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Autore: Itsamess    27/12/2015    4 recensioni
Esistono casi irrisolti e sentimenti irrisolti.
I primi puoi esaminarli nelle fredde vacanze natalizie insieme al tuo coinquilino, i secondi invece no - dal momento che li provi proprio nei confronti di suddetto coinquilino.
Tre indagini, due puntali inspiegabili e una lettera difficile da aprire.
(dedicata alla mia sorellina, la Sherlock del mio John)
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo uno: La scatola di cartone


Che fosse già sveglio lo deduceva dall’odore.
Quella familiare, persistente puzza di bruciato che appestava l’aria della mia stanza non poteva che indicare che Sherlock si trovava in cucina a condurre un altro dei suoi fondamentali esperimenti scientifici, ad esempio quello di bruciare le pantofole del coinquilino per studiare la propagazione del fuoco sui tessuti o miscelare aspirine e bevande zuccherate per sfatare stupide leggende metropolitane.
Con un sospiro John si rigirò nel letto, cercando di decidere se era più infastidito o divertito dalla situazione: se da una parte era indubbiamente elettrizzante vivere con Sherlock, dall’altra era anche potenzialmente letale - talvolta si sentiva più in pericolo al 221b che in Afghanistan, dove quantomeno sapeva cosa aspettarsi.
Sherlock invece era imprevedibile.
John sorrise ripensando a come avevano trascorso l’ultimo Giorno del Ringraziamento, lui armato di phon e forza di volontà e l’altro privo di qualsivoglia rimorso per aver fatto scattare l’allarme antiincendio. Avevano passato l’intera serata ad asciugare come potevano i libri danneggiati dall’acqua, spiluccando di tanto in tanto porzioni da asporto di tacchino freddo – il microonde era esploso qualche settimana prima.
 
Cercò inutilmente di riprendere sonno, ma alla fine l’idea che la sua casa sarebbe potuta saltare in aria da un momento all’altro, sacrificata sull’altare della scienza, lo fece decidere ad alzarsi dal letto. Maledicendo Sherlock e il suo Esperimento sulle Pantofole, scese le scale a piedi nudi e si precipitò subito in cucina, deciso ad interrompere il Piccolo Chimico e i suoi tentativi di renderli senzatetto.
Come temeva, Sherlock si trovava in piedi davanti al fornello, intento a mescolare un intruglio dall’odore terribilmente acre nello stesso pentolino in cui la signora preparava il porridge. Appuntandosi mentalmente di non cucinare mai più niente in quella casseruola, John prese un profondo respiro per calmarsi e domandò «Sherlock, è per caso un esperimento scientifico quello che stai conducendo?»

«Ma cosa te lo fa pensare, John!» esclamò Sherlock scandalizzato, senza nemmeno voltarsi «Ti stavo amorevolmente preparando la colazione! Uno non può neanche preparare la colazione per il coinquilino che subito viene accusato di condurre esperimenti scientifici…Pensi sempre male di tutti!»

John si sentì improvvisamente un idiota per averlo attaccato in quel modo. Per una volta Sherlock stava facendo qualcosa di gentile per lui e come ricompensa non aveva saputo fare di meglio che sbraitargli contro! Certo, a giudicare dall’odore di bruciato la ricetta non doveva essergli riuscita benissimo, ma doveva quantomeno apprezzare lo sforzo.
Tremendamente in colpa, si sedette al tavolo della cucina e commentò con scarsa convinzione «Davvero gentile da parte tua! E che cosa mi hai preparato- ehm- di buono? »
 
«Fenolftaleina flambé!» urlò Sherlock con voce entusiasta, trattenendo a stento una risata tanto diabolica da fare invidia ad un genio del male. Con un abile gioco di polso,  manovrò la casseruola sul fornello come John aveva visto fare una volta da uno chef in televisione. Il liquido violaceo al suo interno minacciò per un istante di versarsi, poi prese fuoco. La fiammata era tanto alta da sfiorare la cappa.
 
«Molto divertente, Sherlock. Davvero» commentò sarcastico John, mentre si chiedeva come avesse potuto credere anche solo per un secondo che il coinquilino gli stesse preparando la colazione, dato che di solito avveniva il contrario.
Finalmente Sherlock si voltò verso di lui: indossava una mascherina da laboratorio, di quelle che si usano per proteggersi dalle esalazioni tossiche. Altro che colazione, era un’arma chimica quella che c’era in menù quella mattina.
 
«È finito il latte»
«Ma non mi dire» borbottò John con una punta di esasperazione nella voce ancora impastata dal sonno «Senti, io vado a prendere il giornale, poi magari assaggio un po’ della tua fenolftaleina che dal profumo sembra deliziosa!»
 
Si stava annoiando. Conosceva Sherlock da troppo tempo per non rendersi conto che tutti i suoi esperimenti incomprensibili servivano solo a tenerlo occupato in mancanza di delitti ed altre amenità simili. Era già successo circa un mese prima, quando per un paio di settimane Londra non era stata sconvolta da nessun omicidio né crimine e Sherlock aveva giustamente pensato di dare fuoco al contenuto del mobiletto del bagno,  facendo sparire i flaconi di shampoo uno per volta come i protagonisti di Dieci Piccoli Indiani. Erano stati costretti ad utilizzare i prodotti della signora Hudson e mezza Scotland Yard aveva riso dei loro capelli profumati di gelsomino.
 
