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Autore: eolide98    13/12/2015    3 recensioni
Vincitrice del contest 'Comparse e Angst' indetto da LeoValdez00 sul forum di EFP (http://freeforumzone.leonardo.it/d/11187597/Di-Comparse-e-Angst/discussione.aspx)
Notte dopo notte le parole avevano stretto Ethan, convincendolo a fidarsi, ad aprirsi, a lasciarsi cingere da quelle braccia forti, a riposare su quel petto caldo. E notte dopo notte il presagio di un amore giusto, riconosciuto, vero, aveva iniziato a riempire la mente del Centurione.
Un amore di quelli dei miti, delle commedie. Un amore vero, fatto di baci e carezze, di tocchi leggeri e di “Resta con me” sussurrati nell'oscurità.
E di quell'idea, più che della realtà, Ethan si era innamorato.
Delle promesse di Luke, del suo fascino, delle sue parole vuote.
Del suo amarlo a convenienza, per gioco.
Del suo sesso senza dolcezza, delle sue scenate di gelosia e dei suoi schiaffi quando ad una parola rabbiosa rispondeva con un'imprecazione.
Di un fantasma più che di un uomo.
Di un vigliacco.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ethan Nakamura, Luke Castellan
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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IL DONO DI ANTEROS

 

Non è amore la violenza, non lo è la costrizione nè l'imposizione.

Non sono amore gli schiaffi, le occhiatacce, le parole minacciose sussurrate durante il sonno.

Non è amore svegliarsi da soli, chiedersi cosa si sia sbagliato, cosa si debba aggiustare.

Non è amore tentare di andare bene ad un'altra persona annullando sé stessi, facendo tutto il possibile per compiacere lei, senza curarsi di sé stessi.

Non è amore l'annientamento della propria volontà, dei propri interessi.

Non è una gabbia, una catena di metallo, o una prigione,una condizione di paura.

Amore sono due braccia calde e un petto sul quale appoggiarsi.

Le liti per la cena e per la TV, le notti passate a sfiorarsi senza toccarsi, i baci sul collo, sulle orecchie. E le risate sotto le coperte, le dita che accarezzano la pelle con delicatezza, le labbra che si cercano. E' l'odore dell'altro sulla propria pelle, il suo mento sulla testa, un abbraccio disperato, una ricerca continua.

Il desiderio di trovare sé stessi nell'altro, semplicemente. La voglia di essere accettati, di sentirsi giusti.

La violenza non è amore, ma veleno.

Il veleno di un aspide colorato, che stritola lentamente la sua preda prima di portarle via la vita con un bacio, forte, malvagio, corrotto. E che entra nella pelle, nelle vene, corrompe il cervello, le braccia, le gambe. E quando arriva al cuore uccide. Ti intorpidisce lentamente, di modo che tu non faccia resistenza, che tu non provi a scappare. E poi ti ammazza, ti toglie tutto, lasciandoti a contemplare l'oscurità nella quale ti ha calato.

E nell'ombra si perde ogni cosa.

Lontani dalla luce, ogni resistenza svanisce.

E la vita stessa perde di senso.

 

 

Ethan deviò con il piatto della spada il primo fendente, il secondo quasi lo colpì al petto.

L'uomo che aveva davanti era molto più alto di lui. I lunghi capelli biondi arrivavano fino alle spalle. Imbracciava due accette poco levigate, di quelle che nel foro si potevano acquistare per poche monete. Un barbaro, uno straniero, un nemico di Roma e del popolo.

L'accetta venne sollevata, ancora una volta.

L'armatura che quel soldato utilizzava non copriva bene i fianchi. Nessun altro commilitone era lì a difenderlo, nessun altro era lì a coprirgli le spalle.

Ethan colpì velocemente. Il gladio penetrò nella pelle, arrivando a toccare un organo, un rene probabilmente.

Il barbaro si accasciò davanti a lui, gli occhi vuoti.

Un calcio, la suola dei suoi sandali contro il naso del nemico.

Morto.

Il cadavere toccò terra velocemente, quasi gli dei si fossero dimenticati della vita che, una volta, aveva riempito quel guscio ormai vuoto.

