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Autore: Letizia25    18/12/2015    5 recensioni
A volte, la discesa verso l’inferno comincia senza rendersene conto, fino a che non è troppo tardi.
Troppo tardi per tornare indietro, per cambiare le cose, per salvare qualcosa di ciò ch’è rimasto.
O almeno, la nostra è iniziata così.
Si cerca una luce per salvarsi, o anche solo per non perdere del tutto la speranza.
Eppure ogni sforzo sembra comunque vano, perché le cose non cambiano, mai.
Restano immutabili, almeno fino a che due universi opposti non si scontrano.
Perché quando due universi opposti si incontrano all’improvviso, cambia tutto, radicalmente.
Le certezze che c’erano prima svaniscono, sommerse da quel qualcosa che accomuna quei mondi.
Tutto scompare; dubbi, paure, sogni, maschere, muri. Resta una sola certezza: quella di non cadere.
*
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=evr4rKlJ1RA
*
ATTENZIONE: La storia tende al rating rosso e contiene alcune scene descritte in maniera molto approfondita (guardare trailer per capire). Quindi, se siete deboli di cuore o se potrebbe darvi fastidio in qualsiasi caso, non leggete, dato che l’ultima cosa che voglio è far star male qualcuno.
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Calum Hood, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Be my home'
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Tre
 
 
 
Perché quando due universi opposti si incontrano all’improvviso, cambia tutto, radicalmente.
Le certezze che c’erano prima svaniscono, sommerse da quel qualcosa che accomuna quei mondi.
Tutto scompare; dubbi, paure, sogni, maschere, muri. Resta una sola certezza: quella di non cadere.
 
 
 
