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Autore: VaticanCameos221B    24/12/2015    1 recensioni
Harrods è il centro commerciale più stratosferico di tutta Londra e, alla sola vista, da l'idea di un maestoso palazzo reale. Tutta questa sfarzosità fa arricciare il naso al consulente investigativo: il caos, le famiglie esaltate per la corsa ai regali, bambini in crisi epilettiche al reparto giocattoli, le canzoncine natalizie in sottofondo, le commesse che ad ogni angolo sono come degli avvoltoi pronte ad intrappolarti nel mostrati qualche noiosissima e stupidissima offerta... Gli sembra di essere all’inferno. Per non parlare del fatto che tra le tante sfortune di John, c'è quella di avere amiche donne. O per lo meno, è una sfortuna per il detective.
[Johnlock]
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come sempre, storia scritta a due mani, da Mizu (le parti di Sherlock) e Riri (le parti di John). 
Vi consigliamo di ascoltare le canzoni nella lettura così come ci hanno accompagnato nella stesura della Fiction! Speriamo che la storia vi piaccia e che vi faccia ridere o almeno sorridere. Auguri e un Buon Natale

P.S: La parte del: "Un'idea regalo per una persona davvero speciale" è un idea ispirata al film: "Elf"

Disclaimers: I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, alla BBC, a Steven Moffat e Mark Gatiss, e sono utilizzati senza alcun scopo di lucro e nel rispetto dei copyrights.




Quella volta che Sherlock Holmes salvò il Natale

 
♫ Sleigh Ride - The Ronettes
 

L'atmosfera al 221b di Baker Street è estremamente rilassata. John ha appena posizionato l'albero di Natale ancora spoglio in un angolo del salotto, tra il divano nero addossato alla parete bucherellata dai proiettili sparati da Sherlock in uno dei suoi tanti momenti di noia, e una delle finestre che danno sulla strada principale. Il detective dovrebbe rientrare a momenti, e John spera con tutto il cuore che non abbia da ridire sui tanti addobbi che ha disseminato per la stanza in sua assenza: file di luci fisse e ad intermittenza, statuine di piccoli pupazzi di neve e babbi natale, ghirlande, cuscini con ricamatevi sopra delle renne e quant'altro. Ha in mano una graziosa pallina rossa con dei ghirigori dorati in rilievo, quando la porta dell'appartamento si spalanca improvvisamente; per poco l'addobbo non gli vola di mano finendo a terra in mille pezzi.

Rincasando dopo un improvviso e noiosissimo richiamo da Scotland Yard, dove un povero Lestrade è stato preso di mira dalla sequela d'insulti di un consulente investigativo sociopatico ed eccentrico – giusto perché si annoiava –, Sherlock giurerebbe, se non fosse per il gradevole profumo dei biscotti appena sfornati della signora Hudson che invade tutto il pianerottolo e per il sorriso caldo e genuino del proprio coinquilino / fidanzato ad accoglierlo, ecco, giurerebbe che quella non è casa sua ma bensì il polo nord. Ci manca solo che dalla cucina sbuchi un elfo in calzamaglia, trotterellando.

«Sherlock!», esclama John con grandissimo entusiasmo, allargando le braccia come a mostrargli tutto il lavoro che ha svolto nelle ultime due ore. Ha un sorriso che gli va da una parte all'altra del viso. «Ti piace come ho arredato la stanza? Sì, vero? Perché non mi aiuti con l'albero?».

Tempestandolo di domande, il tentativo è quello di prenderlo in contropiede, evitando che si lamenti e che inizi a dire: “John! Ma era proprio necessario che spendessi tutti questi soldi in assurde statuine che, ed è evidente, verrebbero comprate solo da bambini di cinque anni? O per dei cuscini che neanche la signora Hudson si sognerebbe di mettere in soggiorno? O per delle orribili ghirlande che avrai comprato solo tu in tutta Londra?”. Insomma, non si aspetta né più né meno che dei commenti del genere, probabilmente molto più acidi, ma se riuscisse anche solo un pochino ad invogliarlo a fare l'albero con lui...

Da quando condivide l'appartamento con John, succede questa cosa inspiegabile ad ogni Natale, che puntualmente ritorna ogni anno con la stessa ansia di una bolletta salata da pagare. In passato la casa è stata invasa da decorazioni pacchiane e totalmente prive di buon gusto, ma non da un albero. Mai un enorme e fastidiosissimo albero alto quasi quanto lui, che se ne sta lì spoglio pronto per essere rivestito da decorazioni sbrilluccicose e luci psichedeliche, che solo a vederle ti viene mal di testa, e che ingombra metà del salone, è stato posto all'interno del loro salotto.

Le palpebre del consulente sbattono ripetutamente, e rimane immobile sullo stipite della porta d'ingresso. Le parole di John gli sono arrivate come un eco lontano. Quell'albero nudo lo sta minacciando.

«John», tuona secco, senza minimamente guardarlo. «Chi ha portato quell'affare in casa nostra? Oh, ma certo, ma certo!» Alza improvvisamente la voce roteando gli occhi e avviandosi al centro della stanza mentre si sfila il cappotto e lo fa cadere sul lungo divano nero.

«È stato mio fratello, è chiaro! È uno stupido scherzo di quel ciccione di Mycroft. Ogni anno a Natale mi regalava qualsiasi cosa fosse a me sgradevole.» Le mani gesticolano in aria con fare teatrale mentre gira su se stesso studiando ogni oggetto intruso nell'intera abitazione.

«Oh, be', le decorazioni sparse ovunque sono senz'altro opera tua a giudicare dal pessimo gusto», prosegue con un'alzata di spalla e in modo saccente.

Intanto, il povero John si trova ancora lì, immobile, con quella palla in mano sospesa a mezz'aria; quasi parrebbe che si stia trasformando lui stesso in un albero di Natale. E vorrebbe tanto dire qualcosa, difendere il suo gusto in fatto di decorazioni e il suo amato abete seppur ancora spoglio, ma non gli esce nemmeno mezza frase.

«Che cosa hai detto prima? Aiutarti a fare cosa? Se vuoi che ti aiuti a disfarci di quel coso io sono pienamente d'accordo. Potremmo bruciarlo e mandare le ceneri a Mycroft dentro ad una scatola di dolciumi, oppure spedirlo a Scotland Yard completamente spoglio e allegarci un biglietto con su scritto: “È vuoto come le vostre menti”. Oppure, per fare prima, lanciarlo dalla finestra, e tanti cari saluti!»

