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Autore: FRAMAR    25/12/2015    21 recensioni
I soldi non nascono sugli alberi, ne cadono dal cielo... ma si possono trovare su una panchina di un parco.
Si stava prospettando un brutto Natale, papà disoccupato... quei soldi non ci avrebbero fatto felice, non avrebbero risolto i nostri problemi ma...
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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~~Il Natale più bello

 

I soldi non crescono sugli alberi, si dice. E nemmeno piovono come manna dal cielo. Può capitare, però di trovarli sulle panchine del parco.

Successe a mio padre, un sabato mattina, mentre faceva jogging. Il portafogli da donna era lì, abbandonato. Lo aprii e dentro c’erano ben duemila euro in contanti.

Un colpo di fortuna? No, una vera disdetta, perché quell’imprevisto ci costringeva a un tremendo dilemma: tenere quei soldi o restituirli?

Aveva sempre pensato di essere un uomo onesto. In quel periodo, però, era più che altro un padre di famiglia disperato, che aveva perso il lavoro e da un anno non beneficiava più nemmeno dell’indennità di disoccupazione. E visto che ci trovavamo alle soglie del Natale, si prospettavano delle feste all’insegna della disperazione. Era mia madre Gloria a mantenere la famiglia, ma con un solo stipendio, da far bastare per quattro persone, i conti non tornavano mai. Stava diventando sempre più difficile saldare la rata del mutuo dell’appartamento e, in caso di insoluto, la banca ci avrebbe pignorato l’immobile. Così cercavamo di tagliare tutte le spese non indispensabili. Per esempio, avevamo venduto una delle due auto. E quando si era rotto il televisore della cucina non ne avevamo acquistato uno nuovo.

Tra le cose che non avevamo più c’era anche il gatto, ma quello non per nostra volontà. Purtroppo Verzolino, da un giorno all’altro, non aveva più fatto ritorno dai soliti giri di ricognizione del quartiere.

“Avrà deciso di mettersi in salvo prima che la navi affondi…” aveva commentato papà.

Ci scherzava sopra, ma in realtà era molto dispiaciuto per la scomparsa del nostro gatto. Io e Alex eravamo inconsolabili. A un mese di distanza dalla sua scomparsa,
nonostante avessimo tappezzato tutti i dintorni di volantini con la sua foto, di Verzolino non c’era ancora traccia.

Comunque, tornando al ritrovamento del portafoglio, l’aveva portato a casa e adesso era lì, sul tavolo della cucina. Quei duemila euro non ci avrebbero risolto la vita, ma certo l’avrebbero semplificata per un po’. Aveva discusso con mamma sul da farsi, ma restavano di opinioni diverse. Lui voleva tenere il denaro, lei restituirlo.

“Non possiamo prendere questi soldi, Samuele”, mamma ribadì per l’ennesima volta. “Sarebbe come rubare”.

“Tecnicamente non si tratta di un furto, ma di appropriazione indebita”.

“E cosa cambia? E’ sempre una reato”.

“Anche quello che stanno compiendo verso di noi.” Sospirò papà.

Lei lo guardò sorpresa. “Ma chi? Cosa stanno facendo a noi?”

“Omissione di soccorso. Rischiamo di morire di fame e nessuno interviene a salvarci.”

“Oh, Samuele…”

Le sorrise. Cosa poteva fare, se non cercare di buttarla sul ridere? La sua era la condizione di tanti operai messi prima in cassa integrazione e poi licenziati, dopo che la fabbrica in cui lavoravano aveva dichiarato fallimento. E quando i cancelli dello stabilimento si erano chiusi alle sue spalle, nessun’altra porta si era aperta tra quelle a cui aveva bussato. A quarantacinque anni veniva considerato troppo giovane per andare in pensione, ma troppo vecchio per il mercato del lavoro.

Naturalmente si era proposto per qualsiasi tipo di impiego, ma ancora una volta era valsa la contraddizione dei termini: troppo qualificato svolgere bassa manovalanza, troppo poco competente per ricoprire un ruolo di maggiore responsabilità.

“Ma chi è che va in giro con tutti questo soldi?”, si interrogò Gloria, come già aveva fatto lui, riportandosi al presente.

“Te lo dico subito”.

Aprì il portafogli e tirò fuori i documenti della proprietaria. Aveva già controllato il suo nome e cognome ma non se lo ricardava. Lesse anche la sua data di nascita: millenovecentotrentaquattro.

