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Autore: Ciulla    22/12/2015    3 recensioni
La prima volta che Beerus distrusse un pianeta, aveva nove anni e un cuore puro...
“Non ti sto dicendo che quello che fai non porterà mai nessuna sofferenza, Beerus. Negli occhi in cui oserai guardare leggerai terrore, dolore e disprezzo. Imparerai a conviverci, indosserai una maschera di indifferenza di cui non avrai mai il coraggio di liberarti, per paura di vedere riflesse nel tuo cuore le emozioni negative che hai provocato e da cui cercherai sempre di fuggire.”
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lord Bills, Whis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un maestro per sempre'
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Un giorno nefasto di parecchi milioni di anni fa, sul pianeta chiamato F56 ma conosciuto dai suoi abitanti come Clastone, una folla incuriosita si era riunita intorno ad un esserino viola simile ad un gatto, innocuo all’apparenza.
“Chi è questo micino?” Erano i mormorii che si diffondevano nell’aria ricca di zolfo. “È proprio carino! Cosa ci farà qua, si sarà perso? Forse viene da un altro pianeta.”
“E l’essere azzurro accanto a lui?” Mormorava qualcun altro. “È proprio bello, ma un po’ femminile” ridacchiava qualche giovane ragazza. “Però ci farei un pensierino.”
“Ehm... Ciao!” Il gattino viola sorrise imbarazzato a tutti quei volti curiosi. “Mi chiamo Beerus e ho nove anni, questo è il mio maestro e tutore Whis e ha tantissimissimi anni! È un piacere conoscervi!”
L’essere azzurro che lo accompagnava, con grande incomprensione di tutti, scosse la testa con aria severa ma indulgente. I suoi occhi guizzavano da un alieno all’altro, freddi e indifferenti, ma si illuminarono di un calore affettuoso quando si rivolsero al piccolo che lo accompagnava. “Questo è un esame, Beerus.” Gli ricordò. “Non devi fare amicizia con loro.”
“Ah, già!” Esclamò il gattino. Distogliendo intimorito lo sguardo dal maestro, protese un braccio verso la sua mano blu e la strinse con forza.
Whis rimase perplesso. Era la prima volta che Beerus cercava così esplicitamente un contatto fisico e avvertì chiaramente come tutte le membra del piccolo stessero tremando. Impietosito, si abbassò al suo livello e lo guardò intensamente negli occhi. “Se non sei pronto possiamo rimandare ad un altro giorno, Beerus.”
Il cucciolo, facendosi forza , scosse la testa con decisione. “No... Questo... Devo farlo, no? È compito mio.”
Detto questo si voltò nuovamente verso gli alieni e sorrise amichevolmente. “Ehm... Ciao... Come già detto prima il mio nome è Beerus e... Mi dispiace tanto, ma devo distruggere il vostro pianeta.”
 
“Whis, ma è giusto quello che faccio?”
Era da due giorni che Whis aspettava che il piccolo gatto gli confidasse i suoi dubbi e a quelle parole tirò un sospiro di sollievo. Non era buona cosa che il cucciolo crescesse con delle insicurezze non condivise, ma del resto il maestro non aveva voluto forzarlo a parlare prima per non rovinare il rapporto di fiducia e rispetto che li legava. Era una situazione tutta nuova per entrambi; i precedenti dei della distruzione, ammaliati del potere che gli si offriva davanti, non avevano mai avuto dubbi sulla legalità o meno di quanto stavano facendo e fin da bambini avevano distrutto pianeti con un piacere quasi sadico riflesso nei loro occhi, per i quali Whis aveva provato una sorta di istintiva repulsione.
Gli occhi di Beerus, invece, erano così puri che il maestro aveva aspettato due anni oltre il tempo previsto per sottoporlo all’esame della prima distruzione. Aveva paura di macchiare quello sguardo limpido con il rosso sporco del sangue che si riversa fuori dai corpi trucidati da un’esplosione di tale portata. Sapeva che col tempo anche Beerus sarebbe arrivato, per necessità, a distruggere un’intera civiltà con indifferenza, e aveva cercato di preservarne la purezza il più a lungo possibile. Ma era tempo che entrambi si ricordassero il ruolo a loro dovuto, abbandonando ogni reticenza ed ogni esitazione.
Whis invitò il piccolo ad accomodarsi accanto a sé. “Lo vedi quello?” Chiese sereno, indicando al cucciolo uno dei due soli.
“Sì”, asserì Beerus, fissandolo intensamente e schermandosi gli occhi con una mano. “È un sole. Ci dà luce e ci fa vivere.”
“Sai che fino a tremila anni fa la luce che ci dava era molta di meno?”
Il gattino lo guardò perplesso. “E perché adesso è così forte? Tu puoi alzare e abbassare la luce del sole?” Chiese ingenuamente.
Il suo maestro rise candidamente. “No, cucciolo. Ma quello che c’era tremila anni fa era un sole diverso. Questo l’hanno creato gli dei costruttori apposta per noi, perché l’altro non faceva abbastanza luce. Ma prima di ricrearlo, è stato necessario distruggerlo.”
Sorrise al bambino, che stava incominciando a capire. “Non ti sto dicendo che quello che fai non porterà mai nessuna sofferenza, Beerus. Negli occhi in cui oserai guardare leggerai terrore, dolore e disprezzo. Imparerai a conviverci, indosserai una maschera di indifferenza di cui non avrai mai il coraggio di liberarti, per paura di vedere riflesse nel tuo cuore le emozioni negative che hai provocato e da cui cercherai sempre di fuggire.”
Guardò il piccolo gatto dritto negli occhi, e li vide sbarrati per la paura che le sue parole gli stavano provocando. Mai aveva maledetto il fatto che un tale destino fosse capitato proprio a un cuore puro come il suo, mai come in quel momento. “È la condanna, è il destino di un dio della distruzione. La distruzione è necessaria perché possa avvenire la creazione, per mantenere un equilibrio nel mondo, ma la gente non lo capirà mai, e di vittime volontarie non ce ne saranno. Tu, agli occhi di tutti, apparirai come un mostro senza cuore e senza anima. Ma non dovrai mai guardare al tuo riflesso nei loro occhi, piccolo mio. Ogni volta che ti sentirai giù dovrai guardare al tuo riflesso nei miei. Vedrai un dio capace di portare a termine il proprio ingrato compito senza intoppi, per quanto odiato e sofferto. Vedrai un essere coraggioso e che non si tira indietro davanti alla paura ma la affronta per il bene del mondo. Quello sarai tu. Quello che fai, Beerus, è giusto, anche se lo saprò solo io.”
Voltandosi di nuovo a guardare il sole, il piccolo corrugò la fronte. “Quello nuovo... È più bello di quello vecchio?”
“Si, Beerus” rispose Whis, sperando di aiutarlo a superare i suoi dubbi con delle parole incoraggianti. “Le cose nuove sono sempre più belle di quelle vecchie.”
“Questo non è vero” disse il gattino mettendo il broncio. “Tu sei vecchio, Whis, e sei più bello di tantissime cose nuove che conosco.”
Non sapendo se sentirsi offeso per l’epiteto con cui era stato chiamato o lusingato per il complimento che ne era seguito, Whis sorrise alla candida sincerità del cucciolo e lo strinse tra le braccia, contemplando insieme a lui la luce del sole.
   
 
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