Cosa
nominata, cosa dominata
---
Ma
il mio mistero è chiuso in me
Il
nome mio nessun saprà
No!
No!
(Nessun
Dorma; Turandot, atto terzo)
*
È
troppo bello!
Ogni
battito d’ala mi porta più in su verso il blu del cielo, decisamente più in su
di quanto andrebbe un falco normale che sia stato dotato di buonsenso dalla
natura.
Ma
io non sono un falco. Non a tempo pieno almeno.
Per
la maggior parte del tempo sono Loki di Asgard,
secondogenito di Odino e principe cadetto della casa di Asaehim;
ruolo che trovo noioso, riduttivo e frustrante.
Non
mi permette di esprimere al meglio le mie qualità.
E
così di tanto in tanto vado alla ricerca di distrazioni.
Oh,
guarda! Una lepre!
La
mia vista da rapace coglie distintamente i movimenti sulla neve.
Bianco
su bianco.
Lo
sfondo è di un bianco freddo mentre l’animale che si muove è di un bianco
caldo, vibrante di vita che cela sotto la pelliccia candida il rosso del
sangue.
Sta
attraversando uno spazio aperto e se voglio fare uno spuntino sarà meglio che
mi sbrighi.
Ali
strette al corpo per prendere velocità, zampe tirate al petto e via in
picchiata! Questo aspetto raggiunge velocità assurdamente magnifiche.
Sento
il vento che mi fischia attorno mentre il mio corpo apre letteralmente uno
squarcio nell’aria.
Fortunatamente
questo aspetto ha anche degli accessori interessanti, ad esempio se non avessi
una membrana nittitante a proteggermi gli occhi sarei accecato dal freddo, dai
cristalli di neve e dall’attrito dell’aria.
Dovrei
ringraziare Freyja per avere la possibilità di vivere
tutto questo, ma se lo facessi poi lei scoprirebbe che ho preso senza permesso
il suo prezioso mantello magico.
Potrebbe
addirittura dire che l’ho rubato come fanno quelli a cui piace parlare male di
me.
No,
sarà meglio che glielo riporti sotto silenzio così come l’ho preso.
Piombare
addosso alla preda è una soddisfazione incredibile. Non so quanto questa
soddisfazione sia mia e quanto invece sia dovuta al fatto che questo mantello
magico trasmette una parte degli istinti del falco.
Di
sicuro appartiene al falco il gusto per
lacerare ed ingerire la carne cruda delle prede.
Terminato
il mio pasto riprendo il volo.
Il
paesaggio dello Jotunheim comincia a stancarmi con la
sua monotonia.
Va
bene la roccia nuda, la neve, il ghiaccio, il sole pallido come una stella
morta ed il freddo, hanno un loro fascino arcaico e selvaggio, ma dopo che ne
hai visto cinquanta chilometri stufa.
Una
rapida cabrata mi permette di accertarmi che il paesaggio sopra, sotto e
intorno a me è uguale a perdita d’occhio.
Montagne.
Montagne, montagne, montagne… toh, guarda! Un’altra
montagna!
Va
bene, la mia vacanza è durata anche troppo, adesso sarà meglio che torni ad Asgard.
Sto
per tornare al sentiero di magia quando la mia vista da falco (trecentoquaranta
gradi di campo visivo, non so se mi spiego) capta qualcosa di strano.
Un
fianco di quella montagna è troppo liscio e squadrato.
Opera
della natura?
O
forse del popolo di Nidavellir?
E
se è una costruzione è in rovina o è abitata?
Decido
che vale la pena perdere ancora un po’ di tempo a fare il turista.
**
Come
avevo sospettato la parete liscia non è un’amena creazione della natura: è un
portone scavato nella pietra e tutto
intorno è la parete di qualcosa che sembra un palazzo.
Il
gusto architettonico è alquanto discutibile ma nondimeno è interessante.
Quelli
che sembravano a prima vista crepacci in realtà sono le finestre, ed è su una
di queste che mi poso per sbirciare dentro.
Ops!
Non avevo pensato di trovare tanto! La sala all’interno è enorme, a misura di
gigante, e giganti sono proprio le due ragazze che stanno accovacciate sul
pavimento chine su qualcosa che non vedo.
Sembrano
poco più giovani di me.
Hanno
corpi di adolescenti, ma le proporzioni sono decisamente superiori alla media a
cui sono abituato io, e la loro pelle bluastra non lascia dubbi: sono due
cuccioli di Jotun.
Non
ho mai visto dei giganti così da vicino e da solo, ed all’improvviso tutta la
mia curiosità scompare, sostituita dal timore che le storie su quei mostri mi
ispiravano da bambino.
