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Autore: Smeralda Elesar    27/12/2015    3 recensioni
Loki, ancora giovane e non ancora maestro di magia, cerca distrazioni al di fuori del palazzo reale di Asgard. Quando si spinge molto oltre i confini che è lecito oltrepassare, la sua avventura diventa molto più pericolosa del previsto.
//Sono stato catturato da un gigante di ghiaccio! Maledizione, come ho potuto essere così imbecille?!//
//-Tu non vuoi dire il tuo nome, ma io non ho tempo di evocare tutti i nomi dei nove regni per costringerti a mostrarti con il tuo vero aspetto, per cui ho deciso come fare a sbarazzarmi di te. La soluzione ti piacerà- [...] -Io non posso pronunciare da solo tutti i nomi dei nove regni, per cui mi farò aiutare da alcuni amici. Ho invitato tutti i parenti di mio padre e di mia madre per un banchetto che durerà tre giorni e tre notti. Ti metterò in palio per passare il tempo. Se uno di loro indovinerà il tuo nome e ti costringerà a mostrarti nel tuo vero aspetto sarai suo servo perché con il tuo vero nome può dominarti, altrimenti, se nessuno avrà ancora capito chi sei dopo tre giorni e tre notti, all’alba del terzo giorno sarai libero-//
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Sorpresa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cosa nominata, cosa dominata

---

 

Ma il mio mistero è chiuso in me

Il nome mio nessun saprà

No! No!

 

(Nessun Dorma; Turandot, atto terzo)

 

*

 

È troppo bello!

Ogni battito d’ala mi porta più in su verso il blu del cielo, decisamente più in su di quanto andrebbe un falco normale che sia stato dotato di buonsenso dalla natura.

Ma io non sono un falco. Non a tempo pieno almeno.

Per la maggior parte del tempo sono Loki di Asgard, secondogenito di Odino e principe cadetto della casa di Asaehim; ruolo che trovo noioso, riduttivo e frustrante.

Non mi permette di esprimere al meglio le mie qualità.

E così di tanto in tanto vado alla ricerca di distrazioni.

Oh, guarda! Una lepre!

La mia vista da rapace coglie distintamente i movimenti sulla neve.

Bianco su bianco.

Lo sfondo è di un bianco freddo mentre l’animale che si muove è di un bianco caldo, vibrante di vita che cela sotto la pelliccia candida il rosso del sangue.

Sta attraversando uno spazio aperto e se voglio fare uno spuntino sarà meglio che mi sbrighi.

Ali strette al corpo per prendere velocità, zampe tirate al petto e via in picchiata! Questo aspetto raggiunge velocità assurdamente magnifiche.

Sento il vento che mi fischia attorno mentre il mio corpo apre letteralmente uno squarcio nell’aria.

Fortunatamente questo aspetto ha anche degli accessori interessanti, ad esempio se non avessi una membrana nittitante a proteggermi gli occhi sarei accecato dal freddo, dai cristalli di neve e dall’attrito dell’aria.

Dovrei ringraziare Freyja per avere la possibilità di vivere tutto questo, ma se lo facessi poi lei scoprirebbe che ho preso senza permesso il suo prezioso mantello magico.

Potrebbe addirittura dire che l’ho rubato come fanno quelli a cui piace parlare male di me.

No, sarà meglio che glielo riporti sotto silenzio così come l’ho preso.

Piombare addosso alla preda è una soddisfazione incredibile. Non so quanto questa soddisfazione sia mia e quanto invece sia dovuta al fatto che questo mantello magico trasmette una parte degli istinti del falco.

Di sicuro appartiene  al falco il gusto per lacerare ed ingerire la carne cruda delle prede.

Terminato il mio pasto riprendo il volo.

Il paesaggio dello Jotunheim comincia a stancarmi con la sua monotonia.

Va bene la roccia nuda, la neve, il ghiaccio, il sole pallido come una stella morta ed il freddo, hanno un loro fascino arcaico e selvaggio, ma dopo che ne hai visto cinquanta chilometri stufa.

Una rapida cabrata mi permette di accertarmi che il paesaggio sopra, sotto e intorno a me è uguale a perdita d’occhio.

Montagne. Montagne, montagne, montagne… toh, guarda! Un’altra montagna!

Va bene, la mia vacanza è durata anche troppo, adesso sarà meglio che torni ad Asgard.

Sto per tornare al sentiero di magia quando la mia vista da falco (trecentoquaranta gradi di campo visivo, non so se mi spiego) capta qualcosa di strano.

Un fianco di quella montagna è troppo liscio e squadrato.

Opera della natura?

O forse del popolo di Nidavellir?

E se è una costruzione è in rovina o è abitata?

Decido che vale la pena perdere ancora un po’ di tempo a fare il turista.

