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Autore: lyssa    19/12/2015    0 recensioni
Appeso al filo di lucine natalizie che pendola proprio sopra la loro testa, c'è un rametto di vischio. Viscum album. Foglie oblunghe e coriacee disposte a due a due, piccole e caratteristiche bacche bianche, quasi perlate.
Non capisce.
[ sheriarty ]
Fanfiction natalizia senza troppe pretese.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Piccola fanfiction natalizia e abbastanza clichè inserita nel canon, perchè chi non ama vedere la propria OTP durante le feste? Nei tre paragrafi ci sono rispettivamente UST a palate, fluff e angst. Nulla, spero semplicemente vi piaccia - è da un po' che non posto qui su EFP - e buone feste a tutti-! 
Ovviamente la fanfiction è dedicata a Sarah, il Jim migliore con cui potessi mai sperare di ruolare~

 

 

 

Due volte in cui Jim e Sherlock si sono baciati sotto il vischio e una in cui non l'hanno fatto

 

 

 

 

Mancano una manciata di giorni al venticinque e il Natale è ormai ovunque, una nube luminosa e dal sentore di cannella che copre il grigiore e lo smog cittadino.

Sherlock lo detesta. Detesta i canti natalizi che si imprimono nella sua mente nonostante cerchi di bloccarli, voci di bambini che risuonano tra le pareti del suo palazzo mentale; detesta ritrovarsi a canticchiarli tra sé e sé durante un caso e il mezzo sorriso che appare sul volto di John quando riconosce la melodia. Detesta i maglioni verdi e rossi, le lucine di natale appese ovunque che privano Londra della sua individualità e coprono con falsa gioia tutti quei particolari che fanno sentire Sherlock a casa. Detesta il fiume di gente nelle strade, le persone talmente numerose e vicine da fargli mancare il fiato.

Continua a correre, il rumore delle scarpe sull'asfalto che viene inghiottito dai motivetti natalizi, finché non rischia d'inciampare in un bambino. Non si ferma neanche il tempo di chiedere scusa – l'unica parola che pronuncia è un'imprecazione sibilata tra i denti – e continua per la sua strada, la voce arrabbiata della madre che presto sfuma, amalgamandosi a un insieme di tante altre. Non ha tempo per queste cose, per le scuse e le buone maniere. Non quando ci sono vite in pericolo.

La vita di un povero uomo strappato alle festività natalizie per essere coperto di semtex – alcuni, tra cui Sherlock, direbbero che è comunque un destino migliore di essere costretto ad ascoltare "All I want for Christmas is you" in loop – non è l'unica cosa a rischio. Se Sherlock sta correndo per Londra nonostante abbia quasi due ore alla fine del conto alla rovescia, è solamente per il suo orgoglio, per dimostrare a se stesso (e in parte anche a Jim Moriarty) che può battere il suo record personale e risolvere l'omicidio con un'ora di anticipo.

Sta per svoltare in un vicolo quando lo vede. È costretto a fermarsi di colpo. Dietro di lui, John quasi gli viene addosso. Sherlock non ci fa neanche caso.

Jim Moriarty è lì a pochi metri di distanza, sotto lucine intermittenti che rendono il suo volto un po' più morbido e il sorriso sulle sue labbra più naturale e spontaneo. Sembra quasi una persona come tante altre, un uomo avvolto in un pregiato cappotto di cachemire intento a fare gli ultimi regali di Natale per amici e parenti. Quasi, perché quando Jim si volta appena e i loro sguardi si incontrano, Moriarty ritorna la mente criminale dagli occhi come stelle nere e la lingua affilata, l'uomo che Sherlock ha incontrato alla piscina, colui la cui presenza è il ticchettio prima dell'esplosione di una bomba.

James Moriarty è pericolo fatto persona. È l'insieme di sostanze chimiche che raggiungono le sue sinapsi e innescano il meccanismo "fight or flight". È l'unica persona al mondo capace di dargli il brivido che aveva cercato inutilmente nella droga; è la nemesi perfetta.

Sherlock cammina verso di lui con il cuore che batte più veloce del normale e l'angolo delle labbra sollevato.