«Tutto bene?» chiede avvicinandosi lentamente, con il cuore che le batte dentro al petto come se volesse avvertirla, come se volesse proteggerla da un qualcosa di troppo grande e potente che potrebbe schiacciarla completamente nella frazione di un secondo, se solo lei lo permettesse, se solo lei lo lasciasse entrare.
Non riceve risposta, e non sa se interpretarlo come un buon segno oppure no. Non sa se deve chiamare l’ambulanza e aspettare che arrivi per portare all’ospedale quel ragazzo di cui inizia a scorgere un poco i lineamenti grazie alla luce fioca del lampione non lontano dalla panchina. Non sa neppure se la cosa migliore da fare sia andarsene e lasciarlo lì, da solo, senza aiutarlo e senza preoccuparsi minimamente di quello che gli è successo.
Potrebbe. Sul serio, potrebbe davvero fregarsene e permettere a quel qualcosa che lo ha ridotto in quello stato di continuare ad infierire. Potrebbe seriamente fare come tutti, che se ne lavano le mani semplicemente perché non vogliono avere alcun problema nella loro vita. Potrebbe farlo davvero.
Il problema è che Letizia non è così. Non riesce ad ignorare chi sta male, per il semplice motivo che lei, quelle persone, le sente molto più vicine di chiunque altro e non vuole che nessuno soffra come lei. Vorrebbe anche che, almeno una volta, qualcuno si comportasse così con lei, per aiutarla a rimettersi in piedi. Ma a quel desiderio ha rinunciato molto tempo fa, quando ha capito che dal mondo è meglio non aspettarsi niente, perché è bene imparare a cavarsela da soli, dato che l’uomo è egoista e non si preoccupa delle persone che gli stanno attorno, soprattutto se queste portano con loro problemi o cose troppo grandi che nessuno si prenderà mai la responsabilità di gestire o, almeno, di curare.
Si avvicina ancora, rimanendo completamente senza parole a chi vede davanti a sé. Nonostante abitino nello stesso palazzo, non ha mai saputo il suo nome e neppure il suo cognome. Ogni tanto condividono qualche lezione insieme a scuola. Ma per lei, quel ragazzo dai capelli neri come la pece e dai tratti del volto molto particolari è sempre stato un perfetto sconosciuto. Probabilmente perché i loro mondi sono così diversi, così distanti, da non avere alcun punto in comune per incontrarsi. O almeno, credeva così fino a quel momento. Perché adesso non sa davvero più che cosa pensare. L’unica cosa di cui è sicura è che deve farlo tornare a casa, in un modo o nell’altro. Perciò lo scuote piano per una spalla, aspettando pazientemente che si svegli.
Calum, a sentirsi percuotere da quel tocco leggero, quasi timido, insicuro, apre gli occhi, lentamente, non riuscendo a mettere a fuoco niente. Non avrebbe mai creduto che si sarebbe addormentato su quella panchina. Probabilmente, è davvero andato quella sera; ha esagerato – ne è consapevole – ma non credeva di aver superato così tanto il limite. Forse dovrebbe davvero smettere di annientarsi così, perché alla fine non cambierà assolutamente niente; ogni cosa rimarrà sempre al suo posto, a ricordargli ogni volta quanta merda ci sia nella sua vita.
Sospira e si passa una mano sugli occhi, cercando di mettere a fuoco. E la prima cosa che nota davanti a sé sono due occhi grandi e color del cioccolato – o almeno così gli sembra – nascosti dalla montatura nera di un paio di occhiali da vista, coperti da alcune ciocche scure – probabilmente sul marrone ebano – che escono dal cappuccio della felpa grigia che quella persona davanti a sé indossa.
Letizia osserva attentamente quegli occhi scuri che le mettono un poco di soggezione addosso. Non sa spiegarsi perché, davanti a quello sguardo spento, confuso, solo, si senta nuda di ogni cosa, privata di tutto, di ogni minima difesa, come se quegli occhi color caffè riuscissero a leggerle dentro, arrivando addirittura a quell’angolo che lei tenta di nascondere sempre, proteggendosi con le unghie e con i denti.
«Stai bene?» chiede lei di nuovo, stavolta sicura che lui possa risponderle. O almeno ci spera.
Lui annuisce lentamente, grato al cielo per il fatto che la sua lucidità non sia andata del tutto persa come invece aveva creduto. E fa per rimettersi in piedi per tornare a casa, ma la testa che inizia a girare e le gambe che non riescono a sorreggerlo non glielo permettono in alcun modo.
Subito, le braccia di Letizia vanno a circondare il corpo stanco del ragazzo, per evitare che cada e che si faccia male. E non appena quegli occhi scuri e tristi tornano ad incontrare i suoi, rabbrividisce, rimanendo completamente senza parole, allibita, sconcertata, sorpresa in un modo che non riesce a descrivere e che la fa andare in confusione più di quanto già non sia.
Perché prima di allora non aveva mai visto occhi così distrutti come quelli del moro. Occhi dietro a cui si nasconde un dolore immenso, una storia che Letizia non conosce, ma che tuttavia un poco le entra dentro, nella pelle, nelle ossa, nel cuore, scuotendo ogni cellula del suo corpo. Perché nel dolore, quello che sconvolge ogni cosa senza avvisare, tutti si ritrovano fratelli. È come se in quello sguardo, Letizia si ritrovasse, completamente, anche se solo per la frazione di un istante.
Perché subito Calum sposta lo sguardo, puntandolo verso l’uscita del parco, sperando soltanto di arrivare a casa tutto interno, senza prestare alcuna attenzione a quella sensazione, a quel brivido che l’ha scosso non appena i suoi occhi hanno incontrato quelli della – adesso può dirlo con un poco più di certezza – ragazza che non conosce per niente e che eppure lo sta aiutando tantissimo anche solo con quel semplice gesto.
«Scusami.» sospira allora, attirando l’attenzione della mora.
«Ti senti male?» domanda l’altra di nuovo, davvero preoccupata, facendo rabbrividire entrambi ancora una volta nella frazione di un secondo. Lei, perché non avrebbe mai pensato di poter prendere tanto a cuore la salute di una persona che non conosce. Lui, perché mai si sarebbe aspettato un aiuto durante quell’ennesima notte in cui sta disperatamente cercando un rimedio per non dover ricordare.
È come se quel cielo stellato sopra di loro avesse deciso di diventare un’eccezione per entrambi, almeno per quella sera; come se volesse tirarli fuori anche solo di poco da quel mondo senza colori in cui per cause diverse si ritrovano a vivere, con il dolore che non li lascia mai andare.
Si riscuotono, sicuri che dopo quell’incontro non ci sarà altro da spartire tra di loro.
Calum annuisce piano, per rispondere alla domanda della ragazza, e si rimette in piedi per come può, continuando ad appoggiarsi al corpo della mora che non lo lascia neppure per un istante. «Potresti aiutarmi a tornare a casa?»
«Sicuro di non voler andare all’ospedale?» chiede allora lei, iniziando a muovere i primi passi, per poi ritrovarsi fuori dal parco, sotto i lampioni che non funzionano, in mezzo a quelle strade buie e silenziose, mentre tutta la città dorme ancora. Dopotutto, sono quasi le tre di mattina.
«Credimi, meglio di no.» ammette il ragazzo; la voce malferma, la testa che gira, il corpo percosso dai brividi dovuti a così tanti fattori che lui ormai ha smesso di farci caso, di prestarci attenzione. Cammina con fatica accanto alla sconosciuta, continuando a sorreggersi a quelle spalle all’apparenza fragili, su cui grava un peso di cui il moro non è a conoscenza e che lei non vuole in alcun modo mostrare.
«Come vuoi.» asserisce la mora a mezza voce, gli occhi puntati sulla strada ed il cuore che ha ripreso a batterle nel petto in un modo che la ragazza non aveva mai sperimentato prima. E intanto, dentro di lei, quell’allarme di pericolo non smette di darle fastidio, ogni volta che lascia che il calore del corpo del ragazzo la scaldi un poco, facendola rabbrividire ad ogni secondo, arrivando a smuovere ogni cellula del suo corpo, facendola fremere a causa di un qualcosa che non conosce e che non riesce a vedere come una cosa positiva, anche se lo fosse.