Sto
per spiegare le ali e volare via quando una delle due piccole mostriciattole alza gli occhi alla finestra e mi vede.
-Greip, Greip, guarda!-
Anche
la sorella alza la testa e seguendo il suo dito puntato arriva fino a me.
Per
un po’ ci fissiamo.
“Vola
via, stupido!”
-Un
falco! Gjàlp, è un falco! Padre, padre, prendilo per
noi!-
Padre?!
Non
ci tengo affatto ad incontrare il padre dei due mostri in miniatura, per cui
sarà meglio che…
Troppo
tardi!
Alle
mie spalle la luce viene bloccata a da un corpo gigantesco ed una stretta
gelata mi serra le zampe prima che io possa spiccare il volo.
I
giganti sono maledettamente agili nonostante la stazza, e questo qui ha scalato
la montagna per venirmi a prendere in meno di tre mosse.
E
senza che io me ne accorgessi.
Nel
mio aspetto di falco sono ridicolmente piccolo in confronto a lui, ma sarei
ridicolmente piccolo anche nella mia forma normale.
Sono
stato catturato da un gigante di ghiaccio.
Sono stato catturato da un gigante di ghiaccio!
Maledizione,
come ho potuto essere così imbecille?!
Quando
il colosso vuole tornare a terra gli basta saltare giù dalla parete di roccia e
atterra davanti all’ingresso di casa sua, completamente incurante di me, dei
miei strepiti e delle mie beccate furiose sulla pelle delle braccia.
Non
appena entra nella sala le figlie gli corrono incontro con gli occhi eccitati.
-Padre,
dallo a noi! Non è vero che lo hai preso per noi?-
“Giù
le mani, brutte pesti!”
Urlo
nella mia mente.
-No,
figlie mie, non toccatelo. Questa creatura non è quello che sembra-
E
intanto mi tiene con il braccio in alto, fuori dalla portate delle mani delle
figliole che saltano e strillano nel tentativo di acchiapparmi.
-Ma
padre, noi vogliamo qualcosa con cui giocare. Quello che ci hai portato prima
già non si muove più, vedi?-
Una
delle due tende al padre qualcosa, ed io mi accorgo con orrore che è il corpo
senza vita di una volpe.
Brandelli
di interiora penzolano dal ventre squarciato.
È
questo che intendono loro per giocare?! Oh, no! No, no, no!
-Potrete
averlo dopo che avrò scoperto chi è davvero- poi si rivolge a me –So che non
sei un falco. Dimmi il tuo vero nome-
“Non
deve scoprire chi sono, devo convincerlo che sono un animale stupido e noioso.
Sono un falco, sono un falco, sono un falco…”
E
continuo a dibattermi e a strepitare come un vero, ottuso volatile.
Il
gigante mi tiene appeso a testa in giù all’altezza del suo volto ed i suoi
occhi rossi sono come braci.
So
che suona scontato come un pessimo cliché letterario ma è la pura verità: gli
occhi dello Jotun brillano di luce rossa come i
tizzoni di un falò, ed anche quelli famelici delle due ragazze.
-Glielo
faremo dire noi, padre! Lascialo a noi!-
-No.
Ascoltami bene, tu che ti presenti a spiare la mia casa sotto un travestimento
di piume. Dimmi il tuo vero nome o ti costringerò io a rivelarlo-
Ancora
niente, solo grida, sbattere di ali e beccate da parte mia.
-Hai
visto, padre? Non è niente, è solo un uccello. Dai, daccelo, vogliamo giocare!-
-Questo
non è un uccello normale. Non so chi sia né perché è qui, ma non mi convincerà
che questo è il suo vero aspetto. Lo terrò per un po’ con me, e poi forse si
deciderà a parlare. Tempo ne avrà in abbondanza-
E
detto questo mi porta via, con le mie zampe ancora strette in pugno.
Il
luogo dove decide di ospitarmi è una cassapanca di spesso legno di quercia
sigillata da un lucchetto con un catenaccio e da poche rune rozze ma
incredibilmente efficaci.
Quando
cala il coperchio io mi trovo solo e costretto al buio in uno spazio angusto.
E
adesso? Quanto tempo avrà intenzione di tenermi qui? E quando deciderà di
tirarmi fuori cosa mi farà?
***
Mi
scuoto ore dopo o forse giorni dopo.
Non
ho mai tolto il travestimento da falco di Freyja
perché non posso assolutamente rivelare al gigante che io sono il figlio di
Odino.
Se
lo facessi credo che mi affiderebbe con piacere ai suoi cuccioli perché
smembrino il mio corpo pezzo a pezzo e perché lui possa spedire a mio padre un
organo dopo l’altro.