« Tesoro, » Jim si infila le mani nelle tasche del cappotto e lo guarda dal basso, sul volto il sorriso di chi stringe il mondo tra le dita e ha la risposta a ogni domanda « hai bisogno di una mano? »

« Per favore. » Sherlock sbuffa sonoramente, fa un ulteriore passo in avanti. « Pensa piuttosto a impegnarti nel tuo lavoro, gli ultimi casi erano così semplici… Non dirmi che il Natale ha rincretinito anche te. »

Se Jim è offeso da quelle parole, non lo dà a vedere. Al contrario, il mezzo ghigno sul suo volto si fa più ampio.

« Sono stato occupato, non hai idea di quante persone vogliano uccidere i propri cari sotto le feste. Non che possa biasimarli, sia chiaro. » Si lascia andare a una piccola risata che prende forma fisica nella condensa che fuoriesce dalle sue labbra. « Non lavoro solo per te, lo sai. »

« Ciò non toglie che io sia il tuo cliente più importante. »

Tecnicamente, non è un suo cliente. Sherlock non ha nessun problema da risolvere e non lo paga per commettere una frode in modo da poter sguazzare nei soldi per il resto della vita o per uccidere una persona con la quale ha avuto brutti trascorsi. In pratica, la cosa è diversa. Per quanto le azioni di Moriarty siano orribili e portino solo morte e distruzione, Sherlock non può fare a meno di essere grato all'uomo che le causa.

Non le tollera in quanto un male necessario – come fa invece suo fratello Mycroft e le organizzazioni con cui collabora –, la sua è gratitudine nel senso letterale del termine, perché senza crimini brillanti e apparentemente perfetti lui sarebbe ancora coricato sul divano, un broncio sulle labbra, una pistola tra le mani e nel petto un vuoto talmente assoluto da fargli chiedere "cosa succederebbe se smettessi di respirare e morissi qui?".

« Eh, non ne sarei così sicuro. » Jim si lambisce le labbra con la lingua, senza distogliere lo sguardo. « In ogni caso, sto preparando qualcosa di speciale per Natale, per cui tieniti libero. Questi sono solo… » Solleva le sopracciglia curate in un'arcata e fa un gesto con la mano « Piccoli regalini del calendario dell'avvento. I preliminari sono importanti. »

« Non ti aspetterai che ti ringrazi. »

« Sarebbe carino, ma so bene che le buone maniere non sono il tuo forte. »

Rimangono in silenzio un paio di secondi, entrambi immobili e intenti a fissare l'altro come se negli occhi portasse la risposta alla domanda più antica dell'universo. Dietro di sé, Sherlock riesce a sentire John farsi irrequieto e portare la mano alla pistola nascosta nella tasca della giacca.

È Jim che decide di rompere quell'equilibrio precario.

« Sherl, guarda in alto. »

Per una manciata di secondi, Sherlock non fa nulla. Si limita ad aggrottare appena le sopracciglia e a scrutare il volto di Jim alla ricerca di un qualche particolare che possa svelare le sue intenzioni. Ovviamente, non ci riesce. È irritante per un uomo abituato a mettere a nudo il suo interlocutore e usare ciò che osserva per manipolarlo.

Jim gli ha fatto quella richiesta semplicemente per prenderlo in giro? O è forse parte di un piano più grande che si conclude con una pistola puntata alla sua tempia? No. Sono in pubblico, senza contare che John ha le sue spalle, sarebbe tanto rischioso quanto inutile. Inoltre sarebbe semplice. Troppo semplice. Quasi… Volgare.

Per un momento, Sherlock si vergogna anche solo di averlo pensato.

È proprio quella realizzazione a fargli decidere di accontentare l'altro.

Appeso al filo di lucine natalizie che pendola proprio sopra la loro testa, c'è un rametto di vischio. Viscum album. Foglie oblunghe e coriacee disposte a due a due, piccole e caratteristiche bacche bianche, quasi perlate.

Non capisce.

È un indizio per il prossimo crimine? Le bacche di vischio sono tossiche, l'ingestione può portare alla morte. Moriarty vuole usare un estratto come veleno? No. Non gli avrebbe mai dato un indizio tanto importante e diretto. È allora un suggerimento più astratto, una sorta di metafora? Il vischio è un parassita, può assumere anche comportamenti d'iperparassitismo e autoparassitismo. Oppure potrebbe essere un indizio legato alle numerose leggende e tradizioni che circondano la pianta.

