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Autore: Papillon_    24/12/2015    5 recensioni
Kurt sa perfettamente che si sono appena conosciuti e può sembrare una pazzia ma sente una connessione così tangibile con quel ragazzo che ne ha quasi paura, e fa già un po’ male pensare che hanno solo una manciata di ore quella sera.
Ed è strano, forse. O forse, è solo Natale. E a Natale succedono cose che nel resto dell’anno non succedono, e a Kurt piace pensare che in questo ci sia un po’ più di magia per lui.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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È tipo, una cosina minuscula.
Molto più breve degli standard a cui sono abituata – ma si è praticamente scritta da sola, e ho semplicemente obbedito.
Spero possa piacervi, splendori :3 E buon Natale a tutti voi, vi voglio infinitamente bene <3
 
 
Have yourself a merry little Christmas


 
Kurt Hummel si sposta delicatamente un ciuffo di capelli dalla fronte, facendolo scivolare tra le dita e sistemandolo verso l’alto con il resto dell’acconciatura dettagliatamente studiata fino all’ultimo particolare, e guarda fuori.
È - stanco. È giovane, venticinque anni non sono niente, eppure a volte sente il peso delle proprie scelte sulle spalle che gravano su di lui come un macigno, e pensa che forse sarebbe stato facile rimanere vicino alla sua famiglia, cercare un lavoro normale ed appagante, provare a trovare qualcuno di speciale.
Ha scelto di rischiare, invece.
Fuori dalla finestra, si perde ad osservare le minuscole luci che la città di Verona gli offre – un albero proprio al centro di piazza Bra, grande quasi quanto un palazzo, e poi l’Arena a qualche passo dall’ufficio, con davanti la Stella di Natale.
Ha sempre amato questo periodo dell’anno, non ci sono dubbi. Forse però quest’anno – quest’anno c’è un tocco di malinconia colorare il tutto, e per questo Kurt non pensa di poter essere del tutto felice.
Lascia scivolare la penna sulla scrivania, getta l’occhio sulla foto della primavera di tre anni prima; un’istantanea in cui abbraccia suo padre di slancio, mentre il suo fratellastro Finn di lato fa la boccaccia. Gli mancano da morire, come aria da respirare, nel modo in cui solo i tasselli mancanti di una famiglia possono mancare.
È così triste che quest’anno non possa tornare a casa – ma ogni volta che vede gli schizzi dei vestiti che sta disegnando non può fare a meno di pensare che quello lui lo ha voluto, che ha tutto il suo futuro davanti per cui combattere, e ha bisogno di crederci per non cedere.
Chiude gli occhi per un piccolissimo secondo – respira a pieni polmoni. In lontananza, si sente chiaramente il suono ripetitivo di una melodia di Natale.
Forse deve solo imparare ad apprezzare le piccole cose.
 