Tendo
l’orecchio perché fuori dalla mia prigione mi sembra di sentire le vibrazioni
di passi.
In
questo buio la mia vista acuta è completamente inutile, e l’udito non è certo
il punto di forza di un falco.
Tuttavia
le vibrazioni si avvicinano insieme ad un chiacchiericcio sommesso, e poco dopo
un colpo fa tremare la cassapanca.
-Ehi,
lo sappiamo che sei lì dentro-
Oh,
no! Le figlie del gigante!
-Uccellino!
Padre ha detto che ti da a noi appena scopre chi sei. Dai, dicci il tuo nome e
ti facciamo uscire-
“Fossi
matto!”
Irritata
dal mio silenzio la cucciola di Jotun comincia a
picchiare i pugni sul legno.
-Hei,
sto parlando con te, brutto uccellaccio della malora!-
-Tu
ci devi obbedire! Noi siamo le figlie di Geirrodr e
nostro padre è signore di questa casa. Geirrodr è il
re della montagna!-
Geirrodr.
Allora è così che si chiama il mio carceriere. Nella loro ingenuità le piccole
mi hanno dato un’informazione preziosa, perché adesso io conosco il suo nome
mentre lui non conosce il mio.
Tuttavia
continuo ostinato nel mio mutismo o al massimo emetto qualche strillo.
-Stiamo
sprecando tempo, Greip. Questo non dirà mai niente.
Padre si sbaglia: questo qui è un falco e basta. Mi dispiace solo che quando lo
farà uscire da qui sarà morto ormai-
-Che
noia! E adesso come giochiamo? Anche il daino non si muove più-
-È
colpa tua. Io te lo avevo detto di non tagliare subito sulla gola-
Le
sento alzarsi ed andarsene.
Avrei
preferito non sapere altro dei loro giochi macabri.
Mi
arrovello la mente nel chiedermi se le ragazzine potrebbero essermi di qualche
aiuto per scappare.
Sono
selvatiche, ingenue e facilmente manovrabili.
I
loro nomi sono Gjàlp e Greip.
Vanno
sempre in giro insieme e, da quel poco che ricordo dei loro volti, sono molto
simili.
Forse
non sono solo sorelle, sono anche gemelle.
Se
non fossi chiuso in una cassa potrei anche considerarmi fortunato per aver
potuto osservare quella che è una rarità assoluta tra gli Jotnar:
una coppia di gemelle che sono sopravvissute entrambe alla prima infanzia.
I
parti gemellari sono estremamente rari, ed il fatto che entrambi i cuccioli
sopravvivano, date le condizioni dure di Jotunheim,
lo è ancora di più.
Sarebbe
interessante studiarle, se non fosse per il fatto che sono loro che vogliono
studiare me sventrandomi per gioco.
****
È
passato tanto tempo da quando Geirrodr mi ha
rinchiuso qui dentro.
Non
so esattamente quanto ma di sicuro è più di un mese, me lo dice il mio stomaco
per cui l’ultimo pasto è stato una lepre magra.
Oh,
cielo! Il mio ultimo pasto ed è stato un misero roditore, per di più crudo!
Le
gemelle sono passata altre volte a farmi visita ma se ne sono sempre andate via
arrabbiate e deluse.
Anche
Geirrodr è venuto ad osservarmi, forse credendo che
io non percepissi la sua presenza. Se voleva scoprire qualcosa è rimasto deluso
anche lui.
Ora
che la debolezza e la fame mi hanno quasi stroncato passo lunghi periodi in
dormiveglia o pensando e pregando che Heimdall ad Asgard mi veda.
Non
credo che mi veda.
Sarebbero
già venuti a prendermi, no? Il pensiero che forse mio padre non voglia più
intorno un figlio irrequieto e problematico come me mi ha colto di sorpresa più
volte, e sempre ho pianto con i miei occhi da falco.
Passano
altri giorni, poi all’improvviso il cambiamento: il coperchio si apre e Geirrodr mi tira fuori tenendomi per le zampe come la prima
volta.
-Tu
non vuoi dire il tuo nome, ma io non ho tempo di evocare tutti i nomi dei nove
regni per costringerti a mostrarti con il tuo vero aspetto, per cui ho deciso
come fare a sbarazzarmi di te. La soluzione ti piacerà-
Non
ho neanche la forza di dibattermi stavolta, ma la mia mente lavora febbrile.
Cosa
ha escogitato il gigante? Ha deciso di lasciarmi come giocattolo alle gemelle?
Mi
riporta nel salone dove sono entrato la prima volta in cui ho deciso
malauguratamente di impicciarmi degli affari dei giganti di ghiaccio.
Le
gemelle sono accoccolate in un angolo a giocare con qualche altra sventurata
bestiola, i coltelli di selce che luccicano di sangue e schegge di ghiaccio.