Gloria corrugò la fronte.

“Una signora anziana… Di sicuro questa è la sua pensione,” si angosciò mia madre.

“Alla faccia della pensione!” esclamò papà… “Chissà che lavoro faceva”.

“In effetti, hai ragione, non può trattarsi di una povera pensionata. Anche perché questo borsellino, è firmato da un noto stilista ed è originale”, disse mamma dopo averlo esaminato per bene.

“Ecco vedi? Mi hai dato del ladro, invece sono come Robin Hood: tolgo ai ricchi per dare ai poveri. Che in questo caso saremmo direttamente noi”.

“Guarda… “ disse mia madre, mostrandogli un foglietto che aveva tolto dal portafogli. “E’ la ricevuta dell’operazione bancaria e ha la data di oggi. Chissà cosa doveva farne di tutti questi soldi…”       

“Non lo so, ma noi certamente potremmo farne un ottimo uso”, disse. “Per esempio, potremmo comprare la lavatrice nuova, visto che quella che abbiamo non funziona quasi più”.

Mia madre lo guardò storto.

“Credimi tesoro,” ribadì, “abbiamo più bisogno noi di questi soldi che quella donna”.

“Non è un buon motivo per tenerli”.

“Se vuoi, oltre alla lavatrice, ti cito altri quattro o cinque buoni motivi”.

“Smettila, Samuele! Povera donna, chissà come c’è rimasta male…”

“Povera mica tanto” sospirò papà.

Mamma intanto, aveva tolto dal portafogli una serie di fotografie, di quelle che ognuno di noi porta con sé, dei propri figli o perfino dei propri animali.

“E’ una bella signora, dev’essere nonna, e questi sono i nipotini”, si intenerì guardando quelle immagini.

Le mostrò anche a me e vidi che ritraevano una donna assai distinta e dai capelli candidi. Con lei posavano un paio di bambini biondi e paffuti. Bè, certo loro non rischiavano la fame, pensai.

“Senti, Gloria, prendiamoci il week end per decidere il da farsi, va bene?” propose papà.

Mamma accettò e per il resto della giornata ci sforzammo di trascorrere un sabato qualsiasi, di quelli in cui non hai duemila euro nascosti sotto il materasso. Nel pomeriggio accompagnò me ed Alex al solito parco giochi, mentre mamma rimase a casa a fare le pulizie.

Per fortuna certi lussi, come vedere noi figli giocare felici, li puoi concederteli gratis, senza un soldo in tasca. Ma poco dopo essere arrivati noi tornammo in lacrime verso la panchina dove era seduto papà.

“Che succede”, chiese preoccupato.

“Matteo dice che Verzolino non tornerà più, perché è stato sicuramente investito da una macchia”, dissi io che all’epoca avevo tredici anni.

“Si, perché è la fine che fanno tutti i gatti che si allontanano da casa”, aggiunse Alex.

Naturalmente era una possibilità che mamma e papà avevano preso in considerazione tanto più che viviamo accanto a una strada trafficata. Ma volevamo sperare per il meglio piuttosto che pensare al peggio.

“Ma no, i gatti hanno sette vite,” cercò di consolarci papà.

Non intendeva alimentare false illusioni, ma sarebbe stato crudele dare a noi in pasto quella verità.

“E allora perché non torna?”, insistette Alex.

“Perché…forse è in casa di qualcuno che ha una bella poltrona comoda. E sapete come fa Verzolino quando trova un bel posto per dormire: non si muove più di lì e guai a spostarlo.

Lo sapevo bene io perché era sempre sul mio lato preferito del divano che si accoccolava, e ogni volta era una lotta tra noi due, a contendersi la postazione. Avrei pagato oro per rivederlo lì, eppure neanche i duemila euro avrebbero potuto restituirci Verzolino.

“E allora perché non ce lo riportano quelli che lo hanno trovato e messo sulla loro poltrona?” ragionai. “Sanno dove abitiamo, con tutti i volantini che abbiamo appeso in giro”.
“Perché Verzolino è così bello che se lo vogliono tenere”, decretò Alex.

“Ma non è giusto”, mi indignai. “Verzolino è nostro. Vero, papà, che non si possono tenere le cose degli altri”.