*
 
Sono le sei e qualche minuto quando si lascia l’ufficio alle spalle; urla a Carla, la sua giovane collega, di aver finito e di passare un buon Natale. Carla è a dir poco meravigliosa, a differenza della loro capa, Monica. Monica è un vero e proprio incubo – ed è anche un po’ per lei che Kurt non è riuscito a tornare a casa per questo Natale, perché – Sei decisamente uno dei nostri migliori stilisti qui, ho bisogno di te sempre. Se passi in America il Natale non posso assicurarti che ritroverai il posto quando tornerai – e nulla, Kurt ha lavorato troppo nella vita per arrivare fino a qui ed è troppo stanco di porte in faccia quindi no. Ha fatto male chiamare suo padre, dirgli al telefono con voce gracchiante che non è riuscito a prendere il biglietto in tempo, che ha un sacco di lavoro, che sarebbe inutile tornare giù per qualche giorno – ha fatto ancora più male perché Finn sta per diventare padre e Kurt ci teneva a vedere la sua faccia, ci teneva davvero.
Si sistema i guanti sulle dita, soffiandoci un po’ di fiato caldo sopra e strofinando poi le mani sulle braccia per sentire meno freddo – non ricorda se in America facesse quel tipo di freddo. A volte non sa se ama Verona – la ama in primavera, quando si riempie di turisti e concerti e l’Adige assume un colore quasi fiabesco; la ama d’estate, quando ogni scusa è buona per rintanarsi in un piccolo bar e prendere un gelato, attraversarne le strade per ammirare le vetrine e alzare un sopracciglio quando passa qualcuno con un vestito improponibile. Non crede di amare l’inverno, però. Pieno di nebbia. La città improvvisamente si svuota, esattamente come un po’ la sua anima. Ma se c’è un periodo che merita tutta la sua ammirazione, è sicuramente quello di Natale – con i banchetti nei giorni di Santa Lucia (ci ha messo settimane intere per capire di cosa si trattasse e non è sicuro di aver ancora capito) e poi beh – gli alberi giganteschi per le strade, gli assaggi di prodotti che non aveva idea esistessero, e il centro che brulica di gente, d’amore, di nuove opportunità.
Schiva per un pelo un autobus, attraversando la strada di fronte alla Granguardia e arrivando finalmente nella piazza principale. È la Vigilia, e forse non si dovrebbe aspettare tutta quella gente – ma in quella città è quasi sempre tutto una sorpresa. E forse proprio perché è la Vigilia di avvicina a un banchetto puntando una piccola frittella – è pur sempre Natale, cenerà da solo, e ha voglia di coccolarsi un po’.
Finisce per prenderne una ricoperta di Nutella, così enorme e piena di zucchero che per un nano secondo si sente vagamente in colpa – poi pensa alla faccia di Monica, al modo in cui si permette ogni giorno di criticare le forme di alcune sue colleghe, e i morsi diventano così piacevoli da farlo stare bene a livello fisico. Un orgasmo culinario, per essere precisi.
Qualche coppia innamorata gli passa a fianco, con sorrisi che nemmeno a farlo apposta si trova ad imitare. Logico, che vorrebbe qualcuno accanto per il giorno di Natale. Ne ha vissuto solo uno in compagnia di qualcuno di speciale – di anni ne aveva diciannove, ed era stato l’inverno del suo primo fidanzatino, quando ancora tutto era incredibilmente semplice. Ricordava il suo nome, ma a volte faticava a ricordare il suo profumo. Si erano persi di vista dopo il college; Kurt gli aveva detto di essere stanco di lavori saltuari e di voler provare a fare il grande passo, e qualche mese dopo aveva fatto domanda per lavorare in prestigiose botique in Italia. Un po’ per caso e un po’ per fortuna era finito a Verona, con la promessa che, se fosse migliorato in fretta, avrebbe potuto puntare anche a Milano.
Si ferma ad osservare una coppia di giovani che si sta facendo un autoscatto esattamente di fronte all’Arena – i loro sorrisi sono quasi accecanti, le loro labbra vicine e le guance rosse non solo per il freddo. Sono belli da vedere. Kurt lo fa spesso, di immaginare di essere al posto di quelle coppie – immaginare di essere felice, di allungare le dita e trovare una mano calda pronta ad accoglierlo.
E non perché è qualcosa che hanno quasi tutti – ma perché è una cosa per cui si sente pronto. Aprire il proprio cuore, amare. Essere accolto e accogliere.
Distoglie lo sguardo in ogni caso, sorridendo leggermente e ricominciando a camminare. Deva pensare a cosa prepararsi per quella sera, poi con molta probabilità guarderà un film di Natale, aspettando la mezzanotte per chiamare suo padre e fare gli auguri alla sua famiglia. Estrae dalla tasca il cellulare per controllare l’ora, quando a qualche metro da lui si rende conto che, su una panchina, una piccola bimba sta letteralmente singhiozzando.
Si guarda attorno allarmato, quasi certo che ci sia qualcuno con lei, ma si sbaglia: la bambina è completamente sola, avvolta da un sacco di strati di vestiti; le guance paffute sono esageratamente rosse per via del pianto, e nessuno sembra fare caso a lei, tutti presi dalla fretta e dalla foga di passare al banchetto successivo.
Kurt deglutisce, avvicinandosi con cautela e sedendosi accanto a lei. Le posa una mano sul cappellino, stando attento a non spaventarla.
“Ehy, piccolina.”, mormora pianissimo. “Perché piangi?”
Gli occhi della bambina sono rotondi e lucidi, di un perfetto verde mare in contrasto ai suoi capelli neri, apparentemente ricci, che spuntano dal cappellino rosa. Tira su con il naso un paio di volte, il labbro inferiore tremolante, mentre racimola le parole giuste.
“P-perché –”, sbuffa, sembrando infinitamente stanca e smarrita, “N-non trovo più il mio Papi.”
Il cuore di Kurt si stringe in una morsa, lasciandolo senza fiato. Non può farci niente quando le si avvicina di scatto, avvolgendo la sua schiena e sorridendole con tutta la delicatezza che conosce.
“Okay.”, sussurra. “Sai cosa facciamo adesso? Andiamo a cercare il tuo Papi. Sono sicuro che non è lontano da qui, e che anche lui è molto preoccupato per te.”
La bambina si lascia scappare un singhiozzo soffocato. “Era – era proprio qui. Non so come abbiamo f-fatto a p-perderci.”
“Sono cose che succedono, la gente va sempre di fretta. Non è colpa tua, e nemmeno del tuo Papi.”, mormora Kurt, azzardando a muovere la mano per sfiorarle il nasino. “Allora, ci vieni con me? Possiamo chiamarla Operazione Papi. O come preferisci.”
La minuscola e dolce risata della bimba sposta qualcosa di denso nello stomaco di Kurt. “Papà dice sempre che non dovrei fidarmi degli sconosciuti.”
“Vero.”, soffia Kurt. “Ma la regola dice qualcosa riguardo agli sconosciuti che hanno due caramelle nella tasca?”, borbotta, porgendogliele entrambe. Gli occhi di lei si illuminano appena, mentre allunga le dita ricoperte dai guanti per afferrarle entrambe.
“O-okay. Grazie gentile signore.”, soffia lei, pulendosi il nasino con la punta dei guanti, insieme al residuo delle lacrime. “Allora mi aiuterà?”
“Certo che ti aiuterò, piccolina.”, mormora Kurt, alzandosi e aiutando la bimba a scendere dalla panchina. “E chiamami Kurt, okay?”
Per qualche ragione, gli occhi della bambina adesso sembrano color dell’ambra. “Hepburn.”
 
