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Autore: cryleshton    29/12/2015    2 recensioni
dal testo:
“Dammi prima un bacio, però.”.
E Dean non aveva potuto resistere, l’aveva tirato a sé e l’aveva amato con la sola forza delle labbra, come se fosse l’ultima occasione, come se potesse svanire tutto nel nulla da un momento all’altro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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We let the waters rise
We drifted to survive
I needed you to stay
But I let you drift away
 
My love, where are you?
 
Whenever you’re ready
Can we surrender
I surrender
 
No one will win this time
I just want you back
I’m running to your side
Flying my white flag
My white flag
 
My love, where are you?

 
“Castiel, guardami.” aveva sussurrato Dean, dopo aver fatto l’amore.
Erano giorni bellissimi per lui, eppure non succedeva granché nella loro vita. Erano chiusi in casa a mangiare, a guardare la tv e a scoprirsi fino a rimanere senza più fiato. Capitava di uscire, ma raramente. Lo facevano sempre, almeno una volta al mese. Si estraniavano dal mondo, si prendevano quelle settantadue ore di solitudine e vivevano come se non fosse esistito nient’altro che il rumore dei loro cuori; scanditi dallo stesso ritmo, miliardi di battiti suonavano all’unisono per creare la melodia più dolce che le loro orecchie avessero mai ascoltato.
Gli occhi di Castiel si erano aperti velocemente, come se quella voce roca e assonnata fosse un canto di sirena, come se lo attirasse verso di lui senza che potesse ribellarsi. Lo guardava con gli occhi blu leggermente lucidi e a Dean sembrava di vedere il cielo, quello limpido e luminoso di metà Agosto, quando le nuvole sono solo un ricordo lontano. Aveva voglia di baciarlo ancora e ancora e ancora, di stringerlo a sé e infilare quei ricordi nel cassetto dei giorni felici. Perché non si era mai sentito vivo come in quel momento, non avrebbe mai amato qualcuno come amava Castiel in quel momento. Perché il suo cuore era pieno, e si sa che quando il cuore è completo si tocca il paradiso.
Il ronzio di quelle parole non dette si propagava nella stanza, si incollava ai loro timpani. Tutto era perfetto: corpi incastrati in una morsa d’acciaio, polpastrelli morbidi ancorati a spalle muscolose, occhi dentro occhi – smeraldo contro zaffiro. E Dean non avrebbe mai voluto rovinare quegli istanti meravigliosi, che sarebbero capitati una volta sola nella vita, che – sapeva – sarebbero scomparsi ancora prima che potesse accorgersene. Guardò improvvisamente il profilo marcato di Castiel, la mascella squadrata, il naso dritto, e si chinò per stringerlo a sé, più forte che poteva. Non voleva lasciarlo mai, avrebbe cucito le loro pelli insieme se solo avesse potuto, se solo fosse stato corretto. Perché ogni secondo che passava senza di lui gli sembrava perso, inutile, sprecato. Perché Dean odiava perdere tempo, gettarlo via senza impiegarlo in qualcosa di emozionante. E come emozionava Castiel, nessuno sarebbe mai stato in grado. Gli bastava uno sguardo e le farfalle gli mangiavano lo stomaco. Gli bastava una parola, a volte anche un solo sospiro, e la mente non riproduceva più alcun suono al di fuori di quello. Gli bastava una carezza e l’anima diventava finalmente leggera. Niente più ansie, niente più sensi di colpa, niente più autodistruzione. C’era Castiel e il mondo era un posto felice. C’era Castiel e Dean era completo.
“Sei il mio angelo.” gli aveva detto, scostandogli i capelli dalla fronte, e Castiel aveva riso. Una di quelle risate forti e potenti che ti travolgono la carne e non puoi fare altro che rimanere lì ad ammirare tutta quella meraviglia.
E Dean aveva fatto proprio così, si era tirato su a sedere e si era goduto il suo amore in santa pace, con le mani sulle ginocchia e i fuochi d’artificio nella pancia.
 
