Rain
Drops.
Quella
mattina, la strada era più fredda
del solito. L'inverno sarebbe arrivato un po' prima, probabilmente. A
Kaneki
piaceva l'inverno, la neve, il tepore sempre maggiore che fuoriusciva
dalla sua
dimora non appena apriva il portone. Non era nemmeno a metà
strada fra la sua
casa e la scuola, che già fantasticava sul suo ritorno al
primo edificio. La
verità era che non c'era posto in cui Kaneki si sentisse a
suo agio, esclusa la
sua casa. Forse perché stare in mezzo a così
tante persone come in una scuola
non faceva per lui, che invece era stato fin da bambino un tipo
più solitario e
amante della tranquillità, o magari perché non
sopportava la prepotenza e
l'irrazionalità di certi suoi compagni di classe, che si
ostinavano a prenderlo
pesantemente in giro per la sua divisa impeccabile, per i capelli dal
taglio a
scodella, per l'aspetto di topo da
biblioteca, a detta loro, per la sua passione sconfinata per
la lettura. Il
motivo per cui si accanivano costantemente su di lui, poi, proprio non
lo trovava.
Era forse debole all'apparenza e quindi perfetto come bersaglio per gli
sfoghi
altrui? Chi lo sapeva. Ma la cosa peggiore era sentirsi appioppare il
nomignolo
di cocco di papà e dover
puntualmente
ricordare a tutti loro – e a sè stesso –
che no, non poteva essere un cocco di
papà, perché lui il suo papà
non l'aveva mai conosciuto.
La
mamma gli parlava spesso di suo padre.
Lo dipingeva sempre come un uomo dal carattere austero e impostato, ma
estremamente sensibile e con la buffa attitudine ad essere
costantemente con la
testa fra le nuvole. Era colpa di tutti i libri che era solito leggere,
gli
raccontava, e a lui leggere piaceva davvero molto, così
tanto da aver insistito
per allestire una delle stanze della loro casa proprio come uno studio,
riempiendo
le pareti di librerie stracolme di volumi di ogni genere e dimensione,
dei più
disparati autori. In quel modo, non c'era stato bisogno di dipingere i
muri
della stanza: le copertine colorate dei libri, stipati su ogni
superficie
piana, erano sufficienti a dare un tocco di luce alle pareti. Ma
ciò che
rendeva viva l'intera stanza non erano affatto i libri, non era nemmeno
l'ampia
finestra posta strategicamente sopra la scrivania in legno lucido. Era quell'uomo.
La
mamma gli parlava anche di come suo
padre fosse bravo e paziente quando, alla sera, lui per dormire aveva
necessariamente bisogno di farsi raccontare una storia. Riusciva
perfettamente
ad immaginare la scena, proprio come se potesse ricordarla fin nei
minimi
dettagli.
Un
bambino di appena due o tre anni al
massimo, dai capelli liscissimi e neri come il carbone, se ne stava
accoccolato
fra le coperte del suo lettino, tirate su fino al naso, che lasciavano
scoperti
il viso arrossato e gli occhi chiari, lucidi di lacrime. La luce della
piccola
lampadina posta accanto al lettino era accesa, perché
altrimenti sarebbe
scoppiato a piangere e la sua mamma lo sapeva perfettamente. Che cosa
curiosa,
il buio. Crea quiete e pace idilliaca, ma ciò che vi si cela
all'interno resta
sconosciuto fino al momento in cui appare nuovamente una luce.
Crescendo
avrebbe imparato che le cose al buio sono esattamente le stesse anche
alla
luce, che il buio le deforma momentaneamente, ma non ne
potrà mai modificare
l'essenza, la forma, i colori. Il bambino continuava a guardarsi
intorno con
sguardo preoccupato, osservando ogni singolo angolo ombroso della sua
cameretta, dove la luce soffusa ed ovattata non poteva arrivare. Era in
quei
momenti che suo padre entrava nella stanza, proprio quando il piccolo
cominciava a tremare, raggomitolandosi sotto la coltre morbida di
lenzuola.
L'uomo gli appariva senza un volto, la sua figura era interamente
sfuocata come
se facesse parte di un dipinto completamente sbagliato, eppure lui
sentiva che
quella persona apparteneva al quadro che aveva creato nella sua mente.
