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Autore: TheGreedyFox    20/12/2015    4 recensioni
Seguito di “Regalo di Compleanno”.
Le feste di Natale, si sa, sono sempre una ricorrenza un po’ speciale. Se poi si sta progettando di passarle con l’amore della propria vita sotto il caldo sole australiano ecco che il termine “speciale” calza veramente a pennello.
E se non fosse per una scontata, ma non per questo meno demoralizzante, assenza di neve, continue telefonate da parte di amici e familiari che riportano la mente a casa ed una spinosa situazione irrisolta che rischia di buttare un’ombra di malinconia sulla straripante felicità sua e di Arthur, Merlin potrebbe tranquillamente affermare di star vivendo un periodo assolutamente perfetto. O quasi. Perché a tormentarlo c’è naturalmente la questione del regalo... Cosa regalare ad Arthur per il loro primo Natale insieme? Come essere sicuri di non venir surclassati come al solito dalle sue travolgenti sorprese? Riuscirà il nostro Merlin nell’impresa? E Arthur cosa farà? Resterà a guardare?
Scopritelo in questa piccola avventura natalizia! Buone feste a tutti!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Galvano, Merlino, Morgana, Principe Artù, Will | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'You Take My Heart By Surprise'
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Scopri com'è iniziata la storia di Merlin e Arthur in "Regalo di Compleanno".


Questa storia fa parte della serie "You Take My Heart by Surprise".



Regalo di Natale (Carols by Candlelight)

 

 


Terzo capitolo! Grazie di cuore a coloro che mi hanno lasciato un pensiero e un'opinione su quanto scritto finora e anche a chi sta solo seguendo le avventure australiane di Merlin e Arthur. Con questa fanfiction sto facendo qualcosa che, conoscendomi, non avrei mai pensato di riuscire a fare: pubblicare una storia in corso d'opera, e cioè senza aver finito di scriverla, ed il vostro affettuoso sostegno mi sta dando la carica per proseguire!

Il Natale dei nostri ragazzi si avvicina! Buona lettura!

Enjoy!

Sofy

 

Cinque Giorni a Natale

Merlin si lascia cadere a peso morto sul letto e si porta esasperato le mani ai capelli. Chiude per un attimo gli occhi, scoraggiato, poi li riapre e rimane fermo lì a fissare il soffitto, la mente che continua a sbuffare pensieri come una piccola, lanciatissima locomotiva.

Cosa diavolo si era inventato quel benedetto ragazzo quella volta?

Erano ormai passati diversi giorni (cinque per la precisione... Ma chi li contava?) da quel mattino sulla spiaggia. Il mattino dell’incontro virtuale con Uther, della telefonata con Gwaine e della conversazione avuta con Arthur dopo la loro nuotata, quella in cui Merlin aveva potuto accertare con sicurezza che Arthur stesse davvero architettando un piano segreto per Natale, un piano che lui doveva scoprire a tutti i costi se non voleva rischiare di sfigurare come suo solito.

A dir la verità, per ben quasi mezza giornata, Merlin aveva cercato di convincersi di non avere davvero bisogno di scoprire cosa stesse organizzando Arthur per preparare una bella sorpresa a sua volta, insomma, Gwaine l’aveva messo in guardia e lui si sarebbe fatto trovare pronto, non c’era davvero bisogno di mettere in campo le sue doti da detective per scoprire quale bislacca idea stesse partorendo la bella testolina bionda del suo fidanzato.

Però...

Sì... C’era sempre quel “però” che non riusciva a farlo rilassare.

E se Arthur, data l’occasione, avesse dato fondo a tutta la sua inventiva?

E se Merlin, restando all’oscuro di tutto, non fosse stato in grado di eguagliarlo?

E se Arthur, pur fingendo il contrario, ci fosse rimasto male?

Per una volta voleva essere lui a fare le cose per bene. Voleva essere lui a sorprenderlo, a renderlo felice, a lasciarlo senza parole. E se per farlo avrebbe dovuto tradire la sua fiducia, rovistare fra la sua roba e spiare i suoi movimenti neanche fosse uno stalker di professione beh... L’avrebbe fatto. Del resto che il fine giustificava i mezzi ormai lo sapevano anche ai bambini.

Solo che c’era un piccolo problema: la sua, ehm... Ricerca... Non stava andando affatto bene.

Merlin non aveva idea se Arthur avesse subodorato qualcosa, se Gwaine alla fine se la fosse cantata o se, semplicemente, lui non fosse un detective poi così bravo come invece aveva sempre creduto... Sta di fatto che in cinque giorni non era riuscito a scoprire un bel niente. Non aveva trovato scontrini rivelatori in giro, non aveva scoperto pacchi sospetti nell’armadio, Arthur non aveva praticamente mai usato il telefono se non per chiacchierare con Lance, Gwaine, (incredibile a dirsi) Will, o Morgana e la cronologia del portatile non riportava sospette transazioni online...

Le cose erano due: o aveva cancellato ogni traccia dei suoi movimenti manco fosse una spia russa oppure Arthur non aveva ancora iniziato nessun preparativo. Se quello era il caso, la cosa rendeva Merlin estremamente nervoso: un Arthur che pianificava poco era forse peggio di un Arthur che si metteva in moto con settimane d’anticipo, perché di solito una pianificazione breve stava a significare che Arthur avesse trovato un’idea allo stesso tempo semplice e geniale, qualcosa contro la quale lui non avrebbe avuto nessuna chance.

 

Sentendosi stranamente agitato e sempre più a terra, Merlin si gira sullo stomaco e mette entrambe le mani sotto il mento, uno sospiro scontento che gli scappa dalle labbra.