Dopo lo sproloquio gremito da smorfie, mani svolazzanti, e atteggiamenti da Drama Queen, il consulente investigativo si lascia sprofondare nella propria poltrona nera. Peccato che John non sia riuscito a far altro che gesticolare a scatti, aprendo la bocca per poi richiuderla subito dopo senza aver pronunciato una sola sillaba, tutto perché le parole del suo caro fidanzato lo hanno travolto come un fiume in piena.

«Prima di tutto, l'albero è mio. Mycroft non c'entra un accidente», afferma il biondo con tutta la calma di cui è capace una volta che il detective ha finito di parlare a vanvera, anche se all'idea del biglietto nelle mani di Anderson, si è morso la lingua nel tentativo, riuscito, di non ridere.

«Come sarebbe a dire che non è stato Mycroft?», esclama Sherlock con espressione accigliata, e fa per aggiungere qualcos'altro, ma viene arrestato dal fiume di parole dell'altro.

«Se proprio non vuoi aiutarmi a decorarlo, potresti mostrarti un minimo non infastidito? Non ti chiedo di metterti a cantare canzoni natalizie vestito da Babbo Natale con tanto di elfi che ti ballano attorno scuotendo campanellini e la signora Hudson che ti fa il coretto, ma...» John sospira con la pallina rossa ancora in mano, che fa tanto pendant con il maglione anch'esso rosso, sul quale vi sono dei ricami di piccoli alberelli di Natale bianchi e verdi. «Se mi aiutassi, mi faresti davvero felice», conclude cercando di far leva su quel grammo di pietà che anche Sherlock in fondo al suo cuore ha. Almeno in teoria.

Il moro resta assorto per qualche istante soffermandosi sul suo compagno. Oh mio Dio. Quello è un maglione di Natale, o uno scherzo della natura? Probabilmente se ci fosse stato stampato sopra una gigantesca foto del dottore nudo, sarebbe stato meno imbarazzante. Gli occhi blu mare dell'ex soldato lo fissano con fare implorante, così Sherlock non può far a meno di chiudere le palpebre e sospirare rumorosamente, con le dite delle mani che tamburellano sui braccioli della poltrona.

«E va bene!», esordisce sollevandosi in un balzo e andando a raggiungere quel coso verde per studiarlo da vicino, con le mani sui fianchi, in vigoroso silenzio, e gli occhi attenti e sottili come se stesse affrontando un nemico.

Nel frattempo, il povero John resta ancora una volta imbambolato con l'aria di uno che non ha ancora capito che cosa intenda fare il detective, il che è terrificante visto le malsane idee che spesso ha.

Infatti, il moro, senza proferir parola, si dilegua a passo svelto in camera propria, per poi tornare nuovamente in salotto dopo una manciata di minuti tenendo un'enorme scatola marrone tra le braccia. La lascia cadere ai piedi dell'albero in un tonfo e si piega in avanti, andando a rovistare all'interno di essa. Quel che tira fuori per primo, è un chilometrico nastro giallo usato abitualmente per circondare le scene di un crimine.

«Questo è del novantotto! Che caso pazzesco fu quello, mio Dio! C'erano pezzi umani sparsi ovunque. Quelli non potevo portarmeli a casa per gli esperimenti, quindi presi questo per ricordo.» Si rimette dritto, sventolando tra le mani il nastro giallo che ora posa alla meno peggio sull'albero spoglio. «Potremmo usarlo come festone, che dici? Secondo me è perfetto. Oh, ma guarda!» Si catapulta nuovamente a frugare nella scatola come farebbe un bambino con i propri giocattoli.

«Queste sono alcune foto di casi a dir poco eccezionali che ho risolto. Beh, direi che quelle un po' troppo cruenti possiamo anche evitarle. Poi c'è una vecchia pipa. Perché ho una pipa? Bah, non ricordo. Oh, e potremmo appendere anche questo stupido cappello da caccia che di certo sta meglio appeso ad un albero che sulla mia testa. Che odio. Mi rovina i capelli quell'affare. Aspetta!» E qui Sherlock si arresta con fare assorto come se avesse appena avuto un'illuminazione. Scatta agilmente verso il camino e afferra dal davanzale il suo caro amico teschio munito di cappellino natalizio – opera di John, sia chiaro – e ritorna di fronte all'albero per adagiarlo sulla punta.

«Potremmo mettere delle luci, gialle. Solo gialle. I colori ad intermittenza mi irritano. Allora, cosa ne pensi della mia idea, John? E posa quella palla!». Sherlock ha congiunto le mani e resta a fissare il medico con occhi giocosi e vispi, come quelli di un bambino sovreccitato che si sta divertendo.

In un primo momento, quando il medico aveva visto tornare Sherlock in salotto, aveva creduto che all'interno dello scatolone che teneva in mano ci fossero delle palline da appendere. In realtà non ne era troppo convinto, ma l'ottimismo che da sempre lo contraddistingue l'aveva fregato totalmente.

«Non vorrei contraddirti, ma...» Il sorriso stampato sul proprio viso si è fatto di ghiaccio, mentre Sherlock lo osserva come un bambino che scarta i regali la mattina di Natale, felice e contento. John prende un bel respiro chiedendosi se stia avendo delle allucinazioni o se magari stia ancora dormendo e quello che vede è solo un semplice incubo, e prima di decidere di dar fuoco allo scatolone contenente tutti quei meravigliosi oggettini che non sarebbero adatti nemmeno ad una festa di Halloween tanto sono scabrosi, con improvvisa e falsa indifferenza, esclama: «Lo facciamo dopo l'albero. È tutto il giorno che sono qua dentro, ho voglia di aria fresca, di gente...» La pallina che ha in mano va a finire appesa all'albero, mentre con molta nonchalance spinge con un piede lo scatolone sotto alla scrivania. Non distacca per un solo attimo lo sguardo dal detective, incurvando le sopracciglia in un'espressione di supplica.

«Andiamo da Harrods, sì? Devo fare gli ultimi regali, e ho bisogno che tu mi dia dei consigli.»

Eccerto. Una montagna di consigli. Come minimo uscirebbero dal centro commerciale con... No. John non ne ha la minima idea, o forse non vuole semplicemente saperlo. Sherlock sarebbe capacissimo di finire nella sezione giocattoli e prendere tutto quello che ha a che fare con la scienza: modellini anatomici, scheletri finti e, ah, be', giusto, l'ultima versione dell'Allegro Chirurgo. E magari pure quella del Cluedo. Sicuro. E chi porterebbe tutto? JOHN, ovviamente.

«Andiamo?», gli intima afferrando con un gesto felino il suo cappotto abbandonato sul divano e porgendoglielo. Meglio i giochi di società che vedere il suo povero albero deturpato in quel modo.

