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Autore: TeaCups    13/12/2015    0 recensioni
La nonna lo ripeteva spesso: abbi fiducia, vedrai, dall'alto, il cielo offre sempre una soluzione.
Mentre osserva sconsolata lo stato del proprio giardino, Viola si ritrova a sperare che la nonna avesse ragione: ormai, non sa più che fare e le serve aiuto. Urgentemente.
Ma, si sa, non sempre possiamo controllare quello che succede e, se un temporale porta un'inaspettata soluzione nella forma di un uomo che le piove (letteralmente) dal cielo, allora questo potrebbe essere solo l'inizio di un altro problema.
***
Storia completa, circa 11500 parole complessive.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 1

In cui il cielo offre una soluzione non convenzionale e Brian ne capisce ben poco



La nonna si era impegnata tutta la sua vita per dare ai propri nipoti sani principi e valori saldi su cui crescere e, se c’era una cosa in cui aveva sempre creduto fermamente, era che il cielo avrebbe provveduto. 

Lo aveva sempre ripetuto come un mantra, spesso alzando gli occhi al cielo e poi sorridendo sicura ai nipotini dubbiosi. 

Non che la nonna fosse stata una persona particolarmente religiosa, al contrario. Nel corso della sua vita, dopo aver vissuto molti momenti difficili e molti dolori, aveva abbandonato la fede cristiana, per avvicinarsi a una religione personale, uno strano mix di animismo, wikka e credenze popolari.

La nonna credeva negli spiriti delle cose, credeva che la forza da rispettare fosse Madre Natura, credeva che se fai una buona azione, questa ritornerà. Il karma. 

Si vestiva con fibre naturali dei colori del bosco, intrecciava fiori tra i capelli e cantava alle piante. Gestiva con orgoglio l’antica fioreria e vivaio di famiglia (era lì da generazioni) e, nel tempo libero, leggeva tazzine di caffè e tarocchi. Appendeva mazzetti di erbe alle finestre e metteva cristalli sui davanzali, preparava infusi profumati ma dal sapore terribile, cuciva petali profumati negli orli dei vestiti. Era morbida e amorevole, con la pelle ruvida e profumata di fiori, e aveva amato i suoi nipoti più di qualunque altra cosa.

Viola amava teneramente sua nonna e le mancava ogni giorno come se fosse stato il primo dalla sua scomparsa, ma non per questo aveva ereditato tutte le sue credenze e il suo rapporto con la fede era abbastanza nebuloso. Eppure, se la nonna si era tanto sforzata, aveva così tanto creduto, guardando il cielo come se lì ci fossero state tutte le risposte che cercava, un motivo ci dovrà pur essere stato.

Per questo, quando era in difficoltà, chiudeva gli occhi e sperava che qualcuno (qualcosa) lassù la sentisse e facesse piovere qualche soluzione. Un po’ più di pioggia, o i fiori non saranno belli come l’anno scorso; un po’ più di sole, per rafforzare le piante. Solitamente veniva accontentata. 

Dopo la morte della nonna, era rimasta al negozio. Aveva ereditato la passione per fiori, alberi e qualsiasi cosa facesse la fotosintesi tranne, forse, le alghe, anche se bisognava ammettere che anche loro erano, a loro modo, carine. Un po’ viscide, forse.

Aveva insistito perché suo fratello non cambiasse i propri piani e andasse a studiare nella città vicina e ora, nonostante le mancasse molto,  si riteneva felice, soddisfatta. 
Tutto sommato viveva una vita tranquilla, isolata, lontana dal rumore e dalla frenesia.
Si teneva in contatto con le persone che le interessavano, chiacchierava puntualmente con suo fratello, non amava la folla, o le persone in generale, preferiva la compagnia delle piante, i suoni della campagna, i suoi gatti.

Le piante, le poteva capire: i loro bisogni, i loro problemi, come curarle. Gli uomini? Tutt’altro discorso. 

