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Autore: Fairwriter    05/03/2009    2 recensioni
Questa fanfiction parla di una ragazza estranea al mondo della moda, al mondo dello spettacolo, della tv...è immersa nella sua vita fatta di libri, riflessioni, studio e passato... Poco dopo la maturità, per pura coincidenza, incontrerà una star interplanetaria di cui lei non sa nemmeno l'esistenza. Inizierà così a maturare una profonda conoscenza tra i due, che per entrambi sarà la chiave per tornare a credere.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – Una vita un po’ incasinata

Capitolo 1 – Una vita un po’ incasinata

…Fly
Open up the part of you that wants to hide away
You can shine,
Forget about the reasons why you can't in life,
And start to try, cause it's your time,
Time to fly…

 

da Fly di Hilary Duff

 

< Non ci posso credere! Un’ acquazzone del genere ai primi di luglio!> storse il naso la prima ragazza piagnucolando < Io domani parto per il mare e sarebbe una vergogna tornare a casa più bianca di prima…l’abbronzatura quest’anno fa troppo chic, vi prego ditemi che il tempo migliora!>.

< Non sai quanto ti capisco > proseguì l’altra biondina stizzita < Ho appena preso i nuovi sandali di D&G che stanno d’incanto con il tubino scarlatto disegnato da Dolce per la nuova collezione Lover Summer Season!!! Lo metterò al party di stasera e mi rifiuto di abbinarci i mocassini di Calvin Klein per due gocce d’acqua! Mi rifiuto! Sarebbe un affronto traumatico per i due stilisti…Piuttosto mi prendo la polmonite!>.

 

Primo pensiero: Scarlatto??? Nuovo modo per definire il colore primario che i mortali definiscono “rosso”?

 Secondo pensiero: Ma questi signori, Dolce, Gabbana e Klein, non possono firmare un armistizio? Ricordo che mamma una volta mi ha regalato una camicia CK e una giacca di D&G su consiglio di una commessa del negozio…e non mi sembra di aver subito alcun trauma psicologico o cerebrale!

Terzo pensiero: Come cavolo si chiamano le due tipe? Sicuramente erano nella mia classe l’anno scorso! Giuro di non aver ancora imparato a distinguerle. Hanno lo stesso identico taglio, sono alte uguali, stesso colore di capelli (biondo platino) e drasticamente vestite e truccate nello stesso modo.

Forse io ero distratta e vivevo in un mondo tutto mio, ma a volte guardavo con una nota di incomprensione il mondo che mi stava attorno. Sembrava quasi che non essere la modellina del liceo classico, tutta lustrini e pailettes, fosse la via più rapida e indolore verso il suicidio sociale! Beh, la società è davvero complicata!

Molti mi definivano associale…d’altronde per me era uno sforzo sovraumano non esserlo!

Sicuramente la condizione della mia famiglia mi aveva abituata ad altro.

I miei erano due brillanti avvocati di successo, piuttosto richiesti nelle città dove praticavano: Parigi e Firenze.

Entrambi avevano studiato giurisprudenza a Milano ed è lì che si sono conosciuti, innamorati, laureati e infine sposati. Dopo la loro separazione la “gente” sparlò molto sul loro conto: erano i classici universitari di legge con ottime potenzialità che avevano avuto un successo spropositato a pari passo e che, per la troppa competitività e bramosia di denaro, si erano separati senza ulteriori cerimonie.

Ma le cose non sono mai come la “gente” racconta…

Loro si erano amati veramente e dicevano che l’unica cosa buona che uscì dal loro matrimonio, oltre alla loro figlia, fu un periodo di indimenticabile felicità.

Si separarono quando avevo cinque anni.

Il rispetto che hanno sempre nutrito l’un per l’altro e l’amore incondizionato per me, ha permesso loro di mantenere un rapporto di collaborazione ed amicizia, e di questo sarò sempre immensamente grata.