Poi, come guidato da una forza superiore, lo sguardo gli cade sul comodino di Arthur e più precisamente sul cassetto che contiene tutta la sua biancheria.

L’unico possibile nascondiglio di tutto il bungalow in cui fino ad allora si è testardamente imposto di non frugare.

Primo perché Arthur non avrebbe mai potuto essere così sconsiderato per due volte di fila e poi perché il commento derisorio di Gwaine sul fatto di iniziare la ricerca proprio da lì ancora gli brucia e Merlin ha perciò deciso di non dare soddisfazione a quello sciocco.

Però...

Ancora un “però”, accidenti.

Merlin stava decisamente iniziando ad odiarla quella parola.

 

Si tira su con un sospiro svogliato, stizzito dal dover assecondare quel dubbio improvviso.

Si siede sul bordo del letto, tendendo bene l’orecchio al possibile click della porta d’ingresso nel caso Arthur rientri all’improvviso.

Poi allunga una mano verso il cassetto, l’apre con gesto deciso, vi infila la mano e inizia a scostare delicatamente i costumi e la biancheria di Arthur, stando bene attento a non lasciare l’impressione che delle dita curiose si siano effettivamente avventurate lì dentro.

Poi, dal nulla, la sua mano tocca qualcosa, un involucro di carta, e Merlin sente partigli dallo stomaco una forte sensazione di déjà-vu. Chiude gli occhi un secondo, maledicendo contemporaneamente la prevedibilità di Arthur, lo stupido senso dell’umorismo di Gwaine e la propria, cieca testardaggine.

Non poteva essere. Non poteva proprio essere. Non di nuovo.

Ed invece eccola lì, una busta nascosta nel cassetto di Arthur, una busta contenente quelli che sembravano un paio di biglietti. Per cosa, Merlin non avrebbe davvero saputo immaginarlo.

Forse la prossima tappa del loro viaggio? Poteva essere così semplice?

Conoscendo Arthur probabilmente no.

Con curiosa trepidazione Merlin apre piano la busta e ne estrae il misterioso contenuto, e non fa in tempo a buttare un occhio sulle parole impresse sui biglietti che un’ondata di affetto, di sorpresa e di profondo scoramento non va ad acciambellarsi comodamente intorno al suo cuore.

Sì perché Arthur (accidenti, accidenti a lui) aveva come al solito trovato il regalo perfetto.

E lui era irrimediabilmente fregato.

 

 

Una settimana prima

 

- Arthur! Ti muovi? Facciamo tardi! –

Merlin si mette in tasca il portafoglio, prende le chiavi del bungalow dal tavolino accanto alla porta e rimane lì, fermo al centro della stanza, ad aspettare che quel vanesio del suo ragazzo finisca di rimirare la sua immagine nello specchio del bagno.

In tutti quegli anni di convivenza Merlin è diventato un maestro della pianificazione e riesce a prepararsi con accurata efficienza nel giro di cinque minuti. La sua, più che una vera inclinazione alla rapidità, va considerata più che altro una questione di sopravvivenza, un’abilità necessaria che ha dovuto affinare nel tempo per non rischiare alcune mattine di dover uscire di casa ancora con i capelli sconvolti e senza essere riuscito a fare una doccia.

Sì perché la verità è che quando Arthur entra in bagno per prepararsi non si sa mai davvero quando ne uscirà.

Se poi si pensa che il loro vecchio appartamento di bagni ne ha due allora la capacità di Arthur di occuparli entrambi inizia a sconfinare nel soprannaturale.

- Guarda che ti lascio qui! Non scherzo! – Lo minaccia Merlin, anche se sa di suonare infinitamente poco credibile persino alle sue stesse orecchie.

- La perfezione richiede tempo Merlin. Quando lo capirai sarà sempre troppo tardi. – Gli risponde Arthur uscendo dal bagno, un tono pigro ed accondiscendente nella voce.

Merlin si gira verso di lui per rispondergli per le rime ma le parole gli muoiono in gola.

Arthur è lì, a pochi passi da lui, che sembra appena uscito dalle pagine di una rivista: i jeans chiari che gli ha regalato Morgana lo scorso anno per Natale che si incollano come un guanto alla sua figura e che davvero, davvero, dovrebbero essere dichiarati illegali in almeno un paio di stati, una polo blu scuro che fa sembrare le sue spalle ancora più salde e imponenti e quei suoi dannati capelli così biondi e lucidi, ora perfettamente acconciati, che fanno improvvisamente venire a Merlin la voglia di passarci le mani solo per scompigliarglieli, solo per il gusto di metterli in disordine.

Questo è un altro motivo per il quale Merlin cerca sempre di prepararsi in tempo: perché quando Arthur esce dal bagno con quell’aria tutta linda e profumata, può capitare che a volte Merlin non abbia più voglia di uscire affatto, e cerchi di convincere Arthur a fare altrettanto, e una cosa tira l’altra finiscono entrambi per essere di nuovo in disordine. E in ritardo.

- Cos’è – gli chiede un Arthur particolarmente divertito e soddisfatto – il gatto ti ha mangiato la lingua Merlin? Ora non strepiti più? –

- Ora non ce n’è bisogno. Sei qui. – Gli dice, la voce piatta e priva d’espressione, mentre cerca internamente di redarguirsi e di intimarsi di non coprire la distanza che lo separa da Arthur e zittire con un bacio quella sua bella bocca impertinente.

Perché sarebbe come dargliela vinta ed Arthur al momento non ha davvero bisogno di un’altra iniezione di fiducia in se stesso. È già troppo contento di sé così com’è.