Il sangue gocciolò a terra, riempiendo il terreno della sua putredine, mentre l'urlo del vessillifero esortava i militari alla ritirata. Ethan si voltò, ammirando l'immensità dei campi di grano incolto. Una freccia infuocata colpì un pagliericcio, che immediatamente brillò di un rosso acceso, forte.

Il campo ci mise pochi istanti a prendere fuoco, le spighe scheletri in fiamme che ardevano alla luce del sole.

 

-Roma ringrazia i suoi combattenti, le sue braccia, portatrici di cultura, di forza, di costanza. Roma ringrazia i suoi soldati, dediti alla patria ed al Senato, per aver militato con coraggio, gli uni al fianco degli altri, contro il nemico. Contro i barbari! Luridi portatori di grettezza, animali, esseri immondi, distruggono e fanno razzia dei nostri raccolti, ogni giorno, pretendono che i nostri sigilli non regolino la loro vita, che i nostri calzari non calpestino le loro terre. Progenie degli dei selvaggi, uomini forti e potenti, cadono e si piegano davanti al pugno della Repubblica!- Il console se ne stava su un tavolo, approntato e preparato al centro esatto della mensa, i suoi piedi nudi, bianchissimi, toccavano la tovaglia, mentre le sue braccia si muovevano in maniera rigida, sicura, quasi quelle mosse fossero state studiate a tavolino.

-Lui non sa nemmeno cosa sia la battaglia...- pensò Ethan- Se ne resta nella sua tenda a scopare con i suoi schiavi e gli ostaggi, lontano dal pericolo. E mentre noi moriamo lui banchetta, mentre la gente perisce per i suoi stupidi ideali, lui gioisce

Erano ormai quasi quattro anni che Ethan Sesto Nakamura ricopriva la carica di centurione. Si era guadagnato la sua promozione sul campo, quando aveva perso un occhio per difendere l'altare della dea Nemesi, portato in battaglia per buon augurio, affinchè la dea potesse concedere loro la giusta vendetta nei confronti di coloro i quali avevano osato attentare alla vita del console Cicerone, all'epoca in carica.

Uno dei servi di Catilina, il rivoltoso che aveva tentato il colpo di stato. era caduto, ucciso dalla spada di Ethan. Ed il sul superiore, l'adesso console Luke Lepido Castellan, aveva dovuto promuoverlo.

 

Era cominciata così la loro strana relazione.

Due cani che si rincorrono, affamati, in un letto. L'una preda delle carezze dell'altro, delle parole dolci, melense, di quelle che rabboniscono, che tengono il cuore in trappola, soffocandone il respiro piano piano, avvelenandone gli intenti, i desideri.

Notte dopo notte le parole avevano stretto Ethan, convincendolo a fidarsi, ad aprirsi, a lasciarsi cingere da quelle braccia forti, a riposare su quel petto caldo. E notte dopo notte il presagio di un amore giusto, riconosciuto, vero, aveva iniziato a riempire la mente del Centurione.

Un amore di quelli dei miti, delle commedie. Un amore vero, fatto di baci e carezze, di tocchi leggeri e di “Resta con me” sussurrati nell'oscurità.

E di quell'idea, più che della realtà, Ethan si era innamorato.

Delle promesse di Luke, del suo fascino, delle sue parole vuote.

Del suo amarlo a convenienza, per gioco.

Del suo sesso senza dolcezza, delle sue scenate di gelosia e dei suoi schiaffi quando ad una parola rabbiosa rispondeva con un'imprecazione.

Di un fantasma più che di un uomo.

Di un vigliacco.

 

-Ti aspetto nella mia tenda, centurione. Non tardare...- i calvari di Luke sfiorarono il terreno con leggerezza, mentre una delle sue mani delicate, lucide, dolcemente si posava sul fianco di Ethan, per staccarsene subito dopo, velocemente, lasciando il soldato con una forte sensazione di vuoto e di freddo.

Come poteva gioire, ancora, a quel contatto?