Sherlock serra le labbra, cercando nella memoria quelle informazioni che aveva eliminato in quanto "semplici storie di fantasia". È piuttosto sicuro di aver letto qualcosa a riguardo del vischio nella mitologia norrena, in quella celtica e nell'Eneide, ma non riesce a ricordare con esattezza.

Digrigna i denti. Se fosse a casa si metterebbe a camminare avanti e indietro per il soggiorno, il passo talmente pesante da attirare le lamentele della signora Hudson. Non è al 221b, però. È di fronte a Moriarty, la mente criminale più pericolosa del secolo, che con ogni probabilità lo sta guardando con lo stesso divertimento di un predatore nel vedere la preda mutilata cercare di scappare senza riuscirci. Il pensiero lo irrita. La linea della mandibola si fa più dura.

Ha solo bisogno di tempo, continua a ripetersi, una manciata di minuti e sarà in grado di svelare quell'enigma, si dice e tamburella le dita della mano sinistra sulla gamba, l'irritazione che diventa sempre più grande finché ohOh.

Ogni pensiero di dissolve come neve al sole nel momento stesso in cui sente le dita di Jim sulla pelle. È un tocco talmente leggero e delicato che per un istante teme di esserselo immaginato: i polpastrelli carezzano lenti il polso.

Jim Moriarty ha le mani fredde ma morbide.

È un pensiero semplice e in qualche modo innocente che prende il posto di tutti i ragionamenti complicati. È un particolare che rende Jim umano. Dà a Sherlock un'informazione apparentemente insignificante che il detective decide però di custodire in quella stanza che nel proprio palazzo mentale ha riservato solo a James Moriarty.

Abbassa lo sguardo per chiedere silenziosamente il motivo di quel gesto, ma, prima che possa davvero rendersene conto, Jim con l'altra mano gli afferra la sciarpa e lo tira verso il basso, in modo che le loro labbra si incontrino. Lo sta baciando.

La sua mente diventa completamente bianca. I pensieri scivolano tra le sue dita come sabbia, non importa quanto Sherlock cerchi di tenerli stretti a sé, essi se ne vanno lasciandolo con un vuoto assoluto in testa, una sensazione talmente intensa e annichilante da essere addirittura meglio della droga. La bocca di Jim preme sulla sua con più insistenza. Sherlock non reagisce, rimane immobile.

Dopo un secondo o due, il primo barlume.

"Bisogna baciarsi sotto il vischio."

È un pensiero talmente ordinario da fargli venire voglia di ridere. Ne seguono altri, osservazioni semplici e normali da sembrare quasi fuori luogo in una mente abituata ai più complessi e scientifici ragionamenti.

Il primo è che le labbra di Jim sono morbide.

Il secondo è che non hanno sapore, l'unica cosa che Sherlock riesce a sentire è il debole aroma di un burrocacao ed è strano, perché si immaginava una gamma completamente diversa di gusti. Sangue, polvere da sparo, alcol, nicotina. Sapori violenti, in qualche modo oscuri, adatti a quella figura di cattivo da manuale che Sherlock ha deciso di affibbiare a Jim e che ha sempre considerato priva di sfumature, completamente nera. Forse deve ricredersi. Non deve dare nulla per scontato quando si tratta di lui.

Il terzo è che ha poche informazioni. Vuole di più, vuole che ai recettori arrivino talmente tanti stimoli da non riuscire più a categorizzarli.

Senza pensare, schiude le labbra. Appoggia una mano sulla nuca di Jim, le dita che si infilano nei capelli neri solo per il gusto di scompigliarli e liberarli dalla posizione indotta dal gel. Riesce a sentire il respiro di Jim bloccarsi in un moto di stupore e allora solleva l'angolo delle labbra, spingendosi di più verso di lui, il dolce sapore della soddisfazione che si mischia con quello della bocca altrui nel momento in cui il bacio viene approfondito.

Un braccio gli cinge la vita, fa sì che i loro cappotti si sfiorino. Jim sorride e il suono vibrante di un accenno di risata viene soffocato dalle loro bocche unite ed è proprio quello forse il momento in cui Sherlock sente il desiderio di sbranarlo. Di distruggerlo, di scoprire a morsi lati di lui nascosti dalla figura autorevole e professionale che si porta dietro, di sentire il sapore del sangue e della carne viva sulle labbra. Di arrivare al cuore stesso della sua essenza.