Fa per girarsi allora verso la porta con un: - Andiamo forza, che voglio fermarmi a comprare una bottiglia di vino lungo la strada – quando la mano di Arthur si chiude intorno al suo polso, calda e sicura e così familiare.

- Non vuoi neanche darmi un bacio prima di uscire? – Gli chiede lui, quasi mettendo il muso – Non credo che avrai più occasione di farlo per le prossime ore. Per quanto Mick e Alice siano gentili e di ampie vedute, e siano stati carini ad invitarci a cena, sono sempre due vecchietti a modo e non credo che apprezzerebbero se ci mettessimo a sbaciucchiarci nel loro salotto. –

- Posso stare qualche ora senza baciarti Arthur – risponde Merlin, fingendosi totalmente disinteressato alla cosa, giusto per il gusto di vederlo arruffare le penne.

Arthur però non si indigna, non protesta, non gli tira neanche una gomitata nelle costole per scherzo come invece lui si sarebbe aspettato. Stringe solo un po’ più forte la mano intorno al suo polso, copre rapido l’ultimo passo che lo separa da lui e gli risponde ad un soffio dalle sue labbra: - Beh, io no. – Ed il cuore di Merlin perde un battito nel sentirlo.

Perché Arthur naturalmente ha ragione e nel momento stesso in cui la sua bocca si posa sulla sua Merlin si chiede come abbia potuto pensare di sopravvivere all’intera serata senza sentirlo così vicino, senza trattenere sulle labbra il ricordo del suo sapore o la sensazione di quelle mani forti, grandi, che gli si stringono alla vita.

Baciare Arthur per lui è sempre un’esperienza nuova, sempre così viva, così stordente, così totalmente appagante che lui sente di averne bisogno più del cibo, più dell’aria, e sarebbe davvero un terribile cliché se non fosse anche così vero.

E quindi Merlin si arrende, perché, sinceramente, che altro potrebbe fare? Stringendo ancora il mazzo di chiavi in mano si abbandona al bacio e ad Arthur, e porta le braccia alle sue spalle per stringersi a lui, senza più pensare al tempo e al ritardo o a nient’altro per quanto lo riguarda.

Quando una sua mano va a giocare con le corte ciocche bionde che coprono la nuca di Arthur questi si discosta un po’ da lui e con tono allarmato gli dice: - Merlin attento! I capelli! –

Merlin si allontana di poco anche lui, confuso, poi però gli basta uno sguardo al sorriso ghignante di Arthur per rispondergli: - Ma piantala! – E mettergli poi una mano davanti alla faccia, spingendolo via.

Infine si gira verso la porta e riesce finalmente ad uscire di casa, la risata di Arthur alle sue spalle morbida come una carezza che gli arriva dritta dritta al cuore.

 

Merlin e Arthur si trovano seduti e a loro agio, con un bicchiere di limonata in mano, sul divano di Mick e Alice, i due vecchietti che hanno affittato loro il bungalow e che dal loro arrivo si sono comportati con loro come una coppia di premurose mamme chiocce (anche se Alice è un’elegante e sofisticata signora e Mick è un australiano alto quasi un metro e novanta, con un abbronzatura da surfista, ancora piacente per la sua età e con l’atteggiamento di uno di quegli eroi da film western), ricoprendoli di carinerie e inviti a cena e scorte su scorte di cibo.

I due non hanno battuto ciglio quando Arthur appena arrivati ha detto loro senza mezzi termini che lui e Merlin stavano insieme, anzi, Alice si era detta commossa dalla loro storia e Mick aveva dimostrato un certo rispetto verso Arthur quando questi gli aveva raccontato di aver praticamente rinunciato ad un’eredità milionaria per poter partire per quell’avventura.

Perché era così che si sarebbe comportato un vero uomo, aveva asserito Mick, soddisfatto.

La cena, manco a dirlo, era stata squisita ed ora stavano chiacchierando del più e del meno quando il discorso era caduto sulle particolarità del Natale australiano e quanto potesse essere destabilizzante per chi, come loro, veniva dall’Inghilterra.

- La cosa più strana è sicuramente il caldo – Dice Merlin - Insomma, per chi è abituato in questo periodo a indossare pesanti sciarpe di lana e a passare le serate accoccolato davanti al caminetto a guardare le luci dell’albero è alquanto strano ritrovarsi in costume da bagno, seduto in veranda a pianificare la prossima volta in cui si andrà a fare surf. Bello a suo modo, certamente, ma... Strano. – Conclude, stringendosi nelle spalle.

Arthur allunga una mano verso di lui e gli scompiglia per gioco i capelli, come se Merlin fosse un ragazzino adorabile che avesse appena recitato la sua prima poesia di Natale. Lui gli lascia un’occhiataccia ma Arthur, in alcun modo impressionato, se possibile gli sorride ancora di più.

- Non badate a Merlin – annuncia ai suoi ospiti – per lui Natale significa Inghilterra. Significa casa. Dategli ancora qualche giorno, lasciate che passino le feste e tornerà entusiasta dell’Australia come lo era al nostro arrivo. –

- Io sono entusiasta dell’Australia e non ho niente contro il passare il Natale qui! Non mettermi in bocca cose che non ho detto! È solo che sto avendo qualche problema ad immergermi nell’atmosfera natalizia, tutto qui... –

- Eppure anche qui da noi ci sono delle tradizioni molto belle e coinvolgenti, sai caro? – si inserisce Alice, mentre da brava padrona di casa corre a riempire di nuovo i bicchieri dei due ragazzi. Merlin la guarda grato: la sua limonata è davvero di un altro pianeta.