La colpa
di ciò era da attribuire all'età troppo giovane
per poterne conservare ricordi
e ai racconti di sua madre, che evocavano in lui questo tipo di
fantasie
piacevoli da trasformare in proprie memorie. Ma non riusciva comunque a
dare un
volto al suo papà, non riusciva a trovargliene uno adatto
nemmeno quando si
sedeva sulle ginocchia accanto al letto del bambino che era lui stesso,
tirando
fuori un libro colorato da sotto la giacca e cominciando a
leggerglielo.
Immaginava la sua voce. La immaginava profonda e gentile. Immaginava il
suo
sorriso, quello poteva vederlo. Solo il suo sorriso, preso dalla foto
del
matrimonio dei suoi genitori. La foto che soleva rigirarsi fra le mani
e poi
nascondere sotto il cuscino tutte le sere, prima di addormentarsi, nel
tempo
reale. Nella sua mente, a quel punto, si era già
addormentato, cullato dalle
parole morbide del suo genitore. Con questo ricordo acquisito chiudeva
gli
occhi ogni sera, carezzando con la punta delle dita un angolo di quella
foto
che ritraeva la sua famiglia, tenuta accuratamente sotto il cuscino.
Chiudeva
gli occhi e si addormentava, Ken Kaneki.
Si addormentava e sognava di potersi svegliare come quando era piccolo,
con sua
madre ai fornelli e suo padre in abito formale, in piedi sulla soglia
della sua
stanza. Come quando quell'uomo era presente in quella casa, invece di
essere
solo un nome inciso sulla pietra fredda e lugubre di una lapide.
Ken
scosse energicamente la testa,
scacciando i pensieri che vi si erano crudelmente annidati. Il tragitto
verso
l’edificio scolastico non era certo il luogo adatto per
rimuginare su
quell’argomento.
Frequentava
il secondo anno di scuola media
superiore, aveva ottimi voti, studiava regolarmente e nessun professore
aveva
mai contestato il suo lavoro. Poteva considerarsi perfettamente uno
studente
modello, tenendo conto anche del suo comportamento silenzioso e
gentile, e
della sua costante puntualità. A sedici anni i ragazzi sono
ribelli, vanno
contro le regole, si rifiutano di studiare. Kaneki no. Kaneki era
sempre stato
l'opposto di tutti i suoi coetanei. Arrivato nel cortile del suo
edificio
scolastico adocchiò subito una panchina posizionata sotto un
albero dalle
fronde enormi, scosse dal leggero venticello che spirava quella
mattina. Con
venti minuti d'anticipo, Ken avrebbe avuto tutto il tempo per prendere
il suo
libro preferito dallo zaino e sedersi con calma, per continuarne la
lettura.
Gli piaceva soffermarsi sulle parole più complicate e
ricercate, magari
scrivere su un foglio le più interessanti, oppure segnarle
con un leggero
tratto di matita, per non rovinare la superficie immacolata delle
pagine. Era
preciso, Kaneki, in quasi tutto quello che faceva. L'unica cosa in cui
peccava
gravemente, era l'argomento relazioni
interpersonali.
