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Autore: Alessia_Way    25/12/2015    0 recensioni
"Come era possibile? Come poteva essere minimamente possibile che lui fosse attratto da quell’uomo? Attratto così tanto da esserne addirittura innamorato… Eppure da tre anni il rito era sempre stato quello, e lo faceva perché il suo carattere capriccioso voleva quel gesto, perché ne era davvero attratto. Ma da quando per il Conte la parola “attrazione” significasse “essere innamorato”? Lui non poteva innamorarsi, non di quell’uomo. Ci stava davvero cadendo, come tutti speravano che succedesse, e di certo non con lui. Eppure era proprio con lui che tutto stava accadendo. E voleva lasciarsi andare a quell’attrazione che stava attraversando il suo corpo e raggiungeva le sue labbra sottili, bramose delle altre. Lo desiderava, desiderava un contatto maggiore del semplice rito alla quale si erano promessi ogni qualvolta che lui riusciva nel suo ordine. E se… Quello che voleva sarebbe diventato un vero e proprio ordine? I suoi ordini facevano solamente muovere l’altro ai propri desideri… Quindi avrebbe potuto piegarlo al suo potere. Ma non sarebbe mai stato lo stesso se solo…" -Estratto
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Lindsey Ann Ballato, Mikey Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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WriterCorner: Sono imperdonabile. Ma non voglio dirvi nulla se non che sono tornata in tempo per farvi il regalo di Natale e per dirvi che mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto. 
Arigatou a voi e felice Natale, mie cari lettori <3



 

執事赤 – Akashitsuji – The Red Butler

When nightmares could kill you…

 17 Marzo 1888


Era notte fonda quando, in preda ad un incubo, il Conte aprì gli occhi. Dopo la cena preparatagli dal Maggiordomo, si era rinchiuso nelle sue stanze e si era sistemato a letto, per poter dormire placidamente e mettersi in forze per quello che lo aspettava il giorno successivo. Ma un incubo aveva invaso il suo sonno tranquillo, disturbandolo, torturandolo e interrompendolo, senza dare tregua al giovane Conte, madido di sudore che lo avvolgeva pesantemente sotto la camicia da notte.

Una nube di paura aveva abbracciato il giovane. E c’era da ricordare che non era il tipo che aveva paura, raramente ciò accadeva. Quella sera era un avvenimento raro. Raro come quei incubi, colmi di sangue e di terrore. Terrore che aveva talmente scosso il sognatore di avvenimenti tranquilli, talvolta più inquieti, ma tanto da non farlo più ritornare a dormire.

Non ti darò mai la mia paura.

Si ripeté quella frase mille volte fra sé, con gli occhi chiusi e ancora seduto sul letto matrimoniale a baldacchino che riempiva la stanza dell’appartamento londinese. Si riferiva all’incubo che aveva disturbato il suo sonno quieto, con  terrore e sangue, con sorrisi affilati e lame assetate di paura.

Ma perché un sogno che aveva come protagonista tutto quel dolore, lo aveva spaventato tanto da svegliarlo di soprassalto? Che avesse a che fare con qualcosa che riguardasse lui? Non era quello il suo destino. E non aveva forse il suo Maggiordomo affianco per proteggerlo? Come mai si era lasciato sopraffare da quella situazione che minacciava di distruggerlo con cautela e lentezza?

Domande su domande che gli affollarono la testa in un attimo, tanto che una consapevolezza terribile gli balenò in testa, terrorizzandolo e facendolo impallidire sul posto.
Che fosse successo qualcosa al suo Maggiordomo? E quel sogno lo stava preparando al peggio?

Velocemente, scostò le lenzuola dell’ampio letto, di scatto scese dal letto e balzò in piedi scalzo e con la sua camicia da notte leggera. Si fiondò in quello stato proprio fuori dalla stanza ma si scontrò con quello che era del tessuto bianco e profumato, e due braccia lo avvolsero all’istante, facendogli sobbalzare il cuore in gola. All’evidenza, respirò profondamente e si abbandonò fra le braccia del suo salvatore, cercando di decelerare i battiti del proprio cuore respirando profondamente, sollevato. Era lì con lui.

“Tutto bene, bocchan?”, chiese con voce delicata, confusa e preoccupata mentre carezzava la schiena del ragazzo con le mani coperte dai guanti perfettamente bianchi.

“Adesso sì”, asserì con voce flebile, riprendendosi pian piano dallo spavento preso, tenendo gli occhi chiusi e rimanendo abbandonato a quel corpo magro e allungato, che avrebbe messo a rischio la vita pur di proteggerlo.


