Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: Ciulla    29/12/2015    4 recensioni
""La sua arroganza... Quel suo pretendere di sapere sempre tutto... Ci sono delle cose da cui deve stare fuori! Lei mi disgusta!”
Queste crudeli parole dette cercando di trattenere i singhiozzi ebbero la particolare capacità di attraversare la dura scorza del dio e la sua maschera di indifferenza, ferendolo nel profondo, proprio dove il gatto si era ormai dimenticato di avere un cuore sensibile al dolore esterno. “Whis, amico mio, io non intendevo...”
”Non intendeva cosa? Mi sono illuso per pochi istanti che si fosse preoccupato per me, ma vedo che tutto quello che le interessa è avere il controllo su tutto quello che capita intorno a lei, come sempre.”
”Ma io sono preoccupato per te! Non fraintendermi!”
Le lacrime trattenute a fatica rendevano gli occhi di Whis così luminosi che il dio, incatenato e ansioso, non poteva far altro che contemplarli nell'attesa di una risposta.
"È la gente come lei, lord Beerus, che dovrebbe morire.""
Whis è distrutto dal dolore, ma Beerus non sa perché...
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lord Bills, Whis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un maestro per sempre'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“D’accordo Vados... Grazie per essere venuta fin qui ad informarmi.”
Nascosto dietro una colonna, Beerus ascoltava quel che poteva della conversazione tra il proprio assistente e la sorella. Aveva trovato strano il fatto che lei si fosse presentata sola, senza la costante mole di Champa ad affiancarla, e come se non bastasse né lei né Whis avevano trovato necessaria la presenza del gatto nella loro conversazione. Beerus non capiva che cosa avessero da nascondere e non sopportava l’idea che il suo maestro Whis avesse dei segreti con lui; lui non aveva segreti con Whis, lo considerava il suo unico amico, e l'idea che il maestro si stesse allontanando da lui lo angosciava profondamente. Purtroppo, suo malgrado, i due alieni azzurri avevano entrambi un tono di voce molto basso, e da quella posizione era molto difficile ascoltare di cosa parlassero. Tutto ciò che riuscì a captare furono sporadiche frasi a cui non potè attribuire un senso, ed un triste e malinconico commiato.
”Alla prossima, Vados.”
”Alla prossima, fratellino.”
Beerus non aspettò nemmeno che il ki della donna fosse impercettibilmente lontano prima di saltare fuori dal suo scomodo nascondiglio ed aggredire a parole il proprio maestro. “Che cosa voleva? Perché non c’era quel ciccione di Champa con lei? Cos’è successo?”
”Dovrebbe farsi proprio i fatti suoi, lord Beerus. Conosce quel famoso detto terrestre, no? Tanto va la gatta al lardo...”
“Che ci lascia lo zio Pino. Sì, lo conosco, ma non l’ho mai capito.”
Whis lo guardò perplesso. “Zampino, lord Beerus, non zio Pino.”
Fu solo quando Whis si voltò verso di lui con quello sguardo bonario che il gatto se ne accorse.
Gli stupendi occhi del maestro, sempre pacati e rilassanti, avevano qualcosa di strano. Non si trattava solo della luce che avevano dentro, del fuoco che bruciava e divampava con forza acceddendoli di una collera mai vista prima su un tale pacifico volto. No, era qualcosa di più. Erano rossi, gonfi, come se delle mani azzurre li avessero sfregati con forza, come se a furia di riversare acqua si fossero svuotati di tutta la loro bontà, come se Whis avesse appena pianto tutte le sue lacrime.
Il gatto si avvicinò cautamente a lui, allungando una zampa verso il suo volto e passandogliela piano sulla guancia. La trovò umida.
”Whis” disse con voce spezzata. Era la prima volta che si ritrovava in una situazione del genere e non aveva idea di cosa fare. Chiedere al maestro cosa fosse successo, insistere fino a farlo parlare, oppure lasciargli il suo spazio e far sì che si sfogasse in solitudine? Cos'era meglio? Lui cosa avrebbe desiderato, se la situazione fosse stata invertita?
Il suo corpo si mosse da solo, avvicinandosi a quello irrigidto del maestro e circondandogli con entrambe le zampe tutto il volto. “Cos’è successo, Whis?”
”Nulla di grave, lord Beerus. Questioni familiari.”
”Whis. Voglio saperlo.”
Si rese conto troppo tardi di quello che aveva detto e del tono con cui lo aveva fatto. Gli occhi di Whis a quella frase erano già scattati verso di lui con rabbia e il fuoco che vi aveva visto dentro era triplicato in ardore. “Beh, sorpresa? Non si può avere sempre quello che si vuole dalla vita” gli sputò addosso il maestro. “La sua arroganza... Quel suo pretendere di sapere sempre tutto... Ci sono delle cose da cui deve stare fuori! Lei mi disgusta!” 