- Ci puoi scommettere che è così! – Aggiunge Mick, portandosi la birra alla bocca e mimando un piccolo brindisi in omaggio a sua moglie.

Una cosa che Merlin ha adorato subito di quei due è che, nonostante abbiano entrambi chiaramente passato la settantina, sono ancora palesemente innamorati. Alice guarda Mick come se fosse ancora il capitano della squadra di football e Mick scherza e flirta con lei in continuazione, con la sua voce da baritono e gli occhi ammiccanti. Merlin ne è totalmente conquistato.

- E quali? – Chiede Arthur, improvvisamente attento, mentre si tira su a sedere e rivolge ad Alice un sorriso incoraggiante, una silenziosa richiesta a continuare che Alice, naturalmente, accontenta, perché nessuno è esperto nell’arte del conquistare il cuore di una vecchia signora come Arthur, e Merlin, anche se non l’ammetterebbe mai con lui, trova la cosa estremamente adorabile.

- Beh... Ci sarebbe questo evento... “Carols by Candlelight” lo chiamiamo, in cui ci si ritrova insieme nella settimana precedente al Natale, a intonare canti natalizi nei parchi cittadini tenendo in mano delle candele. È una tradizione vecchia almeno settant’anni, nata proprio qui a Melbourne, che nel tempo è diventata una vera istituzione. Ormai si organizzano veri e propri concerti a scopo benefico trasmessi sulla tv nazionale ed è bellissimo quando scende la sera e il parco si riempie di luci e tutti i presenti iniziano a cantare con le celebrità accorse per l’occasione i canti natalizi della propria infanzia. È tutto estremamente magico e romantico... Io e Mick – aggiunge arrossendo – ci siamo dichiarati proprio durante uno di questi eventi, la vigilia di Natale di tanti, tanti anni fa. –

- Il miglior Natale della mia vita – aggiunge Mick, la voce calma e sicura, un’espressione adorante in volto mentre guarda la moglie.

A quel punto Merlin sente la mano di Arthur chiudersi rassicurante intorno alla sua e Merlin, per un secondo, si chiede come potrebbe essere, di lì a quarant’anni, stare seduto in un salotto accanto ad Arthur, a raccontare a qualcuno molto più giovane di lui di come, tanti anni prima, i loro cuori erano diventati uno.

Quella che gli si imprime nella mente è un’immagine così dolce e bella da fargli nascere uno strano groppo in gola, soprattutto perché qualcosa in fondo al suo cuore, una voce che non riesce mai a tacere quando la questione riguarda lui e Arthur, gli dice che potrebbe essere un’immagine concreta, possibile.

Il cuore di Merlin sorride contento a qual pensiero.

 

- Sei silenzioso. Cos’hai? – Gli chiede Arthur, mentre stanno passeggiando lungo la spiaggia per tornare al loro bungalow dopo la cena.

Merlin non gli risponde, si gira solo verso di lui, un sorriso accennato in viso, la mano che cerca la sua.

- E anche stranamente reticente – lo stuzzica Arthur, scrollando piano la mano che lui gli ha appena stretto, cercando di spingerlo a parlare.

- Nulla. Non ho nulla. Pensavo. –

- A cosa? – Gli chiede allora lui, tirandoselo vicino e sussurrandogli la domanda all’orecchio, facendogli il solletico.

Merlin lo spinge via ridendo.

- Se continui così non lo saprai mai! –

Arthur torna serio in un baleno, impostando la voce neanche stesse per leggere le notizie al telegiornale.

- No. Veramente. A che pensavi? –

Merlin fa per aprire la bocca ma la richiude immediatamente, sentendo il coraggio necessario per rispondere alla domanda di Arthur fuggirgli via in un soffio.

Lui e Arthur non hanno mai parlato di futuro. Quasi che il loro avvenire fosse scontato, qualcosa che non valesse neanche la pena menzionare. Ora però, con l’immagine di Mick e Alice ancora davanti agli occhi, Merlin improvvisamente ha voglia di parlarne, vuole sentire Arthur parlare di futuri compleanni e Natali e viaggi e di tanti, tanti anni felici da passare insieme, però non sa come tirare fuori il discorso, perché teme di sembrare sciocco, o smielato, o un po’ tutti e due.

- Merlin ti prego parla! Dimmi qualcosa! – Gli chiede Arthur tra il divertito e l’esasperato – Non può essere nulla di così terribile no? – E si ferma davanti a lui impedendogli di procedere oltre, tutte e due le mani strette nelle sue, la luce della luna a mettere in ombra il suo viso.

Merlin allora alzando gli occhi al cielo in segno di resa e gli dice – Va bene, va bene, parlo! Non ti agitare! Non è nulla di ché... Una cosa stupida in realtà... È solo che riflettevo... Pensavo... Che in fondo tra tanti, tanti anni, anche noi due potremmo essere come loro, sai, ancora innamorati e felici, ancora insieme... e mi stavo chiedendo cosa ne pensassi tu... –

Arthur lo guarda per un secondo senza dir niente, poi fa una strana smorfia con la faccia mentre gli lascia andare una mano e si rimette a camminare accanto a lui, spronandolo a seguirlo.

- Chissà che mi credevo... Sei davvero ridicolo certe volte, sai Merlin? Non deve essere affatto facile vivere dentro la tua testa... –

- Ehi, senti un po’... – comincia a dire Merlin, oltraggiato, ma Arthur non gli dà possibilità di continuare perché gli mette un braccio intorno alle spalle e continuando a camminare lo stringe a sé per poi dirgli: - Come se in questa o in qualunque altra vita tu potessi mai liberarti di me! – E gli dà un bacio su una tempia mentre il cuore di Merlin comincia a fare capriole sotto la luna, ebbro di felicità.