Al
centro della sala c’è una barriera di stalagmiti che si alza dal pavimento.
Sono
pinnacoli appuntiti di ghiaccio, belli, trasparenti e letali.
Spero
solo che non voglia infilzarmi sopra di essi.
Quando
mi lancia sopra la barriera di punte in effetti credo che sia questa la sua
intenzione, ma la forza del lancio è sufficiente per farmi passare appena al di
sopra di esse.
È
la mia occasione!
Raccolgo
le ultime forze e batto le ali per riprendere quota.
Posso
andarmene da qui! Devo andarmene da
qui!
Ahi!
Cilecca un’altra volta! Questo gigante è particolarmente bravo a dominare il
gelo, e subito dopo avermi lanciato con così poco garbo ha fatto fiorire
stalattiti dal soffitto che si sono unite alle stalagmiti a terra per formare
una gabbia fatta di spesse sbarre di ghiaccio.
Ogni
volta che cambio direzione mi trovo davanti una barriera scintillante contro
cui sbatto inutilmente le ali ed il becco.
-Ecco
che cosa faremo. Io non posso pronunciare da solo tutti i nomi dei nove regni,
per cui mi farò aiutare da alcuni amici. Ho invitato tutti i parenti di mio
padre e di mia madre per un banchetto
che durerà tre giorni e tre notti. Ti metterò in palio per passare il tempo. Se uno di loro indovinerà
il tuo nome e ti costringerà a mostrarti nel tuo vero aspetto sarai suo servo
perché con il tuo vero nome può dominarti, altrimenti, se nessuno avrà ancora
capito chi sei dopo tre giorni e tre notti, all’alba del terzo giorno sarai
libero. Accetti la mia proposta?-
Sto
per rispondere “Sì” o fargli capire che sono d’accordo in qualche altro modo,
ma poi mi ricordo che se gli facessi capire che ho capito i suoi sospetti su
di me aumenterebbero.
Meglio
continuare a sbattere stupidamente contro le sbarre della mia gabbia di
ghiaccio.
-Fa
come ti pare. Tanto non andrai da nessuna parte senza il mio permesso-
Mi
dice lui prima di andarsene.
In
fondo non dovrebbe essere troppo difficile: i giganti non sono particolarmente
furbi e se sono fortunato nessuno di loro capirà che sotto le piume di falco
c’è Loki di Asgard.
Devo
solo fare il tonto per altri tre giorni e poi sarò libero.
Mi
appollaio a terra per non sprecare inutilmente energie.
Che
tristezza! Non vorrei avere tanta nostalgia di casa.
Devo
ripetermi che non mi hanno abbandonato di proposito, che Padre e Madre non si
rassegnerebbero alla mia scomparsa tanto facilmente.
Anche
Thor, sono sicuro che se sapesse che sono qui sarebbe già arrivato a pestare il
gigante e le sue figlie con Mjollnir.
È
tutta colpa di questo stupido travestimento se Heimdall
non può vedermi, mi ripeto.
Lo
restituirò a Freyja e non vorrò vederlo mai più,
promesso!
E
neanche mi allontanerò mai più da casa senza aver detto a qualcuno dove ho
intenzione di andare.
-Uccellino!
Ehi, uccellino! Hai fame?-
Che
razza di domanda mi fai, stupida, ottusa mostriciattola?!
Certo
che ho fame! Come se non foste venute tu e tua sorella a picchiare sul
coperchio della mia prigione!
-Vieni
qui. Noi abbiamo da mangiare-
Gjàlp
(o Greip) si avvicina alla gabbia con un brandello di
qualcosa di sanguinolento in mano.
Oh,
no! Anche questo no!
Devo
scegliere tra morire di inedia o essere nutrito da due mostri in miniatura che
si divertono a squartare animali vivi?
Vada
per i mostri in miniatura allora.
L’istinto
del falco mi guida verso la carne ma il mio cervello mi dice di non infilare la
testa tra le sbarre: il cibo potrebbe essere un trucco dei due demonietti per avermi a portata di mano e torcermi il
collo.
Bene
o male mi stanno nutrendo, che è ciò di cui ho bisogno dopo tutto quel tempo
rinchiuso.
Continuano
a porgermi brandelli di carne tra le sbarre e mentre lo fanno ridacchiano ed i
loro occhi scintillano curiosi.
Forse
mi considerano più divertente da vivo che da morto.
No!
Meno male che ho la vista del falco! Quella piccola peste ha strattonato la
carne e stava per farmi sporgere la testa!
Sono
sfuggito alla sua mano per un soffio.
