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Autore: variopintadite    16/12/2015    4 recensioni
Mi prese la mano stretta a pugno e cercò di farmi allentare la presa. Riluttante, smisi di opporre resistenza. – Stai tremando – constatò guardandola. Mi accarezzò le dita. Le portò alle labbra, baciandomi le nocche.
- Chissene frega – risposi, con la voce rotta.
- Frega a me.

***
- Sono fidanzata.
Era una mezza verità… non stavo mentendo, in fin dei conti.
- Pessima idea – rise sulla mia bocca. Non sapevo se fossero tre o quattro millimetri quelli che ci dividevano.
- Perché? – chiesi, come fanno i bambini curiosi di capire il mondo. Con parsimonia recuperavo il poco ossigeno che era avanzato nella stanza. Lo stavamo consumando a furia di sospiri.
Il malefico dito si intrufolò nei miei slip, ma rimase lì, come una promessa o una tortura. Questo ancora non sapevo decretarlo. – Perché, - esalò con voce roca – ora posso baciarti.
Andai a sbattere con la testa contro il muro a causa della sorpresa. – No… non posso. Io sono impegnata.
- Impegnata a farti fare preliminari da me? – soggiunse, lasciandomi un lieve bacio sul mento.

***
ATTENZIONE: il linguaggio è prettamente volgare.
PRIMI CAPITOLI IN REVISIONE!
Genere: Commedia, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo 11


 
Mi guardò con cipiglio. – Sei decisamente sboccata.
Io? Davvero?  Era lui a tirare fuori il peggio di me. – Ha parlato lui!
- Sei stata tu ad insultarmi, dolcezza. – Dopo avermi soprannominata in quel modo, il suo sorriso si ingigantì.
- Beh… la tua gomma. Sei stato tu a lanciarla. E… - Vaneggiai, presa alla sprovvista. Non sapevo cosa dire in mia difesa.
- Ti servirebbe un logopedista, sai? – Colpita e affondata.
Finsi una risata.
- Io non la trovo una cosa da prendere alla leggera. – Mi rivolse uno sguardo preoccupato e serio.
- Allora grazie per il consiglio! – esclamai, tornando composta sulla mia sedia e riportando l’attenzione sull’insegnante. Riuscii a nascondergli quanto mi avesse ferita quella battuta.
- Oh, che alunna diligente – mi canzonò. Non aveva ancora finito? Non era uno che si stancava con poco? Me l’aveva dimostrato diverse volte. Allora perché questa insistenza nei miei confronti proprio ora?
- Vorrei seguire la lezione – digrignai fra i denti.
- Ma che pantera! Eppure basta poco per renderti un agnellino ubbidiente. – Capii a cosa alludesse e mi cucii le labbra.
- Ti sei forse persa in certe fantasie? Ci sono io, vero?
Mi aggrappai al legno del banco: mi prudevano le mani.
Il suo palmo avvolse il mio ginocchio con malizia. Scattai subito, torcendola con quanta più forza mi era possibile.
- Uh, forzuta la ragazza – commentò, arginando il fatto che gli stessi facendo seriamente male. Si sottrasse alla mia presa con una mossa repentina, poi ruotò il polso in piccoli cerchi.
- Ti ho fatto male? – ghignai.
- Mi vendicherò. – Fu tutto ciò che sussurrò nel mio orecchio, prima di lasciarmi una volta per tutte.
Avevo un po’ paura. Non prometteva nulla di buono quell’affermazione.
 

