«Guncho Tsurara!»
I proiettili di
ghiaccio schizzarono verso la parete rocciosa, dove si infransero sonoramente.
Il rumore, simile a quello di un servizio di cristallo andato in frantumi,
echeggiò nella caverna. Toshiro osservò la roccia ansimante, mentre una piccola
nuvoletta di condensa che usciva dalle sue labbra. Non era abbastanza forte, si
disse. Mancava qualcosa, qualcosa che avrebbe reso quell’attacco (e tutti gli
altri) perfetti. Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare la tessera
mancante del puzzle. Guardando per terra, si rese conto che il ghiaccio –
frutto della sua zanpakuto – aveva cominciato a sciogliersi, quindi pensò bene
di rinfoderarla per fare una pausa.
Aveva passato le
ultime due settimane là dentro, ad
allenarsi furiosamente e a far sbollire la rabbia, ma non aveva ottenuto grandi
risultati.
Uscendo fuori fu
momentaneamente accecato dalla luce del sole, che colpendo le sue retine gli
ricordo che in futuro avrebbe dovuto fare delle pause più frequenti ma brevi,
per evitare di rimanere cieco. Stropicciandosi gli occhi andò a sedersi su un
masso. Sentiva ogni millimetro del suo corpo implorarlo di smettere con
quell’allenamento estenuante, ma lui semplicemente non poteva. Non dopo quello
che era successo nella Soul Society. Ripensò a quello che era successo alla
Centrale dei 46 e la mascella gli si serrò automaticamente. Aveva riportato
ferite abbastanza gravi, che ancora gli facevano un gran male, ma erano
sciocchezze se paragonate a quelle di Hinamori.
Era andato a
trovarla. Era pallidissima, attaccata alle macchine e a una sacca di sangue
enorme. Aveva le palpebre serrate e traboccanti di lacrime. Il danno fisico che
aveva riportato sarebbe guarito, quello era sicuro. Quello emotivo …
Il pensiero
corse ad Aizen, che lo aveva accolto sorridente, la sua zanpakuto in mano e
completamente rossa, mentre Hinamori sul pavimento ansimava pesantemente.
Non era riuscito
a proteggerla. La rabbia aveva preso il sopravvento e l’aveva reso stupido,
condannandolo alla sconfitta e trafiggendolo profondamente nell’orgoglio. Era
per quello che non poteva arrendersi. Doveva continuare ad allenarsi, doveva
perfezionare le sue tecniche per poter poi affrontare lucidamente Aizen e
quegli altri due.
Si rialzò,
pronto per ritornare nella caverna, quando avvertì un reiatsu familiare alle
sue spalle. Si voltò, trovandosi davanti il suo luogotenente.
«Matsumoto
… Avevo dato precise istruzioni, o mi sbaglio? Nessuno sarebbe dovuto venire a
disturbarmi».
La
donna annuì energicamente.
«Sono
venuta solo per lasciarti un promemoria».
Detto
questo, poggiò per terra una sacca contenente due angurie.
«Sono
stata a trovare Hinamori oggi, e lei mi ha chiesto di te, e … Beh, mi ha detto
che ti avrebbero tirato su di morale».
Hitsugaya
la guardò negli occhi, poi le fece un cenno di ringraziamento con la testa.
Non
era l’unico ad avere il cuore infranto. Anche Matsumoto aveva perso tanto dopo
quell’accaduto.
E
anche Hinamori.
Aveva
pensato che, in quanto Capitano, avrebbe dovuto sbrigarsela da solo. Ma non era
solo.
No,
non lo era.