***
 
Si siede vicino al camino e guarda le fiamme camminare verso l’alto, il calore confortante non riesce ad arrivare alla sua anima. Sente freddo. Gli tremano le mani.
E gli manca.
Dio, quanto gli manca.
Vorrebbe sentire il suo profumo.
Vorrebbe poter perdersi nel colore dei suoi occhi.
Vorrebbe saltargli addosso e farlo ridere fino a sentire i muscoli indolenziti.
Vorrebbe accarezzargli i capelli e baciargli la fronte.
Vorrebbe sentirlo ridere.
Vorrebbe guardarlo innervosirsi.
Vorrebbe discuterci – era così stramaledettamente testardo quando ci si metteva.
Vorrebbe fare l’amore dopo ogni litigio.
Vorrebbe rivivere ogni singolo istante.
Ancora una volta.
Una sola volta.
Per non farlo svanire mai dai suoi pensieri, per non far affievolire mai il ricordo, per tenerlo vivo almeno nella sua memoria.
E gli manca.
Dio, quanto gli manca.
 
***
 
Castiel leggeva con la testa appoggiata allo schienale del divano e le gambe incrociate, il libro gli cadeva perfettamente sulle ginocchia e sembrava sereno. Dean sbatteva gli occhi ad ogni suo movimento, per imprimerlo a fuoco nella mente – scattava fotografie che solo lui avrebbe potuto vedere. Solo lui e nessun altro.
E poi cucinava, girava la carne nella padella e sorrideva; non aveva mai sorriso così tanto in vita sua. Era sempre scontroso e diffidente, l’ansia lo mangiava vivo e la costante paura di perdere quello che non aveva gli corrodeva la felicità. L’unico spiraglio di luce era Sam – il suo Sammy – che se ne stava sempre lì, sempre appresso a lui e gli portava torte a volontà quando lo vedeva di pessimo umore. Prima di Castiel, sì, solo Sam era uno sprazzo di paradiso chiaro e luminoso. E si sentiva fortunato ad averli tutti e due.
Era sempre Dean quello che si preoccupava di preparare la tavola e servire i piatti, gli piaceva farlo, lo faceva sentire gratificato; come se potesse ricambiare tutto il bene che riceveva, come se quei piccoli gesti potessero anche solo per sbaglio donare un briciolo dell’amore che aveva nel cuore. Non era molto, ma era tutto quello che possedeva. E poi amava mangiare e trovare imbandito come diceva lui, con i bicchieri del colore giusto e le posate ben disposte l’una vicino all’altra. Castiel gli ripeteva sempre che era un maniaco del controllo, ma a lui non dava fastidio. D‘altronde era vero.
Si era avvicinato al divano e aveva sorriso, incrociando le braccia al petto. Sperava di attirare l’attenzione, di essere invitante – se non lui, almeno la cena – ma gli occhi blu del suo ragazzo non si muovevano dal libro. Se ne stava immobile nella sua posizione e quei pezzi di cielo correvano tra le righe, sulle parole; sembrava aver trovato il suo posto nel mondo. Allora a Dean non era rimasto altro che fissare le labbra rilassate, leggermente socchiuse, le ciglia lunghe e scure che creavano ombre sulle guance, il petto gonfio d’ossigeno sotto al maglione di lana. Allora a Dean non era rimasto altro che amarlo un po’ di più ad ogni rintocco dell’orologio.
Si era schiarito la voce all’improvviso, il rumore riecheggiava nella stanza e riempiva lo spazio vuoto tra di loro, e Castiel aveva alzato immediatamente lo sguardo.
“E’ pronto, secchione.” aveva detto Dean ed erano scoppiati a ridere insieme. Perché era quello il suo modo per dimostrare amore a parole, gli dava nomignoli stupidi e dispregiativi e Castiel lo sentiva che lo faceva per nascondere il battito accelerato del cuore. Era molto più bravo con i gesti, con le premure, con gli abbracci improvvisi e le nottate passate in bianco ad asciugargli le lacrime. Quando era tempo di parlare, la lingua gli si intrecciava da sola, il cervello smetteva di funzionare e i sentimenti gli si incastravano in gola. E la sua unica arma era il sarcasmo.
Ma Dean lo sapeva che era proprio quell’aspetto, la maschera da duro, ad aver conquistato il suo Castiel. Così continuava, a volte stava ore intere a pensare a nuovi soprannomi, nuove battute, solo per farlo ridere, innamorare ancora. Perché l’unica cosa che interessava a Dean era che Castiel gli rimanesse accanto tutta la vita, anche a costo di vendere l’anima al diavolo.
“Stavo solo leggendo.” gli aveva fatto la linguaccia e con gli occhi blu l’aveva squadrato dalla testa ai piedi. “Dammi prima un bacio, però.”.
E Dean non aveva potuto resistere, l’aveva tirato a sé e l’aveva amato con la sola forza delle labbra, come se fosse l’ultima occasione, come se potesse svanire tutto nel nulla da un momento all’altro.
 