Non le piaceva perdersi in chiacchiere inutili: le parole erano abusate, per esprimere i concetti bastava poco.Cercava di mantenere la calma, di usare la logica, affrontando ogni problema con lucidità e razionalità. 

Eppure, ora, trovare una soluzione sembrava difficile perché i problemi, come sempre fanno, si erano accavallati gli uni sugli altri.

Prima di tutto Giulia, la signora che solitamente la aiutava gestendo il negozio quando lei era a lavorare nella serra e nel vivaio, aveva avuto un bambino e Viola ancora non aveva trovato nessuno che potesse sostituirla. Aveva deciso di chiudere il negozio per qualche giorno, giusto il tempo di effettuare le preparazioni per l'inverno, ma poi si era presa una brutta influenza, che l’aveva costretta a letto per quasi due settimane. 

A fine Settembre. Proprio quando era vitale prepararsi per la stagione fredda.

Senza contare che qualche giorno prima c’era stato un temporale molto violento e il ramo del platano piantato sulla strada davanti al suo negozio era stato strappato via dal vento, cadendo sulla serra principale e rovinandola inesorabilmente. A pensarci non sapeva se strapparsi i capelli per la serra o mettersi  piangere per il platano.

Insomma, era ormai Ottobre inoltrato, l'inverno alle porte, e sperava veramente che qualcuno la aiutasse perché e per il momento era sola a gestire l’enorme vivaio. 

Inutile dire che era tremendamente indietro con le preparazioni invernali, con una serra da riparare in qualche modo, le piante da proteggere, le aiuole da risistmare e, a dirla tutta, non aveva nessuno a cui chiedere (non poteva certo disturbare suo fratello): ciò di cui aveva bisogno era, letteralmente, un aiuto dal cielo. 

Ma, forse, era chiedere troppo, perché, nonostante le sue richieste, nulla era accaduto e ora si trovava a notte fonda, in pigiama, a dover correre, da sola, sul retro, per chiudere il tetto della piccola veranda-trasformata-in-serra dei cactus.
Il tetto era in vetro trasparente, e poteva scorrere e aprirsi. Quel pomeriggio ne aveva approfittato perché le piante grasse potessero godere degli ultimi raggi di sole e, persa al telefono con il Comune (il ramo di quel platano l’avrebbe perseguitata), se ne era dimenticata. 

Ora era ormai buio, la pioggia veniva giù a secchiate e lei si domandava se almeno una cosa potesse andarle bene. Una. Non chiedeva tanto. 

Rucola l’aveva seguita nella sua corsa verso la veranda e ora, rimanendo sulla porta (comodamente all’asciutto), la guardava con sufficienza. 

Improvvisamente, un tonfo. 
Viola alzò gli occhi al cielo con orrore (non un altro ramo, non un altro ramo, ti prego) mentre un’ombra indistinta piombava sul tetto facendo tremare i vetri e scivolava inesorabilmente sulla superficie bagnata del tetto spiovente.

Fino all’apertura.

Per atterrare con malagrazia dentro, sulla yucca.

 “La yucca!” urlò Viola, sentendo qualcosa di simile al panico serrarle il cuore.
Non era possibile. Amava quella pianta. L’aveva cresciuta con amore.

Con uno scatto finì di chiudere il tetto e si precipitò verso la pianta, scansando con malagrazia la cosa che le aveva appena rovinato la serata (e, forse, la pianta).
Grazie al cielo la yucca era stata presa di striscio, e solo alcune foglie erano state danneggiate. 
Ma, comunque.
 

Arricciò il naso, un gesto,  per lei, solitamente così dosata, profondo segno di irritazione e, giusto per essere sicura, storse anche la bocca. Si voltò verso la causa dei suoi mali.

Un uomo. 

Sul pavimento della sua veranda, miracolosamente atterrato nello spazio vuoto tra la yucca e il largo vaso con la numerosa famiglia di Uebelmannia (la famiglia Spinoselli, come la chiamava lei) stava un uomo.