La
prima campanella suonò troppo presto, con disappunto e una
nota malcelata di
tristezza da parte del moro. I libri avevano la capacità di
fargli perdere il
senso del tempo, quando si immergeva nella lettura come un subacqueo
nelle
profondità dell'oceano. Era piacevole estraniarsi dalla
realtà ed entrare in un
mondo alternativo, cullati dalla voce dei propri pensieri, con lo
sguardo
legato alle pagine del libro, ma la mente altrove, morbidamente
intrecciata con
la creazione di avvenimenti e situazioni descritte in poche, semplici
righe,
immortalate in nero su bianco. Con un sospiro sconsolato, Ken rimise
con cura
il libro nel suo zaino e si alzò dalla panchina,
rabbrividendo quando una
folata improvvisa di vento gelido gli scosse i capelli e gli si
insinuò fra i
vestiti, attraversandogli tutto il corpo. Si diede una veloce sistemata
alla
giacca della divisa, prima di incamminarsi verso l'entrata della scuola
e
addentrarsi nei corridoi un po' bui e tristi, causa arrivo della
stagione
invernale. Era ancora presto, per questo la sua classe era quasi
interamente
deserta. C'erano solo due sue compagne, sedute nei banchi centrali
dell'aula,
intente a sfogliare freneticamente un libro scolastico alla ricerca di
chissà
quale risposta a chissà che quesito – ma
probabilmente riguardava il test di
matematica che si sarebbe svolto quella mattina. Con molta calma,
Kaneki prese
posto accanto alla finestra. In questo modo avrebbe avuto il beneficio
di poter
osservare un paesaggio sicuramente migliore del volto del professore,
una volta
terminata la verifica. Ovviamente la vista non era poi tutto questo
gran ché:
si vedeva il cortile della scuola, persino la panchina che aveva
occupato fino
a qualche minuto prima, le fronde degli alberi mosse dal vento e il
cielo
grigio, con quelle nubi incombenti che contribuivano a rendere tetro il
paesaggio e tristi i volti degli studenti che, in massa, si
apprestavano a
raggiungere l'istituto. Molto presto, la classe si riempì e
Kaneki tornò con la
mente alla realtà, distaccandosi dal filo senza fine dei
suoi pensieri.
Leggendo continuamente come era solito fare, prima o poi finiva con il
creare
monologhi interiori persino su cose insignificanti come la vista dalla
finestra
della propria aula. Si grattò la tempia con noncuranza,
stiracchiandosi l'altro
polso, poi prese il libro di matematica per rileggere la teoria, pur
consapevole di non averne per nulla il bisogno, perché
ricordava perfettamente
ogni singolo teorema, regola, operazione. Tutto. Non era un genio, Ken,
era
soltanto portato per lo studio e si applicava con costanza.
La
seconda campanella suonò fra il vociare degli studenti nelle
classi e nei
corridoi, che si affrettavano a concludere le conversazioni o
– perché no? –
alcuni anche i compiti da consegnare quella stessa mattina. Dopo poco,
l'unico
rumore che persisteva erano i sussurri degli alunni nelle aule, i passi
svelti
dei ritardatari, la porta della classe di Kaneki che veniva chiusa
brutalmente
con la stessa delicatezza che potrebbe possedere un elefante adulto,
lasciando
entrare il professore di matematica. Sul volto teneva un cipiglio
tutt'altro
che amichevole, cosa che contribuiva ad accentuarne le rughe
già marcate del
viso stanco e severo, facendolo sembrare tutt'altro che un uomo di
cinquant'anni, dandogli anzi tutto l'aspetto di un ultrasessantenne
eternamente
accigliato e burbero. Tutti si alzarono in piedi in segno di rispettoso
saluto,
per poi sedersi nuovamente. C'era qualcosa di insolito quella mattina.
Il
professore avrebbe già dovuto fare la sua sclerata
giornaliera lanciando loro i
fogli del compito insieme ad una serie improbabile di minacce di
defenestrazione e torture varie in caso qualcuno avesse avuto la
brillante idea
di mettersi a scopiazzare le risposte dal vicino di banco, mentre
invece se ne
stava muto e serio, in attesa del silenzio. Si schiarì la
gola, tossendo
orribilmente.
-
D'ora in poi avrete un nuovo compagno di classe, - esordì,
restando impassibile
mentre un vociare curioso si alzava nell'aula. - Si è appena
trasferito in
città, mi auguro per voi che lo trattiate come si deve.
Il
professore tossì di nuovo, un rumore
sofferto e profondo che metteva i brividi. Kaneki lasciava vagare lo
sguardo da
un lato all'altro dell'aula con discrezione, senza farsi notare. Tutti
avevano
qualcuno con cui condividere pensieri, battute, dubbi, tutti si stavano
confrontando a vicenda esprimendo pareri e soffocando risate. Era una
cosa che
al moro era sempre mancata, l'avere degli amici. Ed ora si ritrovava a
chiedersi chi fosse questo nuovo compagno di classe in silenzio, nella
propria
mente, fissando lo sguardo sulla porta della classe.
-
Può entrare.
