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Autore: Chandra J J Lyndon    29/12/2015    2 recensioni
[2007, missing moment]
Leonardo si vede costretto ad andare via da casa. Deve separare i suoi sentimenti dall'esere un buon leader per la sua squadra, è per questo che se ne va via da casa per un anno. Ma un anno non sarà mai sufficiente per cancellare quello che sente, e Leonardo lo sa benissimo.
Raffaello, dal canto suo, non capisce, non riesce a capire perchè, se lo domanda ogni giorno che lui è lontano da casa. Deve trovare la sua strada, magari capire di più su se stesso.
DAL TESTO:
"Quando finalmente furono tutti pronti a lasciarlo andare – lui avrebbe preferito sgattaiolare via nel cuore della notte, non guardare in faccia nessuno mentre se ne andava – lo guardò negli occhi una sola volta, prima di girarsi per impedirsi di stringerlo forte in un abbraccio, dirgli scusa, mi dispiace, voglio davvero restare e baciarlo lì, davanti a tutti, fregandosene di ciò che potrebbero pensare. Non avrebbe davvero importanza. Leonardo, però, sa che non può davvero farlo. Sarebbe stupido e controproducente e inutile, e in quel momento non era il caso. Magari un giorno potrà farlo, si disse, e ci credeva davvero."
storia scritta sulle canzoni: Infinito, Dimentica, Non è mai un errore.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Leonardo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Incest
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Note: allora, so che non dovrei pubblicare una storia mentre ne sto scrivendo un'altra, ma davvero: questa ha un massimo di quattro capitoli, e quello successivo è scritto per metà. quindi... eccovi qua, nella mia personalissima interpretazione di alcune parti non molto ben definite del film del 2007.  Enjoy it





What we should be, what we will become

Prelude

Il nervosismo minacciava di travolgerlo, l’ansia cresceva dentro di lui come un’onda e diventava sempre più grande ogni secondo che passava. Sapeva perfettamente perché era stato convocato, non poteva fare finta di niente. E inoltre se lo aspettava: certe cose, se tuo padre è un abilissimo maestro ninja, vengono allo scoperto in un modo o nell’altro.
 
Bussò tre volte sulla porta del dojo, la mano gli tremava leggermente. Attese trepidante la risposta che sarebbe arrivata.
 
Era impossibile che tutta la felicità provata in quegli ultimi mesi potesse durare per sempre, quella parte pessimista del suo cervello gliel’aveva ripetuto tante di quelle volte che aveva perso il conto, eppure continuava a ignorarla, crogiolandosi nel tepore di quel segreto tanto bello. Aveva perso la cognizione del tempo nei momenti in cui si trovava tra le sue braccia, si sentiva così al sicuro che tutte le sue preoccupazioni scivolavano via, lasciando solo una calma incrollabile. Era più utile di tante ore di meditazione, e lo rendeva molto più felice.
                                                          
― Entra, Leonardo. ― disse quella voce che conosceva tanto bene.
 
Leonardo sentì il respiro che cominciava ad aumentare, mentre cercava di reprimere l’istinto di scappare via, fuggire lontano e non farsi vedere mai più. Ma Leonardo Hamato non era di certo un codardo, perciò cacciò via quei pensieri e, facendosi coraggio, entrò con passo sicuro.
 
Suo padre era in ginocchio, le candele intorno a sé con le fiammelle che tremolavano leggermente, gettando una lieve luce sulle spade e le altre armi lì presenti, creando così delle ombre quasi spettrali.
 
Leonardo si sedette accanto a lui emettendo un sospiro, unica traccia del suo nervosismo. ― Hai qualcosa da dirmi, padre?
 
Il vecchio topo posò lo sguardo su di lui, negli occhi una luce che Leonardo non aveva mai visto, piena di giudizio. ― Sì, figliolo, e tu sai benissimo cosa desidero dirti.
 
Leonardo fece un respiro profondo, per assicurarsi che la voce fosse sicura di parlare. ― Non mi pento di ciò che ho fatto. ― disse deciso, e mai parole furono più vere.
 
Splinter sorrise e scosse la testa. ― Questa non è una cosa che si fa in uno, ma in due. E l’avete voluto entrambi. ― il vecchio maestro fece una pausa prima di continuare, durante la quale Leonardo trattenne il respiro quasi inconsciamente. ― Io non ho nulla contro ciò che siete diventati, ma una situazione del genere con uno dei tuoi fratelli porta delle conseguenze. Voglio che tu vada in Sud America per un anno.
 