Come poteva desiderare quelle braccia, quel petto, quelle labbra, dopo tutto il dolore che gli avevano procurato? Dopo i tradimenti, le relazioni fugaci, diffuse, i baci che si trasformavano, gradualmente, in marchi che lo privavano della sua libertà, come poteva amarlo ancora?

Come poteva combattere ancora per proteggerlo, per poter ricevere il suo affetto, le sue carezze, come un cane fedele, come una puttana da quartiere, pronta a vendere sé stessa per pochi denari?

Cosa ne restava del suo onore, di quello dei suoi padri?

Uno schiavo, un servo, si era ridotto ad un prigioniero senza libertà, privo anche della facoltà di ribellarsi. Eppure lui in quell'amore ci aveva creduto, ci aveva sperato fino a farsi sanguinare l'anima.

-Come il mio console desidera...- Ethan si fece schifo per quella risposta. Così servile, rassegnata, priva di qualsivoglia autonomia e libertà. Luke calpestò il terreno ed uscì dalla tenda della mensa mentre il centurione, da bravo cagnolino fedele, lo seguiva in lontananza.

 

La tenda di Ethan era piccola e stretta. Un piccolo giaciglio di paglia e fieno stava accasciato in un angolo, mentre numerose spade e pugnali erano ammucchiate un po' ovunque.

Il soldato si spogliò dei suoi armamenti, lentamente, mentre la sua immaginazione fantasticava su Luke, sull'ultima volta che lo aveva spogliato, con calma, toccando piano le ferite e le cicatrici ed abbracciandolo con tenerezza, medicando quasi, con le sue labbra, i tagli messi in risalto dal sangue essiccato.

Quanto tempo era passato da quel momento? Tanto da farlo stare male, da metterlo a tacere, misero burattino nelle mani della persona che amava.

 

Perchè Ethan continuava ad amare Luke, nonostante tutto. Nonostante gli schiaffi, le botte, le parole fredde ed il trattamento violento, lui Luke lo amava ancora. Ne amava i gesti, e le parole. Le parole. Quelle parole tremende, che lo avevano reso schiavo, lui proprio non riusciva a non amarle.

Il gladio scivolò per terra, sollevando una piccola nube di polvere scura. Le mani arrivarono al volto, nel tentativo di mascherare il pianto e la vergogna, la vergogna.

Ethan si vergognava.

Si vergognava d quello che era diventato, di quello che faceva, notte per notte, e del valore che dava a sé stesso. Si vergognava di non saper dire basta, di dipendere da quel legame più che da ogni altra cosa.

Ed aveva anche paura di privarsi della compagnia di quello che fino a quel momento era stato il suo tutto. Perchè svanita l'illusione di quell'amore ad Ethan non sarebbero rimaste molte altre ragioni per restare in vita. Viveva in funzione di lui, il suo amore, veleno che scorreva nelle vene, che lo teneva in vita, nonostante tutto.

Il giovane centurione si liberò dell'ingombro della pesante armatura, rimanendo a petto scoperto. La su muscolatura aveva assunto un tono grazie alle lunghe ore di allenamento. I pettorali di bronzo e di ferro scivolarono per terra, mentre la calda branda di Ethan lo invitava, dolcemente, a distendersi e a riposarsi.

Il primo contatto con il pagliericcio e le coperte fu piuttosto fastidioso. Improvvisamente le lenzuola e le calde coperte della tenda del console iniziarono a mancargli. Quelle stesse lenzuola che lo avevano visto piangere, in silenzio, al fianco del suo aguzzino.

Ethan si chiese se quella potesse essere definita vita. Se quell'alternarsi di emozioni contrastanti, gioie e dolori... e dolori, potesse essere definito vivere.

Scivolò in un sonno senza sogni, dal quale avrebbe preferito non svegliarsi.

 

Il vento freddo del Nord solleticò il volto del centurione, spingendolo a stropicciarsi gli occhi appannati. La tenda sembrava, improvvisamente, più piccola. L'armatura che Ethan aveva lasciato scivolare per terra era stata meticolosamente poggiata nei pressi del cassone che conteneva la sua unica tunica, utilizzata per le cene importanti e per le serate con Luke.

L'intera stanza era inebrita dall'odore del Gelsomino, uno dei fiori preferiti del ragazzo.