Non
appena il professore ebbe tossito
nuovamente – mal di gola? – l’anta in
legno si aprì emettendo un leggero
cigolio, avvolto nel silenzio spezzato soltanto dai sussurri curiosi
degli
studenti seduti. Fece la sua entrata in scena un ragazzo di media
altezza, dai
vestiti senza dubbio sgargianti in mezzo a tutto quel nero e blu scuro
delle
divise che portavano tutti. Pantaloni larghi di un verde militare,
maglietta
bianca un po' lunga e una felpa di uno sgargiante color arancione.
Anche senza
volerlo avrebbe dato nell'occhio, un abbigliamento simile. Kaneki si
ritrovò ad
osservarlo con cipiglio curioso, iniziando a memorizzare i dettagli di
quella
figura assolutamente nuova e luminosa, in una giornata spenta come
quella.
-
Bene, provvederemo a fornirle l'uniforme a breve, signorino. Ora si
presenti,
forza.
Non
poteva esserci professore peggiore per
dare il benvenuto ad un nuovo studente. Il docente di matematica era
freddo,
burbero, calcolatore, non si perdeva certo in parole gentili, si
limitava a
dire il minimo indispensabile e ad osservare il povero nuovo arrivato
dalla
testa ai piedi, severamente, quasi come se volesse fargli diventare
neri e blu
quei vestiti tutti colorati. Quel ragazzo sembrava un po' a disagio,
lì in
piedi accanto alla cattedra dell'uomo anziano, teneva lo sguardo basso
e
prendeva un grosso respiro, sollevando il volto verso il resto della
classe,
stirando un sorriso.
-
Io sono Hideyoshi Nagachika.
Piacere di conoscervi!
Aveva
le guance un po' arrossate, forse a
causa dell'imbarazzo momentaneo, gli occhi che si spostavano senza
sosta in
ogni punto della classe pur di non incrociare nessun altro sguardo
oltre al
proprio, i capelli biondi con una buffa ricrescita castana, sparati
sulla testa
come gli spuntoni di un istrice. La sua voce era brillante –
nonostante brillante non sia un
aggettivo adatto a
descrivere un suono. Eppure a Ken dava quell'impressione. La voce di
quel
ragazzo era brillante, così come l'intera sua presenza.
Il
resto della mattinata trascorse
monotono, senza più nessun particolare degno di essere
ricordato nei minimi
dettagli. Il test di matematica era stato semplicissimo per Kaneki, lo
terminò
utilizzando soltanto una delle due ore disponibili e passando la
seguente ad
osservare distrattamente il cielo grigio e nuvoloso oltre la finestra,
le
fronde degli alberi scosse dal vento, il clima piovoso che andava via
via
intensificandosi. Non aveva nulla contro la pioggia, Ken, anzi: amava
fermarsi
ad osservare il corso longilineo che effettuavano le innumerevoli
goccioline
trasparenti lungo il vetro della grande finestra posta sopra la
scrivania,
nello studio di suo padre. Le altre lezioni che lo separavano dall'ora
di pranzo
passarono veloci, probabilmente perché Kaneki non faceva
altro che utilizzare
il suo quaderno degli appunti come blocco da disegno, immortalando con
la penna
nera il paesaggio che poteva vedere dalla finestra. Non era un gran
ché, ma con
tutto il tempo passato ad osservarlo e descriverlo mentalmente, valeva
la pena
farne anche una bozza su un foglio. L'avrebbe poi sistemata a casa,
riproducendola su un altro foglio, un po' più grande e senza
le righe di un
quaderno, con una matita e le dovute correzioni per renderlo
guardabile. Kaneki
era discreto nel disegno, tuttavia la sua vera passione restava la
lettura.
