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Autore: Arya Tata Montrose    25/12/2015    3 recensioni
Clarke non sta bene ed ha finito giusto due giorni fa il suo tè preferito. A scuola qualcuno se ne accorge e giunge in pronto soccorso della sua Principessa.

Nel momento in cui il ragazzo fu fuori portata d’orecchio, partirono i risolini e Octavia dovette trattenersi dall’informare Clarke che il suo Ribelle – come lo chiamava il preside Jaha – stava andando a salvare la Principessa.

[Bellarke][Modern!AU][1500 words]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fuori Orario
 



Bellamy Blake si riteneva un acuto osservatore. Certo, non al pari di Finn Collins – purtroppo – ma comunque era abbastanza abile da notare alcuni particolari che sarebbero sfuggiti agli occhi di altri. Specialmente se il particolare era fuori da uno schema a cui s’era abituato.
 
Più che vederlo, però, quella mattina Bellamy Blake sentiva che c’era qualcosa che non quadrava. Sentiva che c’era qualcosa di sbagliato, incredibilmente sbagliato. L’aveva pensato nel momento esatto in cui aveva varcato i cancelli della scuola e una strana sensazione gli si era appiccicata addosso. Attraversò il cortile assieme ad Octavia fino ad arrivare al portico, accanto alle colonne, dove solitamente si riuniva il loro gruppo. Quella mattina, alle sette e quarantacinque, c’erano Jasper e Monty che progettavano il furto della prossima verifica di tedesco, per venderla al resto della classe – con un ovvio sconto per gli amici –, c’erano Raven e Octavia che confabulavano tra loro, mentre Finn chiedeva consiglio a Lincoln sui boschi che circondavano la città. Bellamy scoccò un’occhiata al secondo, che, oramai abituato, non lo calcolò: sapeva che era solamente routine, che aveva accettato da tempo la sua storia con la sorella. Quella volta, Bellamy fu più acuto di Collins a notare quale fosse il particolare che stonava in quel quadro reso perfetto dall’abitudine. Clarke Griffin, quella mattina, non l’aveva ripreso per quell’occhiataccia rituale. Ed il peso che ancora avvertiva addosso pareva avere un senso, ora, un nome: era preoccupazione. Incredibile a dirsi, Bellamy si rendeva conto di starsi preoccupando per Clarke – perché già altre volte questa emozione nei confronti della bionda gli aveva invaso la testa, ma pareva l’unico, oltre all’altra diretta interessata, a non essersene accorto.
 
«Oggi la Principessa ha deciso di toglierci l’onore della sua presenza?» fece sarcastico. Octavia ridacchiò, ma lui non le diede peso.
 
Finn distolse l’attenzione dalle parole di Lincoln, voltandosi a destra e a sinistra, cercando la bionda. Sembrava notare solo allora l’assenza di Clarke e questo fece da magnete per l’astio di Bellamy. Lui non l’aveva mai sopportato e ancor meno dopo la storia con Raven e Clarke, che aveva mal digerito. Perché era ancora lì con loro?
 
A distoglierlo dai suoi pensieri fu Raven, riportandolo alla realtà. «È a casa malata.» spiegò, mettendo via il cellulare: Clarke l’aveva appena informata.
 
«Oh.» questo fu il suono che l’aspirante meccanico ricevette in risposta. Bellamy volse lo sguardo verso Lincoln, che era in classe con lui. Quello scambio d’occhiate era stato più che eloquente per entrambi: «Coprimi». Il ragazzo fece cenno d’assenso col capo e Bellamy salutò la compagnia, per poi fare dietro front e dirigersi verso la fermata del bus.
Nel momento in cui il ragazzo fu fuori portata d’orecchio, partirono i risolini e Octavia dovette trattenersi dall’informare Clarke che il suo Ribelle – come lo chiamava il preside Jaha – stava andando a salvare la Principessa.
 
Clarke starnutì per l’ennesima volta da quando quella mattina si era svegliata. Aveva cominciato a tossire convulsamente e a sentirsi male, così Abby le aveva misurato la febbre e, in quanto medico, aveva decretato che la figlia quel giorno non dovesse assolutamente uscire di casa, poi se n’era andata a lavoro, assicurando a Clarke che sarebbe tornata presto. E così la ragazza si trovava nel letto, coperta fino al mento e mugugnante. Si pulì il naso e poi tornò a rintanarsi nel caldo abbraccio del piumone, cercando di pensare il meno possibile al dolore che le attanagliava la testa.
Dopo mezz’ora buona di inutili tentativi, la ragazza ritenne che sarebbe stata una buona idea prendersi un Oki, così si alzò, un po’ di malavoglia, e barcollante raggiunse la cucina. Frugò qualche secondo in varie antine, prima di ricordarsi che cosa stesse cercando e dove avrebbe potuto trovarlo. Quando constatò con piacere di aver trovato il mobile giusto, si trovò un po’ spaesato, trovandolo sprovvisto dell’oggetto della sua ricerca. All’improvviso ricordò: il tè l’aveva finito due giorni prima e si era scordata di andare a comprarlo. Merda.
 
Sbuffò, optando per un bicchiere d’acqua come solvente per la medicina. Si voltò verso il salotto, che insieme al corridoio separava la cucina dalla sua camera. Troppo lontano, decisamente, così si stese sul divano, raccattando una delle coperte più pesanti che tenevano lì, e chiuse gli occhi, attendendo che la medicina compisse la sua magia.
 