Di fronte al primo morso sul labbro inferiore, Jim si spinge verso di lui e mugola appena.

Prima che Sherlock possa però darne un secondo, l'altro si tira indietro di scatto e rompe ogni contatto fisico.

Il contrasto con l'aria fredda di dicembre è talmente violento da fare male e fargli sentire una mancanza che non avrebbe mai pensato di provare. 

« Ci vediamo presto. »

Jim parla come se non fosse successo nulla, come se non avesse le pupille vergognosamente dilatate e il suo intero corpo non voglia ripetere l'esperienza. Nel ghigno che increspa le labbra arrossate è evidente il desiderio di lasciarlo insoddisfatto. Sherlock vorrebbe afferrarlo e tirarlo di nuovo a sé, ma prima che possa farlo Jim si allontana ancora. Se ne va senza aggiungere altro, dandogli le spalle, e lui non riesce a fare nulla se non rimanere immobile e osservare fisso davanti a sé finché lo scuro cappotto di cachemire non diventa una macchia in mezzo a tante altre.

« Moriarty… » Quando Sherlock si volta per osservare John, lo vede deglutire a vuoto, chiaramente scosso. Comprensibile, certo, ma anche ridicolo ed esagerato. Non è lui quello che è stato baciato ed ha, cosa più bizzarra di tutte, ricambiato il gesto. « Moriarty ti ha appena baciato. »

Deve fare uno sforzo per non roteare gli occhi al cielo.

« Che spiccato spirito di osservazione, John. »

« È disgustoso. Non pensavo potesse arrivare a tanto. »

Sherlock non commenta. Dovrebbe o ammettere ad alta voce che gli è piaciuto baciare Jim o mentire e dirsi d'accordo con John quando entrambe le alternative sono poco allettanti.

Riprende dunque a correre come se nulla fosse, nonostante sulle labbra riesca ancora a sentire il tocco di Jim, impossibile da ignorare e dimenticare. È allora che gli viene in mente.

"I druidi consideravano il vischio il testimone della tregua di due nemici, che, incontrandosi sotto di esso, deponevano le armi e sancivano la pausa dalle ostilità con un bacio."

****

L'anno successivo Sherlock odia ancora il Natale.

Lo odia anche se l'appartamento è addobbato con ghirlande e lucine varie, anche se è costretto a indossare delle stupide corna da renna, anche se nell'angolo del soggiorno c'è un albero – l'unica cosa che permette al detective di sopportarne la vista sono le decorazioni poco appropriate: i piccoli teschi coperti di tintura rossa sono talmente lontani dallo spirito natalizio che le labbra di Sherlock non possono non aprirsi in un sorriso.

Eppure, trovarsi circondato da così tanta festività non è poi così strano. Non se lo si paragona a un Jim Moriarty con in mano una tazza di cioccolata calda e addosso uno di quei maglioni brutti che si possono indossare solamente a dicembre. Quello che indossa oggi ha scritto sopra "Jingle My Bells". Sempre un uomo di classe, James.

È difficile dire esattamente quando il loro rapporto si sia evoluto in qualcosa di più e Sherlock abbia iniziato a considerare normale una situazione simile.

Forse è stata quella volta in cui ha scoperto l'indirizzo di uno degli appartamenti del criminale ed ha scassinato la serratura per farsi trovare al suo interno, spaparanzato sul divano con un'espressione compiaciuta sul volto che voleva solo dire "guarda come sono stato bravo, sono sempre un passo davanti a te". Espressione completamente ignorata da Jim che, una volta varcata la soglia dell'abitazione, si era semplicemente messo al computer senza degnarlo di uno sguardo, al punto tale che la situazione era poi degenerata in disperati tentativi di ottenere attenzione (come staccare la spina del computer), battibecchi degni di bambini di cinque anni e, infine, gemiti soffocati.

O forse è stato quando Jim gli ha chiesto di rimanere a dormire insieme dopo aver fatto sesso. Non l'aveva chiesto a parole, ovviamente. Semplicemente lo aveva guardato dal basso con quegli occhi un po' troppo grandi e scuri e gli aveva stretto delicatamente il polso tra le dita. Sherlock ricorda perfettamente come il suo cuore avesse perso un battito. Ricorda di essersi chiesto se Jim l'avesse notato.

