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Autore: Romenna    17/12/2015    0 recensioni
Salve a tutti!
Questa storia (forse un po' lontana dal gusto attuale) si svolge in Asia, per la precisione nella Cina di non molti anni fa. Al centro ci sono due vite apparentemente distaccate una dall'altra, quella di un giovane monaco buddista da un lato e quella di una frenetica ragazza occidentale dall'altro. Il primo, dal cui punto di vista si dirama la storia, è cresciuto in un ambiente pacifico e naturale. Presto però verrà attratto suo malgrado verso il caos lontano e incomprensibile in cui si muove la ragazza sconosciuta che perseguita le sue meditazioni. Nonostante la distanza fisica, culturale e mentale, questi due esseri tenteranno a più riprese di trovarsi. A voi scegliere se seguire il loro trionfo o la loro sconfitta.
Grazie a prescindere a tutti coloro che leggeranno, pur non apprezzando :)
Ps: Ammetto una vaga ispirazione a scenari come i film Shaolin Temple con Jet Li (e quindi una propensione al comico, a tratti) Pur avendo una profonda ammirazione per la cultura cinese e per quella buddista ammetto di avere solo una più che parziale conoscenza di entrambe. Perciò chiedo scusa per le varie ed eventuali ingenuità/errori/sviste.
Buona lettura!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il dolore che aveva ignorato fino a quel momento iniziava, suo malgrado, ad aumentare. Nonostante questo il giovane si ostinava a non abbandonare la posizione che si era imposto per un lasso di tempo ben più lungo di quello normalmente previsto. Come sempre infatti, egli tendeva ad esigere da sé stesso molto più di quanto il suo giovane e delicato fisico non gli potesse concedere. Aggrappandosi ad ogni residuo di energia si sforzava di terminare gli esercizi di equilibrio e resistenza il più tardi possibile, cedendo solo quando tutti gli altri ormai erano caduti a terra o avevano interrotto di loro spontanea volontà...incuranti delle punizioni corporali che sarebbero sicuramente seguite.

Tra i lamenti dei suoi compagni, lui restava ritto e impassibile, col piede sinistro saldamente ancorato alla lunga canna di bambù sulla quale si reggeva, trattenendo con un solo braccio la gamba destra, in alto, oltre la testa. Con gli occhi socchiusi e la mano libera aperta di taglio sul petto, nel gesto di preghiera che aveva ammirato tanto da bambino, egli ripensava adesso alla strana impressione che gli avevano fatto quelle figure impalate come tante statue, la prima volta che aveva potuto ammirare gli allenamenti dei monaci del tempio Shaolin da lontano, quando ancora non era nemmeno un novizio. Ricordava allora di aver provato pena per la sofferenza che di certo quei sant’uomini dovevano pur provare, nascondendola abilmente sotto un’espressione indefinibile, perfino per l’osservatore più acuto. Non pensava, a quel tempo, che su quelle lunghe pertiche di bambù ci sarebbe finito anche lui e che avrebbe amato così tanto quell’estenuante prova che, seppur per poco, gli permetteva di astrarsi da tutto, perfino dal suo stesso corpo.

Alto e slanciato-forse fin troppo per uno della sua gente- il giovane monaco spiccava soprattutto per l’incarnato chiarissimo, nettamente in contrasto con quello dei suoi confratelli, caratteristica che, insieme ai suoi lineamenti delicati e vagamente femminili, gli aveva valso il soprannome di Shu Yú, dolce giada, al quale egli reagiva puntualmente con foga e indignazione, ogni qualvolta lo sentiva sussurrare alle sue spalle, negli angoli in penombra del Tempio, nella sala dei pasti o addirittura durante gli allenamenti.

Sebbene in meditazione, le sue lunghe sopracciglia in quel momento di sforzo si incrinarono al ricordo del padre, il quale era stato un brav’uomo, ma del tutto inadatto a fare il genitore. Una mattina di molti anni addietro, senza preavviso, il genitore lo aveva condotto per mano al tempio, silenzioso e sperduto tra monti nebbiosi e infidi. Il bambino di sette primavere che era stato allora si era stretto alle gambe del padre che, indifferente, lo aveva trascinato fino all’immenso portone del tempio. Imponente e solitario, Shaolin si ergeva rosso, grigio e nero nel mistero di quella valle inespugnabile. A nulla erano valse le preghiere del bimbo, i monaci si erano soffermati sul suo aspetto curioso solo un attimo, poiché la loro fede proibisce loro di giudicare qualsiasi essere vivente. Poi, con un lieve sospiro si erano abbassati su di lui che li fissava sgomento, ipnotizzato da quelle che aveva scambiato per collane di perle scure e che invece non erano che rosai appesi attorno ai colli flaccidi. Più di una mano si era allungata a carezzargli la guancia rosea, sussurrando litanie a lui ancora sconosciute. Poi lo avevano staccato dolcemente dal padre che gli aveva lentamente voltato le spalle, svanendo tra le sue lacrime e dai suoi ricordi…

Le uniche cose preziose che quel bambino aveva conservato di suo padre erano i racconti scarni riguardanti sua madre. Di lei sapeva solo ch’era stata una straniera, un’occidentale sconsiderata e senzadio che si era arrischiata da sola in quella regione, alla ricerca del Tempio di Shaolin, forse per osservare da vicino e mettere alla prova i monaci e il loro credo.

Ma, sulla via per il tempio di Shaolin- ch’ella non avrebbe mai visto- l’ingenua occidentale si era persa in un giuncheto, in mezzo al quale aveva incontrato un uomo che dapprima le parve un beato, forse un illuminato…e che invece, una volta posati gli occhi su di lei, non era diventato ormai che un monaco rinnegato, che aveva abbandonato la via del Buddha in un istante. Ciò che portò i due ad unirsi, così come il nome di sua madre, le sue vere origini, le circostanze della sua morte…tutto quello che il bambino aveva sempre voluto sapere, non gli era mai stato svelato dal padre.

Una volta, davanti ad un piatto di riso fumante, egli aveva osato porre di getto tutte quelle domande a suo padre, ma uno schiaffo era stata la sua sola risposta ed egli, pentito, si era rifugiato nell’angolo delle offerte votive agli antenati, dal quale saliva sempre un piacevole fumo profumato che lo tranquillizzava in un attimo. Ovviamente da quel giorno non aveva più chiesto nulla a suo padre, il quale, sempre schivo e taciturno, se lo portava ogni mattina nei campi. Lui afferrava l’aratro e il bambino lo seguiva dappresso, tutto il giorno, con un cencio pieno di semi da spargere sul terreno appena smosso.