Al momento era intento a massaggiarsi la zona lombare, grondava acqua come un pulcino bagnato, l’impermeabile che indossava nero dalla pioggia e appicciacato al corpo. I capelli, scuri e zuppi, stavano attaccati alla testa e gli coprivano gli occhi. Molto sospetto. 

Viola guardò con disapprovazione tutta l’acqua sul pavimento e poi cercò conforto negli occhi di Rucola alla porta. Due paia d’occhi le restituirono lo sguardo: alla prima gatta si era aggiunto anche Ravanello e ora entrambi guardavano lei  e l’estraneo con regale curiosità.

Rendendosi conto di essere osservato, l’uomo in questione alzò la testa, scostandosi la frangia dagli occhi (le punte dei capelli bagnati rimasero a puntare al cielo, come una cresta, o una leccata di mucca) e si voltò a guardarla, sorridendo. 

Viola non si scompose. Ma alzò un sopracciglio con disapprovazione.

“Cosa ci fai qua?” chiese perentoria.
Lui si passò una mano tra i capelli fradici, mentre dalla manica dell’impermeabile zuppo cadevano tante goccioline d’acqua.

Tossì.

“Ehm… una passegiata sui tetti?” chiese titubante, sorridendo. 

Aveva le fossette. Viola socchiuse gli occhi, ancora più indisposta. 

“Cioè, lo so che sembro un ladro e forse anche un maniaco, ma passavo per caso e sono scivolato, davvero, e neanche volevo entrare qui. Lo giuro! Non mi guardare così! Sai, penso di essermi essermi fatto un po’ male. E mi spiace per la yucca, qualsiasi cosa sia. Spero stia bene. Falle i miei saluti. 

Comunque, ripeto,  non ho cattive intenzioni, te lo giuro, ma posso stare qui finché non smette di piovere? Per favore? Perché fuori fa freddo e anche un po’ paura; e piove, ci sono i lampi e il vento e non so dove andare.

Cioè, al momento non ho una casa. Più o meno. Ecco. Per favore?”. 

La guardò con occhi imploranti, da cucciolo. Da cucciolo bagnato, per la precisione. 

Viola chiuse gli occhi, portandosi una mano alla radice del naso. Perché parlava così tanto? E così veloce? Gesticolando. Facendo schizzare l’acqua dappertutto.
Sulla veranda era calato il silenzio, e fuori la pioggia continuava a cadere senza tregua, uno scroscio indistinto.
 

I gatti continuavano a giudicare dal loro angolo.

L’uomo sorrideva.

Viola lo squadrava.

A un certo punto lui parve rianimarsi, come scosso da un’epifania improvvisa. “Non mi sono presentato! Scusa, eh! Sono Brian, piacere!”.
Viola non commentò, guardando accigliata la sua mano tesa. 

Poi, improvvisamente, tutto ebbe senso. 

Un uomo piovuto dal cielo. 

La risposta ai suoi problemi! 

Prima di stringergli la mano guardò in alto, verso il buio, verso le nuvole e l’ignoto. È questa la tua risposta? 

“Viola. Incantata. Dimmi Brian, non è che sei pratico di giardinaggio?”.


***


Brian aveva avuto la gioia di convivere con Viola per circa un mese. Urgeva fare un punto della situazione. 

Si era sempre ritenuto una persona comprensiva. Non aveva mai avuto problemi a farsi amici ed era aperto e solare, gli piaceva stare in compagnia, circondato dalle persone.

A causa di certe complicazioni lavorative (a cui, al momento, non voleva proprio pensare) si era trovato a dover abbandonare molto dietro di sé (non per ultimo ciò a cui aveva lavorato negli ultimi anni della sua vita). Ora, però, aveva un grosso problema. Un grosso problema circondato da piante di nome Viola.