***
 
Si alza, si avvicina alla finestra e guarda la neve cadere. Quello – quello è lo scenario giusto per il suo stato d’animo. Si sente un po’ come i fiocchi bianchi e candidi. Sembrano compatti, indistruttibili, poi basta che tocchino l’asfalto e si sgretolano in mille pezzi, diventano polvere e nient’altro che freddo. E a lui era bastato guardarlo scomparire per gelare dentro – un perenne inverno lo abita e non è che qualcuno possa farci qualcosa.
Vorrebbe solo lui.
Lo vorrebbe, lì, vicino al camino con i colori del fuoco dipinti sul viso, riflessi negli occhi. E magari anche un sorriso, uno di quelli spontanei e sinceri che gli spuntavano sul viso quando erano insieme, uno di quelli che lo avevano fatto innamorare.
Perché senza di lui vivere non è la stessa cosa; senza la costante certezza di ritrovarlo la sera, tornato dal lavoro, o la mattina, appena sveglio. Tutto il mondo gli vacilla sotto ai piedi da mesi, ormai, e il petto gli fa male ogni giorno di più. E’ stretto in una morsa insostenibile, una di quelle che ti fanno pensare di poter morire da un momento all’altro, che non riuscirai superare una cosa simile, che non sei abbastanza forte. Eppure non molli mai, tutte le notti ti stendi nel letto – nel vostro letto – e stringi il suo cuscino e ti ripeti di andare avanti. Poi annusi il suo profumo e preghi; più che altro parli, non ti sono mai piaciute le preghiere, non vuoi implorare nessuno. Gli racconti come è trascorsa la giornata, il numero di sorrisi regalati e quanto ti manca. Gli dici sempre quanto ti manca. Ogni notte. A volte anche in pieno giorno, quando nessuno ti può sentire, quando sei solo in casa e i ricordi ti travolgono. Ti siedi sul vostro divano e piangi – così, dal nulla. Non ti accorgi mai delle lacrime che scendono finché non ti si gonfia il naso e gli occhi non iniziano a bruciare. Eppure tu piangi, piangi sempre, e ti manca.
Dio, se ti manca!
 
***
 
Erano stesi sul pavimento, le mani incrociate dietro la nuca, e parlavano. Parlavano sempre, loro. Di qualsiasi argomento. Ma quel giorno, in quel preciso istante, si stavano scambiando i sogni, i desideri, il futuro. Dicevano di voler girare il mondo insieme, di voler fotografare ogni cosa e di voler essere felici. Uno accanto all’altro.
Progettavano una famiglia con tanti bambini e Castiel li voleva con gli occhi verdi, di quel verde che ti fa toccare le nuvole con un solo sguardo. E Dean si ribellava perché non era la prima volta che lo diceva. Perché lui voleva vederli crescere con gli occhi blu di chi ha la meraviglia nel cuore, perché il verde era normale, mentre l’azzurro – Dio, quell’azzurro! Gli liberava l’anima da qualunque demone, lo faceva sentire speciale. E poi sarebbe stato bello guardare prima Castiel e poi uno dei loro figli, con quei due sprazzi di oceano in mezzo al viso. Era ingordo, Dean. Ne voleva tanti di Cas vicino a lui. Tanti quanto la grandezza del loro amore. Li avrebbero adottati e cresciuti tra libri e serie tv, in mezzo a gente amorevole e tanta natura, sulle spalle grandi di papà Dean e contro il petto confortante di Papà Castiel. Sarebbe stato il loro piccolo viaggio in paradiso.
“Non mi lascerai mai, vero?” aveva il ragazzo moro, sorridendo.
E Dean era rimasto senza parole. Come avrebbe mai potuto pensare di abbandonarlo? O, peggio ancora, di scegliere qualcun altro? Come avrebbe mai potuto passargli, anche solo per sbaglio, in mente di vivere senza il suo profumo, senza la sua voce, senza le sue carezze? Non gli era mai piaciuto dipendere così tanto da qualcuno, si sentiva in gabbia, pensava di poter bastare a se stesso – ma con Castiel era diverso. Con Castiel era giusto lasciarsi andare, era giusto piangere e farsi cullare, era giusto spogliarsi di qualunque maschera ed essere amato così forte da far male. Era giusto aggrapparsi con le unghie e con i denti alla speranza, era giusto farsi salvare. Era giusto essere se stesso. Era giusto essere Dean. E una volta assaporato tutto questo, non lo avrebbe fatto fuggire tanto alla svelta.
“Non sono ancora così folle, sai?” poi si erano baciati ancora una volta, in un modo così dolce e delicato da sentire il velluto sulle labbra. O la seta, quella morbida e colorata. Miliardi di sfumature viaggiavano sopra di loro, potevano vederle sotto le palpebre mentre sorridevano e si promettevano la vita migliore di sempre.
 