 

 

“Farò in modo che tu abbia la magia”.

Ecco a cosa si riferiva quello stupido quella sera, pensa Merlin stringendo tra le mani i due biglietti per il “Carols by Candlelight” del Natale di quell’anno, che Arthur aveva acquistato probabilmente la mattina successiva la cena con Mick e Alice e che erano rimasti tutto quel tempo sapientemente nascosti tra i suoi boxer.

O forse, come al solito, lo stupido era lui per non esser riuscito a guardare più in là del suo naso.

Portandosi i biglietti al petto Merlin si lascia cadere di nuovo sul letto, sbuffando nuovamente ma per un motivo totalmente diverso stavolta.

Cosa mai poteva competere con una notte magica passata sotto le stelle e la promessa di un futuro insieme?

Molto poco.

Nulla a dir la verità.

Le sue possibilità di uguagliare il regalo di Arthur scendevano precipitosamente vicino allo zero. Avrebbe dovuto davvero farsi venire al più presto un’idea o sarebbero stati guai.

 

 

Con il passare delle giornata l’umore di Merlin non resta tetro a lungo. Ha passato parte della mattinata per le vie di Melbourne cercando di trovare il regalo perfetto per Arthur ed anche se non ha ancora acquistato niente, gli sono venute almeno una o due idee decenti, nulla in grado di far sentire Arthur come se fosse atterrato direttamente sulla luna ma abbastanza da rendere chiaro che lui almeno aveva tentato.

La verità è che si sente troppo bene per continuare ad arrovellarsi su quella questione.

La scoperta del regalo di Arthur gli ha come lasciato uno strascico d’estate nel cuore, una sensazione calda e persistente, che si insinua nei momenti meno opportuni anche nei suoi pensieri, facendolo sorridere come uno sciocco senza un vero motivo.

- Cosa c’è di tanto divertente? – Gli chiede infatti Arthur, steso accanto a lui sulla sabbia mentre sono ambedue intenti a prendere il sole, probabilmente incuriosito dalla sua espressione imbambolata mentre avrebbe invece dovuto essere impegnato in una chattata via cellulare con Morgana.

Merlin, riscuotendosi improvvisamente dai suoi sogni ad occhi aperti, stacca gli occhi dal cellulare, gira finalmente il viso verso di lui, si stringe nelle spalle e gli risponde un intelligentissimo: - Niente. –

Arthur lo guarda come se di intelligente quella risposta non avesse proprio nulla.

- Mi sembrava avessimo appurato che come risposta “Niente” non è accettabile in nessun caso, Merlin... O devo rammentarti cos’è successo l’ultima volta che hai tentato di fare il vago con me? –

Merlin ha la buona grazia di arrossire fino alla punta delle orecchie, perché no, probabilmente non avrebbe potuto dimenticare quella notte neanche volendolo, ma non era quello il punto, il punto era che, anche se si sentiva terribilmente arrendevole nei confronti di Arthur ed era tutto il giorno che si sentiva tutto strano quando lui chiamava il suo nome, lasciare Arthur a crogiolarsi nella propria tracotanza non era mai una buona idea. Quindi gli risponde dispettoso: - Vorresti dire che se mi chiedessero per esempio cosa cambieresti nel tuo ragazzo non sarei tecnicamente autorizzato a rispondere “Niente”? Insomma, sarei dispensato dal cercare di salvarti la faccia e lasciato libero di dire la mia. A scegliere tra i tuoi tanti, ma davvero tanti, difetti... Come in una specie di legge non scritta? È questo che vuoi dire Arthur? –

E gli fa un sorriso furbo, uno di quelli che di solito Arthur cerca in un modo o nell’altro di cancellargli dalla faccia, il più delle volte con qualche frase impertinente o con un bacio.

Arthur alza un sopracciglio indignato, così tanto che Merlin ha paura di vederlo arrivare a sfiorare l’attaccatura dei capelli, poi la sua espressione si trasforma in un ghigno malefico e Merlin non fa in tempo a sospettare cosa sta per capitargli che si ritrova un Arthur molto offeso e molto determinato a fargliela pagare addosso, sdraiato sopra di lui, ad ingabbiarlo tra le sue forti braccia, impedendogli ogni via di fuga.

Sì, certo, come se Merlin volesse trovarsi da qualunque altra parte.

- Stavi dicendo, Merlin? – Chiede Arthur – Sono davvero curioso di sentire come continua il tuo discorso... Stavamo parlando dei miei tanti difetti... Perché non mi illustri la tua opinione in proposito? – E quasi per incitarlo a continuare gli dà un colpetto sul naso col suo.

- Opinione? – Gli dice Merlin, sentendosi improvvisamente a corto di fiato – Ti sbagli. Mai avuto opinioni in vita mia. –

- Ah ecco, volevo ben dire – continua Arthur, sfoggiando il suo solito sorriso arrogante, anche se... A guardarlo bene e così da vicino, quel divertimento che Arthur cerca di infondere nella sua voce e nelle sue azioni non sembra arrivare davvero ad illuminargli gli occhi, che rimangono come un po’ lontani, come se stesse agendo col pilota automatico ma non fosse veramente lì, a tu per tu con lui.

- Cosa c’è? – Gli chiede Merlin, la voce più dolce e seria, senza più nessuna voglia di scherzare.