Al suono disturbante della campanella di fine ora, mi catapultai fuori dall’aula.
Quando riposi il materiale della lezione nel mio armadietto, trassi un sospiro di sollievo.
Mi trascinai verso l’ultima ora, quella del mio suicidio: interrogazione di matematica. Percorsi pochi falcate e la sua mano aveva subito agguantato il mio polso.
- Cosa vuoi?
Mi osservò, comunicandomi con la sua espressione che ne ero già al corrente.
- Ora?!
Annuì.
C’era lezione! Decerebrato che non era altro. Alzai gli occhi al cielo. – Ho matematica. – Due parole che volevano dire un concetto più esteso: “Levati, non ho tempo da perdere con te. Devo ripassare per evitare un votaccio. Ti vendicherai più tardi.”
Di punto in bianco mi prese le braccia, mettendomele incrociate dietro la schiena. Tenendomele congiunte al livello dei polsi, mi spinse in avanti. Dove mi stava portando? – Che intenzioni hai? – Lo guardai severamente, girando la testa verso di lui, che stava alle mie spalle. Non avevo voglia di giocare.
Continuò a farmi avanzare, la sua stretta era piacevole – poco piacevole – e abbastanza forte da non permettermi grandi movimenti. Era normale che io mi ritrovassi così costretta: la mia inattività sportiva, a dispetto dei suoi duri allenamenti.
- Fa’ silenzio.
Oh, ma certo! Ci mancava che abbaiasse ordini.
- No! Io parlo quanto mi pare e piace!
- E invece fai quello che ti dico.
- Perché dovrei? Sulla base di cosa dovrei darti ascolto?
Inspirò rumorosamente; voleva farmi capire che lo infastidissi.
Mi spinse nello sgabuzzino con l’attrezzatura destinata ai bidelli. C’erano tanti scaffali anonimi, neri e impolverati. Ogni mensola reggeva prodotti per la pulizia di mobili, pavimenti, metallo, ceramica; persino spruzzini per profumare l’ambiente. Finii per starnutire quattro volte: l’ambiente angusto non era tenuto nelle migliori condizioni. Era già tanto se dei topi non avevano spostato la loro residenza lì.
- In cosa consisterebbe la tua vendetta? - proruppi, spezzando il silenzio tombale che alleggiava nella stanza.
- Ci sto ancora pensando…
- Mi stai facendo perdere un’ora, così, senza alcuna valida motivazione? – Lo fulminai.
- Il tuo disappunto è già qualcosa!
Lo sorpassai.
- No, no, carina. Dove credi di andare?
- Ci puoi arrivare da solo!
La sua mano si insinuò sotto il mio maglione e raggiunse il mio ventre. Irradiava calore. La mia la raggiunse, cercando di scrollarsela di dosso. Quando le mie dita entrarono in contatto con le sue, sentii un’energia riverberarmi in esse. Nei libri scrivevano cose di questo genere, come il fenomeno delle farfalle nello stomaco; ma non pensavo che facesse così male.
-Ah! – mi feci scappare mentre Newell soffocò un gemito.
Ecco spiegato il mistero: elettricità statica.
- Leva quella mano dalla mia pancia. – Non era una richiesta.
- Dài, perché non mi aiuti?
Odiavo ricevere la scossa. Non mi mossi.
- Non vorrai dirmi che hai paura di risentirla? – Era divertito.
Provai nuovamente nell’impresa, ma una seconda scossa mi fece ritrarre di scatto.
- Toglila! – piagnucolai, alzando le braccia per non provocare l’ennesimo, indesiderato contatto.
Le sue mani si occuparono di… sollevarmi la maglietta. Cercai di fermarlo, ma il suo ringhio mi fece desistere.
La mia schiena raggiunse la fredda parete – zozza, di certo – provocandomi brividi. Mi sfiorò con l’indice il profilo della coppa del reggiseno. Mi sentii avvampare.
Perché non stavo facendo nulla per ostacolarlo? Io mi frequentavo con Oliver… giusto? Oliver mi voleva, vero?
Il suo bacino era contro la mia pancia, nel punto in cui la sua mano si era adagiata pochi secondi prima. Non si era ancora eccitato, ma era sulla buona via per divenirlo.
- Non mi interessa – disse. Come?
La punta della sua lingua mi sfiorò il lobo.  
- Cosa? – sussurrai.
Mi zittì, baciandomi la curva della spalla, soffermandosi nel punto in cui la volta prima aveva dedicato tanta attenzione.
- Questa volta il segno te lo lascio – soffiò al mio orecchio. Volevo supplicare con veemenza che sì, doveva farlo.