Non che si lamentasse di essere stato accolto da lei. Al contrario. Il fatto era che, nonostante anni passati a studiare le persone, lei gli rimaneva assolutamente incomprensibile e imperscrutabile. Non che la cosa gli dispiacesse. 

E il problema stava proprio qui. Perché lei non avrebbe dovuto piacergli, ma come poteva spiegarlo al suo stomaco, che ogni tanto, senza alcun preavviso, si annodava inspiegabilmente? 
C’erano tanti piccoli dettagli di lei che lo facevano impazzire, perché cercava di metterli insieme per ricomporre l’immagine originale ma, nonostante gli sforzi, non riusciva ad afferrarla. Come se non fosse stata già abbastanza strana la facilità con cui lei lo aveva accettato in casa, c’erano tanti altri piccoli particolari che la rendevano una persona assolutamente fuori dall’ordinario.

Per prima cosa, Viola era silenziosa. E non solo nei movimenti: essenzialmente, non apriva bocca.

O meglio, parlava solo quando lei lo riteneva strettamente necessario. Questo spiegava perché avesse voluto spendere fiato per chiedergli l’origine del suo nome, rifiutandosi invece di fornire informazioni su di sé. Dopo la prima settimana le conversazioni che avevano avuto si potevano contare su una mano.

Per contro, Viola era sempre stata assolutamente puntuale nel fornirgli una lista di lavori da fare in cambio di vitto e alloggio.
Oltre a dover riparare la serra, bisognava raccogliere certi bulbi, metterne a dimora altri (qualsiasi cosa questo volesse dire), zappare le aiuole prima delle gelate, riparare piante, mettere a riposo le rose e innumerevoli altre cose per lui assolutamente incomprensibili, tutte appuntate diligentemente su una lista di cartoncino verde che Brian aveva appeso di fianco al divano su cui dormiva. Ogni sera si premurava di depennare le cose che aveva (o credeva di avere) fatto. 

Per il resto, Viola non era particolarmente loquace.
Bisogna capire che Brian non sopportava il silenzio. Sua madre, un’estrosa e stravagante signora di Glasgow, gli aveva tramandato uno spirito indomito e la passione per i viaggi e le conversazioni. E anche quella per il calcio, in realtà, anche se ora non c’entrava.

Per questo, non solo voleva riempire i silenzi, ma lo faceva anche con immensa gioia. Certo, non poteva rivelare troppo sulle condizioni (per quanto deliziosamente tragicomiche e certamente meritevoli di essere raccontate) che lo avevano portato a piombare dal cielo in una serra per cactus, ma aveva altri modi per riempire i silenzi: preferenze personali, ricordi d’infanzia, apprezzamenti del giardino (questi erano i suoi preferiti perché portavano sempre sul viso di Viola una malcelata gioia). 

Quando aveva chiesto a Viola se le sue chiacchiere la disturbassero, lei lo aveva guardato inclinando leggermente la testa e, tutta seria e compunta, gli aveva chiesto “Se non rispondo, smetti?”. Lui, per quanto spiazzato, le aveva risposto negativamente e allora lei gli aveva donato un piccolo sorriso, rispondendo “Allora parla pure quanto vuoi”. 

E Brian era veramente fiero di sé per essere riuscito a strapparle questa manifestazione di piacere (poco contava che, quando ci ripensava, arrossiva e sembrava perdere l’uso della parola). 

Nonostante un sorriso in sé non fosse gran cosa, un’altra delle caratteristiche che rendevano Viola assolutamente incredibile, era che il suo viso era sempre impassibile, riflessivo e serio.
A cosa pensava, poi?

Mentre parlava, Brian la spiava di sottecchi e aveva imparato, non senza difficoltà, a cercare piccole increspature nella sua espressione. Ora sapeva che la piccola piega tra le sopracciglia significava che era preoccupata, che probabilmente stava pensando alle riparazioni e ai lavori da fare prima dell’inverno.
Una leggera (e, onestamente, adorabile) arricciatura del naso significava fastidio e si manifestava, ahimé, a certe sue battute, allo squillo del telefono, al ramo che, mestamente, se ne stava ancora in mezzo alla serra sfasciata. 