 



 
A colazione, non si rilassò del tutto. Il Maggiordomo gli concesse dei massaggi lungo le spalle e le braccia, dato che ai suoi occhi appariva ancora agitato e per niente confortato. Eppure, diversamente dalle altre volte in cui aveva tentato in quel modo, non servì affatto. Lo vide ancora assente e provò in tutti i modi di distrarlo, parlandogli dei vari programmi che avrebbe svolto nell’arco della giornata, gli propose una lezione di violino, sapendo che al Conte piaceva molto suonare quello strumento… Ma niente di tutto questo avvenne.

“Signorino?”, fu allora che intervenne, durante la sua partita a carte in salotto, interrompendo ovviamente il suo gioco solitario che fece destare il Conte sul posto per farlo così voltare verso di lui, con espressione interrogativa. “Vuole dirmi cosa la preoccupa tanto?”.

Il Conte sospirò ancora, capendo a cosa si riferisse con la sua interruzione, prima di abbandonarsi allo schienale della poltrona del salotto, dove era stato chino sul tavolino a giocare con le sue carte.

“Te l’ho detto, Geràrd. Va tutto bene, mi sento solo stanco e stressato da questa situazione”, esordì, con tono stanco ma anche infastidito, come era solito essere. “E poi non mi hai detto delle ricerche, voglio novità, adesso”, ed eccolo pronto a sviare il discorso in fretta. Abile Conte.

Il Maggiordomo sospirò, sfilando poi dalla tasca interna della sua giacca nera una pergamena che srotolò con un’altrettanta abile mossa, rivelando una lunga lista di nomi. Ad occhio e croce, il Conte giurò di averne intravisti una ventina o anche più. Che tutti quelli fossero i più sospettati?

“Sarebbero…?”.

“Coloro che, durante il successo della Phantom Company, hanno tentato di lavorare con vostro padre. Solo che… Pochi di questi possono rivelarsi dei veri ricercati”, e iniziò a fare una lunga lista di nomi, quelli che lui ritenne “pochi”, fin quando non si soffermò su uno di loro che il giovane ricordò fin troppo bene:  Jonathan Eloise, il francese più ricco, dongiovanni, quello che credeva di “saperne più dei filosofi e dei letterati del secolo”. Colui che nascondeva qualcosa di losco. Ma cosa mai avrebbe voluto quell’uomo dalla sua famiglia? Mandarla in rovina? Impossessarsi dei suoi beni? Tutti quelli che avevano provato, come l’imprenditore Bonelli, a mettersi in affari con la sua famiglia, avevano sempre e solo in mente di rovinarla e spedirla in bancarotta.

“Eloise, hai detto?”, lo interruppe il Conte, alzandosi così da raggiunge il suo Maggiordomo che lo osservava porgergli la pergamena con i possibili sospettati. La prese fra le mani e studiò quel nome che aveva pronunciato con tanta durezza e soprattutto sicurezza nella sua voce, alzando poi lo sguardo verso il Maggiordomo di fronte a sé, che lo stava osservando con molta attenzione, lo sguardo rosso scarlatto deciso.

“Proprio Eloise. Potremmo indagare alla sua serata di gala. A quanto pare domani sera terrà un ricevimento nella sua magione qui nei pressi di Londra. Dovremmo partecipare, a mio avviso”, non appena pronunciò le ultime parole, il Conte Frank sgranò gli occhi allontanandosi così di scatto dal suo corpo.

“Io? Io ad una serata di gala? Hai idea di cosa significhi?”, diventò quasi paonazzo, arrossì visibilmente e cercò di nascondere il viso divenuto roseo alla sua vista, voltandosi dunque dall’altra parte.

“Non capisco la gravità della situazione…”, esordì il Maggiordomo, esibendo uno dei suoi ampi sorrisi, ma notando però lo sguardo imbarazzato e a disagio del proprio padrone.

Un momento.

Serata di gala. Quindi… Banchetti, incontri con personaggi di un certo ceto sociale, importanti, musica… Balli.

Ai balli, il Conte Frank non aveva mai partecipato. Prendeva parte a quel tipo di serate solo per cercare svago, o interessarsi di affari, ma la sua presenza era parecchio rara.

Nella sua memoria riaffiorarono immagini del proprio Conte ad un ballo, con una donna. Impacciato, nervoso… A disagio. Tanto da scappare una volta completato.

Che fosse…

“Aspettate”.

Il Conte avvampò ancora, tenendo lo sguardo basso per lasciarsi sovrastare dall’incombente silenzio che era calato nella stanza all’improvviso, un silenzio consapevole e imbarazzante allo stesso tempo.

“Voi non sapete…”.