Domanda da un milione di dollari. Anzi, da duemila euro…

“No, inutile prendersi in giro ragazzi, non si può fare qualcosa di male per il bene dei propri figli. Una cosa sbagliata rimane tale anche se la fai per il motivo giusto”

Papà aveva sempre insegnato a noi,  che le cose avevano un valore, non un prezzo. E se c’era qualcosa che non si poteva comprare era la dignità. E anche l’onestà.
“Domani mattina andrò a restituire il portafogli e il denaro” disse a mamma.

Stavamo per perdere un tesoro, ma vidi il suo volta illuminarsi come se avessimo vinto il Superenalotto.

“Potresti andarci stasera”, suggerì mia madre.

“Voglio passare una notte illudendomi che quei soldi siano miei,” rispose papà.

Così, per scherzare, quella sera, prima di addormentarsi, mamma e papà fantasticarono su cosa avrebbero fatto con quei duemila euro, se avessimo potuto tenerli.

“Prima di tutto dei vestiti nuovi per i ragazzi”, cominciò ad elencare lei. “Crescono da un giorno all’altro e ormai gli va tutto stretto…”

“Ma no, non vale!” obiettò papà “Stiamo sognando, e almeno nei sogni dobbiamo spendere quei soldi solo per il superfluo!”

“Ah, d’accordo. Allora propongo una seconda luna di miele sul Mar Rosso”, rettificò.

Era il luogo dove avremmo voluto trascorrere il nostro viaggio di nozze, ma già ai tempi del loro matrimonio il budge era insufficiente e avevano ripiegato sulle Baleari.
Ripiego per modo di dire, perché era stata una bellissima vacanza.

“Io , invece ti comprerei l’anello di fidanzamento di diamanti che non mi sono mai potuto permettere”, annunciò papà.

“Veramente va benissimo quello che ho. Non lo cambierei con nessun diamante”, disse mamma con dolcezza.

Tutti quanti ci guardammo e scoppiammo a ridere.

Il mattino dopo, domenica, papà si recò all’indirizzo riportarto sui documenti trovati nel portafogli.

Si trovò davanti a una grande villa, immersa nel verde di un parco secolare e protetta da un’altra cancellata. Proprio come immaginava, quei duemila euro erano una goccia nel mare, per chi possedeva una simile tenuta.

Il cognome sul campanello, non corrispondeva a quello della signora. Per forza! All’improvviso gli venne  in mente che sin da quando era bambino l’aveva visto scritto a grandi lettere su un enorme stabilimento alla periferia della città. La villa, dunque, era di proprietà di quello facoltoso imprenditore.

“Chi è?” chiese una voce al citofono.

“Buongiorno, sto cercando la signora Liliana”, disse papà. “Ho trovato un oggetto che le appartiene e sono venuto a restituirlo.”

“Allora lo consegni alla persona che le mando al cancello”, lo liquidò sbrigativamente.

C’era poco da fare, papà metteva tutto il suo impegno per poter parlare con qualcuno della famiglia e mostrare la sua onestà, ma le porte rimanevano sempre chiuse per lui.

“Mi scusi, ma si tratta  di un oggetto strettamente personale, un portafogli contenente un’ungente somma di denaro e vorrei restituirlo personalmente alla diretta interessata”, replicai, irritato.

I soliti ricchi arroganti, pensò.

“Aspetti un attimo,” rispose la voce.

Probabilmente il domestico era andato a conferire con chi di dovere. Subito dopo, infatti, un ronzio meccanico fece scattare la serratura del cancello pedonale.

Papà percorse il viale che si inoltrava in un giardino molto curato, poi un domestico gli venne incontro e fu introdotto in una villa stupenda.

Non poté fare a meno di pensare che mentre c’era gente che viveva in un tale lusso, tante persone morivano di stenti. Le ingiustizie della vita.  Ah, se avesse avuto una bacchetta magica con cui rimettere a posto le cose…

Nell’atrio della villa lo accolse un uomo di cui aveva visto spesso le immagini sul giornale: il figlio ed erede del fondatore dell’azienda. Rino, così si presentò, sembrava assai sorpreso della visita di papà.

“Prego, si sieda. Il gesto che sta compendo non è da tutti”, considerò.

“Infatti, c’era mancato poco che non fosse neanche da me?”.

“E’ davvero ammirevole da parte sua”, aggiunse.

Più da parte di mia moglie, a dire il vero, pensò papà.