 

**

 

Come avevo sospettato la parete liscia non è un’amena creazione della natura: è un portone scavato nella pietra  e tutto intorno è la parete di qualcosa che sembra un palazzo.

Il gusto architettonico è alquanto discutibile ma nondimeno è interessante.

Quelli che sembravano a prima vista crepacci in realtà sono le finestre, ed è su una di queste che mi poso per sbirciare dentro.

Ops! Non avevo pensato di trovare tanto! La sala all’interno è enorme, a misura di gigante, e giganti sono proprio le due ragazze che stanno accovacciate sul pavimento chine su qualcosa che non vedo.

Sembrano poco più giovani di me.

Hanno corpi di adolescenti, ma le proporzioni sono decisamente superiori alla media a cui sono abituato io, e la loro pelle bluastra non lascia dubbi: sono due cuccioli di Jotun.

Non ho mai visto dei giganti così da vicino e da solo, ed all’improvviso tutta la mia curiosità scompare, sostituita dal timore che le storie su quei mostri mi ispiravano da bambino.

Sto per spiegare le ali e volare via quando una delle due piccole mostriciattole alza gli occhi alla finestra e mi vede.

 

-Greip, Greip, guarda!-

 

Anche la sorella alza la testa e seguendo il suo dito puntato arriva fino a me.

Per un po’ ci fissiamo.

“Vola via, stupido!”

 

-Un falco! Gjàlp, è un falco! Padre, padre, prendilo per noi!-

 

Padre?!

Non ci tengo affatto ad incontrare il padre dei due mostri in miniatura, per cui sarà meglio che…

Troppo tardi!

Alle mie spalle la luce viene bloccata a da un corpo gigantesco ed una stretta gelata mi serra le zampe prima che io possa spiccare il volo.

I giganti sono maledettamente agili nonostante la stazza, e questo qui ha scalato la montagna per venirmi a prendere in meno di tre mosse.

E senza che io me ne accorgessi.

Nel mio aspetto di falco sono ridicolmente piccolo in confronto a lui, ma sarei ridicolmente piccolo anche nella mia forma normale.

Sono stato catturato da un gigante di ghiaccio.

Sono stato catturato da un gigante di ghiaccio!

Maledizione, come ho potuto essere così imbecille?!

Quando il colosso vuole tornare a terra gli basta saltare giù dalla parete di roccia e atterra davanti all’ingresso di casa sua, completamente incurante di me, dei miei strepiti e delle mie beccate furiose sulla pelle delle braccia.

Non appena entra nella sala le figlie gli corrono incontro con gli occhi eccitati.

 

-Padre, dallo a noi! Non è vero che lo hai preso per noi?-

 

“Giù le mani, brutte pesti!”

Urlo nella mia mente.

 

-No, figlie mie, non toccatelo. Questa creatura non è quello che sembra-

 

E intanto mi tiene con il braccio in alto, fuori dalla portate delle mani delle figliole che saltano e strillano nel tentativo di acchiapparmi.

 

-Ma padre, noi vogliamo qualcosa con cui giocare. Quello che ci hai portato prima già non si muove più, vedi?-

 

Una delle due tende al padre qualcosa, ed io mi accorgo con orrore che è il corpo senza vita di una volpe.

Brandelli di interiora penzolano dal ventre squarciato.

È questo che intendono loro per giocare?! Oh, no! No, no, no!

 

-Potrete averlo dopo che avrò scoperto chi è davvero- poi si rivolge a me –So che non sei  un falco. Dimmi il tuo vero nome-

 

“Non deve scoprire chi sono, devo convincerlo che sono un animale stupido e noioso. Sono un falco, sono un falco, sono un falco…

E continuo a dibattermi e a strepitare come un vero, ottuso volatile.

Il gigante mi tiene appeso a testa in giù all’altezza del suo volto ed i suoi occhi rossi sono come braci.

So che suona scontato come un pessimo cliché letterario ma è la pura verità: gli occhi dello Jotun brillano di luce rossa come i tizzoni di un falò, ed anche quelli famelici delle due ragazze.

 

-Glielo faremo dire noi, padre! Lascialo a noi!-

 

-No. Ascoltami bene, tu che ti presenti a spiare la mia casa sotto un travestimento di piume. Dimmi il tuo vero nome o ti costringerò io a rivelarlo-

 

Ancora niente, solo grida, sbattere di ali e beccate da parte mia.

 

-Hai visto, padre? Non è niente, è solo un uccello. Dai, daccelo, vogliamo giocare!-

 

-Questo non è un uccello normale. Non so chi sia né perché è qui, ma non mi convincerà che questo è il suo vero aspetto. Lo terrò per un po’ con me, e poi forse si deciderà a parlare. Tempo ne avrà in abbondanza-

 

E detto questo mi porta via, con le mie zampe ancora strette in pugno.

