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Autore: Gnarly    14/12/2015    2 recensioni
[Sterek]; [post!Nogitsune]
Il Nogitsune ha lasciato segni indelebili su Stiles, nonostante vengano a galla tempo dopo gli avvenimenti legati ad esso. Derek ormai si era abituato ad avere sempre Stiles tra i pedi, ma un imprevisto dovrà fargli rivalutare la situazione.
[Fanfic partecipante al The Path of Your Pack Contest indetto da BlackIceCrystal]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Dr. Alan Deaton, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wie zwei Stachelschweine
 
Vi costringo ad ascoltare questa canzone perché è meravigliosa e depressissima al tempo stesso e credo si adatti alla perfezione a questa Os
 
“I did my part
I tried my best
The things I'm fighting to protect
Always shatter into pieces in the end”
 
«Alcuni porcospini, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.»[1]
 
Stiles si guardò intorno con circospezione, ancora con quella sensazione pungente di essere osservato ventiquattro ore su ventiquattro. Nel momento in cui i suoi occhi si posarono sul divano in pelle, vide un’ombra venire risucchiata dal pavimento ma pensò che fosse la sua mente traumatizzata dall’esperienza del Nogitsune a fargli concepire immagini del genere. Tornò a dedicarsi alle attenzioni che il suo ragazzo in quel momento gli stava riservando. Alzò le braccia permettendo a Derek di sfilargli la camicia a quadri rossa e blu, per poi posizionarsi su di lui senza avere indumenti che impedissero il contatto fisico più totale.
«Cos’è questo?» chiese Derek indicando un segno violaceo sul polso di Stiles e puntando i suoi occhi espressivi su quelli ambrati del ragazzo che, senza separare le sue labbra da quelle del mannaro, disse semplicemente: «Non farci caso, non è importante.»
Derek aveva esitato un secondo, che spese chiedendosi se sarebbe stato meglio continuare quella conversazione o meno, quando il suo corpo agì per lui: il labbro umido iniziò a solleticare il lobo dell’orecchio di Stiles che, perso nel piacere che il ragazzo gli stava procurando, non fece caso al telefono che iniziò a squillare.
Un sopracciglio di Derek si alzò – ormai Stiles aveva capito che l’unico modo per comunicare con quel ragazzo era intrattenendosi in una conversazione con le sue folte sopracciglia – prima che lui potesse parlare.
«Che c’è? Non hai mai sentito Fields of Gold?» chiese l’umano tra l’offeso dalla reazione ottenuta e il divertito, perché da lì a pochi attimi sarebbe iniziata una discussione in piena regola sui suoi gusti musicali.
«Ovvio che l’ho sentita. Al contrario di come tu possa pensare, non sono così fuori dal mondo» risponde incrociando le braccia al petto, con la sua solita espressione da “voglio proprio sapere cos’hai da dire adesso”.
«E comunque,» si giustificò Stiles «non è la mia suoneria perché mi piace, questa canzone parte soltanto quando è Lydia a chiamarmi.»
Derek incrociò le braccia, mettendo in risalto quei muscoli che erano in grado di sciogliere il cervello di Stiles. «Perché hai una suoneria diversa per Lydia?»
«Dio, non sarai mica geloso?» le labbra si Stiles s’incresparono in un sorriso sghembo: adorava quando il suo ragazzo dimostrava di avere anche una parte umana dominata da emozioni vere, oltre a quella animale.
«Ma chi, io?» cercò di uscire fuori da quella situazione il moro, non volendo sembrare così attaccato al loro rapporto. Ogni volta che entravano nell’argomento “relazione” entrambi diventavano freddi, come se parlarne li avrebbe allontanati.
Avevano questo strano modo di proteggersi a vicenda che li distaccava emotivamente l’uno dall’altro, come una sorta di scudo, ma che comunque li faceva riavvicinare nuovamente perché la lontananza era una pena ben peggiore rispetto alla prospettiva di soffrire in un futuro prossimo per essere stati felici nel presente. 
Non riuscivano ad avere un momento di pace, loro due. C’era sempre un problema improvviso che gli piombava addosso e che andava combattuto a qualunque costo, annullando quei momenti di magica perfezione all’interno della bolla che li esternava da tutto ciò che succedeva al di fuori di essa.
A volte, però, il problema era rappresentato proprio da loro due, così diversi eppure così uniti.