Arthur fa per aprire la bocca e dalla sua espressione provocatoria già immagina cosa stia per rispondergli, quindi lo anticipa: - E non dire “niente”. Non dire niente solo per rendermi pan per focaccia e farmi arrabbiare. Sono serio. Voglio davvero saperlo. –

Arthur rimane immobile sopra di lui, a fissarlo da così vicino che Merlin si chiede cosa veda davvero, se anche lui si stia concentrando su un particolare del suo volto come lui sta facendo a sua volta, squadrando la piccola ruga perplessa che si forma nello spazio tra le sopracciglia di Arthur come se dovesse imprimersela nella memoria. Merlin non è un fan di quella ruga. Perché quando compare significa che il cuore di Arthur è pesante, in tempesta, anche se lui vuol far credere altrimenti.

Poi Arthur sorride e chiude piano gli occhi, dandogli un altro colpo col naso, stavolta meno giocoso e più tenero, quasi una carezza.

- Sei incredibile – Gli dice, e Merlin, nonostante la preoccupazione, sorride contento a quel commento - Nessuno a questo mondo mi conosce come te. Forse neanche io conosco me stesso quanto mi conosci tu. –

Merlin gli porta le braccia intorno al collo e lo stringe forte per un attimo, sentendo la sua pelle calda che gli scotta contro i palmi, solo per lasciarlo andare il secondo successivo e cercare di nuovo i suoi occhi mentre gli dice sorridendo: - Ho passato tutta la vita a guardarti Arthur. Come potrebbe essere altrimenti? –

Arthur si lascia scappare uno sbuffo divertito, poi lascia cadere la testa in avanti, una ciocca di capelli che va a sfiorare la pelle di Merlin, facendola rabbrividire.

- Penso che si sia arreso sai? – Gli dice poi, piano, quasi in un sussurro.

Merlin trattiene per un attimo il respiro, poi gli chiede: - Chi? Tuo padre? In che senso arreso? - Perché in realtà potrebbe essere una buona cosa se finalmente il padre di Arthur avesse abbandonato le sue posizioni e non capisce perché Arthur dovrebbe soffrire per questo.

- Non nel senso che ha accettato la mia decisione... Che mi abbia “perdonato”, se vogliamo usare questo termine. Penso che si sia arreso nel senso che ha gettato la spugna Merlin, che abbia rinunciato a me. –

- Cosa te lo fa pensare? – Gli chiede Merlin, salendo con una mano ad accarezzargli piano i capelli, per consolarlo o spingerlo a continuare, non lo sa bene neanche lui.

- Da quando... – Comincia a dire Arthur prima che gli si pezzi un po’ la voce – da quando c’è stata quella videochiamata, da quando ci ha voltato le spalle come se non contassimo nulla per lui, non mi è più arrivato neanche un suo messaggio. Sai quegli odiosi messaggi sull’ufficio che mi ero convinto di odiare? Non ne è arrivato più neanche uno. E pensa un po’? Non la sto prendendo bene come vorrei... –

Arthur prende un gran respiro, come se si apprestasse a fare una confessione troppo grande per lui, poi continua – Forse, per tutto questo tempo, una parte di me ha continuato a credere che finché quei messaggi fossero continuati ad arrivare forse voleva significare che papà stava cercando di comunicare con me, in un modo ipercritico ed autoritario, come suo solito, ma che stesse cercando un dialogo, e che nel momento in cui io mi fossi deciso a rispondere a mia volta, forse avremmo una possibilità di... Sai... Appianare le cose... Però a quanto pare mi sono sbagliato. Penso di averlo deluso una volta per tutte Merlin. E so che non è giusto e che non dovrebbe importarmene... Però... M’importa. M’importa e non sai quanto questo mi faccia arrabbiare... –

Conclude stringendo un pugno sulla sabbia, un po’ di granelli dorati che vanno a sporcargli le guance.

Merlin stringe un po’ di più le dita tra i suoi capelli, cercando disperatamente qualcosa da dire per far si ché smetta di soffrire così.

- È normale che t’importi Arthur. È tuo padre. Sarebbe strano il contrario. –

- Bel padre davvero... –

- Non dire così! Uther ti vuole bene, lo sai. Anzi, forse le cose tra voi sono arrivate a questo punto perché te ne vuole troppo. Ti adora. –

- Bel modo di dimostrarlo. – Risponde Arthur, sarcastico, amareggiato.

- Dagli tempo. Vedrai che capirà. –

Arthur finalmente rialza il viso verso di lui, gli occhi appena più luminosi di come erano stati pochi minuti prima, come se l’essersi sfogato avesse spalmato un balsamo sulle sue ferite.

- Certo che gli darò tempo. Gli darò tutto il tempo che vuole. Del resto, che altro potrei fare? – Gli chiede con un mesto sorriso, prima di chinarsi a baciarlo di nuovo.

Già”, pensa Merlin, “che altro potresti fare?” E mentre risponde piano al suo bacio le parole di Gwaine tornano ad affacciarsi nei suoi pensieri.

Forse qualcuno dovrebbe far ragionare Uther”.

Sì, pensa Merlin, forse qualcuno avrebbe davvero dovuto tentare. Non importava quanto la cosa lo terrorizzasse e avesse il potere di paralizzargli il respiro in gola.

Arthur non poteva andare avanti così.

Qualcuno avrebbe davvero dovuto fare qualcosa.

E quel qualcuno, naturalmente, sarebbe stato lui.

 

 

Merlin prende in mano il cellulare mentre un vago senso di nausea va ad infilarglisi in un punto imprecisato tra il battito del cuore ed il suo respiro e una mezza idea di abbandonare tutta la faccenda si fa strada a sgomitate nel suo cervello, diretta proprio lì dove si addensano le sue peggiori paure.