Il luogo dove decide di ospitarmi è una cassapanca di spesso legno di quercia sigillata da un lucchetto con un catenaccio e da poche rune rozze ma incredibilmente efficaci.

Quando cala il coperchio io mi trovo solo e costretto al buio in uno spazio angusto.

E adesso? Quanto tempo avrà intenzione di tenermi qui? E quando deciderà di tirarmi fuori cosa mi farà?

 

***

 

Mi scuoto ore dopo o forse giorni dopo.

Non ho mai tolto il travestimento da falco di Freyja perché non posso assolutamente rivelare al gigante che io sono il figlio di Odino.

Se lo facessi credo che mi affiderebbe con piacere ai suoi cuccioli perché smembrino il mio corpo pezzo a pezzo e perché lui possa spedire a mio padre un organo dopo l’altro.

Tendo l’orecchio perché fuori dalla mia prigione mi sembra di sentire le vibrazioni di passi.

In questo buio la mia vista acuta è completamente inutile, e l’udito non è certo il punto di forza di un falco.

Tuttavia le vibrazioni si avvicinano insieme ad un chiacchiericcio sommesso, e poco dopo un colpo fa tremare la cassapanca.

 

-Ehi, lo sappiamo che sei lì dentro-

 

Oh, no! Le figlie del gigante!

 

-Uccellino! Padre ha detto che ti da a noi appena scopre chi sei. Dai, dicci il tuo nome e ti facciamo uscire-

 

“Fossi matto!”

 

Irritata dal mio silenzio la cucciola di Jotun comincia a picchiare i pugni sul legno.

 

-Hei, sto parlando con te, brutto uccellaccio della malora!-

 

-Tu ci devi obbedire! Noi siamo le figlie di Geirrodr e nostro padre è signore di questa casa. Geirrodr è il re della montagna!-

 

Geirrodr. Allora è così che si chiama il mio carceriere. Nella loro ingenuità le piccole mi hanno dato un’informazione preziosa, perché adesso io conosco il suo nome mentre lui non conosce il mio.

Tuttavia continuo ostinato nel mio mutismo o al massimo emetto qualche strillo.

 

-Stiamo sprecando tempo, Greip. Questo non dirà mai niente. Padre si sbaglia: questo qui è un falco e basta. Mi dispiace solo che quando lo farà uscire da qui sarà morto ormai-

 

-Che noia! E adesso come giochiamo? Anche il daino non si muove più-

 

-È colpa tua. Io te lo avevo detto di non tagliare subito sulla gola-

 

Le sento alzarsi ed andarsene.

Avrei preferito non sapere altro dei loro giochi macabri.

Mi arrovello la mente nel chiedermi se le ragazzine potrebbero essermi di qualche aiuto per scappare.

Sono selvatiche, ingenue e facilmente manovrabili.

I loro nomi sono Gjàlp e Greip.

Vanno sempre in giro insieme e, da quel poco che ricordo dei loro volti, sono molto simili.

Forse non sono solo sorelle, sono anche gemelle.

Se non fossi chiuso in una cassa potrei anche considerarmi fortunato per aver potuto osservare quella che è una rarità assoluta tra gli Jotnar: una coppia di gemelle che sono sopravvissute entrambe alla prima infanzia.

I parti gemellari sono estremamente rari, ed il fatto che entrambi i cuccioli sopravvivano, date le condizioni dure di Jotunheim, lo è ancora di più.

Sarebbe interessante studiarle, se non fosse per il fatto che sono loro che vogliono studiare me sventrandomi per gioco.

 

****

 

È passato tanto tempo da quando Geirrodr mi ha rinchiuso qui dentro.

Non so esattamente quanto ma di sicuro è più di un mese, me lo dice il mio stomaco per cui l’ultimo pasto è stato una lepre magra.

Oh, cielo! Il mio ultimo pasto ed è stato un misero roditore, per di più crudo!

Le gemelle sono passata altre volte a farmi visita ma se ne sono sempre andate via arrabbiate  e deluse.

Anche Geirrodr è venuto ad osservarmi, forse credendo che io non percepissi la sua presenza. Se voleva scoprire qualcosa è rimasto deluso anche lui.

Ora che la debolezza e la fame mi hanno quasi stroncato passo lunghi periodi in dormiveglia o pensando e pregando che Heimdall ad Asgard mi veda.

Non credo che mi veda.

Sarebbero già venuti a prendermi, no? Il pensiero che forse mio padre non voglia più intorno un figlio irrequieto e problematico come me mi ha colto di sorpresa più volte, e sempre ho pianto con i miei occhi da falco.