Ethan si alzò lentamente, stropicciandosi gli occhi.

In un attimo il tenue sorriso che gli aveva illuminato il volto fino a quel momento scomparve, lasciando spazio ad una smorfia di terrore. Davanti a lui uno splendido angelo dalle ali rosse, vestito di una tunica bianca, chiarissima, dai capelli rossi rasati corti, si stagliava imponente.

La prima reazione del ragazzo fu di puro stupore.

La creatura che aveva davanti era splendida, delicata e forte allo stesso tempo. I lineamenti, dolci, erano segnati da piccole rughe che rendevano impossibile dire quanti anni avesse l'uomo che gli stava di fronte.

-Chi... chi sei tu?- Domandò Ethan incerto e spaventato da quello che l'angelo avrebbe potuto fargli. La creatura alzò una mano lentamente, quasi a volerlo bloccare e lo guardò con dolcezza. Gli occhi caldi, color della terra e della legna che brucia, illuminarono il volto di Ethan, che si rese conto di non aver mai visto, in vita sua, nulla di più bello di quell'essere.

La tunica si increspò a causa del vento, mentre l'angelo inclinava leggermente la testa, scrutandolo pensieroso, quasi avesse paura di lui.

-Cu...Cupido?- il centurione si rese conto di aver detto qualcosa di sbagliato quando gli occhi dell'angelo iniziarono ad annebbiarsi. La lucentezza che, fino a pochi minuti prima, Ethan aveva scorto in quei pozzi scuri, aveva improvvisamente lasciato spazio al risentimento, alla paura.

-Mi...mi dispiace... ho detto qualcosa di sbagliato, perdonami.- il ragazzo era sicuro di avere a che fare con un dio, uno di quelli delle leggende, che il papà gli raccontava prima di andare a letto. Aveva pensato fin da subito che si trattasse di Cupido, il dio dell'amore, ma, a giudicare dalla smorfia di disappunto che l'angelo aveva mostrato, Ethan presumeva di aver sbagliato qualcosa.

-Solo un animo gentile può leggere la tristezza negli occhi di chi gli sta di fronte...- le lunghe ali della creatura si dispiegarono, arrivando quasi ad occupare l'intera tenda, mentre la tunica lasciava trapelare una muscolatura perfetta, divina, ecco.

-Il nome che hai pronunciato, è per me un fardello. Da anni quella nomea mi corre dietro, mi insegue. In molti mi hanno scambiato per Cupido, in molti sono stati ingannati dalla nostra somiglianza.- la voce del dio sembrava debole, quasi rassegnata, come se quanto stava dicendo non fosse che una battuta da ripetere per l'ennesima volta, parte di un copione già scritto.

-Dimmi il tuo nome, oh divina creatura, che ti presenti in questo luogo e calpesti questo suolo, macchiato dal sangue di Roma, portatrice di civil...- il ragazzo fu interrotto dall'angelo che aveva appoggiato, con dolcezza, il dito indice sulle sue labbra.

-Non c'è bisogno di burocrazia con me, Ethan. Non sono quel tipo di divinità, per intenderci...- bastò quel tocco perchè nella mente di Ethan si formasse un pensiero, martellante. Luke, lui e Luke, il loro amore. La loro relazione che era solo un rincorrersi di schiavo e padrone, quella gabbia che lo aveva intrappolato, e che adesso stringeva il suo animo, si manifestò, in quell'attimo, in tutta la sua tragicità.

 

Ethan pianse lacrime amare. Di quelle che gocciolano lente sul volto, senza che le su possa fermare, indomite, sole a tentare di riempire un vuoto troppo grande. Ethan pianse la sua debolezza, le sue aspettative irrealizzabili, il suo dolore. Urlò, con quelle lacrime, la sua libertà inesistente e i suoi desideri irrealizzabili, di felicità.

-Il mio nome è Anteros, l'angelo degli amori avvelenati, degli amanti delusi, usati come marionette. Sono il protettore di chi ama senza essere amato, ed il custode delle storie segrete...- il nome del dio fece tornare in mente ad Ethan una vecchia storia, che uno schiavo greco gli aveva raccontato. Pregò gli dei che si stesse sbagliando, pregò gli dei che avesse davanti un'altra divinità, una qualsiasi, perfino Plutone sarebbe andato bene.