Brian la studiava con fascinazione, di nascosto, quando affiancati raccoglievano i bulbi delle dalie e lui cercava di non farsi notare mentre osservando lo sbaffo di terra sul suo zigomo o il reticolo che l’ombra delle sue ciglia proiettava sulle guance arrossate dal freddo.
E le lentiggini. Le lentiggini! Erano deliziose e, per quanto melenso e assolutamente sdolcinato, avrebbe voluto seguirle con le dita e tracciare costellazioni sulla sua pelle. 

E poi, bruscamente, si fermava, bacchettandosi mentalmente, perché no, non ne voleva sapere, aveva già abbastanza gatte da pelare così, grazie tante. 

Altro punto degno di nota dopo questo mese di convivenza erano i gatti di Viola.
Rucola e Ravanello, sempre insieme, sempre in mezzo ai piedi. Sempre a guardarlo con sospetto e superiorità, appollaiati in tutti i luoghi più improbabili: in cima alla credenza, sulle mensole del negozio, sul tetto della rimessa. Il diabolico duo.
Oltre a loro c’era Ranuncolo, un gatto più largo che alto che passava le sue giornate a dormire, sia nella cesta in negozio, sia sul dondolo in veranda, sia (con sua grande irritazione) sul suo letto posticcio.
Grazie al cielo non era allergico.

Brian non era sicuro di averlo mai visto muoversi e certamente non lo aveva mai visto sveglio, ma Viola non sembrava preoccupata, senza contare che il gatto cambiava effettivamente posizione, quindi non poteva essere morto (Brian gli si era comunque avvicinato per assicurarsi che respirasse in più di un’occasione). 

Viola sembrava avere con i suoi gatti un rapporto esclusivo, fatto di comprensione e riguardo. Com’era possibile per lei avere un rapporto civile con le stesse creature che guardavano lui con disprezzo, nonostante non avesse fatto loro nulla di male? I misteri.
Tanto lui preferiva i cani. Gnè gnè.

Fatto sta che lui si era abituato alla tranquilla quotidianità che lei gli aveva offerto: dormiva nel retro del negozio, collegato alla fatidica serra in cui era caduto, su un divano insapettatamente comodo, mentre la casa di Viola era al primo piano.
Ogni mattina, puntuale come un orologio svizzero, Viola, accompagnata dalle due palle di pelo (e unghie), lo svegliava.
Bussava alla porta con discrezione e poi, dopo aver ricevuto il via libera con un grugnito di risposta, entrava e scostava le tende con decisione. 

Solitamente teneva i capelli rossicci raccolti in una treccia e indossava abiti da lavoro: vecchi jeans, salopette, maglioni dai colori del bosco: verde scuro, rosso, crema, marrone.
Dopo avergli dato il buongiorno risaliva, lasciandogli il tempo di vestirsi e di togliersi il sonno di dosso. 

Quando era arrivato non aveva nulla se non gli abiti che indossava ma, per l’ennesima fortuna, Viola aveva un fratello che apparentemente studiava nella città vicina, e quindi lui metteva i suoi vestiti. Il fratello doveva essere più alto ed esile di lui, ma i vestiti erano principalmente da lavoro e quindi, se erano stati larghi al fratello, a lui andavano abbastanza bene. 
Quindi saliva le scale, venendo accolto nella cucina, dove Viola faceva colazione con lui.

Era una routine ormai perfezionata: mangiavano insieme, poi uscivano a lavorare, rientravano per pranzo e poi di nuovo al lavoro finché non calava la sera.
A questo punto, dopo una doccia cenavano (ancora insieme) e poi Brian poteva bene o male fare quello che voleva. 