Passano altri giorni, poi all’improvviso il cambiamento: il coperchio si apre e Geirrodr mi tira fuori tenendomi per le zampe come la prima volta.

 

-Tu non vuoi dire il tuo nome, ma io non ho tempo di evocare tutti i nomi dei nove regni per costringerti a mostrarti con il tuo vero aspetto, per cui ho deciso come fare a sbarazzarmi di te. La soluzione ti piacerà-

 

Non ho neanche la forza di dibattermi stavolta, ma la mia mente lavora febbrile.

Cosa ha escogitato il gigante? Ha deciso di lasciarmi come giocattolo alle gemelle?

Mi riporta nel salone dove sono entrato la prima volta in cui ho deciso malauguratamente di impicciarmi degli affari dei giganti di ghiaccio.

Le gemelle sono accoccolate in un angolo a giocare con qualche altra sventurata bestiola, i coltelli di selce che luccicano di sangue  e schegge di ghiaccio.

Al centro della sala c’è una barriera di stalagmiti che si alza dal pavimento.

Sono pinnacoli appuntiti di ghiaccio, belli, trasparenti e letali.

Spero solo che non voglia infilzarmi sopra di essi.

Quando mi lancia sopra la barriera di punte in effetti credo che sia questa la sua intenzione, ma la forza del lancio è sufficiente per farmi passare appena al di sopra di esse.

È la mia occasione!

Raccolgo le ultime forze e batto le ali per riprendere quota.

Posso andarmene da qui! Devo andarmene da qui!

Ahi! Cilecca un’altra volta! Questo gigante è particolarmente bravo a dominare il gelo, e subito dopo avermi lanciato con così poco garbo ha fatto fiorire stalattiti dal soffitto che si sono unite alle stalagmiti a terra per formare una gabbia fatta di spesse sbarre di ghiaccio.

Ogni volta che cambio direzione mi trovo davanti una barriera scintillante contro cui sbatto inutilmente le ali ed il becco.

 

-Ecco che cosa faremo. Io non posso pronunciare da solo tutti i nomi dei nove regni, per cui mi farò aiutare da alcuni amici. Ho invitato tutti i parenti di mio padre e di mia madre  per un banchetto che durerà tre giorni e tre notti. Ti metterò in palio per  passare il tempo. Se uno di loro indovinerà il tuo nome e ti costringerà a mostrarti nel tuo vero aspetto sarai suo servo perché con il tuo vero nome può dominarti, altrimenti, se nessuno avrà ancora capito chi sei dopo tre giorni e tre notti, all’alba del terzo giorno sarai libero. Accetti la mia proposta?-

 

Sto per rispondere “Sì” o fargli capire che sono d’accordo in qualche altro modo, ma poi mi ricordo che se gli facessi capire che ho capito i suoi sospetti su di  me aumenterebbero.

Meglio continuare a sbattere stupidamente contro le sbarre della mia gabbia di ghiaccio.

 

-Fa come ti pare. Tanto non andrai da nessuna parte senza il mio permesso-

 

Mi dice lui prima di andarsene.

In fondo non dovrebbe essere troppo difficile: i giganti non sono particolarmente furbi e se sono fortunato nessuno di loro capirà che sotto le piume di falco c’è Loki di Asgard.

Devo solo fare il tonto per altri tre giorni e poi sarò libero.

Mi appollaio a terra per non sprecare inutilmente energie.

Che tristezza! Non vorrei avere tanta nostalgia di casa.

Devo ripetermi che non mi hanno abbandonato di proposito, che Padre e Madre non si rassegnerebbero alla mia scomparsa tanto facilmente.

Anche Thor, sono sicuro che se sapesse che sono qui sarebbe già arrivato a pestare il gigante e le sue figlie con Mjollnir.

È tutta colpa di questo stupido travestimento se Heimdall non può vedermi, mi ripeto.

Lo restituirò a Freyja e non vorrò vederlo mai più, promesso!

E neanche mi allontanerò mai più da casa senza aver detto a qualcuno dove ho intenzione di andare.

 

-Uccellino! Ehi, uccellino! Hai fame?-

 

Che razza di domanda mi fai, stupida, ottusa mostriciattola?!

Certo che ho fame! Come se non foste venute tu e tua sorella a picchiare sul coperchio della mia prigione!

 

-Vieni qui. Noi abbiamo da mangiare-

 

Gjàlp (o Greip) si avvicina alla gabbia con un brandello di qualcosa di sanguinolento in mano.

Oh, no! Anche questo no!

Devo scegliere tra morire di inedia o essere nutrito da due mostri in miniatura che si divertono a squartare animali vivi?

Vada per i mostri in miniatura allora.

L’istinto del falco mi guida verso la carne ma il mio cervello mi dice di non infilare la testa tra le sbarre: il cibo potrebbe essere un trucco dei due demonietti per avermi a portata di mano e torcermi il collo.