Inspiegabilmente, tra lui e Hepburn si crea una sorta di connessione, un filo invisibile che va al di là di ogni piccola cosa Kurt abbia mai conosciuto.
In parte sa che se l’è sempre cavata coi bambini – prima di arrivare in Italia andava spesso a fare il babysitter per racimolare quei soldi che potevano arrotondare ogni tanto, permettendogli di comprare i capi che tanto agognava. Ma non credeva potesse succedere così – che una bambina dal nulla potesse fidarsi di lui, nel bel mezzo di una piazza che brulica di gente.
Kurt capisce che Hepburn ha qualcosa di fragile addosso, che a volte si mescola con una forza che quasi lo spaventa. Si aggrappata alla sua mano saldamente, le lacrime finalmente asciutte nell’angolino dei suoi occhi; e non ha più lasciato andare le sue dita. Kurt si guarda attorno continuamente per cercare di capire se qualcuno possa riconoscerla, ma un occhio cade sempre vigile su di lei, attento che non inciampi, che non ricominci a piangere, che non abbia troppo freddo.
Sono passati quasi venti minuti da quanto l’ha trovata – in qualche modo la temperatura si fa sempre più fredda e Kurt stesso trema, non osa immaginare come possa sentirsi lei. Si ritrova a fermarsi per mordicchiarsi il labbro inferiore, socchiudendo gli occhi per scorgere ogni singolo volto, quando sente un piccolo singhiozzo provenire dalla sua destra.
“Ehy – no.”, soffia, chinandosi immediatamente per posare in modo saldo le mani sui fianchi della piccola Hepburn, che nel frattempo si è coperta il viso con le manine per raccogliere le sue stesse lacrime.
“E’ solo che – f-fa tanto f-freddo.”, dice a sprazzi, i dentini che battono freneticamente e le guance adorabilmente arrossate. “Papi non è da nessuna parte e – s-sono tanto stanca.”
“Shhh, ehy – shhh.”, mormora dolcemente Kurt, avvicinandosi per sistemarle il cappellino meglio sulla fronte e tenendola più vicina, combattendo il desiderio di stringerla forte al suo petto perché – perché è così, naturale, e ha bisogno di darle calore. “Sai cosa facciamo ora? Ti prendo in braccio, così tu sarai più in alto e potrai controllare tutta quanta la città. Vedrai che il tuo papà ti vedrà subito così.”
Le ciglia lunghe che contornano gli occhi nocciola di Hepburn svolazzano come piume leggere. “S-sono un po’ pesante, signor Kurt.”
Kurt ridacchia dolcemente, trascinandosi il corpicino di Hepburn più vicino per poterla prendere in braccio. La vede rannicchiarsi contro di lui con una stretta al cuore; la sistema in modo che il suo piccolo viso sia infossato nell’incavo del suo collo, per tenerla al caldo.
“Ho paura che papà sia tanto arrabbiato.”, confessa Hepburn, gli occhi che combattono per stare aperti e il nasino rosso. “Mi aveva chiesto di aspettarlo vicino alla stella perché voleva fare una foto, io ho visto un bimbo con un palloncino e – volevo vederlo più da v-vicino.”
Un mezzo sorriso sporca le labbra di Kurt. “Tesoro, sono sicuro che – non è arrabbiato.”, mormora. Si rende conto solo ora che Hepburn non ha mai menzionato un secondo genitore, quindi deve essere tutto per suo padre, esattamente come suo padre è sicuramente tutto per lei. “Sono sicuro che è molto preoccupato e ti sta cercando e –”, Kurt fa in tempo a mordersi la lingua. “Ma lo troveremo, promesso.”
La bambina annuisce con fin troppa energia per la sua stanchezza ed il freddo, e Kurt la premia con una minuscola carezza sulla guancia. Se la sistema meglio sul fianco iniziando a camminare, puntando a un banchetto in cui facciano per lo meno qualcosa di caldo per entrambi.
“Come si chiama il tuo papà?”, sussurra pianissimo Kurt. Hepburn esita solo qualche istante.
“Blaine.”, risponde dopo un po’. Uno sbadiglio, poi – “Siamo qui per passare le vacanze invernali qualche mese. Al Papi piace l’Italia.”
“E a te - a te piace?”
“Moltissimo.”, borbotta lei. “Soprattutto la pizza.”
Quello fa ridacchiare Kurt. “Anche a me piace tantissimo.”, soffia. “Però a volte mi manca l’America, il posto da cui vengo.”
“Anch’io e Papi veniamo da lì!”, esclama Hepburn, agitandosi pochissimo. “Il nostro paese si chiama San – San Francsc- San Franci-”, cerca di dire, la lingua che le si intrappola durante le paroline. Kurt ride pianissimo.
“San Francisco.”, completa Kurt per lei. “E’ un posto bellissimo, e pensa che siamo più o meno vicini di casa.”
“Che bello! Così puoi venire a trovarci quando poi torniamo lì, giusto?”
Il volto di Kurt si incupisce appena. “C-certo. Quanto troverò il tempo di tornare, piccolina.”, soffia pianissimo, concedendole un rapido sorriso malinconico. “La mia capa è un mostro cattivo che non mi permette di andare a casa questo Natale.”
Dirlo lo fa sentire vagamente meglio.
“Oh.”, mormora Hepburn, visibilmente triste e dispiaciuta per lui. “E’ davvero cattiva questa capa.”
“Già, puoi dirlo forte.”
“Ma allora con chi passerai il Natale?”, chiese Hepburn a quel punto, gli occhioni spalancati e tipici della sua età piena di domande. Kurt abbassa lo sguardo bruscamente, sperando di non suonare troppo malinconico.
“Con – con nessuno, piccolina. Uhm – cucinerò qualcosa di veloce e poi chiamerò i miei genitori. Domani cercherò di riposare, e il giorno dopo ricomincio a lavorare di nuovo.”
Kurt vede con la coda dell’occhio gli angolini della bocca di Hepburn allungarsi verso il basso, ma cerca di rimediare. Se la sistema meglio sul fianco, indicandole un banchetto che hanno di fronte, a qualche passo.
“Allora, piccolina, ti va una cioccolata calda, così ci scaldiamo?”, le chiede dolcemente. Il sorriso piccolo e timido che lei gli offre è probabilmente uno dei regali di Natale più belli che Kurt abbia mai ricevuto in tutta la sua vita.
 