 
Se c’era una cosa che Stiles davvero non sopportava, era la leggerezza con cui Derek affrontava la loro relazione. Per lui era solo un passatempo, una valvola di sfogo, o almeno era quello che pensava. Certo, chi non adorava scaricare la propria tensione con del buon sesso? In fondo, Stiles lo capiva. Capiva il motivo per cui Derek lo allontanava ogniqualvolta lui provasse a portare il loro rapporto, sempre se così poteva chiamarsi, in uno stadio avanzato. Aveva paura di soffrire, di farsi del male, così si rinchiudeva in quella corazza di ghiaccio che internava il suo cuore. Sapeva che Stiles significava molto per Derek, ma il fatto che fosse solamente lui a dimostrare il proprio affetto nei confronti del mannaro lo faceva star male. Aveva bisogno di rassicurazioni e di certezze.
Proprio mentre il ragazzo stava riflettendo su cosa rappresentasse il moro per lui, ecco che quest’ultimo entrò nel loro loft. Per meglio dire il loft di Derek, che però a Stiles piaceva ritenere anche come suo.
«Come sono andati gli allenamenti?» gli chiese porgendogli una tazza di thè fumante che aveva preparato giusto qualche minuto prima che arrivasse.
«Come sempre, suppongo.»
Ecco, questa era un’altra cosa che Stiles faceva fatica a digerire: la scarsa presenza di dialogo. Era sempre lui quello che tra i due portava avanti una discussione, mentre l’altro si limitava ad annuire e rispondere a monosillabi. Molto probabilmente qualche mese prima non si sarebbe nemmeno azzardato a rivolgersi in quel modo a Derek, ma la situazione era cambiata. Lui era cambiato. Dannazione, non era un bambolotto con cui giocare quando se ne aveva voglia!
«S-senti Derek. Io devo, voglio, parlarti.»
Il diretto interessato, che nel frattempo si era steso sul divano accendendo la televisione mettendo il canale del telegiornale per sapere se ci fossero state delle morti sospette nella contea di Beacon Hills, si voltò verso l’umano e fece un cenno con la testa per spronarlo a iniziare il discorso.
«Ne ho le palle piene di queste condizioni, okay? Non posso più continuare a restare a casa mia nella speranza di vederti aprire la porta – o entrare dalla finestra della mia camera, dipende dai giorni – per essere felice. Dobbiamo sistemare la situazione, voglio smettere di soffrire a causa tua.»
Derek si passò una mano tra i capelli e il suo sguardo incrociò quello del castano, che restò bloccato nel vedere il tormento nei suoi occhi, per poi alzarsi e baciare Stiles a fior di labbra. Questi, però, lo allontanò con uno spintone.
«No. Non puoi pensare che baciarmi possa farmi stare zitto, non in un momento del genere!»
Ovviamente Derek non lo ascoltò, così si avvicinò nuovamente al ragazzo e iniziò a lasciargli una scia di umidi baci sul suo collo delicato che profumava di bosco – si promise di comprare più spesso quel bagnoschiuma al muschio, se ne avesse avuto l’occasione.
Questa volta la volontà di Stiles vacillò, infatti assecondò il più grande stendendosi sul divano in pelle.
«Questa è…» cercò di dire tra un mugolio e l’altro «questa è l’ultima volta che ci vediamo, Derek. Sarà un addio, il nostro.»
Detto ciò, il ragazzo capovolse la situazione a suo favore e si posizionò sul ventre del mannaro, che intanto si era sfilato la maglietta rivelando gli addominali scolpiti che facevano smettere di respirare Stiles ogni volta che entravano nella sua visione. Tutte le volte che Stiles prendeva in mano la situazione, per dimostrare di essere forte quanto l’Alpha, il ritmo cardiaco di Derek diveniva più veloce. Era un’emozione che non riusciva a controllare quella di esaltarsi nell’attimo in cui l’umano si mostrava capace averlo in pugno, qualsiasi cosa facesse.
Un mugolio di approvazione fu l’unica risposta che Derek riuscì a dare in quel momento, così concentrato sulle sensazioni che le labbra di Stiles sul suo corpo gli regalavano.
«Sono serio, non posso continuare così» tentò di dire il ragazzo con voce sommessa. «Questa è l’ultima volta che ci vediamo.»