Quando suonò il campanello, Clarke stava già per cedere alle lusinghe di Hypnos e addormentarsi profondamente. Il suono insistente e dannatamente fastidioso del campanello, però, la distolse completamente dalle sue intenzione e la costrinse ad aprire gli occhi. Si alzò, ancora rimbambita dal mancato riposo e si trascinò fino alla porta con le pantofole azzurre e il pigiama in pile che era più grande di lei. Non guardò nemmeno dallo spioncino, in quel momento le importava solo di far presto ritorno al divano e tornare a dormire. L’Oki stava già facendo effetto, quindi, nel momento in cui si trovò la faccia di Bellamy davanti, Clarke lo riconobbe e riuscì a mascherare l’espressione di completo stupore con una di profonda irritazione. «Che ci fai, tu, qui?» biascicò infatti, prima di voltarsi e tornarsene al caldo sotto la coperta di pile, lasciando la porta aperta e Bellamy sulla soglia. Lui interpretò il gesto come un limpido invito ad entrare e non si fece pregare, varcando la soglia e chiudendo immediatamente la porta dietro di sé.
 
«Allora?» lo incalzò la ragazza.
Bellamy scrollò le spalle. «Avevo sentito che la Principessa stava male e ho pensato che avesse bisogno di una tazza di tè, nulla di più.» fece, dirigendosi in cucina e mettendosi a preparare la teiera, prima che Clarke potesse spiccicare una sola parola. Solo allora ricordò che aveva finito la sua ultima scatola sì, due giorni prima, quando Octavia e il fratello erano passati a farle visita.
Rimasero in silenzio, finché la teiera non fischiò e Bellamy le portò l’infuso direttamente sul divano, mentre lui si sedette sul pouf lì accanto.
«Allora grazie» borbottò Clarke, soffiando sulla tazza fumante.
«Dovere, Principessa.» rispose lui, bevendo dalla sua. Sorrise alla leggera smorfia derisoria sul volto di Clarke: oramai si era abituata al fatto che lui usasse quel nomignolo, ma ciò non cambiava che comunque lo odiasse.
Decise però di stare al gioco. «Dunque, messere, che cosa vi porta a trascurare i vostri doveri verso i maestri per assistere me?» imitò perfettamente la parlata seicentesca, merito di un telefilm che stava seguendo in quel periodo.
Clarke ridacchiò lievemente nel vedere l’espressione sgomenta del ragazzo davanti a lei. Oramai la medicina aveva fatto effetto e il dolore alla testa era scemato abbastanza da permetterle di pensare proprio ad Octavia che, un pomeriggio, le aveva riferito che lei non risultava indifferente al fratello, come lui per lei. Ma a Clarke non era servita una parola per farselo dire, Octavia aveva fatto – e pure capito, per entrambe le parti – tutto da sola.
 
Bellamy si trovò colto in fallo e valutò rapidamente ogni possibile risposta da darle, non trovando soluzione al suo dilemma. Perché, appena saputo che lei stava male, si era ricordato che non aveva il tè e si era precipitato a comprarglielo?
L’insidiosa vocina di Octavia si infiltrò nella sua testa, dicendogli che tanto la poteva smettere di negare. “Dai, Bell, lo sai benissimo, il perché” gli fece la piccola Octavia che gli parve comparsa sulla sua spalla a mo’ di diavoletto tentatore. 
Sempre la vocina della sorella, poi, gli intimò di parlare, di piantarla di far finta di nulla oppure ci avrebbe pensato la sua versione reale in carne ed ossa a fargliene pentire.
 
«Sinceramente non lo so. Solo, ne avevo voglia, Principessa.» rispose quindi. Non sapeva se la sorella gli facesse più paura da felice o arrabbiata, ma decise che la prima opzione fosse meno rischiosa. Ignorando bellamente tutte le possibili implicazioni del gesto, Bellamy si sporse verso di lei e la baciò. Le loro labbra avevano il sapore del tè, ancora tra le loro mani, ma non importava, era un momento troppo bello per perdersi in chiacchiere del genere.
Appena si allontanarono di qualche centimetro, Clarke si esibì in un poderoso starnuto e scoppiarono a ridere insieme.
 
Una volta finita la tazza di tè, Bellamy la aiutò a rimettersi a letto e le rimboccò le coperte.
«Che galante, messere. Vi ringrazio.»
«Ora devo proprio scappare, Principessa, oppure scopriranno che il Ribelle è scappato dalle prigioni. Tornerò più tardi, promesso.» fece il ragazzo, ghignando.
Per la prima volta, a Clarke non diede fastidio nemmeno un po’, quel soprannome – sì, certo, Bellamy le piaceva, il modo in cui la chiamava no.
 
Il ragazzo giunse a scuola appena in tempo per reclutare la sorella e portarla a casa, così che la madre non sospettasse nulla.
«Allora, Bell, quando me la presenti la tua ragazza?» fece Octavia, sghignazzante da quando aveva visto il sorriso sornione del fratello.
«Presto, O, prest-» e non terminò la frase che fu interrotto da un poderoso starnuto.
Octavia gli passò una mano sulla fronte. «Sì, e mi sa che domani ti lasciamo con lei, dato che ti ha attaccato l’influenza.»
 
 
 
Angolo autrice
Buon Natale a tutti!
Eccomi approdata in questo fandom proprio il giorno di Natale, con una Bellarke fresca fresca. Spero che vi piaccia, è il mio regalo per voi (che bel regalo del cavolo, eh)!
Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, così da migliorare. Una domanda: i personaggi sono IC? (domanda esistenziale)
Uhm... non ho molto altro da dire, quindi vi saluto prima di pubblicare il 26.

Tata
   
 
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