Eppure durante quelle ore di lavoro, sotto il sole e la pioggia, la stanchezza non riusciva a impedirgli di sognare mille storie e fantasie sulla vita di sua madre. Egli sapeva per certo che il suo aspetto così insolito lo doveva a lei e di questo in parte se ne rallegrava, considerandolo il suo unico e ultimo dono. Pur nella sua diversità egli conservava però i tratti degli occhi tipici della sua gente, con quel taglio obliquo che si accentuava maggiormente quando rifletteva o sorrideva. I suoi capelli scurissimi e senza riflessi erano un insieme intricato di boccoli e onde. L’abitudine di portarli sciolti era piuttosto insolita tra i ragazzi in quella regione, ancor meno tra i novizi del Tempio. Tutti guardavano con disapprovazione quello sfoggio di vanità che offendeva la sacralità di quel luogo, storcendo il naso al suo passaggio, invidiosi. Così un giorno Xin Feng si era convinto a raccogliere a fatica i capelli in una lunghissima treccia dalla quale sbucavano all’estremità i neri boccoli, indomati. Fu poi con soddisfazione che i suoi superiori avevano reciso quella superba treccia il giorno della sua iniziazione, durante la cerimonia della tonsura.

Xin Feng Liao aveva trattenuto un gemito al contatto della lama sulla sua cute ormai esposta, inspirando l’odore intenso dei ceri e degli incensi attorno a lui e pensando a come doveva aver amato sua madre quei boccoli che adesso lui sacrificava al Buddha…gli stessi boccoli che forse avevano ornato il bel viso di lei, quand’era ancora in vita…

Il giovane aveva deciso di conservare quella treccia, legandosela addosso sotto la veste monacale, per tema che durante le perquisizioni delle camerate fosse ritrovata e lui fosse punito e messo a fissare il muro per chissà quanto tempo.

I suoi compagni infatti sarebbero stati pronti a tradirlo al minimo pretesto. Ciò che dell’aspetto del giovane esasperava maggiormente i compagni erano i suoi occhi, fedeli a quelli della sua gente per forma, ma non per colore, poiché un verde innaturalmente acceso tingeva le sue iridi, illuminando i suoi zigomi rialzati per poi spandersi in tutto il bel volto, quasi sempre sorridente e sereno.

Quegli occhi contro natura, come spesso li definivano i suoi più accaniti nemici, sembravano voler strappare l’anima di quanti avevano la sventura di incrociarli anche solo brevemente. Con quegli occhi, malignavano i monaci, non gli sarebbe stato possibile raggiungere l’Illuminazione. Essi infatti emanavano fin troppa luce propria, per poter distinguere la vera luce

Allora i superiori dell’inconsapevole Xin Feng cercavano in ogni modo di mortificare i suoi slanci giovanili, rimproverandolo se scherzava con un confratello nelle piccole pause tra un servizio e un allenamento, oppure se a loro dire non digiunava o non vegliava abbastanza gli dimezzavano cibo e ore di sonno, arrivando persino ad impedirgli di rammendare la veste grigia o di sistemare i doppi lacci delle babbucce, che dalle ginocchia spesso scivolavano alle caviglie. Il tutto col falso intento di renderlo più umile.

Nonostante questo, con evidente fastidio dell’abate e di alcuni dei suoi, la fede spontanea, appassionata e semplice di Xin Feng cresceva a dismisura sotto gli occhi di tutto Shaolin, insieme col senso di sacrifico e abnegazione che gli erano propri per natura. Fu infatti con emozione e reverenza che durante la cerimonia, tutto tremante tra le alte colonne scarlatte, Xin Feng accettò uno ad uno tutti i voti che gli venivano imposti. Nella sua cieca fede mai nemmeno una volta si soffermò sul fatto che aveva solo sedici anni e che quasi dieci anni della sua vita erano trascorsi tra mura protette ed estranee al resto del mondo. Egli credeva che al di fuori di quella che considerava casa sua tutto fosse esattamente uguale, perfetto e immutabile. A volte pensava alla sofferenza di cui si parlava nelle scritture sacre, alla quale si poteva sfuggire solo rinunciando innanzitutto al desiderio e quindi al piacere…per Xin Feng sofferenza, desiderio e piacere erano concetti, simboli ed echi di un’era lontana in cui il mondo era stato oscurato dal male, per poi rischiararsi di nuovo alla nascita del Gautama. E tutto questo egli lo custodiva gelosamente in sé, senza farne parola a nessuno, senza chiedere nulla a nessuno, fermamente convinto della bontà intrinseca degli uomini, rinnovati dalla parola del Buddha.

Coi confratelli si mostrava sempre disponibile e allegro, ma con nessuno aveva mai davvero stretto amicizia, tranne che con Zhú Tang, unico tra tutti in grado di farsi confidare i suoi rari malumori. A questo monaco, di svariati anni più grande di lui, Xin Feng tributava una fiducia illimitata e i due spesso passeggiavano assieme nel Bei Lang, il corridoio delle steli votive. Centoventiquattro lastre di pietra giganteggiavano ai loro fianchi, recando impresse sulle loro superfici scure i caratteri delle dinastie che si erano succedute fin dalla creazione di Shaolin, più di millecinquecento anni addietro. Quando il timore reverenziale era nei loro cuori, essi spesso camminavano assieme in silenzio, non osando neppure guardarsi. Ma a volte, in grande agitazione per qualche piccola, insignificante novità che si era verificata al tempio o in uno dei villaggi dei dintorni, la loro compostezza veniva meno. Il pettegolezzo non era visto di buon occhio e Xin Feng cercava sempre di mitigare il chiacchiericcio del suo compagno a forza di gomitate e occhiatacce. Spesso però i due venivano scoperti sul più bello di una risata, puniti e separati per lungo tempo, cosa che contribuiva ad aumentare forse l’amicizia dei due, più che a scioglierla.

Altro atteggiamento aveva il buon vecchio Maestro di Xin Feng, che pur non occupandosi di Zhù Tang in quanto ormai grande d’età, non ostacolava in alcun modo i due amici, limitandosi a rimproverarli di tanto in tanto con qualche sguardo severo e una scrollata di spalle.