Il sole raggiante sul viso del detective viene oscurato improvvisamente  da un enorme ammasso di nubi. La richiesta dell'altro arriva del tutto inaspettata; il moro già pregustava l’idea di un albero del crimine piuttosto che di uno di Natale. Boccheggia inarcando un sopracciglio piuttosto confuso.

«Regali a chi? Perché dovresti fare dei regali quando tutti i tuoi amici ti odiano? Io sono l'unico che ti ama, John. John? Hey, aspetta!»
E intanto il medico è già filato di tutta fretta giù per le scale come se fosse inseguito da un folle, il che non è molto lontano dall'essere vero.
 

 

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♫ Rockin Around the Christmas Tree - Brenda Lee
 

Harrods è il centro commerciale più stratosferico di tutta Londra e, alla sola vista, da l'idea di un maestoso palazzo reale. Tutta questa sfarzosità fa arricciare il naso al consulente investigativo: il caos, le famiglie esaltate per la corsa ai regali, bambini in crisi epilettiche al reparto giocattoli, le canzoncine natalizie in sottofondo, le commesse che ad ogni angolo sono come degli avvoltoi pronte ad  intrappolarti nel mostrati qualche noiosissima e stupidissima offerta... Gli sembra di essere all’inferno. Per non parlare del fatto che tra le tante sfortune di John, c'è quella di avere amiche donne. O per lo meno, è una sfortuna per il detective.

Sono da poco entrati nel reparto profumi. Profumi! Bisognerebbe entrare con una maschera antigas per non rischiare di morire soffocati. Il medico sta perdendo quei pochi capelli che ha in testa per scegliere quale sia la meno sgradevole tra quella marmaglia di fragranze.

Guardando l'espressione schifata del detective, anche John si rende conto che l'idea di andare al reparto profumi, forse non è stata poi così grandiosa. Ogni flacone su cui poggia lo sguardo è così dannatamente caro da fargli chiedere se sono loro ad essere finiti nella zona più costosa, o se realmente tutti i profumi femminili costano un occhio della testa. Come se non bastasse, Sherlock sta tentando in tutti i modi di farlo impazzire. Ha provato a dargli le spalle ignorandolo, cercando di concentrarsi nel trovare un profumo adatto a sua sorella che non superi le cinquanta sterline, ma il detective gli sta dando parecchio filo da torcere. Gli sembra di essere tornato in guerra quando doveva stare attento ai colpi dei nemici. Solo che al posto di pallottole ci sono scie di profumo, e quasi quasi non sa cosa sia peggio.

Il moro infatti, sta spruzzando a casaccio un profumo dietro l'altro su punti qualsiasi del corpo del medico, beccandosi le occhiatacce delle commesse. Tuttavia, anche se li cacciassero, per il detective sarebbe solo una gioia.

«Allora, vuoi smetterla di... Sherlock!», grida John con voce strozzata quando l'ennesima spruzzata gli finisce negli occhi. «Cazzo, vuoi accecarmi?!» Dolore, dolore, dolore. Porco cazzo. Che male, merda. Muoio, impreca mentalmente portandosi le mani al viso senza osare toccarsi gli occhi ridotti a due fessure.

«Ma dico, sei fuori di...», riprende quando riesce ad aprire le palpebre appena un po' di più, ma la frase gli muore in gola. Il detective gli ha spruzzato direttamente sul collo l'ennesimo profumo, e gli si è avvicinato scostandogli il colletto della camicia per annusarlo. La punta del naso sfiora la pelle del biondo, e la scena è breve ma così intima da far arrossire qualche commessa dietro il bancone, ma allo stesso tempo, da far andare in escandescenza il dottore.

«Sherlock!», impreca come se il nome dell'altro fosse diventato improvvisamente una bestemmia. Gli occhi gli bruciano ancora terribilmente e saranno sicuramente rossissimi, e quell'idiota lo provoca proprio sul suo punto più sensibile. Non stavano già dando abbastanza spettacolo tra commesse e clienti, no di certo, devono pure fare il teatrino porno visto che ci sono.

«Uhm, potrebbe andare. Insomma, sa di pere marce, ma voglio dire, chi se ne frega!», esclama il detective facendo svolazzare una mano in aria e stringendosi nelle spalle. «Dio mio, John! Odori così tanto che sembri un arbre magique!» Tutto il suo viso si contrae in una smorfia, e si allontana da lui manco il biondo avesse il colera.

Perché cazzo non ho fatto l'albero omicida, pensa John prima di sentirsi dare del “profumatore per automobili”, che tra i tanti bellissimi complimenti ricevuti dal detective negli ultimi anni, non è neanche uno dei peggiori. La mascella gli si serra, mentre strappa a Sherlock il profumo di mano, e si avvia verso la cassa per pagare e andarsene da quell'inferno di posto.

Non fa neanche tre passi che, voltandosi con l'intento di chiedergli di aspettarlo un solo e brevissimo minuto, lui è già sparito. La mano del medico si serra attorno al flacone di profumo; potrebbe esplodere da un momento all'altro, ma neanche le occhiate preoccupate delle commesse bastano a fermarlo. Io lo ammazzo. Giuro che lo faccio, impreca mentalmente. Molla il profumo sulla prima mensola che trova, imbestialito come non mai, e con una faccia da terminator che gli permette di aprirsi facilmente un varco tra la folla, esce da quel terribile reparto chiedendosi dove diavolo possa essere andato il tanto sagace detective.

Nel frattempo, per noia, e sempre e solo per noia, Sherlock scambia il carrello di due signore senza che queste si accorgano di qualcosa. Figurarsi l'imbarazzo una volta alla cassa. Poi, ancora in quel dannato girone dell'inferno e lontano da John, si sofferma alla vista di un enorme cartellone con su scritto: “Un'idea regalo per una persona davvero speciale”, e subito sotto di esso su di un manichino, vi è un audace completo d'intimo per donna molto sexy di color fucsia, con pizzi e merletti vari. Il suo fidanzato ha accennato all'idea di voler fare anche un pensierino alla padrona di casa, così il detective resta per qualche istante ad osservare quello strano indumento – non ha la minima idea di come s'indossi, è raccapricciante – con lo sguardo sottile, martoriandosi un labbro che solo quello basta a rendere la scena inquietante ed ambigua tanto che, se non si smuove da lì, qualcuno chiamerà la sicurezza.

«Signorina, voglio questo. Me lo impacchetti», dice alla prima commessa che si ritrova davanti. La povera donna ha tutta l'aria di una che vorrebbe chiedere: “È per lei?”, ma preferisce tacere e obbedire.

Con un pacchettino rosa infiocchettato, Sherlock se ne va in giro per il centro commerciale alla ricerca del fidanzato.

