la pioggia”
“Ehi… Abbiamo detto solo un desiderio!”
“Si… Solo uno infatti è realizzabile…”
“Beh… Potresti partire per l’America e vedere la pioggia non mi sembra tanto irrealizzabile”
Ziva sorrise… Non era quello che intendeva.
 
L’ultimo giorno dell’Hanukkah il bambino dagli occhi verdi, al suo risveglio, trovò suo padre di nuovo in albergo. Aveva già preparato le valige sue e del figlio ed era pronto ad andare.
Arrivarono in aeroporto, e Ziva li seguì di nascosto. Voleva poter salutare quel bambino un’ultima volta.
 
Era sulla rampa delle scale, davanti al portello dell’aereo quando si girò sfoderando un sorriso che Ziva non dimenticò mai.
“Ti rivedrò occhioni belli. È il mio ultimo desiderio” urlò dall’alto della scalinata rivolto verso la strada dove la bambina lo stava salutando.
 
Ziva sorrise. Da quando si erano conosciuti non l’aveva mai chiamata per nome, ma sempre e solo occhioni belli e probabilmente non si sarebbe mai ricordato il suo vero nome. Ma d’altronde, nemmeno lei sapeva il vero nome di quel bambino.
Quelle parole stranamente l’avevano toccata. O forse non erano le sue parole, era vedere scomparire quegli splendidi occhioni verdi.
Una lacrima le rigò il viso. Si era ripromessa che non avrebbe patito lo stesso dolore di sua mamma per un uomo, ma non era riuscita a mantenere quel patto. È vero, il Mossad la stava cambiando, le stava insegnando a non provare più sentimenti, ma niente può cancellare definitivamente l’anima di una persona. Niente.
 
 
“Non riesco a vederlo da qui, Tony”
“Allora andiamo al centro della pista e balliamo…”
Anche se poco convinta seguì il ragazzo al centro pista.
Iniziarono a ballare, e per la prima volta sentì una strana sensazione. Continuava a guardargli il petto, mentre lui la osservava.
Aveva perso tutti i suoi amici d’infanzia, suo padre, sua sorella. Adesso era sola al mondo. Ma non del tutto. Aveva lui, che non le avrebbe mai voltato le spalle.
 
“Stanno suonando la nostra canzone… Occhioni belli”
Non l’aveva mai chiamata così, eppure le sembrava di ricordare il suono di quelle parole. Provenivano dal suo passato, un passato che aveva fatto di tutto per eliminare, per dimenticare. Ma dimenticare non è facile. Alzò lo sguardo incerta, e quando incrociò quei suoi bellissimi occhi verdi, tutto le fu chiaro. Un giorno ballerai con un uomo che merita il tuo amore. Almeno su questo, suo padre non si sbagliava. Aveva fatto una promessa a se stessa, ma non l’aveva mantenuta. Come tante altre, del resto…
 
Tony sentì una strana sensazione a pronunciare quelle parole. E anche lei sembrava provare lo stesso. Poi la vide alzare la testa e guardarlo negli occhi con un’aria un po’ stupita, persa nei suoi occhi. Sembrava quasi… Innamorata… Poi la guardò negli occhi, e nella mente gli tornarono le immagini della sua infanzia.
“Ziva David… Era quello il nome” le sussurrò all’orecchio avvicinando il proprio corpo al suo.
“James Bond… Adesso hai visitato Berlino… Con me”
“Ti ho rivista occhioni belli”
“Spesso anche i desideri che sembrano irrealizzabili si avverano…”
“Non lo dici perché fuori piove, vero?”
 
Si guardarono negli occhi. Consapevoli che gli animi di quei bambini che erano una volta, stavano lentamente riaffiorando in loro. Avevano vissuto una vita con uno spirito che non apparteneva loro, ed ora finalmente tornavano ad essere chi veramente fossero. Con il sorriso dei bambini che si affacciano, puro e spensierato, e gli occhi profondi di chi ha vissuto un’intera vita e sa cosa significhi aggrapparsi ad essa con tutte le forze. Ora che si erano ritrovati, sarebbero rimasti insieme per sempre. 









-Nota: Ciao a tutti. Ecco la mia prima OS che spero vi sia piaciuta.
 Ho immaginato come potesse essere l'infanzia di Ziva, anche se forse ho esagerato un po'...Ma mi conoscete. 
Allora vi dico subito che ho scritto questa storia di getto, per prendere tempo e scrivere una nuova long. Cosa ne pensate dell'idea che Tony e Ziva si fossero già conosciuti durante la loro infanzia?  Fatemi sapere.
Baci. Gaia.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > NCIS / Vai alla pagina dell'autore: Gaia_dc