Quando
l'ultima campanella suonò, il moro
prese tutte le sue cose e le ripose con cura nello zaino, mettendoselo
in
spalla ed incamminandosi verso l'uscita della scuola. Gli capitava
spesso di
buttare casualmente lo sguardo verso i gruppi di studenti che si
formavano
all'uscita. C'era chi chiedeva ad altri di andare a casa insieme, chi
si
organizzava per vedersi nel pomeriggio, gente che ricordava ad altri di
presentarsi agli incontri del proprio club, amici che ridevano insieme
per
chissà che battuta. E Kaneki camminava a passo relativamente
svelto in quei
corridoi, schivando i gruppetti e le coppie, guardandosi intorno e
sentendosi a
tutti gli effetti come un estraneo, senza avere nessuno da cui potersi
fermare
per salutarsi, senza nessuno con cui poter sorridere o passare qualche
minuto
in compagnia. Strinse un pugno infilato nella tasca della giacca,
sospirando
impercettibilmente. Una volta tornato a casa avrebbe subito preso in
mano il
romanzo che stava leggendo negli ultimi giorni – lo stesso di
quella mattina –
ed avrebbe ricominciato a leggerlo sottolineando le parole
più interessanti,
seduto alla scrivania che un tempo era appartenuta a suo padre,
osservando la
pioggia che da poco aveva iniziato a cadere, a giudicare dai rumori
esterni
alla scuola, chiudendosi nel suo mondo e sentendosi finalmente in pace.
Un
tuono interruppe il filo dei suoi pensieri e si rese conto di essere ad
un
passo dalla scalinata che portava al di fuori dell'edificio scolastico,
proprio
sulla porta dell'ingresso. Alzando lo sguardo poté
constatare che sì, aveva
cominciato a piovere e no, non aveva portato con sé un
ombrello. Dannato tempo autunnale.
Sospirò,
per l'ennesima volta quel giorno,
sconsolato al pensiero di doversi fare un bel bagno durante l'allegra
passeggiata sotto la pioggia che lo attendeva per poter tornare
finalmente a
casa. Riflettendoci un secondo, gli venne l'idea di aspettare qualche
minuto.
Magari l'intensità dell'acquazzone sarebbe diminuita,
pensò. Si appoggiò al
muro subito accanto al portone d'ingresso della scuola, dal lato
esterno,
stringendosi nelle spalle e rabbrividendo non appena una folata di
vento troppo
fresco per la sua temperatura corporea lo investì,
smuovendogli i capelli neri
e facendoglieli svolazzare intorno al capo. Cercando di distrarsi, gli
venne in
mente che, con un tempo simile, probabilmente le uniche
attività pomeridiane
che si sarebbero svolte sarebbero state quelle dei club che potevano
lavorare
benissimo anche al chiuso, perché di stare all'aperto
proprio non se ne poteva
parlare. Come minimo, ad esempio, il campo del club di calcio era
già diventato
una colossale piscina di fango.
Per
quanto avrebbe atteso, Ken? Non più di
una decina di minuti, si disse, altrimenti avrebbe fatto preoccupare
sua madre
ed era l'ultima cosa che mai avrebbe voluto. Anzi, non era nemmeno da
includere
nella lista. Sua madre aveva già troppe cose a cui pensare
per potersi
permettere anche di provare ansia nei suoi confronti, non vedendolo
tornare a
casa immediatamente dopo le lezioni, come era solito fare. Per questo,
trascorsi i dieci minuti precisi, alzò lo sguardo e
osservò i dintorni. Neanche
a farlo apposta, l'intensità della pioggia non era per nulla
diminuita, anzi:
il cielo sembrava voler buttare giù tutta l'acqua che si era
tenuto lassù
durante l'estate più torrida che Kaneki avesse mai
trascorso. Sospirò di nuovo,
non aveva alternativa. A scuola non era rimasto praticamente nessuno,
se n'erano
già andati tutti ed ora quell'edificio pareva più
triste che mai, con le pareti
dipinte di un arancione slavato e l'intera zona avvolta dai colori
tristi del
temporale che imperversava in città. Sembrava morta, senza
tutte quelle
centinaia di anime che quasi ogni giorno vi si recavano ed occupavano
il suo
interno. Kaneki rabbrividì, facendosi coraggio. Mettersi a
fantasticare cose
assurde sulla scuola non avrebbe certo diminuito la quantità
d'acqua che
avrebbe avuto addosso durante il tragitto per tornare a casa. Diamine.
Scese
gli scalini e già una spruzzata
impertinente di goccioline lo investì, inumidendogli il
volto. Sbuffando,
proseguì la sua discesa fino a trovarsi perfettamente sotto
la pioggia
corrente, che cadeva a gocce enormi e gonfie, ripetutamente, senza
tregua. Non
riusciva nemmeno a guardare in alto da quanto intenso era il getto di
liquido
che sgorgava dalle nuvole. In meno di un minuto si era ritrovato
già
completamente fradicio, con i capelli appiccicati alla fronte e alle
guance, e
i vestiti tutt'uno con il corpo esile e minuto. Mosse un passo, uno
solo.