 
L’umano guardò dietro la figura di Derek, al che quest’ultimo si girò a sua volta per capire cosa ci fosse di così interessante da attirare l’attenzione di Stiles nel bel mezzo di una conversazione ma, con suo grande stupore, notò che tutto era nella norma: macchie di sangue sparse qua e là sul muro a causa dell’ultimo combattimento contro il branco di Alpha, fotografie della sua famiglia sul comodino situato nell’ingresso e lo zaino del ragazzo, che era corso al loft non appena l’ultima campanella scolastica fece l’ultimo, sonoro, driiin. Poi capì. «Vedi qualcun altro a cui io possa essermi riferito?»
Il moro scosse impercettibilmente la testa, divertito da come il ragazzo riuscisse a scherzare in qualsiasi situazione si trovassero.
«Stavamo dicendo,» cambiò argomento Stiles con un sorriso sarcastico impresso sul volto «credo che questa sia la canzone più brutta che io abbia mai sentito. L’ho messa proprio per questo motivo!»
Le sopracciglia di Derek s’inarcarono – “di nuovo! Deve capire che è davvero inquietante quando fa così”, pensò Stiles fra sé e sé.. «Ehm… temo di non seguirti.»
«Devo proprio spiegarti tutto? Lydia uguale morti, quindi chiamata di Lydia uguale cimitero sovrannaturale. Tutte le volte che mi chiama c’è un’emergenza, così se sento questa suoneria orribile so che è lei a chiamarmi e che devo rispondere subitissimo. Uno, per aiutare la polizia a non rimanere con tre abitanti contati nella città e due, perché voglio ascoltare quella canzone il meno tempo possibile.»
Una risata a stento trattenuta uscì dalle labbra di Derek, che con un cenno del capo rivolto verso il cellulare spronò il ragazzo a rispondere a Lydia.
«Che vuoi?» rispose lui con scarso entusiasmo – erano stati interrotti in un momento interessante, un po’ di ostilità nei confronti della banshee ci stava tutta, no?
«È così che si risponde a un’amica?» replicò lei, cercando di sembrare il più offesa possibile. Non ottenendo una risposta dall’altra parte della linea, decise che andare dritti al sodo fosse la cosa migliore da fare in quel momento. «Stiles… sono giorni che sento queste voci.»
L’umano avvertì una sensazione di gelo che gli fece rizzare i peli delle braccia, come succedeva ogni volta che Lydia lo avvisava di un potenziale pericolo in agguato. «Cosa dicono?»
Un momento silenzio che per entrambi parve infinito aleggiò nell’aria. «Stanno arrivando. Stanno arrivando per prendere te, Stiles.»
Il mannaro, che con il suo udito da lupo aveva ascoltato tutta la conversazione, sussultò. «Chi sta arrivando?»
«Io non… non lo so, Derek. Volevo dirvelo giorni fa, quando ho iniziato a sentire le voci ogni volta che mi avvicinavo a Stiles, però poi non ci siamo visti per diversi giorni a causa della mia influenza e ho smesso di sentirle. Oggi a scuola… erano fortissime, mi stava scoppiando la testa.»
Quell’attimo di silenzio che riempì il loft servì a Stiles per rendersi conto di ciò che la sua amica aveva appena detto. «E tu hai aspettato un’intera settimana per dirmi che sono in pericolo?»
«Non è questo il problema. Adesso dobbiamo preoccuparci solo ed esclusivamente della tua incolumità.» Molto probabilmente il fatto che la bashee avesse chiuso al conversazione proprio mentre il ragazzo stava per dir «non posso ancora credere che tu non mi abbia detto che io stessi in pericolo di vita» salvò la vita di Stiles. Per lo meno momentaneamente.
Il branco si era incontrato alle sei di quel pomeriggio nell’ambulatorio di Deaton, sperando che lui potesse aiutarli in qualche modo.
Era incredibile come il sovrannaturale avesse un pessimo tempismo: una pace apparente era finalmente calata su Beacon Hills e subito dopo dei nemici – di cui ancora non sapevano nulla – avevano già messo il gruppo con le spalle al muro.
«Hai notato nulla di strano ultimamente, Stiles?» chiese Deaton mentre cercava qualcosa tra i vari barattoli pieni di essenze in polvere capaci di fare qualsiasi cosa.