Bene o male mi stanno nutrendo, che è ciò di cui ho bisogno dopo tutto quel tempo rinchiuso.

Continuano a porgermi brandelli di carne tra le sbarre e mentre lo fanno ridacchiano ed i loro occhi scintillano curiosi.

Forse mi considerano più divertente da vivo che da morto.

No! Meno male che ho la vista del falco! Quella piccola peste ha strattonato la carne e stava per farmi sporgere la testa!

Sono sfuggito alla sua mano per un soffio.

 

-Che stupida che sei, Gjàlp! Te lo sei fatto scappare!-

 

*****

 

La sera stessa cominciano ad arrivare i parenti e gli amici di Geirrodr.

Lui saluta tutti, li porta vicino alla mia gabbia e spiega loro i termini dell’accordo.

Io li guardo tutti con un’aria non troppo intelligente, recitando la parte dell’uccello tonto e infastidito dal troppo caos.

Quando Geirrodr per primo alza il calice di idromele e lo vuota in un solo sorso è il segnale che il banchetto può cominciare, e allora mi è chiara una cosa: questi giganti se ne fregano di me.

Sul serio: a loro non importa niente di come mi chiamo o di avermi come servitore, loro sono qui solo per mangiare a scrocco!

Nessuno ha ancora preso sul serio la sfida del nome, e quelli che ci provano lo fanno senza convinzione.

Potrei mettermi a ridere istericamente per il sollievo ma sarà meglio che non lo faccia.

La prima notte passa così: tra gente che dice nomi a caso per dare un senso al loro essere lì a mangiare gratis, qualcuno che mi getta pezzi di cibo e le gemelle che mi guardano avidamente e ridacchiano, mentre mangiano non più educate dei loro parenti.

Il giorno passa uguale alla notte, tranne per il fatto che alcuni si sono ritirati a dormire.

Geirrodr è sempre più accigliato.

Lui è stato l’unico furbo: ad un certo punto mi ha gettato un pezzo di pane intinto nel grasso della carne.

Voleva vedere se lo avrei mangiato, presumo.

Fortuna che il mantello mi da l’istinto del falco, e l’istinto mi diceva “Che è questo schifo? L’odore convince poco. Non avreste qualche cuore di lepre crudo?”

Passa così la seconda notte ed il secondo giorno.

Al terzo tramonto comincio a sperare sul serio che questa sia la volta buona: ho mangiato, ho recuperato le forze, nessuno mi ha smascherato, il gigante ha detto che mi lascerà libero… andiamo, un’ultima notte e poi sarò libero!

Potrò tornare a casa a chiedere spiegazioni sul perché passato più di un mese nessuno era venuto ad aiutarmi.

Passano le ore fino alla mezzanotte ed io comincio a pensare che posso davvero farcela.

Finché arriva lei.

 

******

Dire che è brutta è poco.

È la più orribile, ributtante, storta, gobba, rugosa, vecchia megera che io abbia mai visto.

E probabilmente anche di quelle che non ho visto.

I ciuffi di capelli bianchi le pendono ai lati del viso, la pelle pure grigiastra nella sfumatura di blu le pende dalle braccia e dal collo scheletrico, gli occhi sono cisposi e glauchi sotto le sopracciglia.

Una volta devono essere stati rossi come quelli degli altri Jotnar, ma adesso sono spenti e color ruggine.

Ha nei e peli sulla faccia in abbondanza ed è vestita di pelle e pellicce.

Nella sua mano destra un bastone nodoso e secco quanto lei è pieno di cianfrusaglie appese.

Sembra un bastone da sciamano con tutte quelle ossa con rune incise che tintinnano appese a corde di tendine, ed in cima c’è incastonato un grosso pezzo di cristallo di rocca grezzo.

Dal collo le pendono un sacco di lacci di cuoio con amuleti primitivi, fatti di piume di uccello, ossa e denti di animali e avorio di tricheco intagliato.

Mi guarda attentamente attraverso le sbarre ed io capisco immediatamente che lei fa sul serio: vuole vincermi a questo stupido gioco.

Geirrodr la saluta cordialmente, sebbene gli si legga in faccia che non ha idea di chi sia quella vecchia.

Lei gli dice di essere zia di qualcuno da parte di sua madre, e che il suo nome è Grid delle montagne interne.

Lui è praticamente certo che sia un’imbucata, ma non avendo le prove non può cacciarla e deve accoglierla alla tavola con gli altri.

La vecchia si fa raccontare da Geirrodr la storia di come mi ha catturato e rinchiuso.

Non che sia una storia in verità lunga, ma a lei sembra interessare. E intanto mi fissa intensamente.