Per quest’uomo Xin Feng nutriva un rispetto e un affetto incrollabile e senza posa cercava sempre di rendere l’anziano orgoglioso di lui e dei suoi progressi nel Kung Fu e nel Tai Chi. Ogni giorno il Maestro lo osservava ripetere tutte le posizioni. Nell’ampio spiazzale dinnanzi al tempio Xin Feng sollevava le mani dinnanzi a sé inspirando forte e allontanando le mani dal corpo, verso l’esterno. Così svuotato, socchiudeva di nuovo gli occhi per poi inspirare di nuovo, riportando le mani all’altezza del petto. Dopo aver ripetuto più volte questo esercizio raddrizzava la schiena, abbassando contemporaneamente il busto, allargando le gambe e chiudendo i palmi all’altezza del petto. La posizione del cavaliere, la prima che gli avessero insegnato…poi era la volta della posizione dell’arciere. Xin Feng ruotava velocemente su una gamba sola, per poi atterrare e inarcarsi indietro nella posizione del leopardo. Ruotando nuovamente sulla gamba portante, stavolta all’interno, e spostando leggermente il peso del corpo verso il centro eseguiva la posizione della tigre che tiene immobile la preda, per poi abbassarsi e concentrare il peso su una gamba sola, come il serpente che scivola a terra…

Il giovane dava invero molte soddisfazioni al Maestro ed egli non disperava di farne un autentico gioiello per Shaolin, affinando sempre più il suo stile, senza curarsi delle malelingue che insistevano sulla sua origine”impura”. Quando Xin Feng infatti gli rivolgeva domande affrante sulla sua vera natura, sul perché della sua diversità, il vegliardo sorrideva.

“Così come il nome che porti, il vento nuovo, che giunge inatteso e improvviso, così tu sei per tutti noi. La tua venuta deve di certo nascondere in sé frutti che non possiamo ancora cogliere ma che matureranno presto, se continuerai a tenere sempre innanzi a te e a ogni tuo gesto la rettitudine.”

Un giorno in cui la diciassettesima primavera di Xin Feng era al suo culmine, egli si aggirava da solo nella foresta delle pagode, alti memoriali degli illustri defunti del Tempio dove erano custodite le loro ceneri. In mezzo a tanta morte Xin Feng si sentì improvvisamente distaccato dalla vita come non mai. La sua giovinezza gli apparve del tutto effimera ed inutile, persino un peso, un dovere verso sé stesso che egli non aveva adempiuto propriamente, se non curando il suo corpo come tempio del Dharma, cercando di plasmarsi secondo ciò che è giusto e puro. Il rumore delle sue babbucce risuonava in quella solitudine ed egli leggeva i nomi, tutti maschili, impressi nelle alte lapidi. E il pensiero improvviso che l’unica donna ch’egli avesse mai conosciuto fosse stata sua madre e che per giunta egli non la ricordava neppure lo colmò di una strana rabbia. Si era dunque chinato e-come in preda ad una strana frenesia-aveva tracciato col dito sulla sabbia scura un carattere che gli era balenato in mente, a tradimento…

L’avventatezza di quel gesto, in pieno giorno, lo sorprese talmente da fargli dubitare per un attimo di essere ancora in sé. Come stordito era rimasto a fissare quella parola che non osava ripetere nella sua mente… Con un gesto brusco aveva cancellato tutto, colpendo con mani e piedi i residui della sua impulsività, lottando quasi col terreno indifeso.

Adesso che, ad un solo giorno di distanza da quell’episodio, egli si teneva in equilibrio su quella canna, quel pensiero si scagliò nella sua mente come una freccia, rompendo il suo stato di meditazione profonda. Infastidito e confuso, Xin Feng emise un gemito sofferto, stringendo gli occhi e le labbra ben formate, fino a farle sparire. Si disse che era un illuso e che non avrebbe mai davvero raggiunto l’Illuminazione…e fu allora che qualcosa si schiuse e trapassò quel velo scuro ben conosciuto che gli si parava davanti e ch’era il buio, insinuandosi tra le file delle sue ciglia serrate…

Uno sguardo ambrato, sofferente ma calmo, gli si parò davanti…quei due occhi splendidi e implacabili nella loro tristezza sembravano voler pugnalare i suoi…e Xin Feng, come in preda al delirio, credette in quel momento di avere davanti una qualche apparizione di sua madre, tanto la forma di quegli occhi somigliava a quella descrittagli da suo padre…

Un impulso di gioia lo rianimò tutto, mentre le tenebre sembravano volersi diradare per lasciare spazio al resto del viso misterioso…ma fu in quel momento che Xin Feng prese a tremare, perdendo la concentrazione e- di conseguenza-la posizione. In un attimo, tra lo stupore dei suoi confratelli, il monaco modello cadde schiena a terra.

“Hai forse scordato come si sta ritti su un giunco, fratello?”

La voce beffarda di Zhú Tang lo scosse ed egli, inarcando la schiena e portando avanti di scatto le gambe si sollevò velocemente in piedi, fronteggiando il suo amico e il resto di quello che ormai era diventato un pubblico divertito…

“Il fatto è che siamo in ritardo e appena ci ho pensato ho perso l’equilibrio… a quest’ora senza di noi il vecchio Maestro si incamminerà da solo verso la fonte e quando cadrà in qualche fosso incolperanno noi…forza, aiutami a spolverarmi e filiamo dritti al Tempio!”

La voce gioviale, il tono sbarazzino, dall’inflessione ancora un po’ infantile, fece sorridere un po’ tutti e lo stesso Zhú Tang scrollò le spalle e alzò le sopracciglia.

“Auguriamoci che nessuno di loro faccia rapporto-“sussurrando furtivo Zhú Tang indicò gli allievi più giovani che li spiavano di sottecchi-“e che abbiano creduto alla tua storiella…”

I due amici scoppiarono a ridere e si avviarono nella luce dolce e monotona dell’alba, fianco a fianco, su per la vallata della foresta di Shaoshi circondata dai sette enigmatici picchi a strapiombo di Song.