Non appena s'incrociano, alla vista di quei dannatissimi ricci in mezzo ad una marea di gente, John sente l'improvviso ed impellente desiderio di strapparglieli uno a uno estremamente lentamente, infliggendo al detective più dolore possibile. Per poco non era ricorso al microfono per richiamarlo, come una madre sbandata che ha smarrito il proprio figlio. Gli ci sono voluti ben venti minuti prima di riuscire a trovarlo.

A lunghe falcate lo raggiunge, rischiando di travolgere due signore e un bambino nel mentre.

«Brutto...» inizia, ma Sherlock lo zittisce abbandonando un pacchettino tra le sue mani.

«Ho preso il regalo per la signora Hudson. Non fare domande.» Il detective si distanzia da lui di qualche passo; il lungo cappotto grigio che svolazza. «Vado a spendere i soldi di mio fratello!» E detto ciò, tira fuori dalla tasca una carta di credito, sfoggiando un largo sorriso da schiaffi.

Il biondo si rigira il pacchetto tra le mani contando mentalmente fino a dieci, decidendo che è il numero perfetto per sbollire la rabbia e andarsene anche lui a far compere una volta per tutte prima di perdere completamente il senno.

Abbandonato nuovamente John come un fesso, Sherlock ha la brillante idea di spendere un patrimonio solo ed esclusivamente per il proprio dottore, a cominciare dai vestiti, quelli sono i più importanti. Peccato che nel giro di pochi minuti rischi di mandare in reparto psichiatria i commessi che lo servono; li sta facendo ammattire. Sia perché ogni indumento deve essere perfetto ed esattamente come lo vuole lui, sia perché sputa fuori l'intera vita di ogni dipendente dopo una veloce occhiata.

Poi, dopo gli abiti, deve comprare tutte quelle cose meno importanti ma comunque utili, come profumi, dopobarba, prodotti per capelli, ma che non devono essere troppo profumati o gli viene la nausea, visto che convive col dottore e ci fa anche altro. Infine ci sono le cose creative e di gusto come i libri, ma anche giochi da tavolo che John sicuramente odierà dopo aver giocato con lui e che brucerà nel camino.

Passa così più di un'ora e mezza, e il dottore riesce finalmente a comprare tutti i regali per le persone a cui tiene di più: Harry, Lestrade, Molly e la signora Hudson. A Sherlock ovviamente il regalo l'ha già preso da più di un mese, e l'ha nascosto in luogo dove non potrà trovarlo in alcun modo; non vede l'ora di darglielo. Per un attimo la sua mente vola a quando lo scarterà, e l'espressione sul suo viso che si tramuterà in sorpresa prima, e in felicità poi. John ci spera tanto.

Il consulente investigativo avrà in totale cinque buste per ogni mano, ed un paio di occhiali da sole che ha ricevuto in omaggio. Ha tutta l’aria di un fashion blogger in preda ad uno shopping estremo. Sta girovagando di qua e di là, quando trova John al reparto elettrodomestici. Probabilmente vorrà comprare un nuovo frullatore dopo che lui l'ha fatto esplodere, per sbaglio, mentre era nel bel mezzo di un esperimento.

«John!», gli urla da dietro facendo sussultare l'altro come se fosse stato colpito da un fulmine.

«Sherlock.» La voce di John è bassa, gelida, e priva di entusiasmo. Si volta esibendo un sorriso falsissimo che subito si congela alla vista di tutto ciò che il detective si sta portando appresso braccio per braccio.

«Questi sono i miei regali per te.» Il moro  solleva le braccia a mostrare il bottino.

«Regali? Miei? TUTTI?»

«La maggior parte sono indumenti, così una volta tanto ti vestirai bene. Oh, e ti ho preso anche della biancheria intima. Anche con quella non scherzi. Non tollero ancora la vista di quelle tremende mutande rosse. Penso che tu debba metterti proprio d'impegno per avere un gusto così pessimo. Ma vabbe', lascia perdere.» Di nuovo il detective liquida il discorso con una sventolata di mano e con aria saccente.

«Tieni, prendi questi. Me li hanno regalati. Sono orribili.» Si leva gli occhiali da sole neri e li infila sulla testa del biondo.

«Non... Cos'ha che non va il mio intimo?!» John non ha neanche il tempo di pensare al regalo per Sherlock, o ai regali da Sherlock, o ai commenti fastidiosi e sarcastici di Sherlock, o agli occhiali di Sherlock improvvisamente sulla propria testa, che la propria mente è così piena di SHERLOCK che John vuole solo andare dritto filato a casa e farsi un bagno caldo per un tempo indefinito, senza udire una sola altra parola.

«Allora, hai finito di fare regali ai tuoi amici immaginari?» Fa del sarcasmo il detective, facendo cadere le buste che ha in mano ai piedi di John. Sono regali per lui, quindi che se li porti da solo!

«Sì. Ho finito. Andiamo a casa, ti prego. E le buste te le porti, grazie.» Il biondo è così sfinito che non ha neanche più la forza per arrabbiarsi, ma la fuga improvvisa del detective gli fa cambiare tono di voce in mezzo secondo.

«Sherlock, dico davvero, SHERLOCK! Dove diavolo stai andando?!», grida raccattando il più velocemente possibile le buste e correndogli dietro, dando spettacolo per l'ennesima volta tra i vari clienti che stanno per lo più sghignazzando. Uccidetemi, è il suo unico pensiero.

Come se non bastasse, appena iniziano ad avviarsi verso l'uscita del centro commerciale, Sherlock viene catturato dalla vista di un'enorme sceneggiatura allestita da centinaia e centinaia di cristalli di ghiaccio fatti di carta, fiocchi, merletti vari, campanellini, luci ad intermittenza e tizi imbarazzanti in calzamaglia. Al centro, su di un palchetto circondato da un'orda di bambini febbricitanti, vi è un trono dove se ne sta  ammassato un panciuto Babbo Natale. Quest'ultimo, un tizio di quasi settant'anni e passa ad interpretare il personaggio, si alza a fatica dal trono per iniziare a danzare e a cantare una canzoncina natalizia irritante assieme a degli elfi. Ma il teatrino dura pochissimi minuti perché l'uomo dalla folta barba bianca e riccioluta, dopo un iniziale tentennamento, finisce per cadere svenuto a terra. Ed è qui che il detective abbandona per l'ennesima volta John facendolo sbraitare in preda all'esasperazione.

Si catapulta sul palchetto rialzato osservando più da vicino la figura massiccia di quell'uomo a terra che ancora non riprende i sensi, mentre due ragazze e due ragazzi vestiti di verde gli stanno addosso controllandogli il battito. Il detective, con le mani in tasca nel suo cappotto grigio, si volta verso quel pubblico ora paralizzato e confuso fatto di piccoli e paffuti visi. La sua espressione è severa e austera mentre li osserva col mento all'insù.