Vorrei tanto gridarle “fatti gli affari tuoi, vecchiaccia della malora!” ma non posso assolutamente.

Non adesso che le ore che mi separano dalla libertà sono così poche dopo una lunga prigionia.

Vuole guardarmi? Che faccia pure! Tanto non capirà mai chi sono.

O almeno è quello che credo finché, passata la metà della notte, quando i giganti sono intontiti dall’alcol e dal troppo cibo, lei si alza dalla tavola e viene verso la gabbia.

Mi fissa attraverso le sbarre in un modo che non mi piace per niente, per cui fingo di ignorarla e pilucco qualche avanzo che è rimasto sul pavimento della gabbia.

Non mi piace, non mi piace per niente.

Lei si guarda intorno come se volesse essere sicura che nessuno badi a lei più di tanto, poi sussurra pianissimo.

 

-Il tuo nome è Loki di Asgard, figlio di Odino, figlio di Borr e Bestla-

 

CHE COSA?!!

Come diavolo ha fatto questa vecchia infernale a scoprire il mio nome?!!

 

-Per il tuo vero nome, Loki, fammi sentire tre volte la tua voce-

 

Chiedere qualcosa con il vero nome di qualcuno equivale a dargli un ordine.

“Cosa nominata, cosa dominata” mi ha insegnato mia madre Frigg.

Per questo sono costretto e gracchiare per tre volte.

Nessuno degli altri giganti fa caso a me, ma uno degli occhi di Grid si illumina per un attimo.

Torna di corsa da Geirrodr e li vedo parlare animatamente tra loro.

Quando tornano verso la gabbia lui non sembra troppo contento.

 

-E allora chi è questo falco?-

 

Chiede Geirrodr.

 

-Non ti dirò il suo vero nome perché l’ho vinta io. È una seidrkona della razza dei Vanir, e adesso che posso dominarla voglio che diventi la mia ancella. La porterò via subito-

 

-E così è una piccola strega di quella razza? Credevo fosse qualcuno di più importante. Bene, se è come dici tu, prendila e vattene. Liberami della sua presenza-

 

La vecchia Gridr non sembra offesa, sembra solo avere fretta di prendere me ed andarsene.

No! Non ha rivelato chi sono io veramente, ma non per questo vuol dire che ha buone intenzioni!

Non appena infila la mano tra le sbarre io mi ritiro nella parte opposta della gabbia.

 

-Problemi, Grid? Adesso ti aiuto io-

 

Geirrodr evoca altro ghiaccio che mi spinge a portata del braccio della vecchia.

Le mie beccate furiose ed i miei artigli non hanno alcun effetto su di lei: sarà brutta come la fame, ma sa il fatto suo. Ha indossato guanti di maglia di ferro.

Ho già visto simili manufatti ad Asgard. Erano custoditi nella sala delle reliquie.

Questo però non vuol dire niente: il popolo di Nidavellir vende indiscriminatamente i propri manufatti, senza curarsi dell’identità del compratore.

Che siano Aesir, Vanir, giganti o elfi, per il popolo delle fucine l’essenziale è essere pagati.

Mi afferra per le zampe con una mano guantata ed è forte, altroché se è forte!

Dovrò combattere parecchio se vorrò liberarmi da lei.

Con l’altra mano spezza il ghiaccio delle sbarre per tirarmi fuori e mentre sono a testa in giù noto sotto il mantello qualcosa di strano.

È una cintura dalla foggia pregiata, che scintilla di rune incise tutte intorno.

È un manufatto magico senza dubbio ed anche quello ho visto ad Asgard nella sala delle armi.

Tutte queste coincidenze non mi piacciono per niente.

 

-Ti ringrazio per l’ospitalità, nipote, adesso però lascerò questo posto. Tre giorni di cammino mi sono serviti per arrivare ed altri tre me ne serviranno per tornare. Grazie per questa occasione-

 

-Sono io che ti ringrazio, Grid, per avermi liberato da quella peste di falco che mi era piombata in casa-

 

Forse faccio meglio a calmarmi. Dopotutto non devo sprecare energie se voglio scappare da questa vecchia che sa usare tanto bene la magia e possiede oggetti che dovrebbero essere rarissimi.

Gli altri giganti la guardano andare via scontenti.

Certo: un volta vinto il premio la festa finisce, e loro dovranno tornare a procurarsi il cibo da soli.

Le gemelle sembrano le più deluse, tanto che rincorrono Grid fino alla porta.

 

-Nonnina, vuoi davvero portarla via? Perché non ci dici il suo nome e la lasci a noi?-

 

Forse credono che chiamandola “nonna” lei si addolcirà, e invece la vecchia resta insensibile.

