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Autore: Atra    22/12/2015    3 recensioni
22 dicembre - compleanno di Seifer Almasy
I pensieri di Seifer appena prima della battaglia fra i
due Garden di Galbadia e Balamb:
"Un tempo mi giudicavano.
[...]
Ora guardatemi".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Seifer Almasy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un tempo mi giudicavano.
Un tempo dicevano che ero diverso, troppo deforme rispetto allo stampo che avevano predisposto per me. Che altri avevano predisposto per me.
Un tempo la mia colpa era aver deciso chi essere, chi accettare se non me stesso.
Un tempo io ero il mio Ego e per questo dicevano che ero pieno di me.
Dicevano che la mia superbia non sarebbe stata la chiave per tutte le porte che avrei potuto aprire, che la mia forza sarebbe stata cieca senza la mente a guidarla, che il mio braccio sarebbe stato un inutile e avventato prolungamento della mia egocentrica personalità, che vivevo perennemente sul mio piedistallo al di sopra della realtà.
Un tempo dicevano che i miei passi di corsa all'inseguimento del mio glorioso destino mi avrebbero portato a fallire ripetutamente, a inciampare continuamente, a cadere inesorabilmente.
Dicevano che avrei sognato all'infinito la mia meta irraggiungibile, la mia gloria intangibile, le mie parole alate.
Un tempo nessuno mi conosceva.
Un tempo nessuno mi ha mai creduto veramente.
Ora guardatemi.

Il Garden di Galbadia si solleva appena sopra le chiome del bosco in cui è rimasto nascosto finora, come un cacciatore che attende silente l'arrivo della preda.
Ed eccola lì la sua preda, ad appena poche centinaia di metri di distanza.
Il Garden di Balamb si sta avvicinando via mare, senza sfiorarne la superficie ma abbastanza vicino da incresparne profondamente le acque, generando onde che scivolano via le une con le altre in un turbinio di schiuma bianca.
Quando il Garden di Galbadia comincia ad avanzare in direzione del mare, la sua aura luminosa attraversa le foglie degli alberi, crepitanti sotto l'aria sollevatasi nello spostamento, e la sua figura emerge improvvisamente dal bosco.
Posso immaginare l'effetto che fa una simile immagine: il rosso sangue del nostro Garden che si staglia minacciosamente contro l'azzurro perfetto del cielo, quasi a indicare che non dovrebbe affatto essere lì, che è tutto uno sbaglio.
Un tempo lo ero anche io, un terribile errore in un mondo che non era abbastanza grande per me.
Il Garden di Balamb ha nel frattempo raggiunto la spiaggia e lì si è fermato, fluttuando appena sopra la linea dell'orizzonte; il suo azzurro lucido invece non è una nota stonata, non contrasta minimamente con il cielo sopra di lui o con il mare alle sue spalle.
Un tempo conoscevo una persona che era perfettamente adatta a quel mondo che invece rigettava me.

Combattere o ritirarsi?
Un tempo mi dicevano che un buon comandante trovava sempre difficile rispondere seccamente a questa domanda: le alternative erano completamente opposte, così come le conseguenze che ne derivavano.
Dal canto mio, l'ho sempre trovato un mare di stronzate.
Un comandante è uno stratega e uno stratega deve saper giocare con la situazione sempre a proprio vantaggio, svelando e celando le proprie carte al momento opportuno, senza esitare.
Un comandante non spreca mai tempo in futili previsioni, inutili accortezze, vane preoccupazioni.
Un comandante sa già qual è la decisione migliore per poter sfruttare al meglio ciò che la situazione gli offre.
Io mi auguro che, chiunque sia, il comandante del Garden di Balamb consideri anche il fatto che la ritirata non sia un'opzione facilmente realizzabile; perlomeno, non con tutti i nostri cannoni pronti ad aprire il fuoco.
Chiunque sia...ho un vago sospetto al riguardo, sospetto che ha un'alta percentuale di vicinanza alla realtà. Ciò renderebbe la situazione alquanto divertente, devo ammetterlo.
Sì, non è divertente il fatto che io stia attaccando quella che fino a pochi mesi fa era, mio malgrado, casa mia?