I miei pensieri divennero sconnessi nell’istante in cui afferrò coi denti una porzione di pelle, succhiandola con violenza. Non c’era nulla di dolce o romantico nei suoi modi, nulla che potesse farmi capire che io gli interessassi in quel senso. C’era solo questo: attrazione. Un’inspiegabile attrazione reciproca.
Dovevo finirla lì.
- Ho freddo. – Wow, che diversivo.
- Ti riscaldo io – mugugnò contro la mia gola. Mi tolse il maglione.
- Credi che togliermelo risolva la cosa? – cercai di fingermi indispettita.
Sentii il rumore di una zip abbassarsi. COSA STAVA SUCCEDENDO?
Erano i miei jeans. Calma, Naomi, calma.
Si mise a giocherellare con l’elastico delle mie mutandine. Sempre quel maledetto indice che mi faceva aumentare il battito cardiaco, mentre mi tentava.
- Sono fidanzata.
Era una mezza verità… non stavo mentendo, in fin dei conti.
- Pessima idea – rise sulla mia bocca. Non sapevo se fossero tre o quattro millimetri quelli che ci dividevano.
- Perché? – chiesi, come fanno i bambini curiosi di capire il mondo. Con parsimonia recuperavo il poco ossigeno che era avanzato nella stanza. Lo stavamo consumando a furia di sospiri.
Il malefico dito si intrufolò nei miei slip, ma rimase lì, come una promessa o una tortura. Questo ancora non sapevo decretarlo. – Perché, - esalò con voce roca – ora posso baciarti.
Andai a sbattere con la testa contro il muro a causa della sorpresa. – No… non posso. Io sono impegnata.
- Impegnata a farti fare preliminari da me? – soggiunse, lasciandomi un lieve bacio sul mento.
Strizzai gli occhi, cercando di fare mente locale e di darci un taglio a quel teatrino, ma ero come imbambolata.
- T-ti sembra una motivazione l-logica questa? Dato che mi frequento, allora sei libero di baciarmi? Non hai alcuna morale! – Lo guardai, cercando una via di scampo alla sua ipnosi di smeraldo.
- È tornata la bambina a cui urge un logopedista! – scherzò. Abbandonò il mio intimo e accarezzò con lascivia un fianco scoperto.
- Ma ti capisco, è difficile restare impassibili a tanto ben di Dio – continuò, indicandosi ampiamente il viso e il corpo, in un fluido gesto.
- Sei irritante! – borbottai, alzando gli occhi al cielo.
- E questo ti arrapa…
- Quanto un calcio in culo.
Le sue labbra fecero una dolce pressione sulla guancia, sempre più prossime alla reale destinazione di quel contatto.
- Ho un ragazzo. Come te lo devo dire? Scrivertelo a caratteri cubitali potrebbe schiarirti le idee?
- Ma fai sul serio con lui, con questo “ragazzo”? – domandò, dando una connotazione scettica all’ultima parola.
- Non credi che qualcuno possa avere interesse in me, senza secondi fini? – insinuai, rivolgendogli uno sguardo rammaricato. – Esistono individui maschili che non pensano tutto il giorno al sesso, al contrario tuo.
Le sue mani si intrecciarono ai miei lunghi capelli, tenendomi ferma la nuca rivolta verso l’alto. – In momenti come questi mi viene voglia di riempirti di parolacce e allo stesso tempo di sbatterti al muro, per cancellarti dalla mente ogni pensiero razionale.
Mi ritrovai imprigionata fra le sue iridi. Mi sentii come se mi stesse guardando dentro, e mi chiesi come potesse farlo con così tanta naturalezza.
Deglutii, assorbendo con difficoltà il senso di quelle parole.
Il suo discorso non era ancora finito però. - Trovo molto strana questa cosa: ti sei trovata il ragazzo nel giro di nemmeno ventiquattr’ore? Eri impaziente? Il ragazzo ti ha convinto con delle stupide promesse? – ghignò a voce più bassa, crudele.
- Chi è lo sfortunato? – mi spronò a parlare; pareva curioso di conoscere la risposta.
Volevo indietreggiare, ma ero arrivata al capolinea. Ero con le spalle al muro… letteralmente e metaforicamente.
Le mie labbra si rifiutavano di pronunciare il suo nome. Non potevo, non potevo proprio dirlo.
Newell sarebbe corso da Posey a riferirgli che una certa Naomi Tallish si credeva la sua ragazza. Per lui ero Gwendolyne Lowell invece.
- Bugia? Lo sospettavo. Attenta – mi avvertì, sfiorandomi la punta del naso – o ti cresce il naso, Tallish.
- Non sto mentendo – sussurrai in protesta, le sopracciglia aggrottate per l’ingiustizia che mi sentivo di subire.
- Allora sputa il rospo – disse, strizzandomi l’occhio. Per lui si trattava di un gioco, non sapeva prendere seriamente nessuna questione. L’unico momento, in cui l’avevo visto un po’ più ponderato, era stato quando mi aveva lasciata in bagno con il desiderio insoddisfatto di un bacio.