Queste crudeli parole dette cercando di trattenere i singhiozzi ebbero la particolare capacità di attraversare la dura scorza del dio e la sua maschera di indifferenza, ferendolo nel profondo, proprio dove il gatto si era ormai dimenticato di avere un cuore sensibile al dolore esterno. “Whis, amico mio, io non intendevo...”
”Non intendeva cosa? Mi sono illuso per pochi istanti che si fosse preoccupato per me, ma vedo che tutto quello che le interessa è avere il controllo su tutto quello che capita intorno a lei, come sempre.”
”Ma io sono preoccupato per te! Non fraintendermi!”
Le lacrime trattenute a fatica rendevano gli occhi di Whis così luminosi che il dio, incatenato e ansioso, non poteva far altro che contemplarli nell'attesa di una risposta.
"È la gente come lei, lord Beerus, che dovrebbe morire."
Guardando Whis che si allontanava, senza capire cosa fosse accaduto, il gatto sentì un forte e martellante dolore nel petto.

Whis era chiuso in camera sua. Si muoveva avanti e indietro, sconsolato, senza sapere cosa fare. Moti rabbiosi, pensieri di dolore e sensi di colpa si alternavano in lui senza un ordine, senza una logica, senza un motivo.
Era tutto così confuso.
Una sola cosa era chiara nella sua mente, una sola domanda: "Perché?"
Perché per una volta in cui aveva bisogno di un amico lord Beerus si rivelava solo un dio egoista con la mania della conoscenza assoluta?
Perché sua sorella Vados se ne era andata, lasciandolo in balia di un'incertezza e di un dolore senza precedenti?
E la domanda più scontata, ma in fondo la più sentita... Perché proprio lui?
La voce di sua sorella gli risuonava ancora nelle orecchie, come un macabro scherzo ripetuto all'infinito per il solo gusto di farlo soffrire. 
"Nostro padre è morto."
Nessun motivo, nessun preavviso. Ed in fondo, Whis non ne voleva. Non gli importava di sapere se era stata una malattia, o se era stato assassinato, non era quello il punto. Il punto era che suo padre non se lo meritava. Era sempre stato dotato di un potere fortissimo che non aveva voluto usare per timore di fare male a qualcuno, lo aveva respinto, si era costruito una famiglia felice. Whis, grazie a lui, era cresciuto nel rispetto delle altre forme di vita, nell'amore verso il prossimo e verso la natura, nell'obbedienza e lo svolgimento dei compiti assegnati; l'artefice di tutto questo non c'era più. L'essere più puro del mondo, agli occhi di un Whis ritornato bambino, era sparito dalla faccia della terra, lasciando un'eredità di sofferenza dura da portare, ma irrinunciabile.
Quella stanza stava diventando una prigione opprimente. Persino le fotografie sulle pareti lo stavano facendo soffocare. L'alieno si diresse rabbiosamente verso l'angolo di muro dedicato alla sua infanzia. Il padre lo fissava sorridendo da tantissime foto. Rideva, lo sgridava, lo istruiva, in ogni foto compiva un gesto importante per la sua formazione e che egli aveva giurato a sé stesso di non perdere mai.
Non aveva perso nessuno di quegli insegnamenti, ma aveva perso l'insegnante.
Non aveva senso. Niente di tutto ciò aveva più senso. Quelle foto non avevano più senso.
Sfogandosi con un urlo di dolore, Whis tirò un colpo di energia verso la parete, spazzando via tutte le foto che poté. In lacrime, prese a pugni le ultime sopravvissute. Colpì il sorriso di suo padre, lo fece sparire, lo martoriò tra i singhiozzi. "Avevi promesso che ci saresti stato" gemette. "Sempre".
Si ferì con il vetro, ma non gli importava. Quelle ferite si sarebbero rimarginate; purtroppo sapeva bene che c'erano altri tipi di ferite, ferite che forse si imparono a sopportare, ma che non guariscono mai. Ferite che lasciano cicatrici così profonde da non venir mai rimarginate del tutto.
Si accasciò per terra, scomposto, e pianse sui cocci di vetro che stringeva tra le mani. Pianse su quei pezzi di carta finché non ebbe nemmeno più la forza di afferrare alcunché. Allora, con la testa tra le mani, si lasciò semplicemente andare, aspettando che il sonno arrivasse a prenderlo.


Udendo dei colpi secchi contro il legno Whis si riscosse parzialmente. "Se ne vada, lord Beerus." Urlò. "Voglio rimanere solo".
Forte della sua solita forbita diplomazia, il dio lo convinse amabilmente a farlo entrare. "Apri questa cazzo di porta o la sfondo a calci!"