Su una panchina lì vicino, Kurt si tiene Hepburn stretta per tenerla al caldo mentre le dita inguantate di lei impugnano il bicchiere di plastica dentro il quale hanno dato loro della cioccolata. Kurt ci ha dovuto mettere diverso zucchero perché era appena amara, ma a Hepburn sembra piacere. Le si formano dei minuscoli baffi attorno alla bocca, le ciglia che danzano in continuazione per via dalla stanchezza, e per la prima volta da quanto l’ha trovata Kurt si sente seriamente preoccupato. Ha paura per il freddo, perché non sa se è veramente in grado di prendersi cura di qualcuno che non sia sé stesso – e ha paura di non riuscire a fermare una crisi di nervi, in caso arrivi.
Finita la cioccolata, Hepburn crolla praticamente su di lui, adagiandosi al suo corpicino e chiudendo gli occhi per qualche secondo. Kurt così la raccoglie sulle sue gambe, piccola e fragile come un bocciolo.
E forse deve ammettere che da solo non può farcela.
“Adesso cerchiamo aiuto, va bene piccola?”, le dice, attorcigliando attorno a un piccolo ricciolo nero le proprie dita. “Troveremo il tuo papà, vedrai.”
La prende in braccio cominciando a camminare alla ricerca di qualsiasi agente o carabiniere che possa aiutarlo; ne scorge un paio all’imbocco di via Mazzini e fa per raggiungerli, quando improvvisamente la testolina di Hepburn scatta verso l’alto.
“Papi!”, grida, il suo corpo teso come una corda di violino. “Papi – sono qui!”
Kurt la osserva con un tonfo al cuore e non può fare altro che lasciarla scendere; nel giro di qualche istante la vede correre dal lato opposto, e gettarsi tra le braccia di un ragazzo dall’aria terrorizzata che non deve avere molti anni più di lui.
E poi – osserva una sorta di miracolo di Natale. Le braccia di quel ragazzo che si adattano perfettamente attorno al corpo della bambina; il modo in cui Hepburn scompare in quel calore e crolla, come è giusto che sia, scoppiando a piangere perché sopraffatta dalle emozioni. E Kurt – lui sta a guardare.
“Ti – ti avevo detto di aspettarmi vicino alla stella.”, mormora spaventato quel ragazzo, raccogliendo il suo piccolo viso con le mani. I suoi occhi – oh, i suoi occhi sono ambrati, esattamente come quelli di Hepburn, solo infinitamente più grandi. “Non hai – non hai idea di quanta paura abbia preso amore mio, non farlo mai più, capito?”, soffia, stringendola nuovamente. La prende in braccio, lasciandole qualche lunga carezza confortante sulla schiena. “Shhh, shhh, sono qui adesso, proprio qui.”
Kurt non sa che cosa gli prende esattamente, ma deve catturare una lacrima che stava nascendo dall’angolino del suo occhio destro. Si ritrova a sorridere stupidamente, il cuore nella gola.
“Sarai – dio, sarai stanchissima, e c’è così freddo.”, borbotta quel ragazzo, sistemandole meglio il cappellino con la mano libera. “Andiamo a casa, va bene?”
“A – aspetta.”, soffia Hepburn, la voce bassa e impiastricciata per il sonno e il freddo. “Lui – Kurt mi ha aiutata a trovarti.”, borbotta, indicando Kurt con un ditino paffuto, mentre con l’altra mano si strofina un occhio con calma. “Operazione Papi.”
E’ esattamente nel secondo più tardi che Blaine si volta verso di lui, e i loro occhi si incrociano per la prima volta. Kurt non sa se effettivamente basti un secondo per sentire il proprio cuore accartocciarsi – non lo sa, non lo ha mai provato, non lo ha mai sentito, ma gli succede qualcosa di molto simile. E si ritrova il fiato incastrato nella gola e le guance calde, mentre quel ragazzo lo osserva con gli occhioni enormi pieni gratitudine e di luci natalizie.
“Grazie.”, mormora immediatamente, avvicinandosi con un enorme sorriso e allungando una mano verso di lui per stringergliela, mantenendo Hepburn in equilibrio con l’altra. “Io – non so davvero come avrai fatto – grazie.”, borbotta, troppo veloce e troppo insieme e dio se dev’essere giovane quel ragazzo, ed è a dir poco meraviglioso. “Stavo facendo una foto e mi sono voltato e lei non c’era più e – ho chiesto immediatamente aiuto a qualcuno e mi sento così un idiota ad averla persa di vista. Solo – grazie.”
“E’ stato un piacere.”, sussurra Kurt, perdendosi in quella grande mano calda. “Davvero, io – l’ho trovata per caso. E non è nemmeno passato molto, forse – mezz’ora, non di più. È che era sconvolta e ho cercato – ho cercato di tenerle su il morale poverina.”
“Lo so, lei – lei è forte. Ma – dev’essersi spaventata.”, mormora il ragazzo, baciando forte la fronte di Hepburn, una porzione di labbro che si posa sopra la stoffa del cappellino. “Dio non so – non so come dirti grazie, uhm –”
“Kurt.”, soffia lui. “Sono Kurt. E non c’è nulla che tu debba fare. Uh –”
“Blaine.”, soffia il padre di Hepburn. “Devi essere una sorta di angelo arrivato giusto perché è Natale e – oddio, l’ho davvero detto ad alta voce.”
Le guance di Kurt si imporporano a quel punto, mentre anche Hepburn accanto a loro ridacchia dolcemente. “Papà è diventato tutto rosso.”, borbotta, e Blaine alza gli occhi al cielo lanciandole un’occhiataccia, per poi farle una linguaccia giocosa.
“Hai intenzione di fare la brava? Altrimenti non ti porto con me e con questo gentile ragazzo a bere una cioccolata calda.”
“L’abbiamo già bevuta papà.”, si lamenta Hepburn, continuando a strofinarsi appena gli occhi. “K-Kurt è stato più veloce di te e –”, sbadiglio, “Me l’ha offerta senza fare strane storie sui dolci.”
Kurt a quel punto si mordicchia il labbro inferiore, non sapendo bene cosa dire. “Aveva – aveva freddo. Pensavo che potesse farle bene.”
“Hai fatto – hai fatto benissimo. Davvero, troppo gentile.”, mormora a quel punto Blaine, una scia di pura gratitudine nei suoi occhi luminosi. “E’ un peccato però. Ci tenevo davvero ad offrirtela quella cioccolata.”
Qualcosa nel petto di Kurt a quel punto si smuove – perché anche lui l’avrebbe voluta, giusto per passare ancora un po’ di tempo con loro. Blaine gli regala un sorriso sghembo.
“Ti lascio, allora.”, mormora pianissimo, sistemandosi meglio Hepburn su un fianco. “La piccoletta è stanchissima e – voglio riportarla a casa. E immagino che tu avrai i tuoi programmi per la Vigilia.”
A Kurt non sembra il caso di intavolare un discorso con il quale spiegare a Blaine dei suoi piani per quel Natale, e dell’impossibilità di tornare a casa per colpa del suo lavoro, così inspiegabilmente – annuisce, il cuore tra le dita.
“Allora buona serata, okay? E grazie – grazie infinite, Kurt. Sei davvero un angelo.”
A quel punto è il suo respiro a bloccarglisi nella gola – non riesce più a dire nulla che abbia senso, ed in quel momento che interviene Hepburn.
“Papi.”, pigola pianissimo. “Kurt prima mi ha detto che rimarrà da solo a Natale.”
Gli occhi di Blaine si immergono nei suoi per qualche istante. “Stasera sei – sei solo?”
Kurt a quel punto si guarda in giro, allargando appena le braccia. “E’ una storia lunga, ecco…non è un problema.”
“Vieni con noi.”, mormora appena Blaine, sbattendo le lunghe ciglia e sorridendo appena, giovane e pieno di aspettative. “Anche io e Hepburn siamo soli, sarebbe bello avere un po’ di compagnia.”
Kurt si pizzica il labbro inferiore tra i denti. “Non voglio che sia un disturbo.”
“Non sarà un disturbo.”, mormora dolcemente Blaine, posando il naso sulla tempia di Hepburn. “Vero tesoro? Nessun disturbo. È un modo per ringraziarti per quello che hai fatto.”
Kurt si chiude automaticamente le braccia attorno al busto, stringendosi in una morsa indelebile. Non ha la minima idea di quello che gli sta succedendo. Blaine sembra il ragazzo più dolce del pianeta, e per qualche straordinaria ragione sembra gay, che è quello che conta. Ma ha anche una figlia, una figlia stupenda che Kurt già adora ed è tutto così dannatamente complicato
“Sì.”, soffia pianissimo, ritrovandosi a fare un passo verso di loro. “Va bene, vengo con voi.”
“Perfetto.”, mormora Blaine, un sorriso così grande da oscurare la piazza con tutte le sue mille luci.
E Kurt – Kurt sente che potrebbe perdercisi in quel sorriso enorme.
 