Mentre camminavano Xin Feng rimuginava su quella che considerava una visione, qualcosa che era intervenuta durante la sua meditazione…e se fosse stato lo spirito di sua madre che aveva deciso di mostrarsi in quel modo? Come avrebbe potuto spiegarlo al suo Maestro? Non sapeva nascondere nulla a quel vecchio serafico e pacifico…e il pensiero di quella confessione imminente lo agitava. Doveva prima comprendere meglio di cosa si trattasse, che cosa avesse realmente visto, prima di fare o dire alcunché. Eppure mentre percorreva insieme a Zhú Tang il sentiero da lui conosciuto a memoria, sentiva come di inoltrarsi per una strada a lui del tutto estranea. Le rocce frastagliate, i prati chiari, i ruscelli silenziosi attorno a lui, ogni cosa gli appariva incomprensibile adesso che aveva visto lei, adesso che aveva visto la vera bellezza…

L’amico si accorse della stranezza di Xin Feng e pur continuando a blaterare di quante provviste di cibo extra era riuscito a mettere da parte, si rese conto che Xin Feng aveva in sé un pensiero che lo allietava e angosciava al tempo stesso. Zhú Tang si ripromise allora di scoprirlo ad ogni costo, attendendo il momento in cui quella nuova debolezza avesse consumato del tutto il suo compagno, fino a farlo cedere alla confidenza…e quindi forse, chissà, alla rovina.

L’invidia che costui serbava per il suo confratello era un segreto noto a lui solo ed egli si sforzava con tutto sé stesso di celarlo nel miglior modo, adoperandosi affinché tutti credessero che lui, a differenza degli altri, non fosse geloso dei progressi stupefacenti che Xin Feng faceva sia nelle arti inerenti lo Ying, sia quelle inerenti lo Yang. Zhú Tang pensava che quel mezzosangue, poco più di un novizio, eccelleva in ogni disciplina, senza apparente sforzo, senza apparenti sacrifici, mentre lui era mediocre pur essendo di sangue cinese puro, figlio di una nobile famiglia in decadenza che lo aveva rinchiuso a forza nel Tempio per lasciare tutto il patrimonio al fratello maggiore. Il monaco rancoroso, memore del torto subito, era per giunta costretto ad osservare quei successi che lo stesso Xin Feng minimizzava sotto quella che Zhú Tang credeva essere falsa modestia e ipocrisia. Eppure nonostante questo egli si chiese in quel momento se non provasse una sorta di attaccamento a quel ragazzo strano. Zhú Tang sentiva infatti che senza di lui ad alimentare il suo odio la sua vita al Tempio sarebbe stata infinitamente meno interessante. Cercava quindi di non danneggiarlo mai oltre certi limiti, tenendosi sempre per sé quei segreti che avrebbero potuto decretare la sua cacciata…come ad esempio l’irresistibile passione per il disegno di Xin Feng…

Devo assolutamente disegnare quegli occhi…“-pensava intanto quest’ultimo-“fissarli su una qualsiasi superficie…subito…o potrei scordarli…no, che dico! Li sento anche adesso su di me…e in me…come se avessero preso il posto dei miei stessi occhi…ed egli mi guarda aspetta che io risponda!”

Zhú Tang infatti lo fissava, dopo essersi fermato bruscamente, poggiandogli una mano su una spalla e avvicinandosi con cura…

“Hai dunque deciso se parteciperai alla competizione?”-“Quale competizione…?”

L’incredulità nel volto di Xin Feng sembrava del tutto naturale e non affettata. Zhú Tang fece un ghigno di soddisfazione e volse altrove gli occhi neri e opachi.

“Non importa, te ne riparlerò meglio un’altra volta, quando la tua mente sarà scesa da quei monti forse…ammesso che l’abbia mai fatto…”

D’istinto Xin Feng diresse lo sguardo verso l’eremo in cui era cresciuto fino a quando suo padre non aveva deciso che un figlio che piangeva la notte invocando sua madre era troppo da sopportare…

“Sai, non ci sono più tornato…alla capanna di mio padre…nemmeno chiedendo un permesso speciale…non saprei che farmene di un incontro con lui…e poi, preferisco rimanga tutto com’è.”

Zhú Tang gli diede una pacca vigorosa e riprese a camminare insieme a lui, con fare affettuoso, rimanendo in silenzio. Xin Feng più si avvicinava al Tempio più rifletteva che forse era il suo rancore verso suo padre ad aver causato quella visione…

Se mia madre fosse sfuggita al ciclo delle reincarnazioni e fosse inquieta per questa separazione così prolungata tra me e mio padre…? Se avesse deciso di mostrarsi per farmi comprendere e farmi perdonare…? Oh ma lei dovrebbe avere ormai raggiunto il Nirvana ed essere quindi in pace…”

Il giovane si morse il labbro chiedendosi se sua madre avesse mai creduto nel Nirvana o in qualcosa di anche solo vagamente simile. Suo padre infatti più di una volta aveva parlato di lei come di una miscredente, ottusa e sorda al più elementare senso del sacro e dello spirituale. Xin Feng abbassò il capo e arrestò nuovamente il passo. Ovunque sua madre si trovasse, era mai possibile ch’ella amasse ancora suo padre? Che amasse ancora lui, suo figlio…o meglio, che l’avesse mai amato…?

Con uno scatto nervoso Xin Feng si liberò della stretta dell’amico, piantandogli addosso uno sguardo che non ammetteva repliche.

“Ascolta: vai avanti tu, io ti seguirò tra non molto. Dì al Maestro che mi sono fermato ad aiutare dei viandanti, oppure inventa qualcos’altro…”

Il tono confuso di Xin Feng rinforzò l’opinione di Zhú Tang circa il suo stato d’animo e lo rallegrò intimamente perché spingeva il suo puro ed immacolato amico a pronunciare simili menzogne. Così, soddisfatto, senza nemmeno rispondergli, gli fece un mezzo inchino a mani giunte, voltandosi subito e riprendendo il sentiero a passo spedito.

Una volta rimasto solo, Xin Feng, agitato, invertì la direzione, tagliando poi per un minuscolo sentiero noto solo a lui, scostando i rovi che gli intralciavano la strada. Come preso da un impulso irrefrenabile e senza un motivo apparente prese improvvisamente a correre, svelto e leggero, una macchia grigia in mezzo al verde chiaro attorno a lui.

Giunto ad una serie di rapide che si intersecavano tra le rocce smussate dall’acqua, Xin Feng si lasciò cadere, esausto più nello spirito che nel fisico. Lasciò scivolare la manica destra della veste, rimanendo con la spalla scoperta-gesto disapprovato dai superiori-per lasciare che il sudore si asciugasse all’aria. In debito d’ossigeno, allentò anche la stretta fascia scura che gli cingeva la vita, per poi stendersi lentamente a terra, chiudendo gli occhi e cercando di richiamare disperatamente quell’immagine…un senso di inquietudine lo pervase e dopo pochi istanti decise di rimettersi in piedi, frugando tra le pieghe della veste…

Una manciata di colori naturali era posata sul palmo della sua mano ed egli, sorridente ed emozionato, si guardò attorno, accarezzando ogni roccia, cercando quella più chiara e più liscia, che meglio si sarebbe prestata al suo scopo.