“Sta’ zitto!”, gridò forte il Conte, voltandosi definitivamente e del tutto rosso in viso per l’imbarazzo imminente a quello che il suo Maggiordomo stava per pronunciare, ma cercò di bloccarlo con dei cenni eccessivamente visibili di entrambe le mani ma nulla riuscì a fermarlo.

“Voi non sapete ballare”.

Ecco quella consapevolezza che portò il Conte a coprire il volto con entrambe le mani, cercando di reprimere quella sensazione di imbarazzo che quella frase gli aveva provocato, quella che non avrebbe mai voluto sentire, quella che preferiva ripetere fra sé e non che fosse qualcun altro a notarlo oltre lui. Ed era ciò che odiava, che qualcuno si potesse rendere conto dei suoi pensieri, delle sue paure e delle sue incertezze. Nessuno oltre lui poteva vederle, o anche solo abitarvi, notarle. Era una cosa che odiava e lo rendeva nervoso e debole, cosa che evitava principalmente.

“Ti avevo detto di fare silenzio”, sussurrò il Conte, con la voce ovattata dalle mani che coprivano il suo viso, prima di alzare lo sguardo verso l’artefice del suo imbarazzo, fulminandolo.

“Cosa c’è di male, bocchan?”, eccolo ancora una volta a punzecchiarlo, con un sorriso che avrebbe preferito poter cancellare in quel momento, quel sorriso che gli faceva ribollire il sangue nelle vene, quel sorriso che lo avrebbe portato ad alzare le mani al viso dell’uomo che lo portava, a fatica qualcosa lo tratteneva. Forse l’educazione e il contegno che viveva in lui.

“Togliti quel sorriso dalla faccia, non ho intenzione di rispondere a questa tua domanda estremamente inopportuna”, sospirò pesantemente, cercando di reprimere l’imbarazzo e il nervosismo che in quel momento si erano impossessati di lui, ma cercò di mantenere il controllo senza distogliere lo sguardo da quell’uomo, tanto affascinante quanto fastidioso.

“Quindi lei così mi sta confermando il suo non saper ballare”, continuò imperterrito il Maggiordomo, senza abbandonare il sorriso che caratterizzava il suo carattere sfacciato nei confronti del proprio padrone.

Silenzio. Il silenzio che calò, provocò disagio nell’aria, e venne subito spezzato dalla risatina provocatoria del Maggiordomo, che si avvicinò alla figura del Conte che si reggeva alla poltrona sulla quale era rimasto seduto durante il suo gioco prima che venisse interrotto. Lo sguardo del giovane si spostò altrove, mentre il viso riprendeva il colore scarlatto che lo caratterizzava quando era nel più completo imbarazzo, ancora una volta.

“Geràrd, sei pregato di tacere”, sussurrò con voce dura, senza però guardarlo negli occhi, per non mostrare la sua debolezza che, malgrado i suoi tentativi, agli occhi scarlatti del Maggiordomo non sfuggì.

“Posso aiutarvi, in tutto, e lei questo lo sa. Non deve vergognarsi di ammetterlo…”, tentò col dire, poggiando una mano coperta dal guanto bianco sulla sua spalla prima di vederlo voltarsi verso di sé, con sguardo duro e impenetrabile.

“Non ci sarà alcun bisogno”.

“Allora dovreste rinunciare all’idea di prendere con le vostre mani colui che cercate così avidamente…”, era così dannatamente bravo a provocare il suo padrone, tanto da infastidirlo e fargli battere un pugno violento sullo schienale della poltrona.

“E va bene. Non ho mai avuto intenzione di rinunciare o tirarmi indietro. Farò ciò che giusto”, sbottò nervoso, ma con un tono di serietà nella voce, prima di respirare a fondo e riprendere posto nella poltrona, abbandonandosi quindi allo schienale, come se quelle emozioni contrastanti provate in un arco di tempo così breve l’avessero distrutto improvvisamente.

“Allora, se pensate che sia giusto avere un piano, ascoltate ciò che ho da dirvi”.

Il Conte Frank prestò tutta la sua attenzione al Maggiordomo, guardandolo però con occhi diversi, quelli che richiedevano il suo lavoro, che reclamavano serietà e mettevano in secondo piano emozioni imbarazzanti e incontrollabili. Mise così da parte anche l’imbarazzo e il nervosismo, per mettere in evidenza il suo evidente interesse, vista la circostanza: quello che stava per sentire era un piano per aggirare e scovare il possibile sospettato, avrebbe fatto di tutto pur di trovare qualche indizio che l’avrebbe portato a quello che era il suo più acerrimo nemico.