Quando John aprì la porta di casa trovò una grossa scatola di cartone ad aspettarlo.
Per un attimo si ritrovò a sperare che fosse un forno a microonde generosamente regalatogli da un benefattore – o più probabilmente dalla signora Hudson - ma la scatola era troppo piccola per contenere un elettrodomestico.  Indietreggiò di qualche passo e gridò in direzione della cucina «Sherlock! Hai ordinato qualcosa da Amazon? Non so, un telescopio, un altro teschio umano-»
Non ricevette nessuna risposta.
Si guardò intorno con circospezione, cercando di decidere se fosse prudente o meno portare dentro la Scatola Misteriosa, considerato che non molto tempo prima era stato Moriarty ad inviare al loro indirizzo pacchetti e buste piene di briciole di pane… ma non poteva restare lì fermo per sempre, anche perché faceva piuttosto freddo, soprattutto per uno senza pantofole.
Lanciò un ultimo sguardo sospettoso allo scatolone: non sembrava particolarmente minaccioso. Lo sollevò. Era leggero. Decisamente non un forno a microonde.
Si accorse solo in quel momento della presenza di una lettera, che fino a quel momento era stata nascosta dall’ingombrante scatola. Riconobbe subito le effigi dell’esercito sulla busta ed ebbe un tuffo al cuore. I mesi trascorsi in Afghanistan sembravano lontani anni luce ed i suoi ricordi su quel periodo nebulosi, come se la polvere del deserto si fosse depositata anche nella sua memoria. Quella lettera recava il suo nome scritto sulla busta, ma era indirizzata ad un uomo che non esisteva più.
Non aveva voglia di leggerla, o quantomeno non subito, pertanto la infilò nella tasca della vestaglia, richiuse la porta e risalì le scale, portando il pacco in cucina.
 
«Consegna speciale» annunciò John dopo averlo appoggiato sul tavolo «Era fuori dalla nostra porta, senza biglietto. Chissà chi ce lo ha mandato»

«Non è ovvio?»

Domanda retorica
Lo detestava quando fa così.
«No, non è ovvio, non per tutti!» esclamò visibilmente irritato «Illuminami»

«È da parte di Lestrade»

Lunga pausa. John non aveva alcuna intenzione di dargliela vinta così facilmente.

«Vuoi che ti spieghi come ci sono arrivato?»

«Tanto lo faresti comunque»

«Non ci sono marche da bollo né indirizzi. Il mittente è qualcuno che vive a Londra e che ci conosce personalmente, per questo non ha avuto bisogno di spedire il pacchetto. L’ha fatto semplicemente recapitare a casa nostra, forse l’ha addirittura consegnato di persona. La scatola è riciclata, ma non è molto usurata, perché i bordi sono ancora integri, quindi non può essere troppo vecchia, direi un paio di settimane al massimo. Ha una forma inusuale, più simile ad un parallelepipedo che ad un cubo, ma è troppo lunga per essere una semplice scatola da scarpe… Conteneva di un paio di stivali di pelle, provenienti nientemeno che dal Texas. Un modello terribile e fuori moda ancora prima di essere venduto, lo stesso che Grant indossava l’altro giorno alla festa di Natale di Scotland Yard… Dubito tu li abbia notati, non sei dotato di grande senso estetico»

«Greg»

«Cosa?»

«Lascia perdere. E hai idea di cosa contenga?»

Gli occhi di Sherlock brillarono dall’emozione «Oh, sì. E se ho ragione, deve essergli costato molto farmi questo regalo»

«Pensi che ci sia qualcosa di prezioso dentro?»

«No, John, questo regalo non intacca le finanze di Lestrade, ma il suo orgoglio!»

Non era sicuro di aver capito cosa intendesse, eppure  evitò di chiederglielo: si accontentò di osservare l’amico spacchettare lo scatolone con la stessa impazienza di un bambino che la mattina di Natale scarta il regalo che ha sempre desiderato. Chilometri  e chilometri di scotch da pacco tagliato dopo, Sherlock riuscì finalmente ad aprire la scatola misteriosa ed un sorriso raggiante gli illuminò il volto.
«Che cos’è?»

«Guarda tu stesso»

Tuffò la testa dentro alla scatola: cartacce, plichi, fascicoli. Immagini di scene del crimine, lastre mediche, appunti sparsi, foto segnaletiche.

«Casi irrisolti! O Cold Cases, come talvolta vengono definiti. Data la stagione, sono davvero perfetti! Coraggio, non fare complimenti, scegline uno» lo incoraggiò come se fossero cioccolatini e non casi di omicidio.

«Oh questo, su un gattino smarrito»

«Non perderò tempo a cercare uno stupido gatto»
 
Ridacchiando al pensiero di Sherlock che perlustrava mezza Londra sulle tracce di un felino vagabondo, John si decise ad aprire la lettera che attendeva paziente nella tasca della vestaglia ed improvvisamente perse il sorriso: gli veniva richiesto di rientrare in servizio, dietro l’urgente bisogno di personale medico qualificato ed esperto nella zona di guerra siriana.
Aveva tempo fino a domenica per dare una risposta definitiva, ma a John sembrò che di tempo non ce ne fosse affatto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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