*
 
Percorrono tutta via Mazzini fino ad arrivare in piazza Erbe, costernata di piccole lucine che sembrano pioggia verso l’alto; scavalcano i banchetti di Natale e si ritrovano a percorrere una via secondaria fino a un palazzo stretto proprio sull’angolo, di fronte al quale Blaine si ferma per estrarre le chiavi.
“Hepburn mi ha detto che passerete qui l’inverno.”
Gli occhi di Blaine sono attenti. “Uh – sì. Questo appartamento me lo affittano tutti gli inverni. Il mio per l’Italia è stato un amore a prima vista.”, confessa Blaine, ruotando la chiave e facendo passare Kurt. Percorrono velocemente una rampa di scale, prima di arrivare a un pianerottolo che precede un’altra porta che Blaine si affretta ad aprire. Non appena sono dentro di qualche passo, Hepburn scivola giù e Blaine le toglie il cappellino.
“Fila a fare il bagnetto. Acqua tanto calda, capito? Io arrivo subito, prima faccio sistemare Kurt.”
Hepburn si spoglia restando sulle punte per sistemare tutti i suoi strati sul divano nell’entrata, e poi Kurt la vede trotterellare in bagno.
“Hai un bel appartamento.”, soffia Kurt, accarezzando con le dita una sedia di legno sistemata sotto il tavolo, accanto alla cucina. Blaine gli sorride con dolcezza.
“E’ adatto per due persone, non mi lamento. Due passi e sono in zona universitaria, dove c’è anche la scuola per Hepburn.”
Kurt si lascia scivolare via il giubbotto. “Insegni all’Università?”
“Mi chiamano ogni anno per svolgere dei seminari. In realtà, giù a Lima mi occupo di grafica di libri. Se ti piace la copertina di qualche libro che hai letto ultimamente chi lo sa, potrei averla fatta io.”
Kurt si ritrova a sorridere. “Non leggo molto, ma mi piace quello che fai.”
Blaine si appoggia al bancone dietro di lui, passandosi una mano tra i folti ricci. “Sì, uhm – è un aspetto affascinante. Dare bellezza alle cose. Senza copertina un libro non avrebbe neanche senso, lo sai?”, borbotta pianissimo. La voce di Hepburn arriva gracchiante dal bagno, mentre chiama il suo papà, facendolo sorridere. “Devo andare, altrimenti mi ritrovo un disastro al posto del bagno. Accomodati pure, là c’è la TV e –”
Blaine si ferma di fronte a Kurt, appena di fronte a lui con gli occhi grandi di un ragazzo pieno di vita, e i loro respiri si bloccano all’unisono. Kurt si ritrova a distogliere lo sguardo troppo in fretta, le guance improvvisamente rosse.
“G-grazie per avermi invitato.”, soffia appena. “Voglio dire – non eri costretto.”
“No, non lo ero. Volevo – volevo venissi, tutto qui.”, mormora Blaine scrollando le spalle. “Sei stato infinitamente gentile a prenderti cura di lei –”, il respiro di Blaine si fa appena più pesante. “Lei è il mio mondo.”
Kurt annuisce, ed è così che poi Blaine se ne va, lasciandolo solo in quella piccola cucina.
Stranamente, non si sente fuori posto.
 