***
 
“Toc, toc.” e quella voce Dean la riconoscerebbe ovunque.
“Entra.” risponde. Il tono monotono, quasi distaccato.
“Ti-- ti ho portato un pezzo di torta.” Sam è dietro di lui, sente il suo sguardo sulle spalle. “Pensavo-- pensavo potesse farti bene. Sono giorni che non mangi.”
Ma Dean non si muove, rimane fisso a guardare il panorama. Che poi due alberi e un po’ di neve, che spettacolo saranno mai? Eppure non riesce a fare altro. Se ne sta lì con la solita camicia di flanella e i jeans stretti sulle cosce e pensa. Oppure no. Disperde solamente lo sguardo nel bianco freddo che l’inverno gli regala. Non si sente poi così tanto solo in quei momenti.
La nostalgia è un po’ meno dolorosa se la mene si svuota.
Lo sente sbuffare, un suono sconsolato, disperato. E gli dispiace, si sente una merda. Perché nessuno merita di soffrire per colpa sua, nessuno merita di vederlo in quello stato. Nessuno. Ma meno di tutti, proprio Sam. Deve stare al sicuro, felice e sereno. E lui gli rovina la vita ogni secondo che passa, gliela rende impossibile, si fa accudire come se fosse un bambino piccolo e non muove un muscolo per andare avanti.
E’ solo che-- è solo che, come si fa a vivere quando anche l’ultima fiammella di speranza si è spenta? Come fai a sorridere quando ti è stata strappata l’anima dal corpo? Come riesce la gente a respirare quando il petto non è nient’altro che un ammasso di grigia e opprimente polvere? Se lo chiede sempre, ma non trova mai una risposta. E’ per quello che sta giorni e giorni immobile, anche senza dormire. Vorrebbe sapere, ma non può. E allora perde tutto: la fame, la sete, la parola, il sonno. La sua è solo una carcassa vuota. Non c’è più niente.
Niente.
“Lo-- lo so.” sospira. “Lo so, Sammy. Siete tutti preoccupati per me. Lo so.” un’altra pausa. “Ma starò bene. D’altronde, quanto può durare un momento?” il silenzio che accompagna le sue parole gli fa inclinare la testa di lato, in attesa.
“Dean, tu-- sono mesi che lo dici. Da quando è successo. Da quando Cas--”
Si volta, gli occhi spalancati, fuori dalle orbite.
“Non-- non nominarlo. Non farlo. Non nominarlo.” e non sa da dove gli sia uscita tutta quella voce, tutta quella forza. Forse, da qualche parte, un po’ di vita c’è ancora. Un po’ di quella che solo lui riusciva a regalargli.
Si avvicina a Sam, il dito puntato verso il suo petto, accusatorio. Come se potesse mai uccidere un innocente. Iniziano a tremargli le mani, il respiro si fa più pesante e le gambe assomigliano a gelatina. Sbatte le palpebre e non vede altro che blu. Si sente male, dov’è finita l’apatia? Stava bene quando non provava niente, quando sembrava anestetizzato, come se tutto fosse solo un brutto – bruttissimo – sogno.
Castiel è morto.
Stava bene.
Morto.
Dov’è andata quella sensazione?
Svanito nel nulla.
Crolla, non regge. Vorrebbe inginocchiarsi e piangere per sempre, sfogare tutta la rabbia e condannare chiunque gli abbia portato via la sua ragione di vita, ma le braccia di suo fratello lo stringono talmente forte da sembrargli impossibile anche solo muoversi.
“Io-- io starò bene, Sammy. Starò bene.” una lacrima sfugge al controllo, non succede da settimane. “Non-- non nominarlo, non nominarlo. No. Sammy, non nominarlo. E’ morto.” chiude i pugni sugli occhi e un po’ di verde, quel verde che Castiel amava tanto, gli scivola sulle guance.
“Ci sono qua io, Dean. Ce la faremo. Starai meglio.” si accovacciando insieme, dondolando a ritmo dei singhiozzi del più grande. “Ora piangi, ci sono qua io.” e Dean non se lo fa ripetere due volte.
Passa la notte a piangere, con il vuoto nel petto.
La ferita non si ricuce mai.
Non doveva lasciarlo.
 