-Che
stupida che sei, Gjàlp! Te lo sei fatto scappare!-
*****
La
sera stessa cominciano ad arrivare i parenti e gli amici di Geirrodr.
Lui
saluta tutti, li porta vicino alla mia gabbia e spiega loro i termini
dell’accordo.
Io
li guardo tutti con un’aria non troppo intelligente, recitando la parte
dell’uccello tonto e infastidito dal troppo caos.
Quando
Geirrodr per primo alza il calice di idromele e lo
vuota in un solo sorso è il segnale che il banchetto può cominciare, e allora
mi è chiara una cosa: questi giganti se ne fregano di me.
Sul
serio: a loro non importa niente di come mi chiamo o di avermi come servitore,
loro sono qui solo per mangiare a scrocco!
Nessuno
ha ancora preso sul serio la sfida del nome, e quelli che ci provano lo fanno
senza convinzione.
Potrei
mettermi a ridere istericamente per il sollievo ma sarà meglio che non lo
faccia.
La
prima notte passa così: tra gente che dice nomi a caso per dare un senso al
loro essere lì a mangiare gratis, qualcuno che mi getta pezzi di cibo e le
gemelle che mi guardano avidamente e ridacchiano, mentre mangiano non più
educate dei loro parenti.
Il
giorno passa uguale alla notte, tranne per il fatto che alcuni si sono ritirati
a dormire.
Geirrodr è
sempre più accigliato.
Lui
è stato l’unico furbo: ad un certo punto mi ha gettato un pezzo di pane intinto
nel grasso della carne.
Voleva
vedere se lo avrei mangiato, presumo.
Fortuna
che il mantello mi da l’istinto del falco, e l’istinto mi diceva “Che è questo
schifo? L’odore convince poco. Non avreste qualche cuore di lepre crudo?”
Passa
così la seconda notte ed il secondo giorno.
Al
terzo tramonto comincio a sperare sul serio che questa sia la volta buona: ho
mangiato, ho recuperato le forze, nessuno mi ha smascherato, il gigante ha
detto che mi lascerà libero… andiamo, un’ultima notte
e poi sarò libero!
Potrò
tornare a casa a chiedere spiegazioni sul perché passato più di un mese nessuno
era venuto ad aiutarmi.
Passano
le ore fino alla mezzanotte ed io comincio a pensare che posso davvero farcela.
Finché
arriva lei.
******
Dire
che è brutta è poco.
È
la più orribile, ributtante, storta, gobba, rugosa, vecchia megera che io abbia
mai visto.
E
probabilmente anche di quelle che non ho visto.
I ciuffi
di capelli bianchi le pendono ai lati del viso, la pelle pure grigiastra nella
sfumatura di blu le pende dalle braccia e dal collo scheletrico, gli occhi sono
cisposi e glauchi sotto le sopracciglia.
Una
volta devono essere stati rossi come quelli degli altri Jotnar,
ma adesso sono spenti e color ruggine.
Ha
nei e peli sulla faccia in abbondanza ed è vestita di pelle e pellicce.
Nella
sua mano destra un bastone nodoso e secco quanto lei è pieno di cianfrusaglie
appese.
Sembra
un bastone da sciamano con tutte quelle ossa con rune incise che tintinnano
appese a corde di tendine, ed in cima c’è incastonato un grosso pezzo di
cristallo di rocca grezzo.
Dal
collo le pendono un sacco di lacci di cuoio con amuleti primitivi, fatti di
piume di uccello, ossa e denti di animali e avorio di tricheco intagliato.
Mi
guarda attentamente attraverso le sbarre ed io capisco immediatamente che lei
fa sul serio: vuole vincermi a questo stupido gioco.
Geirrodr
la saluta cordialmente, sebbene gli si legga in faccia che non ha idea di chi
sia quella vecchia.
Lei
gli dice di essere zia di qualcuno da parte di sua madre, e che il suo nome è Grid delle montagne interne.
Lui
è praticamente certo che sia un’imbucata, ma non avendo le prove non può
cacciarla e deve accoglierla alla tavola con gli altri.
La
vecchia si fa raccontare da Geirrodr la storia di
come mi ha catturato e rinchiuso.
Non
che sia una storia in verità lunga, ma a lei sembra interessare. E intanto mi
fissa intensamente.
Vorrei
tanto gridarle “fatti gli affari tuoi, vecchiaccia della malora!” ma non posso
assolutamente.
Non
adesso che le ore che mi separano dalla libertà sono così poche dopo una lunga
prigionia.
Vuole
guardarmi? Che faccia pure! Tanto non capirà mai chi sono.
O
almeno è quello che credo finché, passata la metà della notte, quando i giganti
sono intontiti dall’alcol e dal troppo cibo, lei si alza dalla tavola e viene
verso la gabbia.