 

-No che non ve la lascio. Ho bisogno di qualcuno giovane che sbrighi le faccende domestiche a casa mia, io-

 

-Ma noi vogliamo giocare. Per favore, nonna!-

 

-Ho detto di no-

 

Allora una delle due piccole pesti decide di ricorrere alla forza e fa un salto per prendermi.

Per mia fortuna però la vecchia è svelta a togliermi dalla sua portata.

 

-Non provarci mai più! Questa cosa è mia-

 

Quando anche l’altra si fa sotto per fare squadra con la sorella allora Grid perde la pazienza.

Le allontana tutte e due con il suo bastone inciso di rune ed il quarzo in cima scintilla minaccioso.

 

-Lo vedete questo? Si chiama Gridalvolr e se non la smettete di seccarmi vi farò provare quanto fa male-

 

Loro si mettono a distanza di sicurezza ma continuano a scrutarla con astio.

Piccole, ostinate canagliette! Ci tengono davvero tanto a sventrarmi! Quasi quasi preferisco la vecchia a loro.

Grid si tira su il cappuccio e si allontana nella tormenta di Jotunheim, quando il sole non è ancora sorto.

Ah, piccolo particolare: appeso alla sua cintura di rune ci sono io.

 

*******

 

Dopo un paio di ore di cammino il sole è sorto pallido e cianotico come tutto in questa terra desolata.

Grid non ha intenzione di fermarsi.

Mentre attraversiamo una landa aperta mi rivolge la parola.

 

-Adesso sei al sicuro-

 

Sì, certo, come no! Appeso alla cintura di una vecchia di gigante insopportabilmente saccente che vuole fare di me chissà che cosa!

 

-Non ti consiglio però di toglierti il  travestimento. Non vorrei che gli Jotnar ti vedessero-

 

Travestimento? Come fa a sapere che il mio travestimento è indossato e che non ho cambiato il mio aspetto con la magia?

 

-Cosa deve sopportare un padre per i propri figli…-

 

La sento borbottare.

E adesso questo cosa c’entra?

Mi sgancia dalla cintura e… e no… questo è davvero impossibile!

Il bastone storto non è affatto un bastone storto: è Grungnir, la lancia dei re di Asgard, e la vecchia non è affatto una vecchia.

Nascosto sotto le rughe, le pelli ed i capelli ingrigiti, c’è Odino, il padre degli dei, nonché mio padre.

Che ancora mi tiene per le zampe.

 

-Eviterò di farti una predica perché mi sembra che tutta questa avventura sia stata per te una lezione sufficientemente dura, ma ti prego, Loki, non cacciarti mai più in un guaio così grosso. E adesso vuoi per favore toglierti il mantello? Non vorrei dover sopportare le proteste di Freyja perché glielo hai rovinato oltre che rubato-

 

Non appena mi lascia andare crollo a terra nella neve.

In fondo ha ragione lui: questo mantello mi ha portato solo un mucchio di guai, lui e la mia curiosità!

Sciolgo in fretta le rune che lo chiudono sul petto e poco dopo restiamo solo noi due ognuno con il suo vero aspetto, uno di fronte all’altro nella neve di Jotunheim.

I segni della prigionia sono più evidenti adesso che non sono più un falco, lo capisco da come mi guarda Padre.

 

-Loki?-

 

C’è proprio bisogno di quell’aria di compatimento? Va bene, so di essere magro, pallido, rannicchiato nella neve, ferito e con delle occhiaie spaventose, ma guardarmi come se fossi in fin di vita mi pare eccessivo.

 

-Oh, Loki, sei stato un pazzo incosciente!-

 

Per un attimo credo che voglia colpirmi, e la cosa non mi stupirebbe. Quello che mi sorprende davvero tanto è quando lui si inginocchia vicino a me e mi abbraccia.

 

-Ho avuto così tanta paura di perderti in questi mesi, lo sai? Non fare mai più una cosa del genere-

 

Non avrei mai immaginato che Padre potesse preoccuparsi così tanto per me, né che per venire a riprendermi si sarebbe abbassato a travestirsi con un aspetto così poco dignitoso, né che sarebbe arrivato ad infiltrarsi da solo in una casa piena di Jotnar, che lo odiano a morte e che non aspettano altro che l’occasione di prendere la sua testa.

Ha fatto tutto questo per me.

Adesso che lo capisco mi vergogno tanto per tutte quelle cose che ho pensato a proposito del fatto che mi avesse abbandonato di proposito.

 

-Mi dispiace, Padre. Non volevo che andasse così… non volevo metterti in pericolo… io… io…-

 

-Basta così, Loki. Adesso andiamo a casa. Heimdall, quando sei pronto-

 

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Cantuccio dell’Autore

 

Ragazzi, non credevo che avrei mai finito questa cosa!