Fu così che scoprì una piccola superficie bianca accanto ad una debole cascatella, ormai quasi secca con l’avvicinarsi dell’estate, ma solitamente straripante d’acqua alla fine della stagione, prima del grande ghiaccio. Pazientemente, con dolcezza, Xin Feng scelse le miscele per ottenere quel color ambra o avvicinarvisi almeno il più possibile. Lavorava con trasporto, impastando lentamente…

Quando fu soddisfatto fissò la parete di roccia davanti a sé e si lanciò subito con le unghie a tracciare prima i contorni degli occhi col nero più intenso, affilando le ciglia e le sopracciglia, per poi riempire quei globi grandi ch’erano le pupille, dal taglio dritto e non obliquo, colme di quel colore che non aveva mai visto abbellire gli occhi di nessuno…

Stendeva la pasta che aveva ricavato da estratti di foglie e piante con tenerezza, immaginando di accarezzare quelle palpebre semischiuse in quello sguardo, in quell’espressione triste e rassegnata in cui le aveva sorprese nella sua visione…

Xin Feng, rapito, non si accorse neppure che il sole ormai era alto nel cielo, dimenticandosi che le funzioni del Tempio richiedevano la sua presenza e che non poteva attardarsi oltre in compagnia del frutto della sua arte…

Si allontanò di un passo e rimase quindi ad osservare quell’immagine incompleta, senza lineamenti, col fiato mozzo per l’emozione, non osando più avvicinarvisi. I raggi solari esaltavano quel colore magnifico che sembrava fuoruscire quasi dalla parete…

Come colpito da un timore improvviso si guardò attorno e-scovata una fessura sopra il ritratto-vi infilò una mano, sentendo subito il contatto umido e viscido di alcune liane. Con cura le spinse fuori dalla cavità, lasciandole cadere come un paravento naturale su quell’effigie che ora lo spaventava e da cui voleva fuggire immediatamente.

 

Prima ancora di rendersene conto, Xin Feng stava correndo di nuovo, verso il Tempio, verso una punizione certa, forse addirittura la cacciata…nella foga aveva persino dimenticato di lavarsi le mani, coprirsi nuovamente la spalla destra e serrare il cordone alla vita. Pur essendo stato sempre agile quando doveva salire carponi, mani a terra, Xin Feng inciampò malamente sul primo gradino dell’immensa gradinata di Shaolin, facendo tutti gli altri quasi a quattro zampe e respirando affannosamente.

Fu così che il suo Maestro lo scoprì, ansimante, una volta giunto in cima. L’espressione severa ma benevola sul suo volto rassicurava sempre Xin Feng, ma quella volta egli si sentì in colpa perché pur avendo mancato ai suoi doveri l’anziano non era in collera con lui. Sembrava anzi dispiaciuto, come se lo compatisse…il ragazzo schiuse le labbra con l’intenzione di chiedere perdono, ma il Maestro lo fermò con un cenno impercettibile della testa, sorridendogli con fare paterno.

“Avrai certamente compiuto qualcosa di bello e lodevole che ti ha tenuto lontano. Non esitare adesso e raggiungi i tuoi confratelli. Sii ubbidiente, quando verrà il tuo turno…”-“Maestro vi ringrazio…io vi spiegherò…davvero…”

Balbettando, Xin Feng si volse un’ultima volta a salutare il venerabile vecchio, per poi introdursi quasi di soppiatto nella grande sala del Sutra, dal centro della quale troneggiava il Buddha dorato tra i fumi dolci degli incensi. Xin Feng abbassò il capo e assunse subito la postura di preghiera. Un silenzio però ruppe le litanie monotone che già risuonavano nell’aria…ed egli seppe che tutti gli sguardi dei presenti erano posati su di lui, maliziosi alcuni, compassionevoli altri. Ma fu la voce dell’abate a levarsi alta e decisa su tutti i bisbigli lievi.

“Ebbene Xin Feng, il rigore dell’allenamento a cui ti sottoponi deve essere davvero estenuante, a giudicare dal tuo aspetto e dalla trascuratezza che metti nell’adempiere alle tue funzioni…”

Un sorriso avvelenato aveva attraversato le labbra sottili e livide dell’abate, mentre costui, sorreggendosi ad un bastone riccamente decorato, si avanzava verso Xin Feng, con l’aria di chi ha appena vinto il suo avversario fuori dal campo…

“La regola impone esercizio fisico ma anche spirituale. Dovresti saperlo dopo un anno di ordinazione, ormai. Ma mi dicono che prediligi la lotta a due spade, gli artigli di tigre, la lancia, il corpo a corpo…il canto.” Un sorriso beffardo si dipinse sul volto dell’Abate.”…e a giudicare dalle tue mani e dalla condizione della tua veste, forse includi anche qualche altro svago non esattamente conforme alle nostre usanze. Mi chiedo cosa potrà mai disegnare un giovane così impulsivo e focoso…”

Il capo chino, Xin Feng non osava rispondere a quelle allusioni riprovevoli, ne tantomeno muoversi. Aveva infatti deciso di non ribellarsi minimamente a quella umiliazione pubblica.

“Allora abbiamo un impenitente, oltre che impertinente. Ottimo, in tal caso credo che non dispiacerà al nostro Xin Feng passare una notte nella caverna del venerabile Tatmo. Se lui ha resistito la dentro nove anni, non oso immaginare di cosa tu possa essere capace…conducetelo subito, che passi la notte lì e solo quando sarà mattina portategli una ciotola d’acqua e nulla più. Qualsiasi visita è severamente proibita.”