Ancora più del loro divorzio, è stato il lavoro che fanno che mi ha condizionato la vita.

Dopo un breve periodo in cui entrambi i miei restarono a Milano, mamma si trasferì a Londra per una offerta di lavoro che la lanciò al successo; questo, parecchi anni più tardi, le permise di aprire uno studio associato con la sua migliore amica a Parigi.

Papà invece è penalista. Ha sempre lavorato qui in Italia, in studi piuttosto rinomati; era l’asso nella manica in ogni affare estero e quindi viaggiava molto.

Di conseguenza frequentai la scuola primaria in Inghilterra, e lui mi veniva a trovare quando poteva.

Nello stesso periodo in cui mamma si trasferì a Parigi, papà si trasferì a Firenze e, dato che io ero più grandicella restai a frequentare la scuola media in Italia sempre ricevendo visite frequenti di mamma.

Nei cinque anni che seguirono gli incontri tra i miei genitori si ridussero a zero: 

ormai ero abbastanza autonoma per gestire al meglio la spola Firenze-Parigi, Parigi-Firenze e abbastanza tranquilla e serena per passare metà anno scolastico nella città toscana e l’altra metà nella bella e romantica capitale francese.

Avevo avuto la necessità di crescere in fretta, ma questo non mi disturbava. Come non mi disturbava il fatto di essere letteralmente sballottata

Ormai tutto questo tran-tran apparteneva alla mia vita e spesso era stato un sollievo salire e scendere da aerei e taxi, mi aiutava a concentrarmi.

Avevo frequentato un liceo privato in entrambe le città e scegliendo il classico, come indirizzo, tutta la situazione mi aveva richiesto un impegno consistente.

Dopo aver terminato il quinto anno a Parigi, con mia grande soddisfazione, ero uscita dalla maturità con il massimo dei voti e l’estate che mi si prospettava sarebbe stata dedicata alla preparazione all’università…

 

Quel giorno ero ritornata al mio ex liceo di Firenze per firmare alcuni documenti e parlare con alcuni prof. Mi avevano molto aiutata a inizio anno, dopo l’enorme crisi della scorsa estate, dopo la sua perdita, e dato che mi avevano tanto pregato di far loro visita volevo cogliere l’occasione per  ringraziarli.

È stato lì che assistetti alla scena delle Barbie gemelline, che inconsciamente, e a modo loro, mi rallegrarono la giornata, dato che come avevano notato loro era particolarmente mal vista anche dalle condizioni atmosferiche.

 

Quando arrivai a casa di papà rimasi sorpresa di trovarla vuota…

Eravamo d’accordo che finiti gli esami sarei tornata a Firenze, e il pomeriggio precedente gli avevo chiaramente spiegato per telefono che sarei partita per raggiungerlo quella notte perché preferivo viaggiare in auto (quale momento migliore se non la notte??).

Senza trovare una spiegazione plausibile per la sua assenza, frugai automaticamente in borsa per cercare uno dei due mazzi di chiavi, tastando per bene per distinguerli ed essere certa di afferrare quello giusto…e mi capitò per mano il cellulare.

Il cellulare! Probabilmente papà mi aveva lasciato un messaggio o aveva tentato di chiamarmi per dirmi che non lo avrei trovato a casa, ma come mio solito erano due giorni che non lo accendevo.

Ops!: Sei chiamate senza risposta e 2 messaggi nella segreteria telefonica…come volevasi dimostrare.

Mentre entravo in casa e mi disfacevo di tracolla e scarpe (quelle maledette!) ascoltai il primo messaggio di papà che come al solito era dovuto partire all’ultimo momento per una causa che aveva richiesto all’improvviso un’accelerazione nei tempi.

Il secondo parlava di Volterra, di una causa a cui lavorava da mesi, di scuse…ma non riuscii a restare sveglia a lungo per collegare tutti i pezzi e cogliere tutte le informazioni: mi addormentai ascoltando la sua voce registrata.