***
 
“Domani cosa facciamo?” aveva chiesto Castiel un giorno. E Dean aveva risposto che non lo sapeva, che non gli importava, bastava che erano insieme. Aveva proposto un film al cinema, o una gita al lago. Qualunque cosa sarebbe andata bene. Con quegli occhi di fronte, il resto non sarebbe contato.
“E se andassimo ad una mostra?” e Dean aveva alzato gli occhi al cielo, lui odiava le mostre.
 
Però poi, alla fine, c’erano andati. Si era lasciato convincere dopo una carezza di troppo e qualche sorriso in più. Erano la sua kryptonite e non poteva farci niente.
Erano andati ad una di quelle esposizioni fotografiche di artisti sconosciuti, ma Castiel sembrava così felice che ne era valsa davvero la pena. Se ne stava lì a parlare di quanto i filtri fossero perfetti, di quanto le inquadrature lo emozionassero, di quanto avrebbe voluto aprire uno studio tutto suo, far vedere al mondo quello che lo rendeva vivo. E lui era rimasto lì, ammaliato, a catturare ogni secondo, ogni parola, ogni movimento. Così avrebbe potuto rivederli – riviverli – la sera stessa, una volta addormentato.
“Fotograferei soprattutto te.” aveva affermato Castiel, tutt’un tratto, e Dean era rimasto senza fiato. Perché sapeva di essere piacente, era consapevole di poter ottenere quasi tutto quello che desiderava con una manciata di parole e qualche gentilezza, ma mai – maimaimai­ avrebbe pensato di essere il soggetto preferito di Castiel. Gli si gonfiò il petto di orgoglio e lo strinse forte a sé, baciandogli la fronte.
“Lo so, sono bellissimo.” ma in realtà non ci credeva neanche lui a quelle parole e scoppiarono a ridere insieme, beccandosi rimproveri da chiunque.
A loro non importava, però. Era insieme ed erano felici, come potevano curarsi del giudizio altrui? Quando si è così innamorati niente vale più della persona che si ha a fianco. E niente valeva più di Castiel. E niente valeva più di Dean.
Avevano continuato a camminare, mano nella mano, e si erano avviati all’uscita.
“Però un po’ ti amo.” aveva sussurrato di nuovo Cas, con il respiro bloccato in gola.
Un po’ ti amo, si era ripetuto Dean in testa prima di rispondere.
“Io-- anche io.” Aveva sospirato, vicino all’orecchio del suo ragazzo. Il cuore perse un battito.
Anche io, amore. Ora e per sempre, voleva aggiungere, ma sarebbe stato troppo per chiunque.
 
Ora e per sempre.
 
 
 
 
«What you have told me is quite a romance, a romance of art one might call it, and the worst of having a romance of any kind is that it leaves one so unromantic.» - Oscar Wilde
   
 
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