Mi
fissa attraverso le sbarre in un modo che non mi piace per niente, per cui
fingo di ignorarla e pilucco qualche avanzo che è rimasto sul pavimento della
gabbia.
Non
mi piace, non mi piace per niente.
Lei
si guarda intorno come se volesse essere sicura che nessuno badi a lei più di
tanto, poi sussurra pianissimo.
-Il
tuo nome è Loki di Asgard, figlio di Odino, figlio di
Borr e Bestla-
CHE
COSA?!!
Come
diavolo ha fatto questa vecchia infernale a scoprire il mio nome?!!
-Per
il tuo vero nome, Loki, fammi sentire tre volte la tua voce-
Chiedere
qualcosa con il vero nome di qualcuno equivale a dargli un ordine.
“Cosa
nominata, cosa dominata” mi ha insegnato mia madre Frigg.
Per
questo sono costretto e gracchiare per tre volte.
Nessuno
degli altri giganti fa caso a me, ma uno degli occhi di Grid
si illumina per un attimo.
Torna
di corsa da Geirrodr e li vedo parlare animatamente
tra loro.
Quando
tornano verso la gabbia lui non sembra troppo contento.
-E
allora chi è questo falco?-
Chiede
Geirrodr.
-Non
ti dirò il suo vero nome perché l’ho vinta io. È una seidrkona
della razza dei Vanir, e adesso che posso dominarla
voglio che diventi la mia ancella. La porterò via subito-
-E
così è una piccola strega di quella razza? Credevo fosse qualcuno di più
importante. Bene, se è come dici tu, prendila e vattene. Liberami della sua
presenza-
La
vecchia Gridr non sembra offesa, sembra solo avere
fretta di prendere me ed andarsene.
No!
Non ha rivelato chi sono io veramente, ma non per questo vuol dire che ha buone
intenzioni!
Non
appena infila la mano tra le sbarre io mi ritiro nella parte opposta della
gabbia.
-Problemi,
Grid? Adesso ti aiuto io-
Geirrodr
evoca altro ghiaccio che mi spinge a portata del braccio della vecchia.
Le
mie beccate furiose ed i miei artigli non hanno alcun effetto su di lei: sarà
brutta come la fame, ma sa il fatto suo. Ha indossato guanti di maglia di
ferro.
Ho
già visto simili manufatti ad Asgard. Erano custoditi
nella sala delle reliquie.
Questo
però non vuol dire niente: il popolo di Nidavellir
vende indiscriminatamente i propri manufatti, senza curarsi dell’identità del
compratore.
Che
siano Aesir, Vanir, giganti
o elfi, per il popolo delle fucine l’essenziale è essere pagati.
Mi
afferra per le zampe con una mano guantata ed è
forte, altroché se è forte!
Dovrò
combattere parecchio se vorrò liberarmi da lei.
Con
l’altra mano spezza il ghiaccio delle sbarre per tirarmi fuori e mentre sono a
testa in giù noto sotto il mantello qualcosa di strano.
È
una cintura dalla foggia pregiata, che scintilla di rune incise tutte intorno.
È
un manufatto magico senza dubbio ed anche quello ho visto ad Asgard nella sala delle armi.
Tutte
queste coincidenze non mi piacciono per niente.
-Ti
ringrazio per l’ospitalità, nipote, adesso però lascerò questo posto. Tre
giorni di cammino mi sono serviti per arrivare ed altri tre me ne serviranno
per tornare. Grazie per questa occasione-
-Sono
io che ti ringrazio, Grid, per avermi liberato da
quella peste di falco che mi era piombata in casa-
Forse
faccio meglio a calmarmi. Dopotutto non devo sprecare energie se voglio
scappare da questa vecchia che sa usare tanto bene la magia e possiede oggetti
che dovrebbero essere rarissimi.
Gli
altri giganti la guardano andare via scontenti.
Certo:
un volta vinto il premio la festa finisce, e loro dovranno tornare a procurarsi
il cibo da soli.
Le
gemelle sembrano le più deluse, tanto che rincorrono Grid
fino alla porta.
-Nonnina,
vuoi davvero portarla via? Perché non ci dici il suo nome e la lasci a noi?-
Forse
credono che chiamandola “nonna” lei si addolcirà, e invece la vecchia resta
insensibile.
-No
che non ve la lascio. Ho bisogno di qualcuno giovane che sbrighi le faccende
domestiche a casa mia, io-
-Ma
noi vogliamo giocare. Per favore, nonna!-
-Ho
detto di no-
Allora
una delle due piccole pesti decide di ricorrere alla forza e fa un salto per
prendermi.
Per
mia fortuna però la vecchia è svelta a togliermi dalla sua portata.