Camminano in silenzio, senza dare il minimo segno di volerlo interrompere. Perché sono convinti di non avere niente da spartire e che, una volta finito quello strano incontro, tutto tornerà alla normalità – anche se ciò che caratterizza le loro vite non potrà mai essere definito normale, troppo impregnato di vuoti, di mancanze, di cicatrici e ferite sempre aperte, di lacrime trattenute e lasciate scorrere, di maschere messe su per non far vedere niente e per proteggersi da chi non può e non potrà mai capire tutto quel grande, immenso casino.
Eppure… C’è qualcosa in quegli occhi distrutti che hanno intravisto nella frazione di un attimo, un qualcosa che li attrae in un modo tutto particolare e a cui non riescono non pensare. Un qualcosa che forse conoscono anche troppo bene, ma che si ritrovano ad ignorare, forse per paura, forse per egoismo, forse a causa di così tanti fattori di cui entrambi conoscono a malapena la metà. Un qualcosa che li accomuna, li rende simili anche se non vogliono ammetterlo, troppo presi a curarsi da soli quelle ferite che ormai sono sfuggite completamente al loro controllo.
L’unica cosa certa, almeno per adesso, è che entrambi sono spezzati, sono rotti, con il cuore in pezzi. Perché tutti lo sanno, che gli occhi sono lo specchio dell’anima. E quei due ragazzi, anche se per un brevissimo lasso di tempo, in quegli occhi così simili ai propri, sono riusciti a vedere quella dell’altro, rimanendone… Sconvolti.
«Scusa, come sai dove abito?» domanda Calum ad un tratto, ancora ancorato al corpo della mora, non capendo come mai quella sconosciuta sia arrivata davanti casa sua senza problemi e senza chiedere niente.
«Perché pure io vivo qui.» risponde atona Letizia, dirigendosi lentamente verso il portone d’ingresso di quella palazzina bianca di cinque piani, con le persiane di colori diversi per ogni appartamento. Procede piano, con il dolore che le graffia il cuore ad ogni passo. Perché quella non potrà mai essere casa sua. È inutile che le persone cerchino di ficcarglielo in testa; lei non riuscirà mai a cambiare idea, neppure se volesse. Fa per aprire la porta, quando il ragazzo la blocca tutt’ad un tratto.
«Aspetta, ho dimenticato le chiavi.» ammette, grattandosi la nuca per il lieve imbarazzo della situazione.
«E allora come far–?» chiede la mora, ma lui la interrompe.
«Però credo di aver lasciato la finestra di camera mia aperta.» le spiega, gli occhi rivolti un poco a terra.
«Quale piano?» domanda allora l’altra, dirigendosi intanto verso il retro dell’edificio, l’unico altro posto da cui si può raggiungere il proprio appartamento tramite quelle scale nere che salgono fino in cima e che fanno accedere alle finestre delle camere da letto.
«Il terzo.» risponde lui, lo sguardo già rivolto al vetro di camera sua.
E Letizia non impiega molto tempo a capire che quel ragazzo è lo stesso che suona continuamente il basso alle ore più improponibili del giorno – e a volte anche della notte. Però adesso non è il momento della predica, lo sa; deve solo aiutarlo ad entrare in casa sua e tutto tornerà alla solita routine, vuota e opprimente.
Non dice niente; si limita a salire le scale, lentamente. Calum la segue, sempre poggiato su di lei, per sentire ancora un po’ quello strano calore propagarsi dentro di lui. Un calore che quasi sembra voler annullare tutto il nero della sua vita, come se volesse pulirla in qualche modo, privandola di tutte quelle cose che la sporcano, che la feriscono, che la rendono invivibile.
E si ritrova a sorridere debolmente, Calum, a quei pensieri. Perché tanto sa che è tutta un’illusione e che tra qualche ora non ricorderà assolutamente niente di quello che è accaduto. Ogni cosa, ogni parvenza di miglioramento sarà dimenticata, assorbita dal suo nero, dal suo dolore, da tutti quei ricordi che non lo lasceranno mai andare e che sempre terranno vive tutte le ferite, le cicatrici che lui ormai ha smesso di curare da troppo tempo per permettersi di credere che possano guarire da sole.
Arrivano al terzo piano in silenzio, e lui si avvicina lentamente alla finestra di camera sua. Prova a tirarla su, una, due, tre volte, ma non si apre.
«Fammi indovinare.» commenta allora lei, sempre con quella voce che non riesce – o forse, non vuole – cambiare tonalità, mentre gli occhi scuri sono fissi sul paesaggio che riesce a scorgere da lì: tutta la città spenta, dormiente, con solo qualche luce in lontananza che indica dove si trovi il porto. «Hai lasciato la finestra chiusa.»
L’altro annuisce in silenzio, maledicendosi in tutte le lingue che conosce per aver fatto un errore simile. Perché adesso non sa davvero dove poter dormire, dato che chiamare Luke, almeno per quella notte, è fuori questione.
Letizia sospira stanca. E già si insulta nei modi peggiori per quello che sta per fare, una cosa che non ha il benché minimo senso e che potrebbe costarle cara se dovesse finire male. Perché se c’è una cosa che mai cambierà in lei, nonostante tutto, sarà sempre il fatto che non riesce a restare indifferente al dolore degli altri, nonostante quella stessa indifferenza che cerca di ostentare, senza che lei riesca a rendersene minimamente conto.
«Vieni dentro.» dice allora tutto d’un fiato. Ed entrambi sanno che quella non è di certo una domanda.
Per questo, quando la mora apre la sua finestra, Calum non aspetta oltre e la segue dentro, per poi rimanere accecato dalla luce che si accede ad un tratto sul comodino vicino al letto, illuminando gran parte della stanza e lasciandolo completamente senza parole per la sorpresa.
Le pareti sono bianche, candide, ma si notano a malapena. Perchè quella opposta alla finestra è riempita da un’enorme libreria – vicina alla porta che dà sul resto della casa – che arriva fino al soffitto, zeppa di volumi dalle forme e dai colori più disparati. Quella a destra della finestra, invece, è caratterizzata da una porta che dà su un piccolo bagno, mentre il resto del muro è riempito completamente di foto, frasi, immagini, che Calum tuttavia adesso non riesce a vedere bene per la quantità di luce insufficiente ad illuminare tutto a dovere. La parete opposta a quest’ultima è occupata dall’armadio dalle ante colorate di un verde acceso, che a metà fa da ponte sopra il letto ampio. La parete con le due finestre – una delle quali è quella da cui Calum è entrato – è l'unica con i mattoni rossi a vista, a cui è semplicemente accostata una grande scrivania, con un PC sopra e altri scaffali appesi al muro e colmi di libri. Il pavimento in parquet – coperto in parte da un morbido tappeto verde – non fa alcun rumore quando il moro ci cammina sopra, per raggiungere il letto e sedersi sopra le coperte completamente nere.
«Se vuoi dormire, fallo pure.» gli dice Letizia, che intanto si è cambiata dietro un’anta dell’armadio aperta per nascondersi. «Non ti ospito per farti rimanere sveglio.»
Lui allora le sorride debolmente, grato davvero per tutto ciò che quella ragazza ha fatto per lui quella sera anche se non si conoscono per niente. E non si fa ripetere l’invito due volte. Perciò si affretta a togliersi le scarpe e a stendersi completamente su quel letto che si rivela essere molto più comodo di quanto pensasse. E mentre aspetta che la mora si corichi, prende in mano un piccolo quaderno verde posto sul comodino e lo apre, curioso e – soprattutto – desideroso di non pensare a qualsiasi cosa riguardi i suoi ricordi. E rimane sbalordito, nel leggere quelle poche parole scritte con l’inchiostro nero sulla prima pagina, datata a quasi un anno prima.
 