-
Ehi!
Prese
a camminare, incerto.
-
Ehi, tu!
Continuò,
sempre con meno convinzione.
-
Aspetta!
Si
fermò.
-
Dove hai intenzione di andare con questa
pioggia e senza nemmeno qualcosa per ripararti?
Dapprima
rimase interdetto, congelato sul
posto, come se il tempo si fosse fermato ed avesse immortalato tutto
quanto in
un quadro eterno ed infinitamente diverso dalla normalità
alla quale Kaneki era
abituato. Non era certo cosa da tutti i giorni l'essere chiamato da
qualcuno -
un qualcuno di cui ricordava la voce, ma non riusciva a collegarla ad
un volto
- che non volesse da lui cose tipo i suoi soldi, i suoi compiti,
soddisfazione
nel non vederlo reagire alle provocazioni o simili.
-
Ohi, ci sei?
Il
ragazzo rise, palesemente divertito,
mentre Kaneki trasalì voltandosi e mostrando probabilmente
l'espressione più
spaesata e buffa di sempre, perché l'altro si mise una mano
sullo stomaco e
rise ancora di più. Ma la cosa bella era che non era una
risata di scherno, di
circostanza, buttata lì per concludere qualcosa, affatto.
Sembrava a tutti gli
effetti una risata sinceramente divertita e il ragazzo a cui essa
apparteneva
era biondo, con i capelli sparati sul capo come gli aculei di un
istrice e la
presenza senza dubbio luminosa.
-
Comunque, se vuoi possiamo dividere
l'ombrello per un tratto di strada, magari eviti la broncopolmonite e
ti prendi
solo un raffreddore!
Rise
ancora, alludendo al fatto che Ken
fosse ancora sotto la pioggia e già praticamente fradicio da
capo a piedi.
-
Ti ringrazio, ma non c'è bisogno. - gli
rispose educatamente, accennando un sorriso gentile.
Il
biondo roteò gli occhi, per poi
camminare verso Kaneki e posizionargli l'ombrello giallo canarino
proprio sopra
il capo, facendo attenzione a non scoprirsi troppo per non bagnarsi
anche lui
stesso. Il moro lo guardò palesemente confuso, facendo
ridacchiare nuovamente
l'altro.
-
Dico sul serio, non serve che ti
disturbi.
-
Eh? Ma cosa vuoi che sia! - esclamò il
biondo, portandosi il braccio libero dietro la testa, con noncuranza,
passandosi le dita fra i capelli. - E poi sono nuovo di qui, mi serve
assolutamente qualcuno che mi faccia da guida turistica.
Kaneki
annuì, poco convinto e
spaesato come mai in vita sua. O forse un'altra
volta simile c'era stata ed era il primo giorno in quella scuola,
l'anno
precedente. Il motivo per cui non l'aveva ancora rimosso interamente da
chissà
quale anfratto della sua mente, proprio non se lo spiegava. Ricordava
perfettamente come fu costretto a sedersi al primo banco esattamente
davanti
alla cattedra, guadagnandosi subito imbarazzanti complimenti per il suo
comportamento mite e gentile dalla professoressa di religione. Quello
non era
stato altro che l'inizio della sua condanna. Da quel momento in poi
erano
cominciate le prese in giro, sfociate in quelli che, se solo sua madre
li
avesse scoperti, avrebbe sicuramente appellato come atti di bullismo.
Ma forse
quello non era il momento adatto per mettersi a pensare cose simili,
dopotutto quel
ragazzo gli aveva fatto una buona impressione fin da quando si era
presentato
in classe. Il ragazzo nuovo, si
disse
mentalmente. È lui, come aveva
detto di
chiamarsi?
-
A proposito, io sono Hideyoshi Nagachika,
se ricordi. Mi sa proprio che siamo in classe insieme, sai? Ma tu puoi
chiamarmi Hide, è più corto e veloce da tenere a
mente. Tu invece come ti
chiami? Non ho sentito nessun professore fare il tuo nome nemmeno
all'appello,
per tutta quanta la mattinata.