Fu solo a quel punto che il giovane sollevò il capo, dardeggiando verde attorno a lui, mentre alcuni confratelli più anziani lo spingevano delicatamente via dall’assemblea. Xin Feng giunse così con loro fino ai sotterranei che si dipartivano dalla caverna di Tatmo e che in passato erano serviti come via di fuga in caso di assedio, tenuti tutt’ora segreti. Egli aveva sentito solo alcune storie, poco più che leggende, basate sulle molteplici distruzioni a cui Shaolin era andato incontro. Incendi, assedi, invasioni…l’ultima e più grave offesa era stata la chiusura del Tempio all’inizio del secolo, in seguito alla rivoluzione culturale cinese che aveva visto accusare di decadentismo intellettuale i principi filosofico religiosi di Shaolin. Il giovane Xin Feng aveva spesso discusso a quel proposito con Zhú Tang, molto più radicale e riformatore di lui. Alcune celle scavate in quegli strani corridoi-dispersivi come un labirinto umido e stretto- erano serviti da prigione per molti monaci, tenuti rinchiusi anche per anni. Ma Xin Feng aveva creduto fossero solo dicerie per spaventare i novizi e che tutto ciò ormai appartenesse al medioevo…

Fu con stupore che si lasciò quindi condurre laggiù fino alla caverna di Tatmo, ornata delle statue del venerabile e dei suoi discepoli, attorno a cui ardevano sempre ceri e offerte votive. Dietro la statua, apparentemente poggiata al muro, si apriva un corridoio stretto. Xin Feng udì il rumore secco e metallico di un pesante cancello richiudersi alle sue spalle. In un attimo realizzò di essere al buio e un’antica paura infantile che si era illuso di aver sconfitto riemerse in lui improvvisamente. Come paralizzato, si ritrovò in ginocchio, a terra, in fervida preghiera …

Non voglio vederla di nuovo…e non so se potrei sopportarlo…non adesso, in queste condizioni!”

Xin Feng strinse i denti fino a farsi male, quando ad un tratto udì distintamente in lontananza dei suoni confusi. Come rincuorato da quel frastuono inaspettato in quel nulla, si mise carponi a seguire ad orecchio quelle voci festose che rimbombavano in fondo al corridoio buio. Poco prima di rendersi conto di stare per sbattere contro una svolta del cunicolo, intravide una debole luce. Timoroso ma deciso a scoprirne la fonte, si accovacciò sporgendosi lievemente ad osservare la scena più orripilante sulla quale i suoi giovani occhi si fossero mai posati.

Illuminati da una torcia, in cerchio, sghignazzanti e rossi in viso, stavano tre monaci che non aveva più visto da tempo e che dovevano essere stati puniti e rinchiusi là dentro proprio a causa di ciò che stavano facendo in quel momento…

Pur non conoscendo nulla del mondo, Xin Feng riconobbe infatti subito che nei loro modi, nell’atteggiamento che essi tenevano l’uno verso l’altro, vi era di certo qualcosa di sconveniente e degradante. Due di loro infatti, i più giovani del terzetto, si stringevano addosso al più anziano, strusciandosi contro di lui con movenze che un altro osservatore avrebbe definito femminili e che a Xin Feng parvero semplicemente oscene.

I tre erano seminudi, sembravano parecchio divertiti e del tutto rilassati, cosa che fece fremere di sdegno il giovane e innocente monaco, improvvisamente furioso di fronte a quello spregio della Regola. Egli infatti, pur non avendo idea di cosa potesse accadere da un momento all’altro, avvertì la perversione insita in quei gesti. Per un breve istante, una serie di domande su quella dimensione della vita a lui del tutto estranea si affacciarono nella sua mente. Xin Feng ripensò a quando aveva tentato di spiegarsi perché si avesse tanto timore delle donne e non le si lasciasse entrare al tempio, perché tutti i novizi arrossissero quando l’argomento veniva vagamente accennato dai più sfrontati…quel rifiuto del genere femminile e delle sue misteriose tentazioni-a lui del tutto sconosciute-valeva davvero ben poco se poi i suoi confratelli si abbandonavano a quelle perversioni tra di loro!

E più egli si indignava, più la scena davanti ai suoi occhi degenerava. Spazientito, sbucò improvvisamente dal suo nascondiglio, sbuffando e digrignando i denti.

“Voi, luridi serpenti, avete disonorato la via del Buddha!”

Stupito, il più anziano dei tre scattò in avanti, rivelando alla luce della torcia un viso butterato e contorto dal vizio. Costui non finse di aggiustare i brandelli della veste lacera e avanzò verso Xin Feng con fare sprezzante.

“Non giudicare, sii compassionevole…non è forse questa la via del Buddha? Ti sei fatto rinchiudere quaggiù così come noi e pretendi di venire ad insegnarci la saggezza e la virtù, maestro?!”

Le risatine nervose degli altri due non tardarono a farsi udire e Xin Feng, prima ancora di rendersi conto di ciò che stava per fare assunse la posizione dell’aquila, abbassandosi fino a trasferire tutto il peso del corpo su una gamba sola, sollevando l’altra sopra il ginocchio piegato e buttando le braccia indietro sopra la testa, larghe, come fossero proprio due ali. Il monaco corrotto non perse tempo e si slanciò direttamente su di lui, tentando un colpo sotto la cintura che andò a vuoto. Xin Feng infatti era balzato indietro e aveva ripreso posizione, brevemente, inarcando il busto e schivando un altro affondo del monaco corrotto, per poi piombare con una della sue “ali” sul nemico, assestandogli un colpo mirato all’addome, sferrandogli al contempo un calcio all’altezza del talloni che fece perdere il contatto col terreno all’avversario.

Col fiato stentato i due monaci più giovani si misero anch’essi in posizione, chi della gallina, chi dell’orso, attaccando da ciascun lato Xin Feng con calci e pugni frettolosi e imprecisi, tutti abilmente mandati a vuoto dalle abili mani di Xin Feng che afferravano e deviavano le loro traiettorie. Sfiniti, egli li costrinse ad un tratto a scontrarsi uno con l’altro, saltando all’indietro quando questi meno se l’aspettavano. Nel frattempo il monaco più anziano si era rialzato e aveva raggiunto i due che, storditi, si scambiavano occhiate dubbiose, non osando guardare il loro superiore. Tutti e tre si volsero infine verso il loro nemico che, pazientemente, aveva assunto la posizione della Gru, mantenendo i palmi delle mani uniti, lo sguardo verde acceso e un ginocchio sollevato all’altezza del petto, in attesa di scattare ancora.

Cosa che non tardò ad avvenire, poiché i tre si slanciarono contemporaneamente contro Xin Feng che ruotò in un attimo il ginocchio rimasto a mezz’aria, abbattendo così il piede sulla nuca del più inesperto dei suoi tre avversari, il quale gli si era gettato addosso senza alcun criterio. Il secondo tentò di sorprenderlo con un calcio a farfalla, ma Xin Feng bloccò la sua gamba e quindi la sua rincorsa, costringendolo a retrocedere fino al muro. Due mani si abbatterono furiose e veloci sulla sua schiena, ma Xin Feng si voltò bruscamente affondando il piede al centro del petto dell’anziano monaco infuriato, il quale volò a terra.