«Ora che ci penso, in realtà, sì. Più che altro è una sensazione. Mi sembra di essere osservato ovunque. A scuola, a casa, da… Derek.» Nonostante oramai tutti erano a conoscenza della sua relazione con Derek, inizialmente tenuta nascosta per volontà del mannaro, lui si sentiva ancora a disagio nel dichiarare apertamente che andasse a casa del suo ragazzo – amava questa parola, l’avrebbe urlata al mondo intero se solo Derek non gli avesse tappato la bocca ogni volta che ci aveva provato – quasi tutti  i giorni. «Quando mi giro, però, non vedo nessuno.» L’umano si arrotolò le maniche della camicia per il caldo che provava ogni volta che era sull’orlo della disperazione mostrando, senza accorgersene, un simbolo sul polso che attirò l’attenzione di Deaton. Lui si rese conto dell’esistenza di quel segno solamente quando tutti i membri del branco avevano iniziato a fissare prima il suo polso e dopo lui. Il simbolo raffigurava un disegno piuttosto inquietante: tre donne bellissime che al posto degli occhi avevano delle fiamme ardenti e dei serpenti al posto dei capelli, come Medusa.
«Cos’è?» chiese Lydia con voce spezzata e gli occhi spalancati per la paura.
«Io non… non lo so» si limitò a dire il ragazzo, anche lui preoccupato. Dopo che il Nogitsune era stato sconfitto aveva iniziato ad apparire un livido su quella zona del suo corpo ma non se ne preoccupò più di tanto, perché pensava che fosse una semplice reazione all’estirpazione del demone dal suo corpo.
Il veterinario si avvicinò al ragazzo per poi prendergli il polso e osservare da vicino quel disegno violaceo che si era formato. «Io invece sì, anche se potrebbe non piacervi.»
Dieci sguardi si alzarono e cominciarono a fissarlo furiosamente impazienti di sapere di quale informazione era a conoscenza.
«È chiamato Sigillo di Minosse» iniziò a spiegare lui, girando pagine e pagine di un libro sulla mitologia greca alla ricerca di solo Dio sapeva cosa.
«Minosse il re di Creta?» chiese Lydia, cercando di capire cosa potesse c’entrare un re vissuto migliaia di anni prima con un ragazzo come Stiles. Scott si rimproverò per non aver studiato abbastanza la lezione dell’anno precedente sulla Grecia Antica, perché sarebbe sicuramente stato d’aiuto in quella situazione. “Fortuna che c’è Lydia” pensò tra sé e sé, anche se non l’avrebbe mai ammesso a voce alta.
«Esatto, Lydia: Minosse il re di Creta. Dopo essere stato vittima di un omicidio divenne uno dei giudici infernali il cui compito è quello di condannare un’anima a tormenti infiniti oppure assolverne le colpe e far vivere loro una vita priva di torture e di angosce nell’Oltretomba.»
«Ehm, okay? E perché ci sono finito io in mezzo?» domandò Stiles, tra il confuso e lo spaventato.
«Alcune leggende raccontano che la sua anima sia stata divisa a metà: una parte è costretta a restare nell’Ade per adempiere ai suoi doveri, mentre l’altra vaga sulla Terra alla ricerca di giustizia e di spiriti che non dovrebbero essere qui.» Dopo aver sentito queste parole, l’animo di Stiles diventò più inquieto. Lui non doveva essere lì, sulla Terra. Lui sarebbe dovuto essere morto, o perlomeno in uno stato catatonico, a causa del Nogitsune.
«Il Sigillo di Minosse è un segno di riconoscimento che gli permette di capire quali sono le anime che hanno trovato un modo per sfuggire alla morte e che devono essere portate nel luogo a cui appartengono.»
«Quindi è questo che stanno dicendo le voci? Che verrà a prendermi insieme a qualche segugio infernale per portarmi all’Inferno?»
Deaton annuì con un’espressione cupa dipinta sul volto.
Nessuno parlò per qualche minuto, non sapendo come intervenire. Cosa si poteva dire in una situazione del genere? “Ehy, amico, mi dispiace che ti hanno regalato un biglietto di sola andata per gli Inferi. Verrò a trovarti ogni tanto, però”? “Mandami una cartolina dall’Ade, mi raccomando!”?
«Deve esserci un modo per annullare tutto questo, giusto? C’è sempre un modo. Noi lo troviamo sempre, ce la facciamo sempre» disse Scott con la voce che faceva capire il suo stato di completa disperazione. Non avrebbe abbandonato il suo migliore amico, non ci avrebbe rinunciato senza lottare.