Leonardo sbarrò gli occhi. ― Perché? ― riuscì a chiedere dopo qualche secondo di silenzio, mentre solo una minima parte del suo cervello rimuginava su quel non ho nulla contro ciò che siete diventati, permise solo a quella parte di sé di rallegrarsi della notizia, il resto si sentiva morire all’idea di dover stare lontano da casa tanto tempo. Ma sapeva che l’avrebbe fatto nonostante le sue reticenze, perché era quello che voleva il suo maestro.
 
― Perché i sentimenti che provate l’uno verso l’altro potrebbero interferire col tuo essere un leader. In Sud America procede il tuo addestramento, per migliorare come capo e per dividere i sentimenti dal tuo essere un ninja. ― il vecchio topo s’interruppe per qualche attimo. ― Partirai tra due giorni. ― e quelle quattro parole suonarono come una condanna a morte.
 
Leonardo, razionalmente, capiva che Splinter aveva ragione. Davvero. Ma la sua parte sentimentale continuava a dire che non era giusto e che doveva esserci per forza un’altra soluzione, una qualsiasi.
 
― Io... sì, Sensei. ― Leonardo rinunciò a dire alcunché, preferendo piuttosto ritirarsi in camera sua a pensare a cosa dire a suo fratello; tanto era immerso nelle sue riflessioni che, quando si sdraiò sul suo futon, non si accorse che lui lo aspettava lì, appoggiato ad un muro della stanza che era rimasto nell’ombra. L’altra tartaruga lo chiamò con tono di voce sussurrato, ma questo bastò per farsi sentire.
 
― Raphie! ― esclamò Leonardo alzandosi con uno scatto fluido, e Raffaello si rese conto in un attimo che ciò che era successo era più grave di quanto pensasse: Leonardo non s’era minimamente accorto della sua presenza. Normalmente non si sarebbe mai lasciato sorprendere in quel modo.
 
― Cos’è successo, Leo? ― gli chiese senza troppi giri di parole, e davvero, Leonardo non sapeva proprio da dove cominciare.
 
―Devo andare via, in Sud America, per un anno. ― disse alla fine, dopo qualche attimo di silenzio pesante come piombo.
 
Leonardo poté vedere gli occhi dorati di Raffaello, sempre brillanti nell’ombra, che si sgranavano mentre si staccava dalla parete e il suo corpo si irrigidiva. Leonardo si preparò internamente a vedere uno scoppio di rabbia.
 
― Perché? ― sputò quasi suo fratello mentre digrignava i denti, ripetendo senza saperlo ciò che aveva chiesto lui stesso al maestro Splinter poco prima, con la medesima espressione e un identico tono di voce. ― Solo perché ha scoperto tutto? ― sembrava sul punto di uscire dalla stanza gridando improperi, Leonardo si sentì in dovere di fermarlo.
 
― Non fare niente di stupido, Raffaello. ― disse avvicinandosi a lui.
 
Vide i suoi pugni stringersi con forza. ― Come puoi dire una cosa del genere, davvero non t’importa nulla? Te ne andrai così, senza neanche opporti?
 
― Devo farlo.
 
― No.
 
Leonardo prese un respiro profondo e guardò Raffaello negli occhi. ― Mi dispiace. ― e davvero lo pensava, con tutto il suo cuore. Ma mentre osservava le iridi dorate di suo fratello, si rese conto che Raffaello si stava arrabbiando davvero molto, solo con lui; se ci avesse riflettuto, però, si sarebbe accorto che non era colpa sua, qualche settimana e la vita al rifugio sarebbe stata insostenibile con un Raffaello arrabbiato col maestro Splinter. Quindi Leonardo fece l’unica cosa che avrebbe impedito a Raffaello di avercela per sempre con quello che era, a tutti gli effetti, suo padre: mentì. ― E poi io sono d’accordo ad andarmene.
 
Raffaello assottigliò gli occhi. ― Quindi non t’importa se non ci rivedremo per un anno?
 
― Esatto. ― Leonardo si sentì morire dentro quando vide ogni muscolo del corpo di Raffaello irrigidirsi, né disse niente quando se ne andò sbattendo la porta. Non avevano altro da dirsi.
 
Leonardo diede un pugno, con tutta la sua forza, alla parete della stanza, incrinandola un po’. Il dolore però fece il suo dovere: lo rese di nuovo lucido. Non poteva lasciarsi trascinare dai sentimenti, doveva essere freddo, calcolatore, una macchina da guerra. E quei sentimenti non aiutavano per nulla.






 
   
 
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