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Autore: Arya Tata Montrose    20/12/2015    2 recensioni
Per Rin, la giornata non può che peggiorare. Ma quando si tocca il fondo, non si può far altro che risalire.
Quel giorno, Rin poteva affermare con assoluta sicurezza che la Dea Bendata gli aveva voltato le spalle. Con stizza, magari.
Si era svegliato con un umore nero e per tutto il giorno aveva avuto incollata in faccia un’espressione arcigna e scontenta. Sul suo volto, poi, aveva l’effetto di apparire più intimidatoria e maligna di quanto non fosse in realtà. Come se non bastasse il fatto che lui risultasse inquietante anche solo con i lineamenti rilassati.
Dopo la fine delle lezioni curricolari, aveva deciso che una puntata in palestra non gli avrebbe fatto altro che bene e che l’avrebbe aiutato a scaricare lo stress. Si disse che, se non altro, l’avrebbe aiutato a terminare in fretta quella dannata giornata. Oh, come si sbagliava.


[Rin/Shiemi][1837 words]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin Okumura, Shiemi Moriyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Corona di Fiori
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Il principe del giardino in fiamme
 




Quel giorno, Rin poteva affermare con assoluta sicurezza che la Dea Bendata gli aveva voltato le spalle. Con stizza, magari.
Si era svegliato con un umore nero e per tutto il giorno aveva avuto incollata in faccia un’espressione arcigna e scontenta. Sul suo volto, poi, aveva l’effetto di apparire più intimidatoria e maligna di quanto non fosse in realtà. Come se non bastasse il fatto che lui risultasse inquietante anche solo con i lineamenti rilassati.
Dopo la fine delle lezioni curricolari, aveva deciso che una puntata in palestra non gli avrebbe fatto altro che bene e che l’avrebbe aiutato a scaricare lo stress. Si disse che, se non altro, l’avrebbe aiutato a terminare in fretta quella dannata giornata. Oh, come si sbagliava.
Per un’ora buona si era sentito come se non fosse successo nulla; come se non si fosse alzato e fosse rimasto a letto, tra il caldo delle coperte; come se non fosse stato deriso per quella figuraccia in classe, non si fosse dimenticato i compiti in camera e non si fosse quasi addormentato all’ultima ora perché Yukio gli aveva fatto fare una sessione extra di allenamento per il controllo delle sue fiamme fino alle quattro del mattino.
“E dire che, per una volta, i compiti non me li ero scordati” pensò, sferrando l’ennesimo pugno al sacco da boxe che aveva avuto la sfortuna di fargli da avversario. Ne sferrò un altro e un altro ancora, fino a terminare i motivi per cui quella giornata faceva schifo. Ancora però, si sentiva pressare da un nodo alla gola, da qualcos’altro che lo tormentava e si mise a colpire il sacco con più impegno, elencando mentalmente tutti i fallimenti che ancora non si era perdonato e per tutte le persone che aveva ferito nei suo scatti d’ira.
 
“Grazie, papà”.
Era lui che gli aveva insegnato a trattenersi, a sfogarsi su qualcosa di diverso dai suo aggressori. Per un attimo nella sua mente si formò l’immagine di Amaimon e, con un pugno più poderoso del solito, strappò la stoffa che ricopriva il sacco, fermando la sua mano solo ad un passo dall’altra parete di tessuto.
 
Un gridolino soffocato gli giunse all’orecchio e Rin si voltò di scatto verso la fonte del rumore. Era una ragazza della sua classe, una di quelle snob che sputava veleno ovunque posasse lo sguardo. Era anche per colpa sua, se quella era una giornata da dimenticare.
«O-okumura.»
«Che vuoi, Paruko? Sei venuta a sputar sentenze un’altra volta?» Rin levò la mano dall’interno lanoso del sacco, lasciando che sul pavimento cadessero alcuni batuffoli di cotone pressato.
A quel gesto la ragazza si spaventò. «Non avvicinarti, demone!» urlò, con gli occhi sgranati. Nemmeno Urai, il ragazzo più forte della scuola, il candidato al titolo di Campione Nazionale di boxe, aveva mai rotto un sacco, né l’aveva mai colpito con tanta rabbia. Lei lo sapeva, c’era stata insieme e l’aveva osservato. Vedere Rin così l’aveva spaventata, ma non le aveva certo tagliato la lingua. «Ora si capisce perché ti chiamano “principe dell’inferno”. Moriyama lo sa, quanto sei pericoloso? Secondo me no e l’unico motivo per cui ti gira intorno è che le piace tuo fratello. Lui sì che è un cavaliere. Tu sei solo la sua infernale copia.»
 
Rin aveva gli occhi sbarrati e non si sentiva capace di muovere un solo passo. Nonostante avesse l’insana voglia di stringere le mani attorno alla sua gola per impedirle di parlare ancora, una vocina che aveva più volte messo a tacere sembrò tornare prepotente ad invadergli la testa. “Pakuro ha ragione, Shiemi ti odia, vuole solo arrivare a tuo fratello Yukio.” Che la voce, che ora era diventata quella fastidiosa della ragazza, avesse ragione? Che in realtà Shiemi lo odiasse? Che lei avesse paura di lui? No, non era possibile. Lei gli era rimasta accanto, ci era rimasta davvero male quando aveva affermato che loro non erano amici. I suoi occhi gli erano parsi sinceri, dannazione!
 