“Nemmeno sapevo che mia madre avesse perso il portafogli”, continuò. “Non me lo ha detto, e probabilmente non ha denunciato alle autorità competenti nemmeno lo smarrimento dei documenti”.

“Forse la signora non si è accorta di quanto è successo. A una certa età si diventa distratti,” disse papà sorridendo.

“La mamma è sempre stata svampita, a trent’anni come a ottanta. Però ha ragione, è una questione d’età. Nonostante sia ancora lucida e autosufficiente, rimane comunque una persona molto anziana. Vorrei assumere una badante, che le faccia anche solo compagnia, ma lei non ne vuole sapere e credo che il motivo per cui non mi ha informato dell’accaduto è proprio per evitare che io le possa imporre una persona che la assista”, racconto a papà, abbandonandosi contro lo schienale della poltrona.

Papà era stupito, sembrava che quell’uomo avesse bisogno di sfogarsi, di parlare con qualcuno. Voleva bene a sua volta sua madre, si preoccupava per lei e non sapeva come agire. Come tutti noi in fondo.

“Chissà cosa ci faceva, poi, con duemila euro in tasca,” riprese. Scommetto che stava per fare una donazione a qualche associazione benefica…”

Beneficenza per beneficenza, tanto valeva darli a me quei soldi! La mia famiglia era una buona causa come qualsiasi altra, penso mio padre.

“Mia madre non spende mai per sé, sempre per gli altri, non usa mai assegni o carte di credito, e vuole sempre consegnare la donazione di persona,” continuò Rino. Ragiona ancora come quando lei e papà erano poveri e i soldi bisognava toccarlo con mano”.

Rino era una persona simpatica. A mio padre lo stava trattando quasi con amicizia, nonostante la schiacciante superiorità dei suoi mezzi economici e del suo prestigio sociale.

“Naturalmente Samuele, lei sarà adeguatamente ricompensato per il suo gesto”.

Si assentò un attimo e tornò con un blocchetto degli assegni. Fu a quel punto papà decise di giocarsi il tutto per tutto.

“No, aspetti non voglio una ricompensa… So che lei è un imprenditore, mi dia un lavoro. Sono disoccupato da quasi tre anni, con due figli da mantenere… Ho bisogno di uno stipendio ogni mese,” sussurrò mio padre tutto d’un fiato.

Non so dove aveva trovato il coraggio di avanzare quella richiesta. L’uomo lo guardò per un istante in silenzio, poi si schiarì la voce e disse:

“La situazione è difficile per tutti. So benissimo, però che per alcuni lo è più che per altri. Mi dica, Samuele, lei cosa sa fare?”.

“Sono un operaio specializzato. Ma in questo periodo di inattività, non sono stato con le mani in mano. Ho seguito un corso di formazione, istituito dal comune, per imparare a usare il computer…”

“Vedo che la buona volontà non le manca, e sull’onestà non ci sono dubbi, ovviamente,” si interruppe. Sto pensando che uno dei miei magazzinieri fra poco andrà in pensione. Potrebbe affiancarlo per qualche tempo, in modo da imparare il lavoro”.

“Per me va benissimo,” esclamò papà.

“D’accordo. Mi lasci il suo numero telefonico, nei prossimi giorni mi farò sentire, glielo garantisco,” disse Rino congedandolo.

Papà non vedeva l’ora di arrivare a casa a dare la bella notizia. E lì gliene aspettava un’altra, altrettanto bella.

“Papà”, gli corremmo incontro noi ragazzi festosi. “Verzolino è tornato a casa”.

Papà guardò istintivamente il divano e il gatto era lì, al suo posto, o meglio era al posto del papà, come se non si fosse mai mosso.

Un anziano signore l’ha trovato per strada  e l’ha portato a casa”, spiegò mamma. “Non aveva visto i volantini che abbiamo affisso. Sua figlia invece sì e quando è andata a trovare il padre ha riconosciuto il nostro Verzolino e ci ha telefonato.

Vedete? Non è vero che l’onestà non paga. Eravamo stati, addirittura, doppiamente ricompensati: con un nuovo lavoro e il solito vecchio gatto!

Un Natale che si stava rivelando ad essere disastroso improvvisamente si era rivelato un giorno di gioia e ancora oggi che ho diciotto anni ricordo con emozione quel famoso giorno.

Nichy

 

 


    

   
 
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