“Come ben sappiamo, sir Eloise è conosciuto per i suoi banchetti e per i suoi balli sfarzosi, dove prendono parte parecchia gente con un titolo nobiliare o molto ricca. Ma sappiamo anche che nasconde qualcosa, e dobbiamo scoprire cosa. Se è qualcosa che riguarda la sua famiglia, soprattutto, dovremmo indagare”.

“Continua”, lo incitò con fare impaziente, con un veloce gesto della mano, mentre sospirava in attesa che arrivasse al sodo.

“E bene, propongo di partecipare alla serata e…”.

“Come puoi pensare che io possa partecipare all’evento?”, sbottò Frank, alzandosi immediatamente dalla propria poltrona per guardare l’altro dritto negli occhi, incandescenti ma confusi.

“Bocchan, deve rispettare le norme di comportamento di fronte a qualcuno. Mi lasci finire, si accomodi”, lo ammonì il Maggiordomo con un cenno calmo della mano, facendo appunto sedere il Conte al suo posto prima di prendere un profondo respiro e congiungere le mani all’altezza del petto, prima di ricominciare a parlare. “Propongo dunque di partecipare alla serata e di cercare di aggirare la moglie di Eloise. E’ parecchio giovane, si chiama Francine, credo abbia la vostra età ed è già sposata con il conte Eloise che ha già un età avanzata per la donzella”.

“E cosa dovrei fare con questa… Francine?”, chiese così il Conte, interrogativo, poggiando il gomito sul bracciolo della poltrona così da tenere il mento su con la mano e guardare il suo Maggiordomo attento. La questione di dover… Aggirare la ragazza non gli quadrava molto e voleva capire.

“Semplicemente dovreste guadagnarvi la sua fiducia, mio caro padroncino, in modo da scoprire qualche dettaglio utile su monsieur Eloise. E guadagnarvi la sua fiducia intendo… Ballare con lei, riempirla d’attenzioni, corteggiarla. Giusto per una sera. Dovrete scoprire molte cose su di lui, e così facendo sarà proprio la sua sposa a confidarsi con voi”, concluse saccente il suo discorso, con uno sguardo malizioso, che nascondeva milioni di allusioni che il Conte Frank evitò di comprendere distogliendo lo sguardo e puntarlo sul proprio tavolino dove vi erano le sue carte del gioco interrotto poco prima.

Guadagnarsi la fiducia di una donna.

A malapena riusciva con quella che doveva essere la sua futura sposa e che da mesi non vedeva, fortunatamente. Ma evitò di pensare persino a quella ragazza e si concentrò sul piano elaborato dal Maggiordomo.

Ballare. Corteggiarla. Riempirla d’attenzioni.

Non era così difficile, mettendo da parte la prima opzione. Era considerato e visto, soprattutto, un ragazzo carino, educato se osservato dall’esterno e se in condizioni di dover aprire un dialogo con gente importante. Venne addirittura considerato un ragazzo attraente per le giovani donne, e insomma… Era convinto di far un certo effetto sulle ragazze. Non doveva essere difficile poi con una sua coetanea, soprattutto se anche la ragazza era di bell’aspetto, seppur sposata con un riccone abbastanza adulto. Credeva di potercela fare, esternamente poteva dichiararsi vincitore.

Ma a ballare? Come poteva pensare di conquistare una nobildonna senza saper mettere un piede dopo l’altro durante un valzer o chissà quale altro ballo. Come poteva.

“Credete di potercela fare?”, chiede cauto il Maggiordomo, rimanendo ancora fermo nella sua posizione con la schiena ben dritta e lo sguardo cremisi sul suo Conte, chino a contemplare chissà quale angolo remoto della stanza, sovrappensiero.

“Non so ballare”, ammise di getto, ancora assorto nei suoi pensieri, come se quella era una consapevolezza che sarebbe dovuta rimanere silenziosa e, appunto, nella sua mente. Gli scivolò dalle labbra, ad alta voce, con una naturalezza tale da sorprendere persino il Maggiordomo.

“Dovreste prendere lezioni, sempre se accetta l’impegno”.

“Chiamami qualcuno che me le dia allora”, esordì il Conte Frank, sollevandosi in piedi per poter guardare il proprio Maggiordomo, con serietà e decisione negli occhi, respirando molto profondamente. Stava davvero per commettere un atto che non si sarebbe mai aspettato di poter realizzare.

“Ce l’ha davanti, my lord”, e si esibì in un profondo inchino, portando il braccio destro all’altezza del petto, prima di sollevarsi nuovamente, mostrando il viso perfetto incorniciato da un sorriso altrettanto perfetto quanto soddisfatto di quella constatazione, le ciocche di un rosso cremisi a completare “l’opera”, tanto da far mancare per un attimo il respiro al Conte che dovette tossire per potersi riprendere e guardare confuso ma anche divertito il suo Maggiordomo.