-Non
provarci mai più! Questa cosa è mia-
Quando
anche l’altra si fa sotto per fare squadra con la sorella allora Grid perde la pazienza.
Le
allontana tutte e due con il suo bastone inciso di rune ed il quarzo in cima
scintilla minaccioso.
-Lo
vedete questo? Si chiama Gridalvolr e se non la
smettete di seccarmi vi farò provare quanto fa male-
Loro
si mettono a distanza di sicurezza ma continuano a scrutarla con astio.
Piccole,
ostinate canagliette! Ci tengono davvero tanto a
sventrarmi! Quasi quasi preferisco la vecchia a loro.
Grid
si tira su il cappuccio e si allontana nella tormenta di Jotunheim,
quando il sole non è ancora sorto.
Ah,
piccolo particolare: appeso alla sua cintura di rune ci sono io.
*******
Dopo
un paio di ore di cammino il sole è sorto pallido e cianotico come tutto in
questa terra desolata.
Grid
non ha intenzione di fermarsi.
Mentre
attraversiamo una landa aperta mi rivolge la parola.
-Adesso
sei al sicuro-
Sì,
certo, come no! Appeso alla cintura di una vecchia di gigante
insopportabilmente saccente che vuole fare di me chissà che cosa!
-Non
ti consiglio però di toglierti il
travestimento. Non vorrei che gli Jotnar ti
vedessero-
Travestimento?
Come fa a sapere che il mio travestimento è indossato e che non ho cambiato il
mio aspetto con la magia?
-Cosa
deve sopportare un padre per i propri figli…-
La
sento borbottare.
E
adesso questo cosa c’entra?
Mi
sgancia dalla cintura e… e no…
questo è davvero impossibile!
Il
bastone storto non è affatto un bastone storto: è Grungnir,
la lancia dei re di Asgard, e la vecchia non è
affatto una vecchia.
Nascosto
sotto le rughe, le pelli ed i capelli ingrigiti, c’è Odino, il padre degli dei,
nonché mio padre.
Che
ancora mi tiene per le zampe.
-Eviterò
di farti una predica perché mi sembra che tutta questa avventura sia stata per
te una lezione sufficientemente dura, ma ti prego, Loki, non cacciarti mai più
in un guaio così grosso. E adesso vuoi per favore toglierti il mantello? Non
vorrei dover sopportare le proteste di Freyja perché
glielo hai rovinato oltre che rubato-
Non
appena mi lascia andare crollo a terra nella neve.
In
fondo ha ragione lui: questo mantello mi ha portato solo un mucchio di guai,
lui e la mia curiosità!
Sciolgo
in fretta le rune che lo chiudono sul petto e poco dopo restiamo solo noi due
ognuno con il suo vero aspetto, uno di fronte all’altro nella neve di Jotunheim.
I
segni della prigionia sono più evidenti adesso che non sono più un falco, lo
capisco da come mi guarda Padre.
-Loki?-
C’è
proprio bisogno di quell’aria di compatimento? Va bene, so di essere magro,
pallido, rannicchiato nella neve, ferito e con delle occhiaie spaventose, ma
guardarmi come se fossi in fin di vita mi pare eccessivo.
-Oh,
Loki, sei stato un pazzo incosciente!-
Per
un attimo credo che voglia colpirmi, e la cosa non mi stupirebbe. Quello che mi
sorprende davvero tanto è quando lui si inginocchia vicino a me e mi abbraccia.
-Ho
avuto così tanta paura di perderti in questi mesi, lo sai? Non fare mai più una
cosa del genere-
Non
avrei mai immaginato che Padre potesse preoccuparsi così tanto per me, né che
per venire a riprendermi si sarebbe abbassato a travestirsi con un aspetto così
poco dignitoso, né che sarebbe arrivato ad infiltrarsi da solo in una casa
piena di Jotnar, che lo odiano a morte e che non
aspettano altro che l’occasione di prendere la sua testa.
Ha
fatto tutto questo per me.
Adesso
che lo capisco mi vergogno tanto per tutte quelle cose che ho pensato a
proposito del fatto che mi avesse abbandonato di proposito.
-Mi
dispiace, Padre. Non volevo che andasse così… non
volevo metterti in pericolo… io…
io…-
-Basta
così, Loki. Adesso andiamo a casa. Heimdall, quando
sei pronto-
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Cantuccio
dell’Autore
Ragazzi,
non credevo che avrei mai finito questa cosa!
È
da un sacco di tempo che ci lavoro. Mi andava di scrivere qualcosa di mitologia
norrena ma calato nell’universo Marvel.
Ho
riadattato una parte del “Thorsdrapa” (inno a Thor),
racconto dello scontro di Thor contro il gigante Geirrodr.