Lui ne approfittava per uscire: voleva concludere i suoi lavori il prima possibile, prendersi i giusti meriti e lavarsene le mani. 

Un'altra cosa era sicuramente degna di nota: la casa e la cucina Viola erano entrambe assolutamente deliziose.
La casa era vecchia e gli interni avevano un nota antica e rustica, con muri dai colori caldi, mobili in legno pesante, travi a vista, finestre ampie e luminose, l’angolo del lavello piastrellato con motivi blu e bianchi. Cerano molti tappeti, ninnoli luccicanti, strane pietre e cristalli dappertutto, tende dai colori importanti e, ovviamente, piante. 

Molte piante. 

In vaso, per terra, sulle mensole, pendenti da ganci sul soffitto. Nel complesso era affascinante e ipnotico, la casa risultava vissuta e non disordinata; per lui, che considerava la casa come un luogo transitorio, in cui dormire prima di tornare al lavoro, era certamente una sensazione nuova e benaccolta.
Brian non aveva potuto rubare molti angoli della casa, dato che dopo la colazione andavano subito in giardino, ma fissava spesso la grande foto appesa tra una vetrina che conteneva piatti colorati e la dispensa.

Aveva una cornice di legno colorato e ritraeva quella che sicuramente era Viola da piccola: l’espressione seria, poco adatta a una bambina, e gli occhi profondi erano gli stessi. Notarlo gli aveva provocato una stretta al cuore e un moto d’affezione che aveva subito soppresso. 

La bambina teneva per mano quello che senza ombra di dubbio era il suo fratellino perché, nonostante gli occhi, di un blu incredibile, quasi lilla, quelli di lui, color nocciola quelli di lei, aveva gli stessi capelli rossicci, le stesse lentiggini e la stessa espressione concentrata, ma intenta a guardare oltre la cornice.
La somiglianza era notevole e Viola lo teneva stretto, come preoccupata che lui scappasse oltre il bordo. 

Dietro di loro, con le mani sulle loro spalle, stava un’anziana signora che sorrideva benevola, come se stesse trattenendo a stento un risata. I capelli sembravano un nuvola argentea ed erano intrecciati con fiori e fili di perline; la donna portava numerose collane e indossava un abito verde come l’edera e uno scialle di lana.
Brian moriva dalla voglia di chiedere dettagli, ma si tratteneva (seppure a stento). 

Anche oggi, cercando di concentrarsi sulla sua colazione, latte e cereali, non riusciva a fare a meno di lanciare occhiate fugaci alla bambina della foto. 

“Cosa guardi?” 

Brian sobbalzò, sentendo la voce di Viola rompere inaspettatamente il silenzio. 

“Quella foto” indicò, optando per la sincerità. Anche perché, diciamocelo, voleva togliersi il dubbio. “È molto bella. Chi sono?” 

Lei lo guardò per un momento prima di ritornare a concentrarsi sul pane imburrato.
“La mia famiglia” rispose con un sospiro. “Io, mio fratello, e la nonna. Lui, come ti ho detto, è via per l’università, lei è morta due anni fa”.

Brian si sentì improvvisamente in imbarazzo e a corto di parole, soprattutto perché lei si rifiutava di guardarlo negli occhi, continuando imperterrita a imburrare la sua fetta di pane caldo. 

“Sai, io non ho mai conosciuto mio padre”. Dirlo gli uscì naturale e, nonostante sentisse un leggero calore alle guance, rifiutò categoricamente l’idea di stare arrossendo. Perché lui era un uomo adulto e, anche se lei aveva alzato la testa e ora lo guardava con qualcosa di indecifrabile negli occhi, questo non gli aveva fatto assolutamente aumentare il battito. No. Era solo che faceva stranamente caldo. 

“Sì, mia madre mi ha avuto a diciannove anni. Quando lo disse a mio padre, che allora era il suo ragazzo, lui le disse che le sarebbe stato vicino, ma invece sparì poco dopo. Non l'ha più visto né sentito. Anche i rapporti con i miei nonni non erano dei migliori. Sai, sono una famiglia un po’ vecchio stile.