Il dito del dottore si fermò su un’immagine rappresentante un fiore completamente bianco, dai petali al gambo. «Questo fiore, chiamato Essenza di paradiso, se ridotto in cenere, produce una polvere che può sradicare il male da una persona. Questo, però, se il demone, lo spirito o qualsiasi cosa maligna si nasconda dietro un sigillo non è troppo potente.»
Lydia teneva lo sguardo fisso nel vuoto, cercando di non pensare a quello che stava succedendo. «Non ci resta che provare…» asserì infine, rassegnata.
Stiles porse la mano a Deaton, che nel frattempo aveva preso da uno scaffale un barattolo con due dita di una polverina che emanava una luce talmente forte che Derek e Scott furono costretti a coprirsi gli occhi – a volte i loro sensi amplificati erano davvero una seccatura. Il veterinario prese una manciata di quella polvere e la sparse sul polso del ragazzo, seguendo il contorno della figura della donna raffigurata nel Sigillo.
«È una Furia» spiegò lui, notando lo stato confusionale in cui si trovava il ragazzo. «È la personificazione della maledizione divina e del rimorso. Puniva i colpevoli di delitti di sangue, specialmente quelli contro familiari e amici. Alcuni autori raccontavano che il quinto giorno di ogni mese lasciassero le loro dimore per recarsi sulla Terra e punire i colpevoli accompagnate dal Terrore, dalla Rabbia e dal Pallore. Una volta raggiunti i colpevoli, poi, gli rodevano il cuore.»
«Allison» sussurrò Lydia. Tutti avevano capito che la ragazza che le Furie volevano vendicare fosse la stessa che Stiles aveva ucciso, nonostante non fosse in sé nel momento in cui è successo. Al ricordo della loro amica, della ragazza che si era distinta fra tutti i cacciatori di licantropi andando contro la propria famiglia per aiutare i propri amici, il cuore di tutti i presenti si strinse in una morsa. Erano passati più di due mesi, ma pensare alla sua morte era ancora doloroso come se la stessero guardando esalare l’ultimo respiro in quel momento.
Stiles deglutì, a quel punto completamente in preda alla paura.
Poteva mentire a chiunque, ma non a se stesso: aveva paura di cosa gli sarebbe successo. Nei libri e nei film parlavano dell’Inferno come una tortura continua in mezzo alle fiamme, ma nella realtà com’era aveva?
Qualche secondo dopo l’operazione eseguita da Deaton il marchio venne lentamente assorbito dalla pelle dell’umano, che tirò un sospiro di sollievo. Lydia, Scott, Kira e il medico stesso lo imitarono, sinceramente sollevati, mentre Derek si limitò ad annuire col capo. C’era qualcosa che non andava, qualcosa di decisamente sinistro. Era stato fin troppo facile eliminare una minaccia così grande. «Secondo me c’è sotto qualcosa» affermò infine, dopo aver dato retta a quel turbine di pensieri che aveva in testa. Il branco era solito a prenderlo in giro per questo suo trovare problemi che non esistono, per lui era soltanto istinto di sopravvivenza.
Stiles non fece in tempo a esprimere la sua gioia con un “pensavo sarebbe stato molto più complicato!” che una luce abbagliante si levò dal suo polso, facendolo urlare di dolore. Sembrava che la pelle gli stesse andando a fuoco, come se lo stessero marchiando. Man mano che la luce si affievoliva sempre più il ragazzo trovò il coraggio di guardare il proprio polso. La sensazione non era errata: era stato marchiato. Il simbolo raffigurato era sempre lo stesso, una Furia, ma quella volta il disegno era impresso sulla sua pelle come un tatuaggio. Scott si ritrovò stupidamente a chiedersi se quel segno sarebbe rimasto anche sulla sua pelle, che rimarginava molto velocemente le ferite o qualsiasi cosa esterna al suo corpo.
In quel momento, quando Derek vide il suo ragazzo piegarsi in due dal dolore, pensò che avrebbe dato qualsiasi cosa per prendere il suo posto. Dopo mesi di discussioni continue su questo argomento, finalmente si era reso conto che allontanarlo non sarebbe servito a niente se non a causare più dolore. Vivere senza di lui sarebbe stato peggio che vivere senza un braccio o una gamba o una qualsiasi parte del corpo fondamentalmente utile per qualsiasi azione quotidiana. Gli sembrò ironico il fatto di essersi finalmente arreso ai suoi sentimenti proprio quando stava per perdere Stiles per sempre.