Ou,
la Marvel può inventare parentele ed io non posso creare finali alternativi?
Mi
sono divertita a rielaborare i personaggi come serviva a me.
Le
differenze con il racconto mitologico sono tantissime, per cui penso che
facciamo prima se io vi propongo qui la storia originale e voi fate tutti i
dovuti confronti. Sempre se ne avete voglia. Scusate ma non trovavo un
riassunto decente in italiano.
Loki is caught by the giant Geirrod and in exchange for his freedom, he promises to
bring back Thor, without his hammer, and his girdle of might [this episode
is not related in the poem]. Thor and Loki [Loki goes with Thor, and not
Thialfi as in the poem] leave towards Geirrod's home. On his way, Thor sleeps at the giantess
Grid's place and she warns him of the danger of his expedition [no mention
of this episode in the poem]. To help him, she gives him a girdle of might
[Thialfi clings to this belt in the poem],
iron gloves [this gives a rational explanation why Thor can grab the red hot
piece of iron, as in the poem], and a pole (a classical magical tool in the
Nordic civilization) [EBHO: Grid's pole is eliminated by subtle emendations
of the Old Norse text]. Thor crosses the Vimur
river [EBHO: the Arctic ocean] where Gialp,
one of Geirrod's daughters, "causes the river
waters to rise" [EBHO: waves cause this violent current]. One understands
that this current is due to her powerful urine jet, in which she tries to drown
Thor. Thor saves himself by clinging to a bush of rowan [episode not related
in the poem, or: Grid's pole is made of rowan wood]. The giantesses invite
Thor in their goat-shed where there is only one seat and Thor takes it. The
giantesses crouch down under the seat and try to crush Thor's head against the
roof by raising the seat [same story in the poem, but in a very allusive way].
Thor pushes back and breaks the back of the giantesses, and then joins Geirrod [same story in the poem]. Geirrod throws a piece of red-hot iron at Thor, but Thor
catches it in Grid's iron gloves [the poem makes clear that it is in his
hand, described as a gaping mouth]. Thor sends back the missile that goes
through the pillar behind which Geirrod hides,
through Geirrod himself, and finally in the ground [in
the poem, the missile flies in Geirrod's stomach].
End of the story [in the poem: Thor slaughters the giants with his hammer, Thialfi helps him].
Qui,
se vi interessa, c’è la versione integrale del poema http://www.nordic-life.org/nmh/thoreng.html
Andiamo
a qualche nota
1-
“Cosa nominata, cosa dominata” è il titolo
di uno dei capitoli del libro “Il canto del ribelle – La vera storia di Loki”
di Johanne Harris.
2-
Ho popolato Jotunheim
di qualche animale perché andiamo… di qualcosa devono
pure campare i giganti di ghiaccio, no?
3-
Il mantello di piume di falco esiste
davvero nella mitologia norrena. Appartiene a Freyja
e Loki lo ruba ogni tanto per passare il tempo a svolazzare in giro.
4-
Gli uccelli rapaci hanno una terza palpebra
trasparente, la membrana nittitante, che protegge l’occhio dai corpi estranei
che posso ferirli durante il volo. Come i moscerini spiaccicati sul parabrezza
del motorino.
5-
Ho trovato anche una colonna sonora: Edvard Grieg “Nell’antro del re della montagna” https://www.youtube.com/watch?v=mQCk4lBhK7c
Il brano è famoso per essere la sigla del programma
di Philippe Daverio “Passepartout”, e per essere la
base della “Villain song”
di Pietro Gambadilegno in “Topolino, Paperino, Pippo,
i tre moschettieri”
6-
Grid è
una gigantessa che da a Thor tre oggetti magici che gli servono per sconfiggere
i Giganti anche senza Mjollnir. Sono un bastone, una
cintura e dei guanti di ferro.
7-
Delle figlie di Geirrodr
non si sa quasi niente, quindi io mi sono inventata tutto di sana pianta ed ho
creato i due piccoli mostri sadici di cui avete letto fino ad ora.
8-
Nella mitologia Grid
è Grid e basta, io invece ne ho fatto un
travestimento di Odino per andare a riprendersi quell’essere dannoso che è suo
figlio minore.
9-
Nidavellir è
una parte del segno sotterraneo di Svartalfehim. In Nidavellir abitano i nani, abili orafi ed artigiani del
metallo, per questo sono chiamati anche “popolo delle fucine”.
Spero
di aver detto tutto, in caso aveste alte curiosità chiedete pure.
Buon
Natale (in ritardo ma va bene…) e buon inizio di anno
a tutti!
<<<< --- (è un albero di
Natale)
Makoto