È da un sacco di tempo che ci lavoro. Mi andava di scrivere qualcosa di mitologia norrena ma calato nell’universo Marvel.

Ho riadattato una parte del “Thorsdrapa” (inno a Thor), racconto dello scontro di Thor contro il gigante Geirrodr.

Ou, la Marvel può inventare parentele ed io non posso creare finali alternativi?

Mi sono divertita a rielaborare i personaggi come serviva a me.

Le differenze con il racconto mitologico sono tantissime, per cui penso che facciamo prima se io vi propongo qui la storia originale e voi fate tutti i dovuti confronti. Sempre se ne avete voglia. Scusate ma non trovavo un riassunto decente in italiano.

 

Loki is caught by the giant Geirrod and in exchange for his freedom, he promises to bring back Thor, without his hammer, and his girdle of might [this episode is not related in the poem]. Thor and Loki [Loki goes with Thor, and not Thialfi as in the poem] leave towards Geirrod's home. On his way, Thor sleeps at the giantess Grid's place and she warns him of the danger of his expedition [no mention of this episode in the poem]. To help him, she gives him a girdle of might [Thialfi clings to this belt in the poem], iron gloves [this gives a rational explanation why Thor can grab the red hot piece of iron, as in the poem], and a pole (a classical magical tool in the Nordic civilization) [EBHO: Grid's pole is eliminated by subtle emendations of the Old Norse text]. Thor crosses the Vimur river [EBHO: the Arctic ocean] where Gialp, one of Geirrod's daughters, "causes the river waters to rise" [EBHO: waves cause this violent current]. One understands that this current is due to her powerful urine jet, in which she tries to drown Thor. Thor saves himself by clinging to a bush of rowan [episode not related in the poem, or: Grid's pole is made of rowan wood]. The giantesses invite Thor in their goat-shed where there is only one seat and Thor takes it. The giantesses crouch down under the seat and try to crush Thor's head against the roof by raising the seat [same story in the poem, but in a very allusive way]. Thor pushes back and breaks the back of the giantesses, and then joins Geirrod [same story in the poem]. Geirrod throws a piece of red-hot iron at Thor, but Thor catches it in Grid's iron gloves [the poem makes clear that it is in his hand, described as a gaping mouth]. Thor sends back the missile that goes through the pillar behind which Geirrod hides, through Geirrod himself, and finally in the ground [in the poem, the missile flies in Geirrod's stomach]. End of the story [in the poem: Thor slaughters the giants with his hammer, Thialfi helps him].

 

Qui, se vi interessa, c’è la versione integrale del poema http://www.nordic-life.org/nmh/thoreng.html

 

 

Andiamo a qualche nota

 

1-      “Cosa nominata, cosa dominata” è il titolo di uno dei capitoli del libro “Il canto del ribelle – La vera storia di Loki” di Johanne Harris.

2-      Ho popolato Jotunheim di qualche animale perché andiamo… di qualcosa devono pure campare i giganti di ghiaccio, no?

3-      Il mantello di piume di falco esiste davvero nella mitologia norrena. Appartiene a Freyja e Loki lo ruba ogni tanto per passare il tempo a svolazzare in giro.

4-      Gli uccelli rapaci hanno una terza palpebra trasparente, la membrana nittitante, che protegge l’occhio dai corpi estranei che posso ferirli durante il volo. Come i moscerini spiaccicati sul parabrezza del motorino.

5-      Ho trovato anche una colonna sonora: Edvard Grieg  “Nell’antro del re della montagna” https://www.youtube.com/watch?v=mQCk4lBhK7c  Il brano è famoso per essere la sigla del programma di Philippe Daverio “Passepartout”, e per essere la base della “Villain song” di Pietro Gambadilegno in “Topolino, Paperino, Pippo, i tre moschettieri”

6-      Grid è una gigantessa che da a Thor tre oggetti magici che gli servono per sconfiggere i Giganti anche senza Mjollnir. Sono un bastone, una cintura e dei guanti di ferro.

7-      Delle figlie di Geirrodr non si sa quasi niente, quindi io mi sono inventata tutto di sana pianta ed ho creato i due piccoli mostri sadici di cui avete letto fino ad ora.

8-      Nella mitologia Grid è Grid e basta, io invece ne ho fatto un travestimento di Odino per andare a riprendersi quell’essere dannoso che è suo figlio minore.

9-      Nidavellir è una parte del segno sotterraneo di Svartalfehim. In Nidavellir abitano i nani, abili orafi ed artigiani del metallo, per questo sono chiamati anche “popolo delle fucine”.

 

Spero di aver detto tutto, in caso aveste alte curiosità chiedete pure.

Buon Natale (in ritardo ma va bene…) e buon inizio di anno a tutti!

 

<<<< ---  (è un albero di Natale)

 

                Makoto

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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