«Bambini. Babbo Natale è morto. Ma non preoccupatevi. In realtà non esiste.»

Ed è un attimo. Negli occhi dei bambini si dipana il terrore puro.

C'è chi cade a terra sbattendo i piedi in preda a urla isteriche, chi si mette le mani nei capelli e piange di un trauma dal quale non si riprenderà mai più, chi inizia a lanciare manciate di patatine in faccia a Sherlock, chi impreca con: “La vita fa schifo!”, e chi invece se ne frega bellamente continuando a succhiare il proprio ciuccio in bocca.

Sul viso del consulente investigativo si manifesta, invece, un sorrisetto compiaciuto. Gli addetti alla sicurezza gli si avvicinano pericolosamente, ma mai quanto un John che ha mandato in aria pacchi e pacchetti per raggiungerlo.

«Ti ha dato di volta il cervello?! Sono bambini di tre, quattro anni!», gli sbraita addosso dopo averlo afferrato per il bavero del cappotto. Lo scuote con forza, con un grandissimo istinto omicida che gli sale da dentro e che si è risvegliato tutto d'un colpo. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Allunga un braccio verso i bambini, indicandoli. «Avrai tutti i loro traumi sulla coscienza», sibila. «Ah, no, giusto. Tu una coscienza non ce l'hai.»

«John, è giusto che sappiano la verità! C-credimi, gli sto facendo s-solo un favore... E lasciami!» II detective, scosso da tutta quella furia indomita, barcolla sul bordo del palchetto rischiando di cadere su quei bambini traumatizzati.

Mollandolo di colpo, con i nervi a fior di pelle, John se ne va senza curarsi minimamente di tutti i pacchi e pacchetti sparsi a terra, e tanto meno del povero Babbo Natale.

«Ci vediamo a casa!», grida ancora inferocito, senza voltarsi, con i pugni calati nelle tasche del giubbotto. Questa è stata decisamente la peggior uscita in un centro commerciale della sua vita, e come minimo si farà almeno cinque chilometri a piedi. Forse, lo aiuterà a sbollire la rabbia.

Liberatosi da quella presa animalesca, Sherlock si è preoccupato più di lisciarsi il suo bel cappotto pregiato, che non di tutto quel putiferio creato a causa sua e del proprio fidanzato che lo ha mollato in asso senza nemmeno degnarsi – essendo un dottore – dell'uomo svenuto a terra. Fortunatamente però, il Babbo Natale riprende i sensi ben presto, ed uno dei ragazzi vestito da elfo sussurra a denti stretti e piuttosto minacciosamente al moro: «Se ne vada via subito, esibizionista del cazzo, o chiamo la sicurezza!»

Ebbene, di sicuro chiunque si sia imbattuto in Sherlock Holmes in questa giornata, avrà desiderato che la morte lo colpisse all'istante. Con il medico ormai bello che sparito, Sherlock si ritrova a chiamare un taxi per tornare a casa, non prima di aver agguantato una dozzina di buste e pacchetti che l'altro ha mandato al diavolo durante la fuga.


 
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È la sera della vigilia di Natale. Le strade sono innevate ed illuminate in ogni angolo. La neve cade su Londra ormai da giorni e tutto sembra essere silenzioso ed incantato. John e Sherlock stanno inoltrandosi in Hyde Park dopo aver cenato da Angelo, perché un certo sociopatico ha dimenticato di fare la spesa – John non ha avuto un attimo di pace in ambulatorio – e quindi in casa il frigo è rimasto vuoto ad accezione di tre dita mozzate in un sacchetto di plastica.

I due uomini sono incappucciati ed indossano cappotti imbottiti, con tanto di calde sciarpe legate attorno al collo per ripararsi dal freddo. Le mani coperte da dei guanti, sono ben nascoste nelle tasche. Camminano fianco affianco, con nuvolette di fumo bianco che fuoriescono dalle narici e il rumore dei loro passi che sprofondano nella neve. All'angolo di un sentiero del parco, vi è un pupazzo di neve “altezza John Watson”. Ha perfino legata sul collo una sciarpa dalla discutibile trama, che di sicuro il medico sarebbe capace d'indossare. Chiunque abbia fatto quel pupazzo, ha trovato un modo geniale per disfarsi di quella sciarpa orribile.

Sherlock si avvicina a quell'ammasso di neve ed inizia a prenderne una buona manciata da un lato per farci una bella palla. «Ti sfido. Vediamo chi riesce a fare il lancio più lungo», dice voltandosi verso il biondo con le gote arrossate dal freddo e il fumo bianco che esce dalla sua bocca disperdendosi nell'aria.

Sfida. La parola rimbalza nel cervello di John, accendendo il suo lato competitivo come farebbe un fiammifero con la miccia di una bomba.

«Io, ovviamente», replica voltandosi e affrettandosi a prendere una manata di neve.

In Sherlock balena improvvisamente un'idea malsana. Tira a John una palla di neve prendendolo alla sprovvista, ed è un po' un modo di vendicarsi per essere stato costretto dal proprio fidanzato a mangiare fino all'ultima briciola della cena ordinata. Ma grazie ai suoi grandissimi riflessi, il medico si sposta appena in tempo, e la palla lo colpisce solo di striscio. Il colpo in pieno se lo becca uno sfortunato gatto nero che sta passando davanti a loro due, il quale lancia un miagolio strozzato per poi dileguarsi come una furia.

«Oh, cielo», esclama piuttosto disinteressato il detective, rivolgendo poi lo sguardo al biondo.
«Non fare quella faccia, non è mica morto!» Fa spallucce. Da lì a breve potrebbe avere inizio una terribile guerra di palle di neve. Ed infatti...

«Certo che faccio questa faccia!», esclama stizzito l'altro. «Povero gatto! Sei senza pietà!»

«Non era mia intenzione colpire il gat–». Le parole del detective s'interrompono bruscamente a causa della palla di neve lanciata da John che gli finisce dritta in faccia. L'espressione sul volto di Sherlock una volta caduta la neve a terra, è così rabbiosa che John non può fare a meno di scoppiare a ridere piegato in due, beccandosi così tre palle direttamente sulla schiena una dietro l'altra.

«Nano malefico che non sei altro», ringhia il detective a denti stretti.

La battaglia ha avuto inizio, e prosegue tra centri perfetti e palle schivate, corse e rincorse, voli a faccia in giù nella neve e nascondigli dietro ad alti alberi dal largo tronco; si stanno divertendo come due bambini, e John non se ne vergogna neanche un po'. Freddo permettendo, continuerebbe per ore. Sta per lanciare l'ennesima palla, quando sente improvvisamente della musica provenire dalle sue spalle. Si blocca e subito si volta, facendo cenno a Sherlock di avvicinarsi.