- Il gatto ti ha mangiato la lingua?
- Non ho animali domestici. Ed è ancora intera, come puoi notare. – Spinsi la punta fuori dalle labbra, in una pseudo-smorfia.
- Posso? – chiese, avvicinando la sua bocca alla mia. Lo allontanai brusca dal mio corpo, mi sentivo un oggetto, altro che donna.
- Non mi piace il tuo atteggiamento – affermai determinata. Più che un’opinione, la mia sembrava essere un’accusa velata.
- Ah no? – Il suo sguardo brillò di una luce perversa. Non feci in tempo a proferire parola che la sua mano aveva scoperto un mio seno, abbassando la coppa del reggiseno. L’ambiente freddo mi fece inturgidire il capezzolo.
- Maniaco del cazzo! – ringhiai, rossa in viso. Cercai di fargli perdere la presa dal mio reggipetto, ma fu una cosa vana.
- Ma lasciami fare…
- Che c’hai nel cervello? La segatura? Mi stai molestando… palesemente! – esclamai furente, con la furia d’un uragano.
- Quante storie che fai, che cazzo! Tu lo vuoi il mio cazzo. Ammettilo, invece di fare la santarellina di ‘sto cazzo! – Anche lui era furibondo quanto me. Aveva ripetuto “cazzo” la bellezza di tre volte…
La mia espressione era profondamente ferita; non la celai dietro un falso sorriso.
Newell lasciò la presa dal mio intimo. Mi preoccupai di risistemarmi i vestiti con cura, poi passai a pettinarmi con le mani i capelli alla bell’è meglio.
- Tu non ti rendi nemmeno conto di come tratti le persone… o almeno, di come tratti me.
Mi riservò uno sguardo di sufficienza. Le forma delle sue labbra era deformata da un qualcosa che si avvicinava ad un sorriso. – Sai cosa mi fa davvero ridere? – mi chiese, ma in cambio ottenne solo una mia occhiata torva. – Il fatto che tu sia convinta che io sia uno di quei ragazzi che ci sono nei libri per ragazzine stupide e illuse… che probabilmente leggi. Dico bene?
Mi sentii uno schifo. Certo, non mi aspettavo che lui potesse essere la mia metà, ma neanche potevo pensare che lui fosse capace di tanta cattiveria.
Mi ignorava, mi tentava (ignaro delle buone maniere) e mi avviliva. Non ero nulla per lui, niente di più che una ragazza da scopare.
Non mi importò se poteva considerarlo ridicolo o divertente, ma lasciai che le emozioni si rigettassero all’esterno. Alluvioni nei miei occhi, per troppo tempo, incapaci di vedere la realtà.
- S-sarà anche v-vero che preferisca barricarmi nelle mie fantasie. Ma non osare più offendere quelle che tu definisci “ragazzine”, siamo persone prima di tutto. E… e dimmi un po’, chi ti dà il diritto di farlo, eh? Ma chi credi di essere? Okay, non fregartene di me, ma devi rispettarmi a prescindere. Sono in primis un essere umano, e come tale devo essere trattata. Nulla di più, nulla di meno. – La mia voce andò via via riacquistando l’inflessione determinata che da sempre aveva caratterizzato i nostri botta-e-risposta. – Ora pretendo delle scuse. Non per i miei castelli immaginari su di te – che vorrei precisare di non essermi affatto creata – bensì per il tuo comportamento meschino e inaccettabile.
Rise, rise di gusto, davanti ai miei occhi esterrefatti. Non ce la feci a trattenere l’impulso e la mia mano, che parve aver preso vita propria, gli colpì la guancia, producendo un sonoro ciaf. Ero indignata dell’individuo con cui stavo condividendo la stanza. Non ero lucida per lo schiaffo che gli avevo appena mollato, ma di certo fu un’esperienza liberatoria e appagante.
- Ma come cazzo ti permetti? – Era ad un palmo dal mio viso. Questa volta nei suoi occhi non lessi desiderio sessuale, ma rabbia cieca.
Ero in trappola. Brividi di terrore mi percorsero la spina dorsale.
Con mia gran sorpresa si allontanò da me, tenendo lo sguardo incollato al mio.
- Perché? – Fu solo un debole sussurro.
Non elaborò alcun responso, mi continuò a fissare coi suoi occhi verdi per pochi secondi. Volevo capire cosa volesse da me e cosa volessi io da lui, solo questo.
Uscì dalla porta senza voltarsi.
E i miei tanti perché rimasero senza risposta. Perché insisti? Perché mi tratti così? Perché ti sei scostato? Perché non mi dai le risposte che voglio? Perché mi importa?
 