Così lei chiese loro dei soldi, una specie di buona uscita, e levò le tende.
Ci credi? Era incinta e sola, e mollò tutto per venire in Italia. E la cosa più strana? Venne qui perché se lo sentiva, non c’era una ragione particolare, le piaceva l’idea e voleva ricominciare.Così io nacqui qua. 

Lei per un po’ fece tutti i tipi di lavori che le passavano sottomano, puliva, lavava, con i soldi dei nonni comprò un appartamentino, il resto lo mise d parte. Poi, ebbe la fortuna di trovare lavoro da una sarta.  Mi portava con sé, giocavo in mezzo ai rotoli dei tessuti e facevo i complimenti alle clienti. Mi adoravano. Durante il giorno aiutava a prendere le misurazioni, svolgeva le commissioni, lavava e stirava. 

Dopo un po' cominciò a interessarsi al cucito, inizialmente perché pensava che così avrebbe potuto risparmiare sui vestiti, ma la signora Mirella, la sarta, che ci aveva preso in simpatia, notò del talento e cominciò a insegnarle. 

Insomma, senza fartela troppo lunga, adesso la signora Mirella non riuscirebbe a centrare la cruna dell’ago neanche con un binocolo e allora la mamma ha ereditato la sua butique. È abbastanza rinomata e se la passa bene. 

Guadagna, fa ciò che le piace e può viaggiare. E le piace spedire cartoline ai nonni! 
Perché loro trovano ancora scandaloso che non si sia sposata e che, tra tutte le cose, faccia la sarta” Brian fece spallucce, perché, se prima aveva parlato a ruota libera, improvvisamente si era reso conto di aver raccontato qualcosa di alquanto personale “ma va bene così. È felice. Siamo felici. Prendiamo il tè insieme e ridiamo pensando alle loro espressioni” concluse imbarazzato, grattandosi la nuca e guardandola di sottecchi.
 

Viola, che aveva ascoltato con la massima serietà, sorrise, un sorriso che le illuminò gli occhi e colorò le guance e no, cuore, stai tranquillo, perché non puoi saltare sul tavolo, non ora, non qui. 

“Tua madre è stata davvero fantastica. Sai, anche mia nonna ci ha cresciuti da sola. I nostri genitori sono morti in un incidente d’auto quando eravamo piccoli e noi saremmo dovuti andare in affido a qualche sconosciuto, ma la nonna piantò i piedi e pretese che venissimo affidati a lei”. Viola rise e, onestamente, Brian realizzò perché Viola non rideva mai. 

Perché altrimenti avrebbe conquistato il mondo. 

“Quindi siamo cresciuti qui. Anche a noi è andata bene. Questa fioreria e il vivaio appartengono alla mia famiglia da generazioni, anche mio padre ci lavorava. È per questo che voglio portarla avanti. È una parte di me, della mia famiglia. Quindi ti ringrazio di essere qui per aiutarmi”.


“Piacere mio!” rispose prima di tapparsi la bocca con una cucchiaiata di latte e cereali perché doveva trattenersi e non dirle che se lei gli avesse sorriso ancora l’avrebbe seguita anche in capo al mondo.
Viola annuì, di nuovo seria, alzandosi e portando il proprio piatto e le posate al lavello. 

“Io vado giù, devo cominciare a potare le rose. Questo pomeriggio dovrebbero arrivare a portare i ricambi per la serra. Tu pensi di riuscire a finire di raccogliere i bulbi di begonia? Così questo pomeriggio facciamo quello. Ah, e quando hai finito metti i piatti nel lavello e il burro, il latte e la marmellata in frigo. Grazie. Ti aspetto giù.” 

E andò via.