E se con quel gesto avesse finito per fare più male che bene?

E se Arthur non avesse apprezzato la sua intromissione?

L’idea di riparlare con Uther a così tanti mesi di distanza lo paralizza, soprattutto perché la sua ultima conversazione col padre di Arthur risale ad ancor prima che Arthur decidesse di partire con lui.

Il giorno successivo alla grande sorpresa Merlin era stato davvero troppo felice per indugiare in pensieri sul padre del suo nuovo ragazzo e poi non c’era più stato tempo per chiarire, tempo per spiegare... Sei mesi prima era salito sull’aereo che li avrebbe portati in America senza troppi rimpianti, convinto che le cose si sarebbero sistemate da sole.

Uther invece aveva continuato a minacciare per un intero giorno di tagliare fuori Arthur dall’eredità, aveva minacciato di licenziarlo, aveva minacciato di tagliargli i viveri (beh, quella promessa l’aveva mantenuta: tutte le carte di credito collegate ai soldi della sua famiglia erano state annullate ancor prima che mettessero piede sul suolo americano), poi aveva smesso di minacciare e si era chiuso in un regale silenzio, la sua dignità offesa davanti al rifiuto del figlio di seguire la sua volontà.

E Merlin sospetta che in fondo al cuore Uther dia a lui tutta la colpa.

Ma questo non può fermarlo. Non importa quali epiteti il padre di Arthur gli lancerà addosso.

Arthur viene prima di tutto. Sicuramente prima del suo orgoglio.

Senza stare a pensarci ulteriormente, e prima di perdere totalmente il coraggio, Merlin fa partire la chiamata, pregando silenziosamente dentro di sé che Uther risponda, che non sia così cieco nella sua rabbia da voltare le spalle al suo tentativo.

Sorprendentemente, la voce di Uther arriva chiara al suo orecchio dopo neanche uno squillo, come se fosse stato praticamente attaccato al telefono. Beh, visto il lavoro che fa probabilmente la cosa non è neanche tanto strana.

- Pronto – dice Uther, il tono rigido e riservato, freddo, sulle sue.

- Mr. Pendragon, salve, sono io, Merlin – aggiunge alla fine, sentendosi un po’ sciocco nel precisare il suo nome, (anche perché Uther conosce benissimo il suo numero) ma sentendo di aver bisogno di guadagnare qualche secondo per racimolare le idee.

Forse chiamare così d’impulso non è stata una grande idea.

Era stato così concentrato sull’opportunità di fare quella telefonata che non si era preparato nessun discorso e, purtroppo per lui, l’improvvisare davanti a Uther non era mai stato il suo forte, in qualche modo era sempre finito con l’impappinarsi, come quella volta che lui e Arthur (avranno avuto più o meno nove anni) avevano rotto con una palla da baseball il fanale della limousine di famiglia e sotto quegli occhi gelidi che chiedevano spiegazioni Merlin non era riuscito ad inventarsi nulla di meglio di una storia assurda che coinvolgeva uno scoiattolo dispettoso, Morgana e gli alieni. In quest’ordine.

Uther Pendragon, del tutto ignaro dell’attacco di panico a cui Merlin stava rischiando di soccombere, rispose con quella sua voce arrogante, così simile a quella del figlio: - Certo che ce ne vuole di faccia tosta nel chiamarmi così, dopo sei mesi di silenzio. Dopo che te ne sei partito con mio figlio senza neanche una parola. Quando ho visto il nome sul display del cellulare non ci volevo credere. Anche se comunque c’è sempre stata una vena d’insolenza in te Merlin, forse, tutto considerato, non dovrei essere così sorpreso.

- Mr. Pendragon... – Cerca di replicare Merlin ma Uther è più lesto di lui.

- E chiamami Uther, idiota che non sei altro! – Lo interrompe il padre di Arthur - O forse vuoi farmi credere che tutti gli anni che hai trascorso in casa mia, a farmi venire i capelli bianchi insieme ad Arthur e Morgana, sono stati solo un parto della mia immaginazione? Non mi chiami più Mr. Pendragon da quando avevi dodici anni, ragazzo, quando mi hai detto che ormai tu eri abbastanza grande e noi ci conoscevamo abbastanza bene da far cadere i formalismi. Tze! I formalismi! Mi dici quale ragazzo dodicenne parla così? Sei sempre stato strano, su questo non c’è che dire. Forza, non farmi sentire come se fossi improvvisamente un estraneo. Non sono io quello in torto qui. –

Merlin rimane ammutolito davanti a quella tirata. È forse il discorso più lungo che Uther abbia mai fatto con lui da quando lo conosce. Inoltre il padre di Arthur non sembra esattamente ostile... Sorpreso certo, ancora arrabbiato, può darsi, ma non ostile, almeno non quanto Merlin si era aspettato.

Cerca di scrollarsi di dosso lo stupore il più velocemente possibile e tiene ferma la voce più che può nel dirgli: - Ok... Uther... Ho chiamato perché dobbiamo parlare di Arthur. –

- Che è successo? È nei guai? Gli è accaduto qualcosa? - E l’allarme che Merlin sente nella sua voce va a pungergli il cuore.

- No, no, niente del genere – si affretta a spiegare, maledicendosi per trovare le parole. Poi prende un bel respiro e riprende in un soffio - È solo che... Questa cosa tra voi... –

- Questa cosa tra noi non è affar tuo Merlin. È una questione tra Arthur e me. – Il tono di Uther cambia nel giro di poche parole, fino a diventare tagliente come una lama, freddo come l’acciaio.