Già. “parere” è il verbo giusto. Tu hai visto ciò che hai voluto vedere.
 
Senza più far caso a quella serpe di Pakuro, dimentico perfino della sua voglia di strapparle le corde vocali – ghiandole velenifere, gli sarebbe venuto da dire – dalla gola, un passo dietro l’altro, mise più distanza possibile tra lui e quel luogo, deciso a scappare, a raggiungere un posto tranquillo dove si sarebbe sentito al sicuro, dove curarsi il veleno che ora sembrava scorrergli sottopelle.
 
Il suo corpo aveva agito come fosse comandato da una propria volontà, mentre la parte razionale della mente di Rin era offuscata dai pensieri. La vocina nella sua testa continuava a sciorinare basi d’appoggio per le parole udite poc’anzi. Che fossero del tutto prive di senso, solo la sua parte più profonda l’aveva capito e l’aveva portato in un luogo che Rin non avrebbe mai immaginato – non in quel momento, almeno, perché quello era il posto dove stava nei suoi sogni.
 
Amahara.
 
Capì dove si trovava solo alcuni minuti dopo essersi steso sull’erba e la domanda si fece largo in mezzo al tumulto: dov’è Shiemi?
Si diede dello stupido, per l’ennesima volta durante il dibattito che aveva avviato con sé stesso nel momento stesso in cui si era alzato dal letto. Lei era una persona diligente, non avrebbe mai saltato le lezioni di Esorcismo, nemmeno se, come quel giorno, avessero avuto solamente da allenare il fisico.
Buttò un’occhiata all’orologio della torre. Bene, mancava ancora un’ora al rientro della ragazza. Ora voleva solo stare solo.
Portò le ginocchia al petto e vi immerse la testa.
 
Voglio che nessuno mi tocchi, voglio stare da solo.
 
Senza che se ne accorgesse, un muro di fuoco blu circondò il perimetro del giardino. Le piante, sotto quella luce così fredda ma al contempo calorosa, parevano magiche, ancor più magnifiche di quanto fossero sotto quella del Sole.
Rin, però, non le vide. Ad occhi serrati, offuscati dalle lacrime, con la fronte poggiata sulle ginocchia, si prese il capo tra le dita, artigliando la pelle sotto i capelli d’ebano. Si sentiva addosso il peso delle parole, che ora avevano preso la forma di una corona di ferro, irta, inquietante e minacciosa alla luce delle fiamme blu di Satana.
 
Lei ti odia. Tu sei il figlio del Diavolo e lei ti odia. Ha paura di te.
 
Uno, due, tre singhiozzi, e le lacrime che, troppe per rimanere confinate sotto le sue palpebre, cominciavano a cadere sull’erba, già inumidita dal calar della sera. Uno dopo l’altro, i singhiozzi si fecero meno sommessi e in lui crebbe la voglia di urlare. Urlare che non era vero, che lui non era spaventoso, che Shiemi non doveva avere paura di lui; ma non lo fece. Fu quel pianto, trattenuto per tanto – troppo – tempo, a portare via dalla sua gola, stretta in una morsa, quelle parole che vennero solamente sussurrate.
 
«Il principe dell’Inferno, con la sua corona di anime dannate» mormorò, la voce ancora rotta dal pianto.
 
Poi sobbalzò, sentendo un peso inaspettato, insperato, addosso. Qualcosa – una mano, delicata – si era poggiato sulla sua spalla. Rin aprì gli occhi e, piano, sollevò il capo, voltandosi a guardare alle sue spalle. Shiemi gli sorrideva, illuminata dalla luce fredda delle fiamme che circondavano l’intero giardino. Come…
 
«Tu non mi faresti mai dei male, Rin, lo so. Il tuo fuoco non mi brucia.». Lei sembrò captare il suo pensiero e gli fornì una risposta. Il tono era dolce, soffice come una nuvola.
Shiemi gli si sedette davanti e gli prese una mano tra le sue. Sorrise un’altra volta e ringraziò il blu delle fiamme, poiché nascondevano il rossore imbarazzato sulle sue gote. Voltò lo sguardo ai fiori, a pochi passi da loro, che, invece di essere chiusi, com’era normale durante la notte, oramai calata, erano aperti, a sfoggiare le loro magnifiche corolle alla luce del fuoco che li circondava.
E glielo fece notare. «Tu non fai paura, Rin. O almeno, io non ho paura.» continuò. Quella sera sembrava che l’abituale balbuzie fosse del tutto scomparsa. Non v’era alcuna traccia d’insicurezza nella sua, seppur delicata, voce.
 