Voleva correre verso di lui, abbracciarlo, dirgli che lo amava, ma fu bloccato da un’ombra che prese forma dal pavimento dell’ambulatorio proprio davanti a lui.
Inizialmente era una massa di materia oscura senza contorni ben definiti, che quando però iniziarono a diventare più nitidi il branco riuscì a comprendere cosa stessero formando – o meglio, chi stessero formando. Chi per intuito, chi per esperienza personale.
«Alan Deaton» disse una voca profonda, che penetrò dentro le ossa di colui al quale lo spirito si era riferito. «Ne è passato di tempo dall’ultima volta che ci siamo visti.»
Il dottore digrignò i denti, con una rabbia repressa negli occhi. «Minosse.»
I ragazzi nell’ambulatorio sussultarono, alcuni per lo spavento, altri per la sorpresa. Stiles faceva parte di entrambi i gruppi.
«Non ci tenevo molto a rivederti, considerando che quando sei venuto a trovarmi dieci anni fa hai portato via mia madre.» In preda a una furia cieca si scagliò contro lo spirito prendendo uno dei coltelli presenti sul tavolo, ma non fece in tempo a infilzarlo col coltello che altre tre ombre iniziarono a materializzarli di fronte a lui.
Le Furie.
Erano bellissime, identiche a quella raffigurata nel Sigillo di Minosse. Tutti avvertirono una sensazione di gelo che li portò a incrociare le braccia nel tentativo di riscaldarsi almeno un po’. Deaton spiegò tale fenomeno: «Le Furie portano morte e distruzione. La Morte è accompagnata dal freddo. Ci avete mai fatto caso? Ogni volta che qualcuno a noi caro muore, sentiamo questa sensazione. È l’anima che viene risucchiata nel Mondo dei Morti, un luogo pieno di tristezza e freddezza.»
«Dovere, amico mio. Dovere. Tua madre ha riportato in vita tuo padre, che oramai apparteneva all’Oltretomba. Sai come funzionano queste cose: una vita in cambio di una vita.»
Scott si voltò verso il suo mentore, sul cui viso una lacrima al ricordo della madre iniziò a scendere. «Non mi hai mai detto niente.»
«Perché non ce n’era bisogno, prima di ora. A quanto pare avrei fatto meglio a prepararvi. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato.»
Un ghigno sinistro si fece spazio sul volto di Minosse. «Sono qui per riscattare la mia anima.»
Stiles produsse uno strano verso con la voce, talmente sconvolto da non controllare più il suo corpo. «La mia anima, volevi dire.»
«Che adesso appartiene a me, ragazzo. Non lottare, soffrirai molto meno.»
Detto questo, il giudice infernale allargò le braccia e un forte vento si levò dal pavimento della stanza, scompigliando i lunghi capelli ramati di Lydia. «Non penserai davvero che te lo lasceremo prendere così facilmente, vero?» non aveva idea da dove avesse preso il coraggio per parlare in quel modo a uno degli spiriti più potenti degli Inferi, ma in quel momento non aveva proprio voglia di approfondire la questione.
Una sonora risata inquietante, quasi maligna, riecheggiò all’interno della struttura, facendo vibrare le ossa di tutti i presenti.
«Voi miseri umani non potete nulla contro di me!»
La terra cominciò a muoversi, come se ci fosse un terremoto, e i ragazzi persero l’equilibrio: la figura di Minosse stava iniziando a diventare sempre più alta e possente, fino a toccare il soffitto.
Solo Derek notò che, da quando il potente spirito e le tre Furie erano giunti sulla Terra, Stiles aveva iniziato a brillare di una flebile luce. Aveva provato a toccarlo, o anche solo sfiorarlo, ma il calore era così insopportabile da costringerlo ad allontanarsi da lui. In quel momento non poteva fare nulla, si sentiva impotente, e questo lo distruggeva.
Più il tempo passava, più il corpo del ragazzo iniziava a dissolversi. Questo, però, lo notarono tutti.