- E qui si sbaglia! Mi riguarda eccome! Mi riguarda perché io sto insieme a suo figlio, mi riguarda perché io sono forse la causa di questo vostro litigio, perché lui è partito con me, è venuto fin quaggiù per far felice me, e sinceramente non so quanto a lungo potrò ancora sopportare di vederlo logorarsi perché suo padre, che avrebbe dovuto stargli accanto in un momento così importante della sua vita è troppo cieco e troppo orgoglioso per vedere quanto la sua testardaggine ed il suo rifiuto lo stiano ferendo, quanto lo stiano allontanando da lui. È questo che vuole davvero? La sua voglia di punire Arthur per aver scelto me è più forte dell’affetto che so con certezza prova per lui? –

Tutta la rabbia trattenuta in quei sei mesi, tutta la tristezza e la preoccupazione per Arthur, alla fine sembrano trovare rifugio in quelle sue parole. Merlin gliele urla praticamente contro, come non aveva mai osato fare in passato e come spera non dovrà fare mai più.

Quando finisce il suo discorso le mani gli tremano ed il cuore sembra rombargli nelle orecchie ma non importa. Non si pente di quello che ha detto. Lo ridirebbe di nuovo, ancora più forte, se fosse necessario.

Quasi non ricorda più di cosa abbia avuto tanta paura. Prendere le difese di Arthur è la cosa più naturale del mondo, perché Arthur merita ogni sua parola e di più.

- Punire? – La voce di Uther si inserisce prepotente tra i suoi pensieri – Cosa ti fa credere che io lo voglia punire? È stato lui a dirti così? –

- L’ha tagliato praticamente fuori dalla sua vita Uther, se questo non è punire non so cos’altro possa esserlo. –

- Io gli sto insegnando cosa significhi essere responsabile. Io gli sto insegnando cosa significhi assumersi le proprie responsabilità, oppure, nel suo caso, non farlo! Non siete degli adolescenti Merlin. Questa vostra “fuga” è una stupidaggine. –

- Una stupidaggine... – Mormora Merlin quasi tra sé – Una stupidaggine, certo... Eppure è una stupidaggine di cui entrambi avevamo bisogno. Perché la nostra vecchia vita si è intromessa tra noi così a lungo Uther che quasi abbiamo rischiato di non trovarci... Di non... Capire... Non sa quanto sono andato vicino a perdere suo figlio, a non capire mai cosa potevamo essere l’uno per l’altro. Arthur è felice qui, Uther, è felice con me. E questo dovrà pur contare qualcosa. –

- Ho sempre saputo che eri innamorato di lui ragazzo, non credere che sia stata una novità per me. E ho sempre saputo che prima o poi Arthur avrebbe finito col ricambiare. Non credere che mi abbia sorpreso nemmeno questo. –

- E allora perché... –

- Perché lui aveva preso un impegno e invece ha lasciato tutto per seguirti in quella tua folle avventura! Non è così che si sta al mondo Merlin. Non è così che sta al mondo un Pendragon, soprattutto non il ragazzo che io ho cresciuto. –

- Lei sa – Gli dice accorato Merlin – Lei sa che tra sei mesi, nel momento in cui scenderemo da quell’aereo, Arthur indosserà di nuovo il suo bel completo, si taglierà i capelli come lei vuole e tornerà a fare il suo dovere senza che lei debba neanche sollevare un sopracciglio. Lei sa che cercherà di recuperare ogni giorno perso, ogni cliente mancato e soprattutto sa che la renderà di nuovo orgoglioso e soprattutto sa che sarà felice di farlo, perché quella è la strada che Arthur vuole per sé, che ha scelto. Perché non può lasciare che si goda quest’ultimo periodo come una meritata vacanza premio, come qualcosa che lei gli ha concesso, invece di tormentarlo con i suoi stupidi messaggi ed il suo stupido rigore? –

- Io voglio solo il bene di mio figlio Merlin. –

- E allora lo faccia, faccia questo passo, perché Arthur pensa di non potere più, pensa che lei abbia ormai buttato la spugna con lui, di averla delusa una volta e per sempre. Lo chiami Uther. La prego. Faccia ad entrambi questo regalo. –

Merlin sente il cuore pesante mentre gli fa quella richiesta, quasi che esprimere ad alta voce quel suo desiderio potesse in qualche modo non farlo avverare.

Uther rimane un secondo in silenzio, poi si schiarisce la voce e con tono sbrigativo, quasi non volesse permettere al suo cuore di sentire, di pensare, risponde: - Non posso prometterti nulla Merlin. Non so se... Io non... Ci penserò, va bene? Posso prometterti che ci penserò. –

- Per ora è abbastanza. – Risponde Merlin, perché non può fare altro, deve farselo bastare.

- Allora ciao. –

- Uther? –

- Sì? –

- Se dovesse decidere di chiamarlo... Potrebbe non far parola di questa nostra telefonata? –

Uther sembra quasi sorridere mentre gli chiede: - E potrei sapere perché? –

- Perché se mai dovesse decidere di fare quel passo penso che per Arthur varrebbe di più se pensasse che sia stata una sua idea. –

Uther si lascia scappare un sospiro che sembra quasi rassegnato: - Lo ami proprio tanto, non è così? –

- Più di ogni altra cosa – e mentre saluta il padre di Arthur con l’animo diviso tra speranza e trepidazione, Merlin pensa che sarebbe davvero il regalo più bello di tutti se Uther decidesse davvero di seguire il suo consiglio, anche se Arthur non venisse mai a sapere il suo ruolo in tutta quella storia.

 

- Forza Babbo Natale - Sospira all’aria intorno a lui – dammi una mano, va bene? –

  
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