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Autore: FedeB    15/12/2015    4 recensioni
“Sai, Derek, a volte mi sembra di non dire mai niente.”
Ovvero: quella volta in cui Stiles si è reso conto che non sempre le parole servono.
[STEREK! Gay all the way! Don't like? Don't read!]
[Post quinta stagione... kinda.]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Sai, Derek, a volte mi sembra di non dire mai niente.”

“Detto Da te, Stiles,” gli rispose l’altro senza nemmeno alzare lo sguardo dal pesante tomo polveroso che stava leggendo. “è un po’ un controsenso, non trovi?”

Stiles si sedette sospirando sul tavolo scuro della sala, quel tavolo complice e allo stesso tempo spettatore di molte scene di vita – ma anche e purtroppo di morte – del branco.

“E invece no. Pensaci un attimo. Quando si tratta di elaborare piani o fare ricerche sono sempre in prima linea, cerco di fare anche io la mia parte, per quanto piccola, e molto spesso il mio vomito di parole vi ha salvato le chiappe, eppure…”

Stiles si martoriò un ginocchio con la mano, come faceva sempre quando era agitato.
Non si preoccupò nemmeno di controllare se Derek lo stesse ascoltando. Del resto, stava solo facendo un altro dei suoi sproloqui e – volente o nolente – Derek lo avrebbe ascoltato.
Il tonfo sordo del pesante libro che si chiudeva fu un chiaro segnale: leggere era ormai diventato impossibile.

“Eppure non ho mai detto “ti voglio bene.” a qualcuno di voi. Non l’ho mai detto ad Erica, anche se mi ha quasi fatto venire una commozione cerebrale smontando la mia amata jeep, o a Boyd, o ad Allison. E ora… e ora non ci sono più e io – io come al solito non sono stato in grado di dire cosa stessi provando veramente sotto questa maschera di sarcasmo.”

Derek nel frattempo si era spostato silenziosamente dietro il ragazzo, appoggiando la schiena contro la finestra del loft ed incrociando le braccia al petto.

“Quando a mia mamma è stata diagnosticata la demenza ho – “

“Stiles.” Lo interruppe all’improvviso Derek, alzando la voce per cercare di sovrastare il rumore del battito assordante del cuore del figlio dello sceriffo, preoccupato da quel ritmo troppo celere, prossimo ad una fibrillazione.
“Non devi per forza farlo.”

“No, no. Sto bene. Voglio farlo, Der. Scappare è inutile, non credi?” gli rispose l’altro osservandolo per la prima volta da dietro la sua spalla.

Derek parve rilassarsi di nuovo, ma si premurò in ogni caso di avvertirlo: “Ok, solo respira, va bene? Sono qui, non me ne vado.”

“Sì, lo so.”

“Posso aspettare, se vuoi.”

La risata di Stiles riempì per un breve attimo l’open space del loft, insinuandosi in ogni angolo della casa, colpendo le orecchie del lupo, entrandogli dentro, fino al cuore. Fu una strana sensazione, ma Derek non disse nulla, si limitò solo a fissarlo.

“So che puoi aspettare, amico, ma io no. Non più, quanto meno.” Chiuse gli occhi, concentrandosi sul suo battito cardiaco e riempiendosi i polmoni di aria, satura dell’odore di Derek, quell’odore che era suo e di nessun altro, odore di erba bagnata, di Sole, di spirito della terra.
Stiles dovette ammettere di essere sorpreso nel constatare che Derek si era preoccupato per lui, forse per la prima volta in tutto quel tempo in cui si conoscevano. Qualcosa era inevitabilmente cambiato dopo la possessione, Stiles stesso era cambiato, erano successe troppe cose, ma Stiles era ancora lì, irremovibile e mai pronto a cedere. Poi era tornato Derek. E tutte le sue solide convinzioni erano saltate in aria come un castello di carte
sospinto da una brezza leggera.

Dopo qualche attimo il suo cuore tornò ad un ritmo normale e Stiles riprese da dove era stato interrotto.