«Alan…» riuscì solamente a dire Lydia, scuotendo il braccio del dottore. Lui scosse la testa e quel poco di speranza che si riusciva a scorgere negli occhi verdi della ragazza sparì del tutto. «Ti prego…» disse lei, senza riferirsi a qualcuno in particolare.
Stiles si voltò verso Scott e fece per abbracciarlo, ma la voce di Minosse lo interruppe. «Oramai appartieni all’Oltretomba» spiegò lui con un ghigno che faceva capire che fosse felice di spazzare via la felicità dal cuore degli umani. «Non puoi più interagire con nessun corpo appartenente al Mondo dei Vivi. Qui sei soltanto una proiezione, un ologramma.»
Il ragazzo, o l’immagine che era rimasta di lui, fissò i propri occhi su quelli di Derek. Allungò una mano per toccare quella del mannaro ma ciò che successe gli fece provare un dolore infinito all’altezza del petto. La sua mano attraversò il corpo del ragazzo, che sospirò affranto.
«Ti amo» disse Derek con la voce spezzata, maledicendosi per non aver mai trovato il coraggio di ammetterlo prima. «E questa non è assolutamente l’ultima volta che incontriamo.»
Stiles inizialmente sembrò confuso, poi si ricordò di uno dei loro tanti litigi che terminò con un “questa è l’ultima volta che ci incontriamo”. Sorrise, un sorriso intriso di tristezza e sofferenza, mimando con le labbra un semplice “ti amo”. Poi scomparve del tutto.
Le figure di Minosse e delle Tre Furie tornarono alla loro forma di ombra per poi venire risucchiate dal terreno, lasciando l’ambulatorio in un doloroso silenzio.
Lydia si lasciò finalmente andare, scoppiando a piangere sulla spalla del migliore amico di Stiles, che cercò di non imitarla mordendosi un labbro.
«Ti amo» ripeté Derek con un tono disperato, «e farò qualsiasi cosa per riaverti con me.»
 
 
 
[1] Arthur Schopenhauer in “Parerga e paralipomena”, volume II, capitolo XXXI, sezione 396
 
 
 


Note dell’autrice: ueilà, amici miei! ^w^
Perdonate la doppia pubblicazione, ma ho avuto parecchi problemi con l'html *batte la testa contro un albero*
Sinceramente mi è mancato molto scrivere di Derek e Stiles, nell’ultimo periodo mi sono dedicata solo agli Stydia e… aaah, quando sono patatosi gli Sterek? I mean, guardateli!
Volevo per prima cosa tradurvi il nome della storia, che in tedesco significa “come due porcospini”. Il passo riportato all’inizio della Os parla per l’appunto di come due porcospini debbano adattarsi alle proprie esigenze e a quelle del compagno, che è proprio quello che devono Derek e Stiles per essere felici insieme senza pestarsi i piedi a vicenda – e senza soffrire.
So che durante la terza stagione appaiono ulteriori personaggi quali Malia e Kira but... mi sarebbero stati solamente d'intralcio per questa storia, quindi li ho semplicemente eliminati
😂
Ho fatto delle ricerche per informarmi sul mito di Minosse, ma l’unica cosa vera in questa storia è il fatto che lui sia diventato un giudice infernale, il resto me lo sono inventato di sana pianta perché io ho una fervidissimissima immaginazione. Quindi il Sigillo di Minosse e il fatto che la sua anima sia stata divisa a metà sono una grandissima cazzata cose assolutamente non vere lol. Oh, le Furie. In realtà sono descritte come vecchie orribili, ma ho voluto cambiare il tutto per rendere la storia più… interessante? Anche l’Essenza di paradiso non esiste. Gli scrittori si inventano creature mostruose, perché io non posso dare vita a un nuovo fiore?
Questi sono i prompt che ho inserito nella storia per il concorso:
1) Se le cose sembrano andare finalmente per il verso giusto, c'è qualcosa di cui non stai tenendo conto. (Legge di Murphy)
2) Come porcospini cercare la distanza giusta per scaldarsi e non ferirsi (Dilemma del Porcospino di Schopenhauer)
3) Questa è l’ultima volta che ci incontriamo
Sicuramente mi sarò dimenticata qualcosa, anche se di poca importanza, quindi se mi verrà in mente lo aggiungerò più in là nel tempo^^”
Scrivetemi in una recensione cosa ne pensate di questa Os, potreste far sì che la mia industria di autostima non fallisca!
Un abbraccio,
 
Gnarly
   
 
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