Quando fu il solo a rimanere in piedi, Xin Feng si accorse di avere fame. Senza nemmeno più badare ai contendenti che gemevano a terra, Xin Feng si diresse verso l’angolo più appartato di quell’antro, a malapena rischiarato dalla torcia semi spenta. Esausto, si lasciò scivolare contro la parete, per poi frugarsi brevemente la veste e recuperare un mantou al vapore, sfuggito alla perquisizione dei suoi aguzzini all’ingresso dei corridoi…

Forse si addormentò ancor prima di finire l’ultimo boccone, fatto sta che l’indomani mattina Xin Feng si risvegliò pieno di molliche, dolorante e assetato. Sbattendo le palpebre ci mise un po’ prima di ricordarsi dove si trovasse e per quale motivo, ma con sua grande gioia una ciotola d’acqua era stata deposta accanto a lui. Sotto gli occhi timorosi dei suoi tre compagni di sventura, Xin Feng prese a bere con circospezione, annusando il contenuto della ciotola, forse temendo un brutto tiro da parte di quei tre depravati. Ma con suo sollievo l’acqua era buona e fresca ed egli la mandò giù avidamente, pensando con una fitta di nostalgia alla fonte, alla sua fonte…e all’immagine incompleta che aspettava di essere completata…

Infastidito, Xin Feng scattò in piedi, e così i suoi confratelli perduti. Un sorriso canzonatorio si allargò sul suo viso, subito imitato dal sorriso inebetito dei tre dinnanzi a lui, i quali, inchinandosi profondamente, iniziarono a lodare la sua bravura parlandosi addosso e interrompendosi più volte.

“Maestro, svelaci il segreto della tua imbattibilità, sii generoso…”

La risata del giovane non tardò a farsi sentire. Tutti i suoi lineamenti presero vita e il verde dei suoi occhi sfavillò attraverso le rare lame di luce che attraversavano l’antro. Liù, il più giovane dei monaci, avvertì un tonfo al cuore e si morse le labbra, furioso con sé stesso…

“Ma io non sono affatto un maestro, né lo diventerò mai di questo passo, credetemi! Ho solo avuto fin troppo tempo per allenarmi e troppo poco per altri svaghi…”-qui Xin Feng scoccò un’occhiata severa ai suoi nuovi ammiratori che si affrettarono ad abbassare il capo, con contrizione.

“Ebbene, se dovessimo scegliere un nuovo Abate lo avremmo qui davanti ai nostri occhi, non è vero fratelli?”

Liù non aveva resistito alla modestia squisita di Xin Feng e quest’ultimo si accorse dello speciale calore che il ragazzo aveva messo in quelle parole. Turbato e dispiaciuto di aver generato una tale impressione favorevole su quel giovane spirito, Xin Feng aggrottò la fronte e balbettò qualcosa di incomprensibile. Si affrettò a richiamare i confratelli all’ordine e a recitare le litanie mattutine, inginocchiandosi, socchiudendo gli occhi, incrociando le gambe e portandosi i palmi chiusi davanti al petto. Imitato dagli altri, si immerse in profonda meditazione, rilasciando ogni muscolo, allontanandosi da sé e dimenticandosi persino del suo respiro…

Ma quegli occhi apparvero di nuovo nel nulla che erano le tenebre morbide davanti a lui. Le palpebre molli, come in preda ad una grande stanchezza, lo sguardo avvelenato da una grande tristezza…era di nuovo lei…

Xin Feng prese ad agitarsi, il sudore iniziò ad irrorare il suo bel viso contratto, mentre nei suoi occhi due mani dalle dita lunghe e bianche afferravano una chioma fin troppo chiara, spargendola su spalle nude e lisce…

Il grido semi soffocato che egli emise stupì Liù, il quale spalancò all’improvviso gli occhi ed osservò esterrefatto Xin Feng precipitarsi in fondo al corridoio dinnanzi a loro, lasciandosi schiantare contro il pesante cancello e iniziando a tempestarlo di pugni…

“Devo vedere il mio Maestro, non potete tenermi qui in questo stato! Impazzirò se non potrò parlare con lui subito!”

Liù e gli altri compresero che Xin Feng doveva aver veduto qualcosa che lo aveva sconvolto ed inquieti si alzarono per frenare l’impeto di quei colpi inutili contro il cancello. Soprattutto Liù fu attento e paziente, staccando le sue mani ostinate dalle sbarre e riportandolo nell’antro, costringendolo a sedersi nuovamente tra di loro.

“Qualcosa ha stravolto la tua mente, fratello…sappiamo di essere indegni della tua fiducia, ma te ne preghiamo: condividila con noi, così che possiamo esserti d’aiuto in qualche modo…”

Le parole affettuose di Liù rincuorarono Xin Feng ed egli per un attimo lo fissò grato, desideroso di confessare la sua angoscia a qualcuno che non lo guardasse beffardo e sospettoso, come Zhú Tang…il giovane Xin Feng infatti soffriva la mancanza di una vera e sincera amicizia. Ma gli occhi innamorati di Liù scacciarono via ogni slancio nell’animo afflitto del giovane. Scostò con delicatezza la mano del ragazzo via da sé, contraendo la mascella e liberando un sospiro trattenuto.

Più nessuno parlò e molti giorni tutti uguali uno all’altro si succedettero nel medesimo modo, ma Xin Feng evitava ormai di meditare in presenza dei suoi confratelli, timoroso di altre visioni inspiegabili.

In quell’astinenza da quella che per lui era diventata ormai una tortura ed una gioia per i sensi-che non aveva mai conosciuto prima di allora- Xin Feng smaniava di poter fissare i nuovi tratti appena scoperti di quella misteriosa fanciulla, tracciandoli per sempre su quella roccia lontana…

E fu con quel pensiero fisso in mente che compì tutti gli esercizi, da solo, ogni giorno, fin quando il cancello non si aprì, quando ormai egli non vi sperava quasi più. Al colmo della gioia, lui e i tre monaci si avviarono verso l’uscita, ma solo a Xin Feng fu concesso di passare. Al che egli tentò di intercedere per i suoi compagni di prigionia.

“Fratelli, sono anche loro nostri fratelli, puniti e pentiti per i loro atti sconsiderati…voglio parlare all’abate e supplicarlo di graziarli!”