25.09.2014, 00:01 am
Sono Letizia Lewis. Ho appena compiuto diciassette anni.
E per descrivermi basta dire che la mia vita è un puzzle di cui non riuscirò mai a trovare tutti i pezzi. È una vita per cui non vale la pena combattere per tenerla in piedi.
 
Calum non accenna a niente. Semplicemente, mette a posto quel piccolo oggetto e cerca di non pensare a quel qualcosa che si è smosso nel suo cuore nel leggere quelle poche parole, così dure, vere, reali, così’ sentite. Parole che lo stanno facendo iniziare a pensare che ciò che sta accadendo non sia solo frutto del caso, che invece debba pur significare qualcosa, per entrambi.
Sospira, per allontanare quegli strani pensieri dalla testa, e si volta verso quella ragazza – che per lui ha finalmente un nome e pure un età – non appena quest’ultima si stende sotto le coperte e punta gli occhi color cioccolato in quelli color caffè che la stanno osservando nuovamente in quel modo tutto particolare, riuscendo a metterla ancora una volta in soggezione.
«Letizia Lewis.» inizia Calum, all’improvviso, facendola sobbalzare un poco per la sorpresa, dato che lei non si era presentata. Sente di doverle dire tante, troppe cose, lui. Ma non sa da dove iniziare per non sembrare un completo idiota, anche se non riesce a capire perché debba interessargli quello che lei potrebbe pensare di lui. Per questo sceglie la cosa più semplice e, per adesso, probabilmente anche la più giusta da dire. «Grazie
Una parola sussurrata in quelle quattro pareti. Una parola che Letizia sente benissimo e che le arriva dritta nel cuore, ancorandosi a quell’organo per non lasciarlo più, rincuorata dal fatto che quel ragazzo l’abbia detta con una sincerità che lei non sentiva da troppo tempo.
«Figurati.» risponde allora, per non sembrare scontrosa o maleducata.
Lui le sorride ancora e chiude gli occhi, con il sonno che inizia lentamente a prendere il sopravvento su di lui.
«Però non mi sta bene.» commenta ad un tratto Letizia, facendogli nuovamente aprire gli occhi.
«Cosa?»
Lei punta lo sguardo altrove, cercando il perché di tutte le azione compiute quella sera, quelle azioni che proprio non riesce a spiegarsi – come ad esempio quel batticuore che ancora non è riuscita a fermare – senza però riuscire a trovarlo. Per questo torna ad osservare quel ragazzo che, spera, non rimarrà uno sconosciuto tanto a lungo.
«Tu sai il mio nome. Io però non so il tuo.»
«Calum Hood.» risponde allora lui, sorridendo di nuovo, prima di chiudere definitivamente gli occhi e dormire.
Letizia lo osserva a lungo, prima di riuscire ad addormentarsi. Osserva attenta quei capelli scuri, quelle ciglia lunghe che accarezzano le guance probabilmente morbide, quei tratti del volto così particolari, quelle dita affusolate poste sotto il viso straziato da un dolore che nessuno riesce a vedere. Nessuno, a parte lei.
E per la testa, gli passa un’idea strana, un’idea che tuttavia Letizia decide di seguire. Forse potrebbe servire a qualcosa, anche se ancora lei di preciso non lo sa. Si alza dal letto e prende dalla scrivania una delle sue macchine fotografiche, la Polaroid. Torna sul letto e clicca piano, cercando di non svegliare il ragazzo.
Poi il volto addormentato di Calum è attaccato a quel quaderno verde che il moro aveva poco prima tra le mani. E sotto alla foto ci sono poche parole, ma che per Letizia valgono davvero tanto.
 