Quella notte, nessuno dei due aveva chiuso occhio, troppo impegnato a rendersi conto dell'accaduto e a realizzare pienamente l'importanza del gesto, l'implicita fiducia necessaria per accettare di dormire accanto alla persona che ha giurato di distruggerti.

In ogni caso, pensare a quando è cominciato non ha davvero importanza. Ciò che è invece importante è quello che la loro relazione è diventata.

Non sono fidanzati, entrambi provano un malcelato disgusto sia per la parola in sé che per tutto ciò che le coppiette fanno. Inoltre continuano a scontrarsi sul lavoro e a mettersi in situazioni di vita e di morte, cosa che sicuramente non compare nel manuale del fidanzato perfetto.

Al tempo stesso però, la parola "nemici" non è più sufficiente. Descrive solo una piccola parte del loro rapporto, quella più superficiale ed evidente anche agli occhi di coloro che Jim e Sherlock definiscono ordinari e comuni.

La loro relazione è qualcosa di più. È ore passate in silenzio nella consapevolezza che esiste al mondo qualcuno come te. È provocazioni a fior di labbra, baci affilati, mani che disperatamente cercano di creare una connessione tanto importante quanto quella tra le loro menti. È non convenzionale e senza precedenti, profonda senza tuttavia rientrare nell'amicizia o nell'amore in senso stretto ed è impossibile trovare una sola parola per descriverla, in quanto il linguaggio umano non si è ancora evoluto fino a quel livello. Probabilmente non lo farà mai.

« È davvero necessario tutto questo vischio? » Di fronte alla domanda Jim solleva gli occhi dal libro di astronomia tra le sue mani e appoggia la tazza – blu scuro, decorata con una rappresentazione del sistema solare – sul piccolo tavolino da caffè. Sulle labbra ha un sorriso divertito che fa roteare al cielo gli occhi di Sherlock. «Non hai bisogno di utilizzare queste stupidaggini se vuoi baciarmi. »

« Cosa ci posso fare, adoro le tradizioni. » Risponde semplicemente Jim, alzandosi dal divano e avvicinandosi. Tra le mani stringe un piccolo rametto di vischio. Solleva il braccio per tenerlo in alto, penzolante sotto le loro teste.« Specialmente se a te danno fastidio. »

« L'importante è che tu non voglia propormi una tregua. » La fine della frase è quasi incomprensibile, soffocata dall'unione delle loro labbra. È un bacio leggero, casto, senza secondi fini. Sherlock si ritrova ad apprezzarlo più del dovuto. « Non diventare noioso e domestico, Jim. »

« Onestamente non riesco a immaginare tortura peggiore del diventare una coppietta che gira mano nella mano e passa le serate a guardare insieme la televisione accoccolandosi sul divano. Ti ucciderei senza pensarci due volte se finissimo in quel modo. »

È una promessa malata, sbagliata sotto ogni punto di vista, quel genere di affermazione che dovrebbe solamente fargli venire voglia di chiudere ogni tipo di rapporto con la persona che l'ha pronunciata. Eppure, Sherlock la trova incredibilmente logica. Addirittura ragionevole.

« Bene. »

Jim sorride, fa scivolare entrambe le mani sui fianchi di Sherlock. Carezza i passanti della cintura e ci infila dentro le dita, guardandolo dal basso con un'espressione maliziosa che rende cristalline le sue intenzioni anche a una persona come Sherlock.

« Senza contare che… » Rompe il contatto visivo per appoggiare le labbra sul lato del collo, appena sotto l'orecchio.  « … Trovo eccitante quando mi punti una pistola contro. »

« A letto o durante un caso? »

La risata di Jim risuona in ogni cellula della sua epidermide. Gli fa venire la pelle d'oca.

« Entrambi. »

****

Da circa tre anni, Sherlock ha smesso anche solo di prestare attenzione al Natale.

Prima di tornare a Londra non riusciva a distinguere il periodo festivo. Era dopotutto impossibile tenere traccia del tempo quando i giorni si susseguivano identici uno dopo l'altro, quando per ragioni di sicurezza non usciva di casa per settimane intere e la voce nella sua testa diventava ogni minuto più estranea e distaccata, più vicina alla falsa identità che Mycroft lo aveva costretto ad assumere che alla sua vera persona.