“Quando a mia mamma è stata diagnosticata la demenza ho iniziato a dirle quanto le volevo ogni volta che la vedevo, o praticamente per qualsiasi cosa facesse; e in ogni caso rimpiango di non averglielo detto quella volta in più, o di non averglielo dimostrato di più, o meglio.
E nonostante tutto continuo a non lasciarmi andare e a non dire ciò che penso davvero. Non mi preoccupo nemmeno che i miei amici da un momento all’altro possano essere uccisi da lupi mannari o da demoni giapponesi – Cazzo, Derek, ti rendi conto? Fino ad un paio di anni fa ti avrei dato dell’idiota se mi avessi detto che cose del genere esistono davvero! E invece guardami! Sto parlando con un lupo mannaro!”

Parlando, Stiles si era voltato per guardare in volto Derek, perdendosi nel verde ambrato dei suoi occhi. Si guardarono negli occhi per un tempo che parve infinito, abbracciati dal silenzio del loft e scaldati dal sole di fine estate, l’ultima prima di andare al college. E lasciarsi alle spalle la sua città natale. I suoi amici. Suo padre. Persino Derek.
Che fece per parlare, ma richiuse immediatamente la bocca sentendo il più piccolo ricominciare a parlare. Inspirando, poté notare come l’aria si stesse riempiendo dell’odore acre della tristezza e della malinconia. Che – constatò sorpreso – provenivano anche da lui.

“E poi – e poi te ne sei andato anche tu e io credevo di impazzire. Non sai quante volte ho provato a chiamare su un numero che non era nemmeno più attivo. Nessuno sapeva dov’eri, se eri vivo, con chi e cosa stessi facendo. Avevo perso la partita, persino il Re se l’era data a gambe. Una Regina da sola circondata dai suoi demoni cosa vuoi che faccia, se non soccombere? Avevo perso te e io non ero riuscito, di nuovo, a dire quello che pensavo.”

Stiles si alzò dal tavolo e mosse qualche passo fino a trovarsi di fronte a Derek.

“Non hai idea di quanti pugni io abbia voluto tirarti quando ti sei presentato di nuovo a Beacon Hills con quella valigia così piccola che ancora mi chiedo se davvero avessi così poche cose, anche se ora – pensandoci bene – quel borsone nero era proprio adatto a te. E poi avevi quella faccia da schiaffi che…
E nemmeno in quell’occasione ti ho mai detto qualcosa. Le nostre vite sono continuate come se nulla fosse successo ed in parte era stato davvero così, perché quel pesante macigno che sentivo all’altezza del petto che non mi faceva respirare di giorno e dormire la notte se n’era andato perché tu eri tornato, eri vivo, stavi bene ed eri a casa. Beacon Hills casa. Ho sempre detto che sarei scappato un giorno o l’altro. Prima… beh, prima di tutto.
E io?” chiese buttando in aria le braccia con fare teatrale per poi voltargli le spalle e serrando gli occhi. Derek provò ad allungare una mano, ma riabbassò il braccio immediatamente. Sapeva che il contatto fisico avrebbe aiutato Stiles, magari lasciando che le lacrime che minacciavano di sgorgare come fiumi in piena dai suoi occhi facessero il loro corso, rigando il volto contratto del ragazzo.
Però lui era Derek. E Derek semplicemente non era adatto al contatto fisico. Non era adatto nemmeno alle parole. Semplicemente non ci sapeva fare.

Lui era bravo con le sopracciglia.

Le aggrottò, difatti, aspettando che Stiles rispondesse alla sua retorica domanda. Derek ascoltava. Almeno in qualcosa eccelleva.
“E io sono di nuovo rimasto zitto. Avrei potuto dirti qualsiasi cosa, Der, qualsiasi. E invece la mia bocca si è sigillata. Ho fatto come al solito finta di niente.”