Rin la guardò, stupefatto, prima che lei gli lasciasse la mano e dedicasse la sua attenzione ai fiori che li circondavano. Intanto che con le mani operava coi fiori, gli parlava, gli raccontava quanto lui fosse importante per lei. Sussurrava, eppure ogni parola giungeva chiara e ben distinta alle sue orecchie.
«Anche se sei il figlio di Satana, tu non sei il “Principe dell’Inferno” e sulla tua testa non c’è una corona di ferro e anime.»
Shiemi sentì lo sguardo di Rin farsi più intenso su di lei e si affrettò a spiegare: «Ti ho sen-sentito, mentre l-lo dicevi. Ma guarda il giardino: è stupendo, sotto questa luce.» aggiunse, tornando a concentrarsi sui fiori che reggeva tra le dita.
 
Per la prima volta, quella sera, Rin portò lo sguardo al di fuori della sua mente e della figura della ragazza innanzi a lui, ad osservare il giardino che stava assistendo a quella scena. Shiemi aveva ragione: il giardino, sotto alla luce del suo fuoco blu, risplendeva di una luce nuova, particolare, meravigliosa. E sì, perfino i fiori, quella notte, avevano rinunciato ad un sonno ristoratore per assistere allo spettacolo delle sue fiamme che ardevano ai confini della loro casa senza nuocergli.
E Rin si guardava attorno ammirato: era davvero lui, a rendere possibile tutta quella bellezza?
 
La coda dell’occhio gli cadde sulla ragazza di fianco a lui, e a lei tornò di nuovo tutta la sua attenzione. Il sorriso che aveva sulle labbra per qualche momento mutò in un buffo broncio mentre gli asciugava con le maniche del kimono le lacrime incastrate tra le ciglia. Una volta terminato, prese dal suo grembo la corona di fiori che aveva composto e gliela pose sul capo, sporgendosi verso di lui.
«Tu sei il principe del giardino!» esclamò, puntando gli occhi verdi nei suoi. E Shiemi fece l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato: aveva annullato la distanza tra di loro e l’aveva baciato. Per qualche secondo, non seppe più se si trovava in un giardino o in paradiso, da tanto la differenza gli parve insignificante.
 
Durante quei secondi, nella mente di Rin si formò l’interpretazione delle parole di Shiemi: quel giardino era il suo cuore e stava sul suo capo, la corona. Così, quando si era staccata, lui l’aveva abbracciata, forte, in modo che le orecchie di lei captassero il battito impazzito del suo cuore. Il tumulto che provava aveva cambiato la sua ragion d’essere: dal tormento all’emozione.
 
E Shiemi, dopo un numero considerevole di minuti di silenzio, cullata dal battito del cuore del ragazzo, aveva ridacchiato. «Forse, l’azzurro del principe è un po’ diverso, ma alla fine è perfetto così.»
Rin sorrise a sua volta, contento. Quel giorno era diventato meraviglioso perché, in quel momento, tutto ciò che non fosse quel giardino illuminato di blu o Shiemi era scomparso. La sua mente non aveva più spazio per quella fastidiosa vocina.
 
Il figlio dell’angelo caduto era divenuto il custode – principe, aveva detto lei – del giardino dell’Eden.
[1837 words]









 

 
Bonus:
Shiemi prese a tormentarsi le dita, tornando seduta davanti al ragazzo. «Uhm… Rin, ora… ora siamo fidanzati?» chiese, imbarazzatissima, senza guardarlo.
Lui assunse il suo stesso atteggiamento. «Sì, credo funzioni così.» disse.
«E che cosa cambia?»
«… Nulla, credo. Solo che ora, se io sono il principe, tu sei la principessa e allora siamo solo nostri…». Anche se il discorso di Rin non aveva né capo né coda, entrambi lo diedero per buono.
 
Shura si trattenne dal ridere, mentre Yukio non sapeva affatto che cosa dire.
«Okumura, io te l'avevo detto che si amavano.»
Yukio le sventolò una mano davanti alla faccia, come a farle segno di tacere, e si mise una mano a coprirsi il volto.
«Non dimentichi qualcosa, eh?»
Rassegnato, Yukio estrasse la bellezza di duemilacinquecento yen e li consegnò in mano alla donna, lagnandosi di aver perso in modo tanto banale.
«Oh, ma ‘sta zitto.» fece lei, attirandolo nel suo abbraccio. «Sii felice per quella testa calda. E pensa a qualcosa per quando capirà che suo fratello l’ha superato anche in fatto di donne.». Detto questo, gli scoccò un bel bacio sulla guancia. 
[186 extra words]








 


Angolino autrice:
Ma buona sera, Madame e Messeri! Eccomi tornata ad approdare sulle sponde di questo fandom con una nuovissima Rin/Shiemi. Perchè no, non ce n'è mai abbastanza ù.ù
Beh, che dire? Un sentitissimo grazie a MaryLinely che mi ha fornito il succulento prompt "Corona di fiori", da cui poi è nata questa shot. Se vi fa schifo, sporcate di pomodoro anche lei, grazie.
Spero mi lascerete i vostri pareri, sempre ben accetti, elogi ma quando mai e critiche che siano. 

Buon proseguimento e a presto!
Tata

 
   
 
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