«Credo sia un coro, non sembra anche a te?», dice dopo essere rimasto in ascolto per qualche secondo percependo quella che sembrerebbe una canzone natalizia.

«Deve essere qualche stupido coro di Natale, John. Cosa diamine ci andiamo a fa—», ed ecco che Sherlock viene nuovamente interrotto venendo trascinato come un fantoccio da quell'uragano di Watson che lo tira per un braccio.

«Forza andiamo, voglio vedere di che cosa si tratta!» John lo tira con forza dietro di sé, sorbendosi le sue mille e solite lamentele su quanto sia noioso, e che dovrebbero tornare a casa, e che a lui delle canzoni di Natale non frega proprio nulla, eccetera, eccetera. Niente di nuovo insomma, l’ex soldato ha sopportato ben di peggio.

Seguendo la direzione della musica e delle voci che stanno intonando dei deliziosi canti, giungono in breve tempo nel luogo cercato da John.

Decine e decine di bambini divisi in numerose file ed imbacuccati nei loro giubbotti pesanti, stanno intonando “Oh Happy Day”, e il medico non può fare a meno di sorridere in mezzo alle tante persone e genitori che li seguono visibilmente felici. La neve, le sagome degli alberi e dei rami imbiancati, la luce dei lampioni, la musica e i canti dei bambini, tutto l'insieme, hanno creato un'ambientazione magica, da fiaba. Tra l'altro, osservando meglio il piccolo chioschetto lì vicino, John si è reso conto che si tratta di una raccolta fondi per i bambini malati di osteosclerosi, una malattia molto rara che colpisce i neonati e che impedisce loro la corretta formazione delle ossa, inspessendole e rendendole fragili allo stesso tempo. Una malattia bruttissima. A coordinare quella marmaglia di bambini e ad invogliare la gente a donare per la causa, ci sono una dozzina di suore che scorrazzano sventolando i loro mantelli neri.

«Sherlock? Diamo qualche soldo anche no–» Il medico non fa in tempo a finire la frase che un uomo col berretto calato fino agli occhi, e una sciarpa nera alzata fin sopra al naso, ruba la scatola dei soldi scappando a gambe levate.

I canti s'interrompono e negli occhi della gente c'è lo sconforto e il panico più totale.

«Merda. Dovremmo inseguirlo, Sherlock!», grida John allarmato voltandosi verso il detective.

«Sinceramente vorrei tornarmene a casa», risponde lascivo il moro.

«Corri, imbecille!», sbraita l'ex-soldato un attimo prima di scattare ed iniziare a correre a perdifiato verso il rapinatore.

Sherlock rotea gli occhi, ed estraendo le mani dalle tasche si unisce alla corsa, superando in poche falcate il passo del medico. Nel mentre, il rapinatore scivola rovinosamente sulla neve con la scatola che vola via da lui. Il detective gli è a pochi passi; l'uomo si rialza preferendo darsi alla fuga e lasciando il bottino a terra, piuttosto che venire catturato. Sherlock afferra la scatola della raccolta fondi e subito John gli è affianco ansimante e con le guance arrossate dal freddo.

«Lascialo fuggire quel bastardo. Preoccupiamoci di portare i soldi in salvo», dice il dottore tra nuvolette di fumo bianco. Il moro annuisce e tornano indietro mettendo tra le mani di una suora gracile e dal volto pieno di gratitudine, la preziosa scatola piena di soldi.

«M-ma io la conosco! Lei è il signor Sherlock Holmes! Oh, che Dio la benedica, ha salvato il nostro Natale!» La donna stringe con vigore e con occhi languidi la mano del detective, il quale ricambia annuendo e stirando appena un sorriso di circostanza. «Miei cari, il signor Holmes ha salvato la raccolta fondi! Possiamo ancora aiutare quei poveri bambini. Che Dio lo benedica! Ringraziatelo!», esulta la suora spalancando le braccia al cielo. Ed è un attimo. I bambini spezzano le righe per catapultarsi addosso al consulente investigativo con un unico ed unisono grido: “YEEEH!”, scansando addirittura il povero John Watson, come se fosse totalmente escluso dalla faccenda. C'è chi gli si avvinghia al cappotto, alla sciarpa, alle spalle, ai capelli che fuoriescono dal capello, c'è chi addirittura lo abbraccia o lo benedice come un santo.

«N-No, ok, va bene così. G-grazie, basta, andate v-via! VIA! Malede… JOHN, AIUTO!» Il detective è disperato, e si ritrova a chiedere l’intervento del proprio uomo, desiderando tanto di ritrovarsi un lanciafiamme tra le mani per sterminare tutta quella marmaglia di bamnini.

La scena è così esilarante, ma così divertente, che John sta ridendo come un pazzo. Davvero non ricorda quando ha visto Sherlock in una situazione così comica, e il suo grido d'aiuto è il colpo di grazia. Si piega in due, tenendosi la pancia, sentendo le lacrime bagnargli gli occhi. Questa è decisamente la giusta punizione per aver colpito quel povero gatto.

«Sherlock! I bambini... TI AMANO!», grida John ridendo ancora più forte alle proprie incredibili parole. Mai avrebbe pensato di dire una cosa del genere in tutta la sua vita. È così assurdo che davvero, non riesce proprio a smettere di ridere.

Fortuna che ci pensano due suore a distaccare quegli avvoltoi e dir loro di rimettersi in riga per intonare un nuovo canto. Il detective tira un sospiro di sollievo e si sistema gli abiti un po' scombussolati.

«Immagino che ora tu sia contento, John. La prossima volta lascerò che sia tu a fare il supereroe alla Daredevil», sbotta stizzito arricciando le labbra in un broncio.

«Mi spiace, ma Daredevil si addice molto più a te che a me», afferma l'altro riuscendo finalmente a riprendere un po' di contegno.

 
♫ Somewhere in my memory - John Williams
 

I bambini si sono messi nuovamente in riga, e hanno ripreso a cantare intonando una bellissima canzone. Subito il titolo compare nella mente di John; si tratta di “Somewhere in my memory”, e i ricordi del dottore scattano istantaneamente a molti anni prima, quando era un ragazzo, e sua madre metteva una musicassetta nello stereo di casa poco prima di apprestarsi a fare l'albero di Natale assieme a lui. Fra le tante canzoni, “Somewhere in my memory” era proprio una di quelle che il medico amava di più. Un sorriso malinconico compare per qualche attimo sul suo viso, in un misto di nostalgia e felicità dato da quel bellissimo ricordo che ancora conserva nella sua memoria, proprio come dice il titolo della canzone.