Lo sguardo di Liù si intenerì a quelle parole ed egli fece un mezzo inchino a Xin Feng, mentre i monaci carcerieri, indifferenti, afferravano quest’ultimo per le spalle senza nemmeno rispondergli, per poi condurlo su per le scale e su, di nuovo all’aria aperta.

Gli fu riconsegnata la sua ciotola per le elemosine e il rosario che gli erano stati sottratti prima di essere rinchiuso. Afferrati quegli oggetti, impaziente, corse verso il padiglione di Li xue ting, colui che sta in piedi nella neve. Era certo di trovare lì il suo Maestro, in contemplazione. Giunse di filato, rallentando la corsa per evitare ulteriori punizioni e assumendo subito un contegno rispettoso e sostenuto innanzi al vegliardo. Egli, aguzzando lo sguardo sotto le folte e candide sopracciglia, allargò le braccia lentamente e Xin Feng fece come per inginocchiarsi ai suoi piedi, prima che il Maestro lo trattenesse con una dolce risata sommessa. Xin Feng sorrise inconsapevolmente anche lui, per poi rabbuiarsi di colpo…

“Maestro…non merito la vostra clemenza…l’abate è stato severo, il mio ritardo per le funzioni era davvero ben poca cosa…ma vi ho pur sempre deluso e questo mi rattrista profondamente…ho atteso mi liberassero per potervelo dire…e per potervi dire anche che…-“ I bei lineamenti del giovane ebbero un fremito e sulle sue guance pronunciate il colore parve mancare per un istante…-“per dirvi che qualcosa si è forse insinuato in me e turba la mia meditazione…”

Il vecchio faceva strani cenni affermativi col capo, come se si aspettasse quel discorso inconsueto da parte del suo pupillo. Lo fece sollevare e lo condusse lentamente fuori, dove le loro parole non rimbombassero tra le alte colonne, preda di eventuali orecchie indiscrete, pronte a tradirli…

“Dovete aiutarmi Maestro…l’altro giorno…non ricordo quando…non so nemmeno quanto tempo ho passato laggiù! Ebbene, l’altro giorno mentre praticavo come ogni mattina e iniziavo a percepire la stanchezza il buio si è schiuso davanti a me e ho intravisto…per la prima volta…due occhi di donna, tristi e…bellissimi!”

La confessione gli uscì inaspettatamente più breve e schietta di quanto non avrebbe pensato o auspicato. I suoi occhi innocenti mandavano bagliori verdi, come a volersi discolpare con la loro lucentezza e purezza. Xin Feng fissava il Maestro come in attesa di essere percosso o rimproverato. Ma come sempre il vegliardo restava in silenzio, sorridendo pensoso e sospirando di tanto in tanto. Disperato, Xin Feng non sapeva come interpretare quell’indugiare nel silenzio. Si aggrappò inconsciamente al braccio del nobile anziano, inginocchiandosi stavolta appieno, appoggiando la testa sulla mano rugosa avvolta nei rosai, singhiozzando.

“Xin Feng, tu forse pensi di conoscere il motivo di una tale visione e non dovrei essere io a interpormi e-chissà-fuorviarti. Io avverto una paura in te quasi infantile…dimmi adesso: chi credi possa essere quella donna?”-“Mia madre…! Incapace di liberarsi dai lacci di questo mondo…possibile che mia madre sia ormai dannata, maestro?

Udire il suo stesso tono così supplice, il tremore delle sue labbra e la costrizione impietosa che provava al petto, gli fecero dimenticare per un attimo tutti gli anni di addestramento alla resistenza al dolore. Egli in quel momento non era più un monaco Shaolin ma un figlio, poco più che un bambino, che sperava e temeva al tempo stesso di aver ritrovato-seppur in un modo talmente inconcepibile-la madre che non aveva mai conosciuto. Sperava che il Maestro confermasse i suoi dubbi e alleviasse le sue sofferenze. Lui che non aveva mai saputo cosa fosse la sofferenza, al di là di quella fisica, o cosa fosse il desiderio…adesso soffriva e desiderava sapere.

Ma il vecchio serafico guardava lontano, oltre le cime smussate e fosche dei monti Song che circondavano la valle di Shaolin. Stringeva la mano del suo discepolo preferito e rifletteva, incerto per la prima volta in vita sua.

“Se davvero fosse tua madre, colei che ti appare così, disturbando la tua meditazione e irrompendo nella tua coscienza…pensi davvero che il suo spirito vagante, dopo aver perso l’opportunità di reincarnarsi si lascerebbe andare a tormentare il proprio figlio distraendolo così dai suoi doveri? Inoltre se davvero avesse penetrato la tua mente intenzionalmente avrebbe dovuto comunicare con te in qualche modo…non trovi?”

Le frasi del Maestro calmarono parzialmente Xin Feng ed egli, rimessosi in piedi, riprese a respirare in maniera normale, per poi volgere anche lui lo sguardo ai monti divorati dalla nebbia imminente. Una strana consapevolezza si impadronì di lui in quell’istante. Strinse i pugni e parlò.

“L’unico che può porre fine a quest’incertezza è l’uomo che voi avete così meravigliosamente sostituito in tutti questi anni: mio padre. Voi possedete la saggezza ma purtroppo lui è il solo a conoscere i fatti riguardanti la vita e la morte di mia madre…“-“…e quindi è da lui che devi recarti. Senza più rimandare, come hai sempre fatto finora. Anche se questo dovesse costarti un’altra punizione per non aver chiesto un permesso speciale…”-“che mi verrebbe rifiutato in ogni caso, d’altronde, dopo il mio ultimo soggiorno nelle cave del discepolo traviato…”

I due, maestro e allievo si scambiarono un’occhiata complice, mentre Xin Feng si riprometteva di raccontare tutto a Zhú Tang non appena ne avesse avuto la possibilità…

Quando Xin Feng si accomiatò dal suo Maestro si raccomandò con quest’ultimo di dire a tutti che egli era ancora provato dalla dura punizione e che avrebbe riposato il resto della giornata presso il suo padiglione. La reazione dell’abate non sarebbe di certo stata rosea, ma perlomeno il giovane sapeva che questi non avrebbe mai osato sfidare l’autorità del suo anziano Maestro, il quale un tempo aveva istruito l’abate stesso.

Così deciso, il monaco s’inchinò dinnanzi al suo Maestro per poi spiccare un rapido balzo oltre il muro del Tempio, ritrovandosi in un attimo al di là...

   
 
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