Hepburn e Blaine ricompaiono una ventina di minuti dopo dal corridoio che porta al bagno, lei con i riccioli umidi che le ricadono dolcemente sulla fronte e un pigiamino rosa di pile che la fa sembrare una vera e propria bambolina. Kurt nel frattempo si è seduto sul divano e lei gli si butta addosso, ridacchiando felicemente.
“Sei rimasto!”, quasi grida, le guance rosse delle bambine piene di sogni. “Adesso il papà prepara la cena, vero Papi? Ho tantissima fame, una fame infinita.”
“Certo amore mio.”, mormora Blaine, scompigliandole i capelli. “Lascia respirare Kurt.”
“E’ tutto okay.”, si affretta a rimediare lui, sistemando meglio Hepburn sopra di lui e sistemandole qualche ricciolo umido. “Stai meglio ora?”
“Ho meno freddo, sì.”, soffia lei, rannicchiandosi contro Kurt, che si ritrova a stringerla naturalmente. Probabilmente è stata la paura di poco prima ad unirli così tanto, ed è talmente facile incastrarsi come pezzi di puzzle che fa quasi paura. Blaine sorride teneramente osservando la scena, poi si incammina verso la cucina.
“Ho già in mente cosa cucinare, ma qualcuno deve darmi una mano.”, mormora, ruotando il capo per cercare gli occhi di Kurt. Lui si ritrova a sorridere, le guance improvvisamente rosse. “Hepburn, tesoro, lascia che Kurt mi venga ad aiutare. Prova a vedere se ci sono i cartoni.”
“Va beeene, Papi.”, soffia lei leggermente, scivolando di lato e raccogliendo un cuscino mentre cerca un canale con cui passare un po’ di tempo. Kurt le scompiglia i capelli prima di avvicinarsi a Blaine, che gli passa un grembiule facendogli l’occhiolino.
“Segui le mie istruzioni e assaggerai le pennette al salmone più buone che tu abbia mai mangiato.”, gli disse con un largo sorriso. Kurt annuì, avvicinandosi ai banconi da cucina e osservando Blaine mentre prepara il tutto per fare da mangiare.
“Allora, uhm – cosa ti porta qui a Verona?”
“Ambizione, più che altro.”, mormora Kurt, sbattendo le palpebre un paio di volte e cercando di trovare le parole giuste. “A Lima non c’era niente che mi desse stimoli. Ho sempre amato la moda, e un giorno ho semplicemente fatto il grande salto. Ed eccomi qui.”, continua a raccontare, perdendosi in un piccolo sorriso. “Anche se onestamente, il mio sogno rimane Milano.”
“Milano è stupenda.”, commenta Blaine, assaggiando un tozzo di pane con un filo d’olio. “Uhm – un po’ caotica. Ma l’atmosfera è bellissima, soprattutto d’inverno.”
Kurt gli concede un mezzo sorriso. “Ci sei stato?”
“E’ il motivo per cui mi sono innamorato dell’Italia.”, borbotta lui, assaggiando con il pollice il preparato di una salsa che sta mescolando. “Lontani parenti, sai. Siamo stati qui un anno intero, non avevo nemmeno quattordici anni – ma mi innamorai di tutto. Del cibo, delle strade, del modo che la gente aveva di parlarmi. Ogni cosa. L’Italia ha un grande pezzo del mio cuore.”, Blaine a quel punto mette dell’acqua in una pentola, e poi con un pezzo di pane raccoglie un po’ di salsa e la avvicina alle labbra di Kurt. “Forza, assaggia.”
Un sopracciglio di Kurt svolazza verso l’alto. Si avvicina avvolgendo il pane con la bocca e gemendo pianissimo – non intende essere così esplicito solo che, beh, è decisamente una delle cose più buone che abbia mai mangiato.
“Fantastico.”, si ritrova a mormorare, ridacchiando subito dopo. “Sicuro di non essere un cuoco, Blaine?”
Lui sorride, un sorriso ampio eppure malinconico. “Purtroppo no, ma te l’ho detto, ho parenti italiani. Non posso non essere bravo.”
Kurt a quel punto rincorre con lo sguardo Hepburn, che si è adorabilmente addormentata con il visetto appoggiato a uno dei cuscini sul divano. Gli viene naturale sorridere. “Hepburn dorme.”, mormora, e quella scena sembra così domestica, così personale e intima da fargli paura.
Un angolino della bocca di Blaine si alza verso l’alto. “La lascio dormire un po’, uhm – sarà stanca. È sempre tanto stanca dopo che piange.”, mormora, mordendosi il labbro mentre mette tagliuzza un po’ di salmone. Kurt vede i suoi movimenti quasi bruschi, e non riesce proprio a fermare la domanda che nasce poi.
“Dev’essere dura, uhm –”, soffia pianissimo, “Crescerla da solo.”
Il petto di Blaine si alza e si abbassa, seguendo un suo profondo respiro. “A volte è – dura, sì. Ma sai – quando mi sorride appena prima di andare a letto o – mi aiuta a capire come voglio che esca una copertina…sono quei piccoli momenti che valgono tutto. Davvero – ogni piccola cosa. Io non sarei niente senza di lei.”
Il cuore di Kurt fa su e giù tra la cassa toracica e il suo stomaco.
“La madre…”, la lascia lì come se fosse una foglia caduta, quella frase. Pronto a scusarsi in caso Blaine non sia pronto ad accoglierla, ma lui – lui sembra stranamente rilassato. Un ricciolo gli ricade sul sopracciglio destro, e Kurt ha una tremenda voglia di spostarglielo con le dita.
“E’ una storia lunga.”, soffia Blaine a quel punto, scrollando una singola spalla. Si pizzica un pezzetto del labbro inferiore avvolgendolo in una piccola morsa, come per prepararsi alle parole che vuole dire. “Io uhm – beh, forse lo hai già capito. Sono – sono gay.”
Kurt trae un sospiro di sollievo. “Se non lo avessi capito mi sarei sentito un vero e proprio idiota, visto che lo sono anche io.”
Si guardano, finalmente. Nel modo più liberatorio possibile, senza contenersi, ed è poi che Blaine raccoglie il coraggio per parlare.
“Hepburn è la figlia biologica di mio fratello.”, sussurra, e Kurt capisce che in qualche modo quello dev’essere un segreto, una verità troppo grande per farla conoscere a una bambina così piccola. “Lui – si chiama Cooper. Non è un cattivo ragazzo, solo…non voleva storie serie. Era spesso via di casa, e – sì, capitava che si ubriacasse delle volte. È stato un errore, uhm…ha messo incinta una ragazza che aveva a malapena diciotto anni. Lei non ne voleva sapere niente del bambino, Cooper era – terrorizzato. Ti giuro, lui…lui non piangeva mai, l’ho visto piangere solo il giorno in cui mi ha detto che aveva combinato una cazzata. Beh, io –”, uno sbuffo di risata, una scrollata di spalle, e Kurt si rende conto tutto da capo di quanto Blaine sembri genuino e giovane. “Si dà il caso che questa ragazza fosse, uhm – la mia migliore amica.”
La mascella di Kurt cade leggermente verso il basso. “Oh.”
“La seguii per tutta la gravidanza, ed ero – ero lì quando Hepburn nacque. Era così piccola, m-minuscola. E me ne innamorai a prima vista. Quando chiesero chi fosse il padre –”, Blaine si morse il labbro inferiore. “La mia migliore amica, Quinn, disse che ero io. Ed ecco come sono diventato il suo papà.”
Kurt si ritrova seduto sulla sedia più vicina, quasi senza forze. “Tu lo volevi?”
“Sì.”, disse Blaine senza pensarci. “Era da un po’ che io e Quinn ne parlavamo – piuttosto che finisse nelle mani sbagliate, preferiva che ad averla fossi io. Lei partorì e lasciò la città per andare a studiare a Yale, e Cooper – Cooper non volle mai davvero vederla. Ogni tanto mi chiede di lei ma – non credo stia ancora realizzando di avere una figlia. E in ogni caso pensa che sia meglio per lei avere me. Dice che la distruggerebbe. E io – io gli voglio bene, è mio fratello. Ma penso che abbia ragione, deve starle lontano se non è ancora pronto ad entrare veramente nella sua vita.”
Kurt non ci pensa nemmeno, in realtà; si ritrova ad allungare una mano e raccogliere le dita di Blaine, tenendole strette.
“Hai fatto qualcosa di bellissimo.”, mormora, perdendosi nei suoi occhi color caramello. Gli sorride appena. “Sei stato così coraggioso.”
Qualcosa di denso e reale si scioglie negli occhi di Blaine. “G-grazie.”, soffia, accarezzando appena le dita di Kurt nelle sue. Abbassa lo sguardo quasi bruscamente, e Kurt capisce che non deve essere abituato a sentirsi dire quelle parole. “Ero già laureato allora, e con delle prospettive – sapevo che era qualcosa che potevo fare. A volte mi sento un mostro perché lei – lei non sa nulla ancora. Naturalmente. Le dirò tutto quanto arriverà il momento e mi odierà, so che lo farà ma spero – spero che riesca a vedere oltre. A capire che stavo cercando di proteggerla.”
“Blaine.”, dice infinitamente piano Kurt. “Certo che capirà.”, mormora pianissimo, pressando le dita più forte sulla sua pelle. E poi si perde nelle pieghe del sorriso di Blaine e – rimangono così, immobili, le dita intrecciate per minuti che sembrano ore.
Kurt sa perfettamente che si sono appena conosciuti e può sembrare una pazzia ma sente una connessione così tangibile con quel ragazzo che ne ha quasi paura, e fa già un po’ male pensare che hanno solo una manciata di ore quella sera.
Ed è strano, forse. O forse, è solo Natale. E a Natale succedono cose che nel resto dell’anno non succedono, e a Kurt piace pensare che in questo ci sia un po’ più di magia per lui.
 