-La tua preghiera non può essere esaudita, mi dispiace. Sono qui per aiutarti, Ethan, prima che le catene che porti divengano troppo robuste per essere spezzate.

Anteros accarezzò le labbra di Ethan, posandogli, infine, un bacio delicato sulla fronte.

-Ogni cento anni, visito un mortale il cui cuore sta per spezzarsi, avvelenato dalle spire della violenza e della possessività. Ogni cento anni avviso quell'uomo o quella donna, di scappare dal legame che lo stringe e lo soffoca, ogni volta dono a quell'uomo o a quella donna il mezzo per arrivare alla libertà. Ogni volta il mio avviso cade nel vuoto, dimenticato ed il mio regalo non viene utilizzato, dimenticato. Ogni volta l'anima sventurata dal cuore avvelenato viene raccolta da me e trascinata nell'Orco, al cospetto dei giudici. Mi auguro che tu sia un'eccezione, Romano, poiché tu, più di ogni altro, mi rassomigli.- Ethan si ritrovò avvolto dalle ali del dio, immerso in un'atmosfera di quiete e leggerezza, improvvisamente di rese conto di essere quasi del tutto nudo. In qualche modo, però, la vergogna fu messa a tacere e, mentre il tepore del corpo di Anteros lo riscaldava, una voce dolce e melodica iniziò a cantare, lenta, mentre le parole del dio, sussurrate piano piano, prendevano forma davanti ai suoi occhi.

 

Sono nato per un suo capriccio, portato alla luce da Venere, nel disperato tentativo di permettergli di crescere, di divenir grande. E fin da subito l'ho amato, preda di un sentimento che nemmeno io riuscivo a spiegare.

Era bello, come il Sole che nasce all'alba e come le stelle che ne seguono il declino.

E man mano che cresceva, forte e sicuro, io gli stavo accanto, vicino, proteggendolo da tutto ciò che ritenevo non dovesse intaccare la sua purezza.

Cupido era un essere meraviglioso, bello da mozzare il fiato, con quelle sue ali candide e quei suoi occhi rosso sangue, cremisi, che ti facevano venir voglia di osservarlo per sempre, incatenando il tuo sguardo.

Ci amammo per la prima volta a sedici anni.

Sorrisi che mascheravano incertezze e risate tenui, baci lasciati sulla carne, languidi. E le sue braccia calde, come quelle del tuo amato, a stringere il mio corpo, ad accarezzare i miei capelli.

Ed il suo odore che mi scivolava addosso ed il sudore che impregnava l'aria.

Lo amavo.

Lo amavo come si ama una sola volta, in tutta la vita.

Lo amavo di un amore vero, forte.

E sarei stato pronto a combattere per lui. A morire per un suo sorriso, per un suo bacio.

 

Era notte quando il nostro legame iniziò a scricchiolare, a cedere.

Una notte strana quella in cui arrivò Psiche.

Una donna incantevole, dolcissima, tanto simile a me per certi versi.

Percepii l'interesse di Cupido per lei immediatamente. E vidi i suoi occhi percorrerne le carne, quando quella maledetta freccia, per errore, lo colpì ad una gamba.

Mi accorsi che qualcosa era cambiato quando ai suoi baci si sostituirono i morsi, i segni dei denti, quasi volesse marchiarmi, rendermi suo, suo e basta.

Intrappolarmi, usarmi.

Era sesso senza amore il nostro. Di quello che si fa per sport, perchè non si ha di meglio da fare. Per svuotarsi e basta.

E le carezze, di notte, lasciarono spazio al vuoto. Silenzioso, velenoso, che inghiottiva ogni cosa. Niente sussurri, parole dolci. Niente che non fosse rabbia, desiderio di piacere, violenza.

Mi ritrovai intrappolato in un rapporto che non volevo, uno schiavo, più che un amante. Di notte lui andava da Psiche e la prendeva, piano, con l'amore che fino a poco tempo prima aveva riserbato a me. E durante il giorno incontrava me, nell'oscurità delle grotte di Sicilia, dove l'eco del mio sconforto echeggiava con più forza.