Non essere più "Sherlock Holmes" aveva tuttavia i suoi lati positivi.

Era più semplice non focalizzarsi sui suoi problemi ed immergersi nella missione, perché non c'era tempo per piangersi addosso quando doveva smantellare l'impero di Moriarty ed una singola distrazione poteva portare ad una pallottola in mezzo alle tempie.

Tuttavia, una volta sventato il pericolo immediato, bloccare i pensieri indesiderati ridiventava difficile.

C'erano notti in cui non riusciva ad allontanare l'immagine di John e della signora Hudson dalla sua mente, notti in cui i contorni della camera da letto sfumavano e diventavano quelli del 221b, la casa dove aveva vissuto per anni ed il primo posto in cui si era sentito davvero accettato. Notti in cui respirare sembrava un'impresa titanica e si ritrovava boccheggiante e sudato in un intreccio di lenzuola che improvvisamente sembravano essere diventate le più strette delle tenaglie. Notti in cui decideva di fregarsene delle regole imposte dal maggiore e usciva senza precauzioni, una sigaretta in mezzo alle labbra e nelle gambe la voglia di camminare senza una meta specifica, per provare nel corpo lo stesso spaesamento della mente.

Quelli però non erano i momenti peggiori: sapeva che prima o poi sarebbe tornato a Londra – tornato a casa –, si trattava semplicemente di aspettare e svolgere il suo lavoro nel mentre. No, i momenti peggiori erano quelli in cui riviveva il suicidio di Jim.

Un velo di lacrime a coprire gli occhi solitamente scuri, in quel momento quasi dorati a causa della luce del sole. La voce spezzata. Le loro dita intrecciate, un gesto simile a quelli che avvenivano dietro porte chiuse, al riparo da quel mondo troppo lento che entrambi sdegnavano. La canna della pistola scintillante sotto il sole, il luccichio immediatamente scomparso nella bocca di Jim. Il suono sordo del colpo. Il sangue e le cervella dell'uomo più brillante che abbia mai conosciuto sparse sul cemento. Gli occhi vuoti e senza vita, il sorriso bloccato su labbra ormai fredde.

Avrebbe potuto fermarlo. Avrebbe potuto afferrarlo per il polso, cambiare la traiettoria dell'arma, sparare il proiettile verso l'alto, lontano da loro. Avrebbe dovuto notare prima la depressione di Jim Moriarty, il suo bipolarismo.

« Sherlock? »La voce di John lo strappa brutalmente dai suoi pensieri e Sherlock solleva appena la testa, in modo da incontrare il suo sguardo. I suoi occhi blu sono velati da una preoccupazione malcelata che non sa bene come esprimere, perché nonostante Sherlock sia quello che viene chiamato "macchina", anche John non sa rapportarsi in modo normale con le sue emozioni. « Va tutto bene? »

No, non va tutto bene. Ho perso l'unica persona in grado di capirmi, di tenermi testa e stare al mio passo. L'ho perso e non potrò mai averlo indietro e ora mi trovo qui costretto a casa dei miei genitori per Natale, perché tutti temono che possa ricadere nella droga. È stupido. Quello che voglio veramente è un coltello puntato alla gola, l'adrenalina che scorre nel sangue, la mente impegnata e la morte dietro le spalle.

« Certo. Stavo solo pensando. »

John rimane in piedi, chiaramente a disagio. Non gli crede, ovviamente, ma al tempo stesso non vuole approfondire la questione, perché ha sempre avuto difficoltà a capire ed accettare la relazione che Sherlock aveva con Jim Moriarty. Inoltre, il suo modo per risolvere i problemi è sempre stato quello di ignorare tutto ed andare avanti. In nessun altro modo avrebbe potuto perdonare Mary. O Sherlock stesso, riflette il detective.

« Umh, d'accordo. » Sta in silenzio un paio di secondi, indeciso su cosa fare. Sherlock sa quale sarà la sua decisione ancora prima che John la realizzi. « Se vuoi mangiare, è pronto in tavola, sono venuto a dirti questo. »

Sherlock distoglie lo sguardo. È il suo modo di dire che la conversazione è finita.

« Okay. »

   
 
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