Dovrei vergognarmene.
Quale ingratitudine, voltare le spalle e andarsene, anzi fuggire precipitosamente senza ringraziare, come un animale che cerca la libertà dal recinto che gliel'ha sempre negata; e poi ricomparire all'improvviso nelle vesti del nemico, fedele a tutt'altro nome, per esigere il pagamento di un debito per cui le scuse non sono più sufficienti.
Sul serio, dovrei vergognarmene; ma io non so cosa sia la vergogna, uno come me non ne ha mai avuto bisogno.
Uno come me ha passato la prima parte della sua vita a sentirsi elencare tutto ciò che non andava nel suo carattere, ma senza cambiare di una virgola. Questa è stata chiamata testardaggine, un tempo. Io preferisco definirla integrità, il che implica qualche differenza.
E' l'integrità di chi rifiuta di cambiare per gli altri, certo che ci sia comunque un posto preparato per lui da qualcuno che non cercherà mai di scavare nel profondo del suo essere per dileguare tutti i fantasmi che lo ossessionano, ma che, al contrario, li alimenterà al punto da renderli vivi e sussurranti dentro di lui, al punto da dargli il potere di diventare chiunque vorrà.
Allora guardate, guardate chi sono diventato.
Un tempo vi riempivate la bocca del mio nome, sputando per terra quando lo pronunciavate, deformando il vostro viso in una smorfia di disprezzo, emettendo il fiato in sospiri rassegnati, scuotendo le teste per dissimulare i pregiudizi, sbattendo i pugni per farmi battere ciglio.
Volete vedere dove sono finiti tutti i vostri pregiudizi, volete vedere i segni che hanno lasciato sulla mia pelle, dentro la mia anima inaccessibile?
Dovete avvicinarvi, cari miei. Dovete venire molto vicino.

Il Garden di Balamb ha un improvviso sussulto prima di scivolare leggermente in avanti, accolto con soddisfazione dal mio sguardo.
A quanto pare non sono l'unico a voler dimostrare qualcosa, oggi.
Cosa devo mettere in mostra, io? Solo me stesso.
E' vero, ho passato tutta la mia vita a mettermi in mostra e l'ho fatto nel modo migliore possibile: eccellendo.
Tuttavia, qualcuno mi ha rubato la scena giocando a fare l'innocente, la vittima, sfruttando il buonismo facile di chi è stato tanto ingenuo da crederci.
Mi sono guadagnato una reputazione praticamente perfetta, alimentata dal sudore della mia fronte e dal clangore incessante del metallo del mio fedele Gunblade, per vederla cadere semplicemente a terra come un drappo o il sipario di un palco, senza nemmeno fare rumore e così vicina al terreno da poter essere calpestata e coperta di sputi, di insulti, di umiliazioni...di rifiuti. Quante bocciature, da allora.
Detesto ripensarci, ma l'ultima è stata la più umiliante, una macchia enorme sul tessuto della mia reputazione.
L'ultima mi ha persino tolto le parole di protesta dalla bocca, ha versato solo veleno nelle mie vene e ha estirpato tutte le mie radici, chiamandomi non più a lottare per la sopravvivenza ma ad andarmene per ciò che mi aspettava.
E ad aspettarmi erano altro sudore, altre lotte, altre notti in bianco a fissare il soffitto, altre imposizioni sul mio Ego smisurato.
Ma alla fine...ecco la mia ricompensa.
Annientare il Garden di Balamb non rappresenta il mio traguardo ultimo, ma la prima tappa per infliggere il colpo di grazia a un passato che non ho mai interiorizzato, che è sempre rimasto distante ed estraneo a me, pur avendolo conosciuto molto bene; ed è proprio per questo sottile quanto fastidioso legame che ora sono qui in piedi al comando dell'esercito di Galbadia, in attesa di dare l'ordine d'attacco.
In attesa di poter infrangere veramente quell' "un tempo" in un "ora" che è sempre più impellente ogni secondo che passa e in cui mi scopro a scrutare la sagoma del Garden davanti a me per cercare di intravedere il viso della figura che si trova sul ponte di comando.