«Oh...» A John scappa un'esclamazione di sorpresa mentre allunga una mano col palmo rivolto verso l'alto, e lo sguardo si alza di conseguenza a scrutare il cielo nero, andando ad accertarsi che abbia davvero ripreso a nevicare. In risposta, dei piccoli fiocchi di neve si posano sulla sua mano. «Sherlock, nevica», dice con un tono di voce più dolce del solito, voltandosi verso il detective, sentendo ancora una sensazione di calore al petto dato dal ricordo, dalla musica, dalla neve, dalla consapevolezza di essere lì con quel cretino del suo fidanzato che non fa altro che farlo disperare in continuazione.

Sherlock solleva il viso verso il cielo della notte non appena John glielo fa notare. «Tu sempre a constatare l'ovvio, eh?», mormora saccente. Ma il gesto successivo che compie il medico, lascia il detective totalmente sorpreso.

Dopo aver osservato per qualche secondo quel viso assorto, quel profilo perfetto che spesso e volentieri cattura il suo sguardo, John allunga una mano e la appoggia sulla sua guancia tiepida, facendolo voltare. Un veloce e dolce bacio è quello che da John a Sherlock, così veloce da sembrare quasi effimero. È la prima volta che fa qualcosa del genere in un luogo pubblico, ma non gliene frega proprio niente, anzi, nemmeno ci pensa.

Sherlock non è abituato a questo genere di cose in pubblico. Non solo per una questione di timidezza, ma per riservatezza e precauzione. Hanno già usato John contro di lui sapendo quanto il medico sia importante per il detective, quindi è meglio non dare troppo nell'occhio.

John scruta gli occhi di ghiaccio del detective e quelle sue guance imporporate per l'imbarazzo, non riuscendo a staccarsi dalle sue labbra che di qualche centimetro. «Andiamo a casa?», gli sussurra piano.

«Sì, andiamo», annuisce lui in un soffio, disegnando un sorriso gentile solo per il suo John.

Prima di abbandonare completamente il parco, decidono di donare qualche soldo nella speranza che possano servire alle cure di quei bambini sfortunati. Lasciano infine Hyde Park con ancora i più sinceri ringraziamenti delle suore, e i ragazzini del coro che li salutano sventolando le loro manine in aria mentre la neve prende a cadere con maggior vigore.

Le strade sono ormai semi deserte, e tutto è silenzioso e tranquillo. La neve copre tutto col suo manto bianco, soffiando forte assieme al freddo che s'infila fin dentro ai cappotti. Ogni angolo della città è arricchito dalle luminarie di Natale, e attraverso le finestre delle case s'intravedono famiglie riunite tra sorrisi e risate. Loro daranno una piccola cena il giorno successivo, con pochi ma fedeli amici, come la signora Hudson, Lestrade e Molly. Per quanto riguarda il pranzo, invece, Sherlock andrà dalla propria famiglia assieme a John.


 
°*°*°*°*°
 

Il loro appartamento li accoglie con le lucine rimaste accese. John le ha sparse per tutta casa, albero compreso, un albero che alla fine è stato fatto con l'unico compromesso che in cima ci sia la faccia del teschio con un cappellino di Natale sopra, invece che uno stupido e banale angioletto. Alla fine il medico aveva ceduto pur di accontentare quel sociopatico del detective che minacciava di bruciare l'albero nel camino o di lanciarlo dalla finestra.

Iniziano a liberarsi dei pesanti indumenti che hanno addosso, lanciandoli sul divano adagiato alla parete, e subito Sherlock si precipita ad accendere il fuoco nel camino perché in casa si gela. Dopodiché si lascia sprofondare nella sua poltrona nera e accende la televisione. Sospira sconfortato notando che non c'è nulla d'interessante da vedere, e che per lo più ci siano solo film natalizi. Decide così di alzarsi e di andare ad estrarre un pacchetto nascosto nella libreria tra tutta la montagna di libri.

John si sta rilassando disteso sul divano con le braccia incrociate dietro la testa. Il calore del caminetto si sta finalmente liberando nella stanza, dando al medico una sensazione di pace. Volendo, potrebbero accendere il riscaldamento, ma in salotto, e solo ed esclusivamente lì, preferiscono usare il caminetto; il calore naturale del fuoco è cento volte meglio di qualsiasi altra cosa. Chiude gli occhi, cercando di rilassarsi dopo la lunga camminata sotto la neve, quando Sherlock lo desta da quel breve momento di silenzio scandito solo dal chiacchiericcio della televisione.

«Domani aprirai un sacco di altri regali da parte mia, ma voglio che tu apra questo ora», dice porgendo al medico un pacchetto dalla carta argentata. Gli occhi gli brillano dall'eccitazione, e sotto quelle luci soffuse sembrano come due cristalli di ghiaccio.

«D'accordo», risponde accomodante John mettendosi velocemente in piedi ed afferrando il pacchetto argentato. Un sorriso involontario gli compare sul viso mentre lo scarta; ha già individuato più o meno di che regalo possa trattarsi. Ma quando la copertina compare davanti ai suoi occhi e la prima pagina viene aperta, John rimane a bocca aperta senza parole, incredulo. «Tu sei... pazzo», dice in un soffio, non riuscendo a staccare lo sguardo da quella firma. «Ommiodio, tu sei completamente pazzo!», esclama alzando la voce e mettendosi a ridere allo stesso tempo, non credendo ai propri occhi. «È la prima edizione autografata. Non ci credo».

Quello che il medico sta rigirando tra le proprie mani, è una raccolta delle prime storie scritte da Arthur Conan Doyle nel lontano 1879, e la copia è autografata dallo scrittore in persona. Tra l'altro si tratta di un volume in ottime condizioni. «Non ci credo, davvero», dice scuotendo la testa. «Non so come diavolo hai fatto ad averlo, ma dannazione, non sapevo neanche si trovassero delle copie del genere in giro.» John alza finalmente lo sguardo su Sherlock, sorridendogli con gli occhi leggermente lucidi. «Quante volte ti ho detto che è il mio scrittore preferito? Una, forse? Allora di tanto in tanto mi ascolti quando parlo», dice ridendo ed abbracciandolo. «Grazie», gli sussurra all'orecchio, decidendo di restare per qualche secondo in quella posizione con le braccia attorno al suo collo e il viso appoggiatovi nell'incavo, il libro stretto in una mano, e le braccia di Sherlock che gli hanno circondato i fianchi stringendolo a sé.

Il vedere la gioia negli occhi del suo dottore, rendono Sherlock l'uomo più felice al mondo. «Beh, solo quando dici cose intelligenti, che non capita spesso quanto io vorrei», replica ironico, ridendo sommessamente ed infine depositando un bacio sul collo del biondo.