Brian mandò giù, deciso a raggiungerla in fretta. Improvvisamente sentì un vibrare all’altezza dello stomaco. Il cellulare. Infilando la mano nella tasca della felpa lo tirò fuori fissando con sospetto il chiamante.

Gennaro. Non si poteva evitare.

Sospirò. 

“Ragazzo, ci sei? È da un po’ che non ci sentiamo”

“Signore, ci siamo sentiti ieri” sussurrò, non sapendo se Viola fosse già uscita. 

“Ancora da quella ragazza, eh? Sai che mi fido di te, ma tieni a mente che, se dovesse rimanere coinvolta, sarebbe davvero spiacevole per tutti. Forse avrei dovuto oppormi con più decisione”. 

Brian si avvicinò alla finestra: Viola era sul retro, nel roseto.

“Lo so” rispose Brian con un sospiro, evitando di guardarla. “E sono assolutamente intenzionato a tenerla fuori da tutto ciò. Ma ci stiamo lavorando da anni, e non voglio perdere tutto così. Mi rendo conto che non è la soluzione ideale, ma che altro possiamo fare? Rinunciare? Questo posto è comodo, non posso andarmene ora”. 

Se c’era una cosa che sua madre gli aveva insegnato, era mai gettare la spugna. 

“Lo so, lo so, hai ragione. È che questa situazione non mi piace per nulla. È una questione delicat e importante, ma meno gente lo viene a sapere, meglio è. Non gliene hai parlato, spero".

"No, signore" rispose, malcelando una punta di vergogna.

"Bene. Come stanno i tuoi contatti?” 

“Li ho ripresi” ammise Brian, non senza una certa soddisfazione.“C’è già stato qualche incontro, ma io aspetto il pezzo grosso. Ci sto lavorando. Si fidi di me, signore. Chiuderò questa faccenda il prima possibile”. 

“Sarà meglio, ragazzo. Buona fortuna”. 

Brian chiuse la chiamata, pensieroso. Sollevando gli occhi, vide che Rucola e Ravanello lo guardavano con chiaro disprezzo da sopra la credenza. Si sentiva vagamente in colpa.

Evitando le occhiate dei due gatti, uscì in giardino a guadagnarsi la cena.









Note dell'autrice:

Buongiorno a tutti!

Questa è la prima storia che pubblico e spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, mi sento come una mamma che porta la sua primogenita all'asilo per la prima volta... per favore, amate la mia bambina.

La storia è nata ascoltando la celeberrima canzone da cui prende il titolo, potete ascoltarla qui e leggerne il testo qui (è delizioso, se non ci avete mai fatto caso, fatelo).

Per chi fosse curioso: yucca (non fatevi ingannare, punge) e uebelmannia. Per la casa di Viola mi sono ispirata ai primi interni del film di animazione Il castello errante di Howl: cucina; anche il negozio di fiori me lo immagino come quello di Sophie (scusate, per questa non ho trovto screen). Se non avete visto il film, fatevi un favore e guardatelo, è bellissimo.

Detto questo, sapendo di essere una scrittrice molto pigra, ho aspettato di averla conclusa prima di pubblicarla e quindi niente paura, esiste una fine, aspettatevi aggiornamenti settimanali.

Se voleste lasciare una recensione mi rendereste veramente felice, ovviamente se ci sono errori fatemeli notare, idem per appunti sull'impaginazione (ho perso più tempo a sistemare l'impaginazione che a sistemare gli errori di ortografia...). Se qualcuno sa perché il testo è più grande delle note me lo faccia sapere, non riesco a immaginare una spiegazione. E fatemi pure tutte le domande che volete, adoro parlare.

Nei prossimi capitoli aspettatevi un po' più d'azione e qualche chiarimento sul ruolo di Brian.

Vi lascio, un abbraccio a chiunque sia passato di qua e vorrà tornare, un bacio a chi lascerà una recensione, ci vediamo la settimana prossima con il Capitolo 2: In cui un cuore viene infranto e Viola prende una decisione.

   
 
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