Hepburn si sveglia una mezz’oretta dopo stropicciandosi gli occhi, il nomignolo “Papi” che le cade dalle labbra e Blaine corre da lei immediatamente avvolgendole le guance e baciandole la fronte come se fosse fatta di cristallo.
“Eccola qui la mia principessa.”, mormora, sistemandole i ricci all’indietro. “Ti sei svegliata.”, un nuovo bacio, più debole, sul sopracciglio destro. “Chi ha voglia di mettere le ultime palline sull’albero?”, chiede poi, facendo ridacchiare Hepburn, che di tratto si mette a sedere.
“Io, io!”, quasi urla, gettando via la coperta e ridendo ad alta voce, spensierata e bellissima. Blaine recupera una scatola di legno da una credenza lì vicino e la porge a Hepburn aprendola, e sorridendole come se fosse la ragione del suo respiro.
“E’ una tradizione che abbiamo da sempre.”, borbotta Blaine verso Kurt, scrollando le spalle. “Lasciamo le palline più belle da mettere alla Vigilia.”, spiega, un mezzo sorriso di scuse. “A Hepburn piace tanto farlo.”
Kurt a quel punto sorride, perdendosi nel suono delle parole di Blaine e pensa – Dio, è così semplice innamorarsi di te, di voi, di quello che avete e condividete. O forse il suo cuore è troppo grande e bisognoso di essere riempito – o forse è facile per le persone come Blaine lasciare il segno senza chiedere il permesso, entrare nelle vite degli altri in punta di piedi e impadronirsene con sorrisi enormi e cuori aperti.
Hepburn sorride a Kurt, ancora adorabilmente assonnata e le guance rosse, “Vuoi aiutarci, Kurt?”
E Kurt pensa che in qualche modo anche lui sta entrando nella loro vita in punta di piedi, e che vale comunque qualcosa – vale tutto.
Blaine gli porge una pallina a forma di caramella, e Kurt la appoggia dolcemente su un ramo libero – immediatamente dopo Hepburn chiede di essere presa in braccio e Blaine la avvicina verso la punta, e lei la sistema mettendoci vicino un angelo di pezza.
E Kurt – lui potrebbe benissimo abituarsi a quel semplice, piccolo quadro, decisamente.
 
La cena è semplicemente perfetta – Hepburn all’inizio fa un po’ di fatica a mangiare perché si è appena svegliata ma Kurt trova il modo di convincerla, promettendole che poi guarderanno insieme un film di Natale e lei – si illumina.
Gli occhi di Blaine corrono nei suoi – e c’è pura gioia in quelle sottili sfere dorate.
“Non devi andartene mai più.”, sentenzia Blaine, ridacchiando appena. “Non riesco mai a convincerla a mangiare, e poi – poi arrivi tu.”
Arrivi tu.
E cambia tutto.
 
Blaine insiste per lavare i piatti e Hepburn si arrampica su una sedia dopo cena per mettersi a fare il caffè – sa addirittura sistemare la moca e metterla sul fornello, ed è sorprendente, e forse è in quel momento che capisce quando Blaine gli ha detto che lei è forte, e sembra più grande di altri bambini.
Lui ne approfitta per allontanarsi e chiamare la sua famiglia – è suo padre a raccogliere il telefono dall’altra parte, e la sua voce bassa ma calda gli riempie le orecchie, e il cuore di Kurt ora è al suo posto.
“Come procede il tuo Natale, figliolo?”
Kurt pensa a come è cominciata quella giornata e gli viene da sorridere.
“Bene, papà.”, mormora, voltandosi per cercare il volto di Blaine da lontano e perdendosi nel suo minuscolo sorriso, il naso sporco del prodotto per lavare i piatti e un ricciolo che gli cade sugli occhi. “E’ tutto perfetto.”
 
Come promesso, Hepburn sceglie un film di Natale poi e lo inserisce nel lettore DVD – insiste per mettersi in mezzo a loro due sul divano e Kurt e Blaine la accolgono lì, si mettono sopra le gambe una coperta e si rannicchiano contro di lei, cercando l’uno gli occhi dell’altro prima che compaia il titolo bianco sullo sfondo nero della TV.
Ed è incredibile come i pezzi di tre persone completamente diverse combaciano perfettamente – eppure lo fanno, e Kurt si rannicchia meglio contro Hepburn lasciando che si appoggi a lui fino quasi a scomparire.
Ed è – di nuovo, forse solo perché è Natale. Ma è perfetto, in tutte le sue minuscole imperfezioni.
 