Un giocattolo. Non ero e non sono altro che un giocattolo ai suoi occhi. Un modo per riempire le giornate, divertirsi.

 

L'ho guardato crescere ed amare, in silenzio. L'ho visto crucciarsi per le sorti di quella donna, mentre a me riservava oscurità e gesti vergognosi. L'ho sentito piangere, durante la notte, per gli incontri mancati, per le ore trascorse in solitudine. Ed io ero solo un modo per riempire quel vuoto, nell'attesa di qualcosa di più, di meglio.

E ho visto me stesso morire giorno per giorno, ucciso dalla smania di stare con lui e dal gelo che lo circondava, dalle attenzioni che dava a lei e non a me.

L'ho protetto, difeso, amato... amato. E lui, in cambio della mia dedizione, dei sacrifici che ho fatto, mi ha dato solo cattiveria e violenza.

 

E l'ho odiato, nel profondo, per tanto tempo. L'ho odiato per le sue carezze indirizzate a chi non aveva fatto nulla per meritarle, l'ho odiato per l'affetto riservato a lei e non a me, l'ho odiato per quelle notti passate ad aspettare invece che a rendersi conto che qualcuno era già lì a fargli compagnia

Perchè dove c'è un sentimento non ricambiato c'è uno squilibrio di potere. È uno squilibrio facile da sfruttare, ma non è saggio farlo. Dove c'è amore, spesso c'è anche odio. Possono esistere fianco a fianco.

E così il mio odio crebbe, assieme alla volontà di vendicarmi, mentre una maledizione, lenta, calava su di me.

 

Mi resi conto, alla fine, che separarmi da colui che un tempo chiamavo “amore” non era più pssibile.

I miei sogni, i miei pensieri, tutto era indirizzato a lui. A lui che era la mia ragione di vita e , più di ogni altra cosa, la causa della mia prigionia.

Troppo tardi ho compreso di essere in trappola.

Troppo tardi ho capito che questo amore avvelenato è una catena troppo stretta, che serra l'animo e blocca gli intenti.

Troppo tardi mi sono accorto di essere morto, avvelenato dalla mancanza di lui, del mio tutto.

Troppo tardi...

 

Quando Ethan riaprì gli occhi Anteros era svanito. Al suo posto un pugnale bellissimo, intarsiato, giaceva per terra. La lama di bronzo riluceva di uno strano colore violaceo che scintillava nell'oscurità della notte.

Ed improvvisamente al ragazzo fu chiaro quale scelta il dio gli stesse chiedendo di prendere. Uccidere lui o sé stesso.

Perchè una vita come la sua non era vita, ma prigionia, costrizione ed amarezza, indegna di essere vissuta.

Il centurione afferrò il coltello e si punse un dito con la lama. Delle goccioline purpuree macchiarono la terra.

 

Ethan indossò il suo abito migliore, facendo attenzione a lasciare scoperta la spalla destra, come piaceva a Luke. Indossò i calzari con rapidità e spostò la lama sul palmo della mano, incidendo un taglio. Il sangue gocciolò per terra, ancora una volta.

-Oh Nemesi, dea della vendetta, dell'equità e della parità, permettimi oggi di riportare le cose al loro posto, di saldare il conto e di far pagare quell'uomo per quanto mi ha fatto. Dammi vendetta, grande Signora, ed io prometto di votarmi a te, di servirti. Dammi vendetta ed io eseguirò ogni tua volontà, lo giuro!- un vento debole, leggero sferzò i capelli del ragazzo, mentre il coltello scivolava nella tunica, lentamente.

Ethan sorrise, in maniera folle, malata, malata come il suo animo distrutto, malata come il suo cuore in trappola, e si avviò verso la tenda del console.

 

Era strano sentire la lama, pesante, tra le dita.

Una strana forza sembrava pervaderlo. Ed Ethan non avrebbe saputo dire se si trattasse di desiderio di rivalsa o vendetta. Il suo sguardo, folle di rabbia e paura, viaggiava veloce da un punto all'altro dell'accampamento. La tenda del console non era sorvegliata, come al solito.