 

Mi svegliai molte ore più tardi al suono della mia suoneria, lo schermo illuminato mostrava la scritta: Papà

< Pronto,…papà?? > risposi con la voce impastata dal sonno.

< Piccola mia! Ti ho svegliata? Sei a Firenze? Non hai trovato i miei messaggi?! > mi sputò fuori tutte queste domande ad un volume e ad una velocità impressionanti.

Allontanando di poco il cellulare con pietà per il mio orecchio, lo rimproverai:

< Ehi papi, puoi parlare con un tono di voce più umano? Non siamo in tribunale, gli ultrasuoni non servono poi molto con me…>

< Scusami piccola > riprese sospirando < ma ero in pensiero…ho pure chiamato tua madre: pensavamo che ti avessero investito! >

Una risata spontanea mi fece risvegliare completamente < Tranquillo papà, sono arrivata a Firenze sana e salva, anche perché è difficile investirmi se sono in macchina, non trovi?! > e trattenendo a stento un risolino gli spiegai di come, esausta mi ero addormentata <…sei più calmo ora? Più tardi chiamo la mamma, onde evitare che venga mobilitato l’intero corpo di polizia di Firenze! A parte gli scherzi tu dove sei? Quando torni? > aggiunsi l’ultima domanda, deducendo la risposta della prima.

< Tesoro, sono a Volterra per la causa di cui ti parlavo nell’ultima mail che ti ho mandato, ci sono stati imprevisti e ho un mucchio di lavoro da fare! Ascolta, visto che non riesco a sbrigarmela prima di due-tre settimane, e visto che non posso muovermi da qui, che ne dici di raggiungermi? Così almeno potremo pranzare e cenare insieme, sicuramente posso stare di più con te se vieni qui…davvero mi disp…! >.

< Papà, certo! > dissi bloccando il suo tradizionale fiume di scuse < vengo senz’altro! Però oggi non ho la forza di guidare ancora, quindi arriverò domani nel tardo pomeriggio, ok? >

< Va benissimo, piccola. Non vedo l’ora di poterti riabbracciare e farti vedere il mio regalo per il diploma! >

sbuffai.

< Su su, non fare la brontolona! Te lo meriti, sei stata così brava! Ciao Scriccia.>

E, alzando gli occhi al cielo, chiusi la conversazione.

Mi sollevava il fatto che sarei ripartita il giorno dopo. Aspettare papà voleva dire automaticamente stare da sola in una casa enorme e in una città enorme, piena di ricordi che mi avrebbero fatta impazzire se fossi stata per due settimana completamente sola…

 

Cercando di scacciare pensieri malinconici che mi colmavano di tristezza, feci una bagno rilassante al piano di sopra, con un sottofondo musicale che mi sollevava il morale nei momenti difficili: i cd degli Abba.

Poi, dopo essermi asciugata esaminai l’orologio, e dato che era ora di cena, mi preparai un’insalatona a cui vi abbinai del vino bianco. Finendo le ultime pagine di un libro che stavo leggendo mi addormentai di nuovo sul divano.

Il mattino dopo mi dedicai completamente ad organizzarmi per le due settimane in cui sarei stata a Volterra: in hotel non avrei saputo cosa fare perché sarei stata in compagnia di papà solo a cena e con un po’ di fortuna a pranzo, quindi optai per girare nella cittadella toscana.

Feci delle ricerche su Google per trovare qualche ambita meta turistica, ma il turismo sembrava completamente inibito in quei giorni da una location cinematografica, di cui però non mi curai granchè.

Riuscii comunque a trovare un itinerario, ma era piuttosto scarno, così decisi di iniziare in quelle settimane ad esercitarmi con gli alfa test. A settembre avrei tentato di entrare a medicina e dato che con  il test si ammettevano pochi iscritti, se non volevo perdere un anno, dovevo darci dentro sin da subito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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