Un tempo io ero sempre fuori posto.
Un tempo lui non era mai dalla parte del torto.
Ora mi viene da ridere nell'assaporare l'ironia di un destino a cui evidentemente piacciono molto le coincidenze.
Questo perché mentre il Garden di Galbadia, scintillante di rosso, sfreccia dritto verso l'obiettivo, del suo immacolato azzurro, le distanze si allentano tanto quanto basta perché io possa distinguere la figura del comandante abbastanza da riconoscerla.
Non è passato molto tempo da quando ci siamo rivisti, comandante Leonhart. Spero che nel frattempo tu non ti sia scordato i passi della danza degli opposti.


Me lo ricordo bene quel giorno. Ogni volta che mi guardo allo specchio, per la precisione.
Ma la sai una cosa, Squall? Io non me ne sono mai pentito una volta e non potrei immaginare un esito diverso da quello che abbiamo effettivamente ottenuto. Eravamo entrambi arrabbiati, entrambi curiosi l'uno dell'altro, entrambi certi di essere il lato giusto dello specchio in cui l'altro diceva di riflettersi.
Ho riflettuto a lungo, Squall. Ho riflettuto dopo il nostro ultimo scontro, in cui hai prevalso tu sul mio furore cieco e ancora incontrollato; ho riflettuto mentre osservavo il tuo corpo in preda alle convulsioni, nella sala delle torture della Prigione del Deserto.
Un tempo credevo di essere io quello dal lato giusto dello specchio, quello che in esso vedeva te, il riflesso di ciò che sarebbe dovuto essere.
Ora non ne sono più convinto e lo sai perché? Perché anche se io e te sembriamo provenire dallo stesso stampo, io sono il lato più oscuro della nostra medaglia; di conseguenza, nello specchio non vedo più la tua immagine perché non è te ciò che dovrei essere. Io non devo più essere te perché sono già me stesso in un mondo che mi vuole così come sono.
Un tempo non sapevo distinguere tra essere e dover essere. Mi dicevano semplicemente di dover essere, come se il passaggio dal primo al secondo fosse univocamente in quel senso.
Ora basta guardarmi per capire che ho trovato la mia strada, che mi dà l'ardire di rinnegare il mio passato persino quando me lo ritrovo davanti.
Specialmente quando me lo ritrovo davanti.

Guardatemi, dunque.
Preside Cid, prof.ssa Trepe, SeeD Shu, Dott. Kadowaki, guardate il ragazzo fallito di un tempo, il SeeD perennemente mancato, la pecora nera del Garden.
E poi tutti voialtri SeeD, gallinaccio, portaordini, damerino...guardate anche voi quanto sia inutile il titolo di cui vi fregiate, quanto vicina sia la gloria, la ricompensa di chi non ha mai rinnegato se stesso per accontentare gli altri.
Chiamatemi traditore, ve lo concedo pure.
Chiamatemi codardo perché sono fuggito, chiamatemi servo perché sono il Cavaliere della Strega, chiamatemi fallito perché non sono un SeeD.
Chiamatemi anche nemico, nella vostra folle ottica di difensori della pace. Il bene o il male per me sono concetti relativi, perché sono rimasto sempre lo stesso egoista che combatte prima per se stesso.
Chiamatemi come volete insomma, ma guardatemi.
Guardatemi e fate i conti con la realizzazione, a vostro discapito, del mio sogno romantico.
   
 
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