Luke era convinto di poter fare tutto da solo, di potersi difendere da solo, di poter provvedere a sé stesso al meglio senza nessuno.

 

Quando il ragazzo entrò nella tenda Luke era nudo, intento ad accarezzare la pelle di una schiava dai boccoli biondi. Alta, gli occhi del colore del cielo in tempesta.

-Console...- Luke si girò lentamente, una smorfia di disgusto sul volto.

-Adesso non mi servi, torna stanotte!- Ethan lo osservò attentamente, guardano per l'ultima volta la luce di quegli occhi azzurri che tanto amava.

-Ti amo...- sussurrò il ragazzo a voce bassa, mentre il viso di Luke si riempiva di qualcosa di simile al dubbio. Poi, proprio quando il console stava per parlare, il ragazzo scagliò il coltello.

 

Fu una morte rapida quella del console Castellan.

Il cuore fu immediatamente toccato dalla lama appuntita che penetrò nella carne come fosse fatta di gelatina. Gli occhi di Luke si spensero, per sempre, lasciando Ethan libero. Libero dalle catene che quell'essere , che uomo non poteva essere definito, gli aveva imposto.

Ethan si ritrovò ad osservare il cadavere, in maniera macabra.

Era ancora così bello, così puro.

La schiava urlò di terrore, fuggendo dalla tenda.

Ed Ethan non la fermò.

Si avvicinò, semplicemente a quel corpo senza vita, osservandone i contorni, la muscolatura. E, improvvisamente, si rese conto della realtà nascosta dietr le parole di Anteros. Nessuno dei suoi protetti poteva essere salvato. Perchè l'odio, come l'amore, uccide.

E solo in quell'attimo Ethan si rese conto di quanto aveva fatto. Di aver ucciso un uomo, la persona che più di ogni altra amava, la sua ragione di vita.

E le lacrime iniziarono a scendere, lente, inesorabili.

Perchè solo in quel momento comprese il suo destino. Annientando Luke, uccidendolo, aveva ucciso sé stesso. Era questo il dono di Anteros. La possibilità di liberare sé stessi non era, in realtà, che l'ennesima trappola.

Uccidere lui significava uccidere sé stesso.

Non aveva più molto senso, ormai, rimanere vivo.

Il ragazzo cadde a terra e si accasciò di fianco al cadavere del suo amato, osservandone i tratti del viso.

Così bello...così freddo... così solo...

Ethan afferrò lentamente il pugnale , estraendolo dal petto di colui che amava, per poi calarselo in mezzo al torace, cadendo a terra, col sorriso sulle labbra ed il volto segnato dalle lacrime.

 

Anteros osservò l'anima del ragazzo volare verso gli inferi, rossa del sangue dell'assassinio compiuto. Sorrise, Anteros, per quel ragazzo che aveva avuto più fortuna di lui, che non poteva nemmeno uccidersi e non era neanche capace di ammazzare colui che lo teneva in trappola.

Due braccia gli cinsero i fianchi e delle dita gli si incrociarono all'altezza della pancia.

-Ti voglio...- sussurrò una voce calda alle sue spalle, mentre l'alba sorgeva, tinta di rosso.

 

 

N.D.A.

Mi trovo, in questo momento, in una situazione un po' scomoda.

Non mi era mai capitato prima, in effetti, di non sapere assolutamente cosa scrivere.

Non ci riesco.

Non riesco a spiegare come questa storia sia venuta fuori, come io sia riuscito ad ignorare i lacrimoni e le lenti degli occhiali appannati e a proseguire nella scrittura.

Non so dirvi come mai io sia riuscito a vincere.

Nè cosa e quanto ci sia di mio in questa storia.

So solo che è scritta col cuore, non con la testa.

E come tale vorrei che voi la intendeste.

La dedico a chi, almeno una volta nella vita, si è sentito un giocattolo senza valore. Sappiate sempre discernere amore e sottomissione, combattete per voi stessi.

 

Lasciate una recensione se vi va.

 

Un grosso abbraccio

 

E.f.

   
 
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