Kurt capisce già a metà film che Hepburn si è addormentata, ma né lui né Blaine dicono niente e aspettano con pazienza. Quando i titoli di coda cominciano a scorrere, Blaine si piega verso di lei accarezzandole i capelli. “Ehy, amore mio.”, mormora pianissimo. “E’ ora di filare a dormire, altrimenti Babbo Natale non può portarti i regali.”
Hepburn apre solo un occhio, cercando di abituarsi alla luce della cucina e gemendo pianissimo in un lamento. “S-se vado a dormire non rivedrò più Kurt.”
“Spero che tu stia scherzando, piccolina.”, borbottò Kurt, cercando la sua guancia per lasciarle una carezza veloce. “Non vado da nessuna parte. Verrò a trovarti tutte le volte che vorrai.”
Gli angolini della bocca di lei si alzano verso l’alto inesorabilmente, e per Kurt è estremamente semplice raccoglierla in un abbraccio. “Grazie per questa serata speciale.”
“Grazie per avermi aiutato nell’operazione papi.”, mormora lei, sbadigliando subito dopo contro la sua spalla. Kurt ridacchia delicatamente, lasciando che poi Blaine la prenda in braccio e se la sistemi su un fianco per portarla nella sua cameretta.
“Di’ ciao, tesoro.”
“Ciao ciao Kurt.”
“Ciao, piccolina.”, mormora lui vedendola scomparire dietro la porta. Passano lunghi minuti prima che Blaine ricompaia, un sorriso assolutamente sereno sul volto e l’aria stanca, ma appagata.
“I Natali più belli li ho passati da quando è arrivata lei.”, mormora sovrappensiero, incrociando le braccia verso il petto per tenersi al caldo. Kurt lo osserva senza riuscire a distogliere lo sguardo e rimane lì, semplicemente – ha voglia di conoscere questo ragazzo, di entrare nella sua vita ma soprattutto vuole aiutarlo e farlo sentire meno solo, baciargli via i cipigli e riempirlo di sorrisi, baciarlo quando torna stanco la sera e aiutarlo a fare il caffè se può servire.
Ma sa che la loro manciata di ore è finita.
“E’ meglio che vada.”, mormora, alzandosi dal divano sistemando la coperta e camminando verso il corridoio per recuperare il cappotto. Blaine lo segue con gli occhi enormi e pieni di domande, e Kurt spera che gli chieda – qualsiasi cosa. Un numero di telefono, una chiacchierata. Di restare.
“Quello che ha detto Hepburn –”, mormora Blaine troppo velocemente, intrappolandosi con le parole e apparendo incredibilmente dolce. “Che se andrà a dormire non ti vedrà più.”, soffia poi. “Diciamo che anch’io…anch’io potrei aver paura che succeda.”
Kurt immerge i propri occhi nei suoi. “Non succederà.”, soffia pianissimo. “Voglio rivedervi. Voglio – voglio rivederti.”
Le labbra di Blaine si distendono in un sorriso enorme e sereno. “Okay.”, soffia, accompagnandolo alla porta e poi giù, tra le ultime parole. Si scambiano il numero, a Kurt scappa un lamento sugli orari di lavoro, ed è solo poi che esce sul pianerottolo con gli scalini che precedono la strada. L’aria è gelida, eppure è comunque la notte di Natale e le luci e i borbottii in lontananza glielo ricordano.
“Grazie per averla trovata.”, soffia a quel punto Blaine, immergendo le mani nelle tasche della tuta e abbozzando un sorriso che sa da – Grazie di averci trovato. Kurt ridacchia, avvicinandosi a lui e leccandosi appena le labbra.
“Non hai idea di quanto sia felice di averlo fatto.”, mormora senza pensare, e a quel punto uno sbuffo incredulo abbandona le labbra di Blaine che si ritrova a fare un passo avanti, i loro volti ora estremamente vicini mentre tutto intorno a loro si ferma, come un minuscolo fiocco di neve che incontra la strada e si scioglie, e poi –
“Forse era destino, sai – che questo Natale fosse diverso.”, mormora Blaine con un sbuffo di risata, mentre una nuvoletta di fiato bianco esce dalle sue labbra. “Che fosse perfetto.”
Kurt deglutisce, aggrappandosi con le dita al maglioncino che Blaine ha indossato quella sera. “Era destino, sì.”, conferma, mentre solleva la testa per cercare quelle poche stelle che si vedono quella notte. I suoi occhi poi si rispecchiano in quelli di Blaine, ed è questione di un attimo.
Blaine si solleva sulle punte e con un movimento fluido e veloce lo bacia, piano, appoggiando le proprie labbra sulle sue con semplicità e premendole insieme con forza, come se poi quando finirà non volesse dimenticarsi di niente; in un secondo momento le sue dita si chiudono contro le sue guance per tenerlo fermo, ed è solo allora che Kurt riesce a chiudere gli occhi e a perdersi, completamente.
È così bello da fare fisicamente male – e Kurt ha dato diversi baci nella sua vita, ma è sicuro che quello che sta dando a Blaine abbia qualcosa in più, qualcosa che non aveva idea esistesse.
Passa diverso tempo prima che riconoscano un suono ripetitivo in lontananza, un suono che a un certo punto convince loro a staccarsi. Sorridono entrambi all’unisono, Kurt che appoggia la fronte a quella di Blaine e chiude gli occhi.
“Sono le campane, quindi vuol dire che è ufficiale.”, soffia pianissimo Blaine, le dita ancora impresse sulle guance di Kurt e le labbra arrossate. Sbatte le palpebre due singole volte, lentamente. “Buon Natale, Kurt.”
Kurt si mordicchia il labbro inferiore, e pensa che in fin dei conti, a differenza di quello che pensava una manciata di ore prima, quello si è trasformato in un piccolo, meraviglioso Natale.
“Buon Natale, Blaine.”
 
 
 

 
 
 
   
 
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