23.08.2015, 03:13 am
Ho trovato un pezzo di me in un ragazzo che ancora non conosco.





 
Letizia
Bellissimi, ciao a tutti! <3
Che dire; SORPRESA!!!!!!!! Ahahah, ho aggiornato oggi perchè domani ho un impegno molto particolare, e sinceramente mi dispiaceva non aggiornare questa settimana; quindi ho deciso di aggiornare in anticipo, solo per voi, sappiatelo bene u.u
E beh, che cosa abbiamo qui? I nostri Lalum che si conoscono!!!!!!!!!!!!!!!!! *^* Giuro che questo è uno dei capitoli che più adoro della storia, awww, i miei bambini!!!!! Che ve ne pare? Ve lo aspettavate diverso? E, secondo voi, adesso che cosa succederà? Dai dai, non siate timidi, che io AMO sapere che cosa ne pensate! <3
Ultima cosa, poi scappo a studiare. 
IL VIDEO DI JET BLACK HEART!!!!!!!! ARRIVEDERCI E GRAZIE, E' STATO BELLO CONOSCERVI!!!!!!!! Oddio, me lo aspettavo un po' diverso, anche se di preciso non so come descriverlo; però bellissimo lo stesso *^* !!!!!!!!!!!!
Dopo questo sclero, rispondo alle vostre BELLISSIME recensioni (*^*) e corro a studiare :P.
A presto e grazie mille per tutto quanto: visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti; siete la cosa più bella del mondo!!!! <3
Un bacione, Letizia <3
   
 
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