Feci un gran respiro, nel tentativo di scrollarmi di dosso quell’orrenda sensazione datami dal mio incontro con Newell. Mi destabilizzava avere a che fare con lui.
Era veleno. No, non potevo rovinarmi l’esistenza per un soggetto del genere.
Aprii la porta e con la coda dell’occhio notai il bidello, Ghost, venire nella mia direzione. Feci uno scatto degno di Usain Bolt e percorsi il corridoio sulla mia sinistra, girando poi l’angolo.
Mi piegai sulle ginocchia, inalando quanto più possibile ossigeno. Il fianco iniziò a dolermi per lo scatto appena realizzato.
Sentii la porta dello sgabuzzino cigolare, ciò mi diede il via libera per filarmela.
 

I miei piedi mi condussero dinnanzi alla piccola infermeria. Forse il mio corpo sapeva meglio di me che avevo bisogno di un adulto con cui confrontarmi.
Louise Wyatt, la dolce dottoressa, era intenta a compilare alcune scartoffie.
Al mio ingresso alzò il capo, facendomi poi un largo e candido sorriso di benvenuto.
- Ciao tesoro! Cos’ha la mia cagionevole ragazza?
Mi limitai a ricambiare, per poi alzare le spalle in segno di diniego. – Non lo so, Mrs. Wyatt.
La sua mano mi invitò, con qualche colpetto sul lenzuolo bianco del letto, a prendere posto accanto a lei.
- Anch’io sono stata ragazza. Allora, cosa mi dici? C’entra sempre quel ragazzo?
La mia espressione doveva aver lasciato trapelare troppo, visto che corrucciò le sopracciglia.
Mi sedetti dove mi aveva indicato e sospirai platealmente. – Non capisco cosa voglia da me.
Sulle sue labbra ritornò a riaffacciarsi il suo sorriso, mentre i ricordi ritornavano a galla. – Sai meglio di me, forse, che le persone sono complicate. – Mi lanciò uno sguardo intenso. Annuii. – Beh, perché non cerchi di scoprire qualcosa in più di lui? Non sei un po’ curiosa?
Posai lo sguardo sulla finestrella da cui si riusciva a scorgere il brutto tempo che imperversava. – Sì, lo sono. Ma non è fatto per me. Ha presente quei ragazzi vuoti che pensano solo ad una cosa? Ecco… lui è così. Non c’è niente da scovare sotto quel mucchio di strafottenza.
- Siamo tutti unici, per una cosa o l’altra, tesoro.
- Mi dispiace contraddirla, ma in lui non c’è niente di unico. – Nutrivo solo rassegnazione e rancore per Newell.
Si portò un boccolo scuro, che le era scivolato davanti al viso, dietro l’orecchio. – L’apparenza inganna – cantilenò.
- Evidentemente, Cameron è l’eccezione che conferma la regola.
Passarono pochi secondi e tutto il nervoso che covavo riaffiorò con impeto. – Non fa che comportarsi come uno stronzo a cui non frega niente di nessuno. Ma non si fa schifo da solo?! E poi mi… importuna. A volte mi si appiccica proprio e non capisco neanche perché io gli dia corda! Sono una deficiente. Ah! Non voglio più saperne di lui.
Mi fermai di botto. – Oddio! Mi spiace per il mio linguaggio scurrile, Mrs. Wyatt.
Scoppiò in una risata sincera. – Chiuderò un occhio. Signorina, dimmi un po’, ma quante lezioni stai saltando?
Arrossii fino alla punta dei capelli. – Uhm… un po’. Oggi è stata colpa sua, anzi, lo è sempre. Vede, è nocivo per la mia carriera scolastica!
- Sta divento il tuo capro espiatorio? – Un’altra risata a cui mi unii anch’io.
Mi alzai in piedi, anche se ero restia a lasciarla lì. Era piacevole parlare con lei.
- Credo di dovermene andare ora… La ringrazio per tutto.
Con la mano fece il gesto di scacciare via qualcosa. – Non mi devi ringraziare, mi fa piacere essere d’aiuto. Se hai bisogno, sai dove trovarmi.
La congedai con un ennesimo “grazie” e mi allontanai. 



Angolo autrice: Salve people!
Sono ancora viva, sì. Mi spiace tantissimo per essere poco presente, ma la scuola mi sta massacrando. Vorrei portarmi avanti durante le vacanze natalizie con i capitoli - sperando che l'ispirazione non si vada a nascondere ^^
Spero che vi sia piaciuto il capitolo.
*__*
Grazie per le seguite/ricordate/seguite. E' sempre una gioia vedere il numerino aumentare. 
E un enorme grazie a chi mi scrive sempre il suo pensiero, che mi motiva a continuare e ad impegnarmi. 
Siamo solo all'inizio della storia, sì, dico sul serio ahahaah 
Tenetevi pronti, la protagonista ne passerà delle belle. 

Di che team siete: #teamCAMOMI o #teamNALIVER?
Mi lasciate un pensiero anche qui, vero? Ci conto :3



 
   
 
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