Stiles si schiarì la voce, spostando il peso da un piede all’altro. “Detto ciò,” disse infine, portandosi davanti a lui, ma senza guardarlo negli occhi. “Ora che ne ho l’occasione, cercherò di dirti tutto quello che mi sono trattenuto dentro. Anche se, ora che ci penso, un bel po’ di cose te le ho dette…” fu in quel momento, grattandosi goffamente il retro della testa, che Stiles alzò gli occhi e si perse.

Si perse nel mare d’ambra degli occhi di Derek e non riuscì più a trovare la strada per il ritorno.

Fece per parlare, ma ogni suo tentativo fu vano nel momento in cui Derek coprì la breve distanza che i separava e chiuse la bocca del ragazzino con la sua.

Un bacio leggero, a fior di labbra, che si intensificò non appena Derek avvertì la resistenza iniziale di Stiles venire meno e gli circondò il viso con le mani, mentre il più piccolo di aggrappava alle sue spalle con tutte le sue forse, come se da lui dipendesse la sua vita.
Cosa che, in un certo senso, era vera.

Non seppe dire quanto durò quel bacio – forse anni – ma quando si separarono entrambi erano senza fiato. Stiles si lasciò andare in avanti, appoggiando la fronte contro la spalla dell’altro, seppellendovi il viso, sulla schiena il tocco sempre più solido, più reale e non più fantasma, di Derek che gliela circondava, abbracciandolo come se fosse la cosa più preziosa dell’intero universo.

“Stiles Stilinski ha perso le parole?” chiese l’Alfa, stringendoselo di più a sé con fare protettivo. Per Derek quel bacio racchiudeva tutte le parole che non era mai riuscito a dire probabilmente in tutta la sua vita, di una intensità che Stiles per un momento si era sentito completamente disorientato.

Bofonchiò qualcosa che risultò attenuato dal corpo dell’altro, ma poi: “Mi sei mancato, stronzo.” Gli disse, guadandolo di nuovo negli occhi.
“Tutto qui?” ironizzò nuovamente Derek, un sorriso sincero che timidamente si faceva largo tra la corta barba sempre curata. “E tutto quel discorso? Lo hai già dimenticato?”

Fu forse in quel momento che Stiles realizzò che a volte le parole non servivano a niente.
L’importante era sapersi guardare. Sapersi ascoltare. Apprezzare i silenzi e parlare con le parole del cuore.
Era tutta una questione di alchimia e loro due erano la reazione più perfetta sulla faccia della Terra.

“Ci sarebbe altro,” disse Stiles lasciandosi scaldare dal corpo del lupo e inspirando profondamente l’odore di Sole della sua pelle. “Ma può aspettare.”
La risata cristallina di Derek gli rimbombò nel petto come il suono di una melodia bellissima, scuotendolo nel profondo. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal suono regolare del battito di Derek.

“Aspetterò, allora. Aspetterò sempre.”
 
 
 
Niji’s corner ♪
Ooook, allora.
Innanzitutto ringrazio chiunque sia arrivato fino alla fine, se non ti sei annoiato/a spero tu possa lasciare una recensione, anche un messaggino, perché ne sarei veramente felice.
Ora, senza tediarvi troppo, volevo dire due cose su questa FF: già in altri miei lavori avevo detto che avevo perso l’ispirazione e di fatto è sempre stato così. Fino a qualche tempo fa. Non so dire cosa sia scattato, del resto anche scrivere è un’arte e l’arte non ha ragione, ma è scattato. Ammetto comunque che ricominciare a scrivere è stato complicato e questo scritto non è al massimo delle mie aspettative, ma da qualche parte dovevo pur partire, no? Quindi vi ringrazio di nuovo per essere giunti fino a qui e per avermi “ascoltato”.
Ora vorrei fare un po’ la mamma e dire una cosa un po’ smielata: mi raccomando, non smettete MAI di credere in voi stessi, anche quando tutto il mondo vi è contro. E dite sempre quello che pensate, nel male ma soprattutto nel bene. Un po’ come Stiles.
Grazie di nuovo, spero di vederci nuovamente il prima possibile.
Niji ♪
  
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