“Stai forse scherzando, Geràrd”, inarcò così un sopracciglio, incrociando le braccia al petto mentre osservava in attesa di una risposta l’uomo che gli stava di fronte che improvvisamente gli lanciò uno sguardo carico di sfida.

Ed in un batter d’occhio, si mosse, leggiadro ed elegante. Iniziò a ballare sul posto, mostrando al suo Conte dei passi complicati, alternati con altri semplici ma realizzati in modo perfetto, seguendo un ritmo che apparteneva solo nella sua testa ma che cercò di trasmettere anche a colui che lo stava guardando, che di danza non ne sapeva assolutamente nulla.

I suoi occhi verdi seguirono i piedi eleganti dell’uomo, che si muovevano veloci e ad un tratto lenti, facendo volteggiare quel corpo alto e snello in modo da risultare splendido da vedere, armonioso agli occhi di colui che non aveva mai visto qualcuno danzare o che potesse solo capire di cosa si trattasse. Lo ammaliò tanto da fargli immaginare una melodia di quelle che spesso ascoltava per via del Maggiordomo, una melodia a lui sconosciuta ma come se in quel momento la conoscesse da una vita. Immaginò addirittura una scena dove lo vedeva protagonista, dove ballava per compiacere un pubblico sconosciuto, che rimaneva ammaliato a sua volta proprio come lo era Frank in quel preciso istante.

Un rumore sordo di tacchi che sbattevano fra di loro, concluse il ballo e, con esso, tutta la messa in scena nella mente del ragazzo, che ritornò alla realtà. Sbatté gli occhi, incredulo e per ritornare a concentrarsi sulla sua figura, prima di alzare lo sguardo sul viso dell’uomo, rimanendo ancora un tantino stordito da tutto quello che era successo, che lo aveva scosso nel profondo, ma era una sensazione di benessere a lui estraneo, come se quella musica da lui immaginata e quel ballo lo avessero fatto sentire bene.

“Allora? Sto ancora scherzando?”, fu una risatina dell’uomo a riportare la totale attenzione del ragazzo su di sé, mentre quest’ultimo scosse la testa, passandosi le mani fra i capelli scuri.

“Non so come potrei imparare in poco tempo, non pensavo fossi così bravo”, ammise con voce flebile, quasi scoraggiato mentre riprendeva posto sulla poltrona, respirando a fondo e con sguardo assente.

“Vi preoccupate di questo? Domani mattina avremo tutto il tempo per studiare. Vi ricordo solamente che il ballo è fra esattamente cinque giorni”.

Cinque giorni. Come poteva pretendere di saper ballare in pochissimo tempo, iniziando praticamente da zero?

Lo sguardo preoccupato del Conte attirò l’attenzione del Maggiordomo, che si avvicinò a lui per sfiorare il suo volto con la punta delle dita, alzandolo dal mento.

“Con me, non dovete preoccuparvi, e voi lo sapete”, e così detto, si chinò a baciargli lentamente la fronte, quando il Conte sperava in un altro tipo di bacio ma strinse gli occhi per scacciare quel pensiero, cercando di non farsi notare troppo dall’uomo. Venne lasciato poi solo, per potersi rilassare e finire il proprio gioco, fino all’ora di cena.

Dopo cena, si rilassò leggendo un libro, con la testa troppo occupata da pensieri ingombranti, che non lo lasciarono respirare neanche nell’ora di lettura.

Pensava a quell’uomo che aveva ballato per lui, alla sensazione di benessere che aveva sentito, al piano da attuare per la sua missione, al ballo da dover studiare in cinque giorni. Quando chiuse il libro, chiuse anche la sua mente, svuotandola di quei pensieri che lo stavano soffocando.

Quella sera volle però al suo fianco l’uomo, chiedendogli di vegliare su di lui fin quando non sarebbe crollato in un sonno profondo. Il Maggiordomo, mettendo da parte l’idea che fosse per debolezza per non infastidire il padrone che pareva alquanto turbato, rimase al suo fianco, sdraiato mentre lo stringeva vicino. E gli ritornò alla mente il turbamento che aveva travolto il  giovane Conte. Aveva ancora quel dubbio che non lo aveva lasciato un attimo.


E proprio quando quel pensiero gli affollò la mente…

Ho sognato che Jeff The Killer faceva a pezzi il mio corpo”.
 


 
 
 

You'll never take me alive.
You'll never get me alive.
Do what it takes to survive,
And I'm still here.

   
 
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