"Non sono presentabile" mugugnò Whis mentre apriva leggermente la soglia per spiare fuori. Quello che vide Beerus attraverso quel piccolo spiraglio fu una testa stranamente spettinata, un volto scavato dalle lacrime ed una mano sporca di sangue. "Ti prego" disse piano al suo maestro, abbandonando i suoi propositi di guerra per qualche istante. "Fammi entrare".
Pochi minuti dopo Whis era seduto di fronte al gatto che, armato di pazienza e di garze, gli stava pulendo le ferite. "Che cosa hai combinato, Whis? Ci vorrà un sacco di tempo per sistemare tutte le tue foto" mormorò Beerus. Gli era bastato uno sguardo per accorgersi che il maestro aveva distrutto persino quelle che li ritraevano insieme. Cosa aveva fatto dunque perché il maestro distruggesse in tal modo tutti i loro ricordi?
Fissando imbarazzato le proprie mani, Whis pareva essersi ripreso dal proprio moto di rabbia. "Mi perdoni per quello che le ho detto prima, lord Beerus. Non ho pensato. Se vorrà punirmi lo accetterò."
Il gatto lo guardo tra l'impietosito e il confuso. "Punirti, Whis? No, questo no. Ma sono davvero preoccupato per te" mormorò passando un dito sulle ferite dell'altro. "Nè durante gli allenamenti, nè durante i pochi combattimenti a cui hai preso parte ho mai visto cadere una goccia del tuo sangue".
"Il vetro può ferire laddove gli uomini non riescono, lord Beerus."
"Le parole possono farlo anche di più, Whis."
Sul volto dell'alieno azzurro si dipinse una smorfia di disappunto. "Le ho già chiesto scusa."
"Lo so."
I due si guardarono in cagnesco per qualche istante, poi Beerus sorrise piano, cercando di alleggerire l'atmosfera. "Speravo di vederti con i capelli in disordine prima o poi, ma di certo non in un'occasione come questa."
Suo malgrado, Whis sorrise. Sentiva una fastidiosa ciocca sopra l'occhio destro, ma la lasciò stare. Non era di certo il momento di badare al proprio aspetto.
Poi si ritrovò a dirlo. Senza un perché, senza che nemmeno gli venisse chiesto. Lo buttò fuori come una giustificazione, un motivo di biasimo. Come se in qualche modo fosse una spiegazione sufficiente al caos che lo circondava e allo sguardo ferito del dio.
“È morto mio padre”.
Fu semplice e liberatorio. Appena lo disse i suoi occhi si riempirono nuovamente di lacrime, ma non era più brutto come prima. Quel gatto di fronte a lui, che lo guardava con occhi sbarrati e spaventati, chiaramente in panico e senza idea di cosa fare, gli faceva capire che non era più solo.
“È morto mio padre.”
A ripeterlo le lacrime ripresero a scorrere sulle guance, ma presto furono catturate da delle dita viola che le asciugarono una per una. 
Le lacrime successive finirono sulla spalla di Beerus, che lo aveva abbracciato con forza e lo teneva contro di sé, come impaurito che si sarebbe squagliato a terra, se lui l’avesse lasciato. Probabilmente era così.
”Lord Beerus, lui era una bravissima persona. Non se lo meritava.”
‘È la gente come me, invece, che dovrebbe morire’ pensò Beerus tristemente, mentre continuava a stringere a sé l’essere più forte dell’universo momentaneamente diventato uno scricciolo indifeso. Le sue parole di prima gli risuonavano nelle orecchie e nel cuore, ferendolo nel peggior modo possibile.
Lui era quello che era solo per volere di Whis. Aveva passato tutta la sua vita a diventare lo spietato dio della distruzione che Whis desiderava solo per farlo contento, vedere l’orgoglio negli occhi in cui ora leggeva solo dolore. E cos’era diventato, per amor suo? Un essere a cui rinfacciare l’indegnità alla vita?
“Maestro” mormorò piano. Erano millenni che non lo chiamava così. Gli faceva uno stranissimo effetto, ma era quello che sentiva. Tra le sue braccia giaceva il suo maestro, colui che gli aveva insegnato a diventare un essere senza pietà e che ora gli suscitava pietà, colui che gli aveva insegnato a distruggere e che ora gli chiedeva di ricostruire.
”Maestro, andrà tutto bene.”
In fondo, capì Beerus, non importava. Whis era stato tutto per lui in passato ed ora era il suo turno. Sarebbe diventato qualunque cosa Whis gli avesse chiesto.
Abbandonandosi totalmente a lui, Whis annuì. Si sentiva bene, ora, tra le sue braccia.

 

 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Ciulla