Un momento così dolce, un momento così strano; John non è abituato a tutto ciò, seppur stia con Sherlock ormai da diverso tempo. Sono momenti rari, ma che quando accadano hanno un impatto ancora maggiore che non se accadessero tutti i giorni, ed è proprio in questi momenti che il medico vorrebbe fermare il tempo per sempre.

«Aspetta, ho qualcosa anch'io», dice il medico staccandosi dall'abbraccio con un lieve sorriso stampato sulle labbra. Corre velocemente al piano superiore, e il detective annuisce attendendolo con le mani suoi fianchi, guardando distrattamente la televisione da cui stanno trasmettendo un film natalizio qualunque.

«Questo è per te, invece», dice John una volta tornato. Gli porge una scatolina blu con un fiocchetto argento legatovi intorno. «Non è niente di che, ma ci tengo che sia tu ad averlo. E domani ti darò anch'io gli altri, ma questo... Voglio che tu lo apra stasera.»

Sherlock resta per qualche secondo a rigirarsi il pacchetto tra le mani, inarcando un sopracciglio come a dedurne il contenuto. «Va bene…», mormora con lo sguardo basso iniziando ad aprirlo. Lo stupore del contenuto folgora il consulente investigativo. Afferra tra le mani un orologio argentato da taschino. Il coperchio è liscio e semplice. Indubbiamente è un oggetto antico e di valore ma tenuto in perfetto stato. I bordi sono arricchiti da dei ghirigori. Sherlock fa scattare la molla in cima per aprire lo sportellino e mostrare il quarzo bianco dai numeri romani. Segna l'ora esatta. Non riuscendo a proferir parola e sbattendo le palpebre più volte, è John a prendere la parola.

«Era di mio nonno. Possiamo pure dire che è un cimelio di famiglia... Okey, detto così sembra qualcosa d'impegnativo, ma... In realtà volevo semplicemente che lo avessi tu. È una cosa a cui tengo molto.» Il medico gli sorride in quel suo modo amorevole che ti si scioglie l'anima. L'espressione sul volto di Sherlock, per John vale più di qualsiasi ringraziamento. Non è facile far felice il detective, spesso è quasi una missione impossibile, ecco perché scolpirà il ricordo nella propria mente attingendovi di tanto in tanto, crogiolandosi nella bellissima sensazione di aver portato un po' di gioia al proprio fidanzato.

Sherlock si decide ad alzare lo sguardo su di lui boccheggiando ancora. «E tu questo lo chiami: “Non è niente di che”? Non so cosa dire. È stupendo. Io... Grazie, John. Davvero.» Indugia con lo sguardo su di lui prima di depositare l'orologio con cura nella scatola e adagiarla sulla scrivania. «Vieni qui», sussurra afferrandolo per il collo e attirandolo a sé.
 
 
♫ Have Yourself a Merry Little Christmas - Frank Sinatra
 

Quel che ne consegue è un lungo ed intenso dolce bacio. Gli occhi si chiudono, il respiro si acquieta, assaporando appieno il sapore delle labbra dell'altro, mentre le lingue s'intrecciano e le mani si cercano.  Dalla tv giunge una musica. Sherlock non saprebbe dire quale sia, non è di certo un tipo che ascolta canzoni natalizie, ma è bella, ed è lenta, perfetta per ballare con lui. Iniziano a dondolarsi in quell'abbraccio, le fronti adagiate una contro l'altra e i loro respiri che si scontrano, mentre il fuoco scoppietta nel camino e la neve non smette di cadere.

«Che ne diresti di stenderci vicino al fuoco, e andare oltre a questo?», dice Sherlock in un soffio sulla sua pelle per poi baciarlo ancora.

Sarà banale, ma John vorrebbe realmente che il tempo si fermasse lì, in quel preciso momento, o anche solo che si dilatasse all'infinito. La domanda che Sherlock gli pone l'ha colto di sorpresa. Sorride, stupito, ma non aggiunge nulla. La sua risposta arriva con un bacio, molto più focoso del precedente, ma non per questo meno carico d'affetto.

Fanno qualche passo verso il caminetto, senza staccarsi un solo attimo, iniziando reciprocamente a voler liberarsi in fretta degli abiti indossati. Ed è così che una camicia viene sbottonata e sfilata dai jeans, o una zip dei pantaloni viene abbassata con impazienza. S'inginocchiano sul tappeto, intenzionati a prendersi tutto il tempo del mondo solo per donarsi l'uno all'altro, in quel clima natalizio in cui la neve candida fa loro da contorno.

La mezzanotte arriva più in fretta del previsto, e John e Sherlock sono ancora di fronte al caminetto, distesi e stretti l'uno tra le braccia dell'altro, entrambi appagati. I leggeri rintocchi del pendolo della signora Hudson giungono fino a loro, attutiti dal piano di differenza che li divide.

«Buon Natale, Sherlock», sussurra John posandogli un dolce bacio sulle labbra e sorridendogli con affetto.

«Buona Natale, John», replica il detective sorridendo a propria volta.

Ed è solo quell'appartamento, al 221b di Baker Street, l'unico testimone del loro grandissimo ed intimo amore. L'unico luogo che sarà sempre e solo esclusivamente loro.

 
°*°*°*°*°
 
E p i l o g o


La signora Hudson scarta con gioia il regalo che Sherlock gli ha appena dato.

«Alla fine non mi hai detto che cosa gli hai preso come regalo. Su quel biglietto c'è scritto anche il mio nome, e la cosa mi preoccupa, Sherlock», mormora il medico standosene a braccia conserte di fianco al proprio fidanzato, indossando uno dei suoi imbarazzanti maglioni natalizi.

«Oh, vedrai che gli piacerà! Credo sia un regalo perfetto per la sua relazione con il panettiere. Renderà le cose più interessanti», asserisce il detective con un sorriso ammiccante, mentre un sopracciglio si solleva sul volto di John.

La carta viene via, e la scatola rettangolare bianca viene aperta mostrando un provocante completino intimo che le mani della padrona di casa sollevano esitanti.

«Oh, cielo! Ma che roba è? R-ragazzi, io non capisco... Alla mia età, queste cose così, così... oscene. Oh, è vergognoso!» La povera donna guarda ancora esterrefatta ciò che si ritrova tra le mani.

«Ma come, signora Hudson, non le piace? Avanti, non faccia la timida! Avrà sicuramente indossato robe ben più provocanti quando era giovane», sentenzia il moro visibilmente deluso dalla reazione dell'anziana.

Molly assiste alla scena vergognandosi al posto della Hudson. Lestrade sghignazza e filma il tutto con il proprio cellulare, mentre John...

«SHEEERRLOOOCK!!!»
 
 
 
   
 
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