Che
fosse logorroico? Iniziava a mostrarne
i sintomi. Ma era sicuramente meglio così, piuttosto che
passare il tragitto da
scuola a casa in tombale silenzio. Il moro si passò le dita
nella frangetta,
tentando invano di scrollare un po' d'acqua e scollarsela dalla fronte.
-
Sono Ken Kaneki, piacere di conoscerti. -
gli rivolse un sorriso lievemente imbarazzato, per poi iniziare ad
incamminarsi
seguito prontamente a ruota dall'ombrello di quel giallo sgargiante e
da Hide.
-
E grazie, per l'ombrello. - aggiunse
subito dopo, indicando la stoffa giallognola con una veloce occhiata.
-
Ma figurati! - rise il biondino,
grattandosi nuovamente il capo. - Per me non c'è nessun
problema!
Si
sorrisero contemporaneamente,
continuando a camminare tranquillamente lungo la strada disseminata di
pozzanghere come fosse un campo minato.
Il
moro non faceva altro che chiedersi
perché. Perché quel ragazzo si era offerto
così, dal nulla, di dargli un riparo
dalla pioggia. Era una cosa che mai nessuno si era nemmeno sognato di
fare,
almeno non a lui. Lui era il ragazzino minuto e solitario che se ne
stava
sempre a leggere e nessuno osava mai interromperlo, per
chissà quale motivo.
Come se un tipo come lui potesse essere una minaccia o cose del genere!
Kaneki
era buono e gentile con chiunque gli rivolgesse la parola, anche se
ultimamente
quel chiunque rappresentava solo
sua
madre o qualche professore. Non era certo una minaccia, ma forse il
vero
problema stava nel rapportarsi con qualcuno che non fa altro che
leggere,
leggere, stare da solo, leggere, chiudersi in casa, leggere e leggere. Forse per questo Kaneki era una
persona fondamentalmente sola e da tempo aveva smesso di chiedersene il
motivo.
Ma ora, quel ragazzo sembrava aver risvegliato in lui vecchi e scomodi
pensieri, stavolta posti in modo opposto al solito. Si chiedeva cosa in
lui
avesse interessato Hideyoshi al punto da rivolgergli la parola,
offrirgli metà
del suo ombrello, accompagnarlo per un tratto di strada verso casa.
-
Certo che sei silenzioso tu, eh?
La
voce del biondo si frappose allo
scrosciante rumore della pioggia battente sull'asfalto. Era un suono
piacevole.
-
Immagino di sì. Cioè, l'avevo notato
già
in classe, sai? Te ne sei stato tutto il tempo fermo a scarabocchiare o
guardare fuori dalla finestra e mi chiedevo a cosa stessi pensando.
Fece
una pausa, durante la quale buttò uno
sguardo molto casuale in direzione
di
Ken, per poi sobbalzare lievemente sul posto.
-
No, aspetta, adesso non farti strane
idee! Non ho certo passato tutta la mattina a guardarti...
Kaneki
doveva essere arrossito così tanto
da scatenare un'altra fragorosa risata dell'altro, insieme a movimenti
inaspettati come il grattarsi la cute quasi nervosamente. Fu un gesto
curioso,
ma il moro non se ne curò più di tanto,
preferendo pensare a sè stesso ed al
suo calore che non voleva saperne di tornare al suo corpo, si era tutto
concentrato sulle guance e lì sembrava aver intenzione di
restare. Voltò il
capo dall'altro lato, imbronciandosi.
-
Ma no che non mi faccio strane idee, ti
pare? - disse, senza mai guardare l'altro ragazzo in viso. Era tuttavia
certo
che stesse ancora sorridendo, parecchio divertito.
-
E comunque, se la metti così, penso che
chiunque a primo impatto ti prenda come uno stalker. - aggiunse poco
dopo,
buttando la frase un po' sull'ironia. Nagachika sembrò
apprezzare parecchio,
data l'energia che iniziò ad emanare e che si percepiva solo
standogli accanto.
-
Ero solo curioso... non capita tutti i
giorni di incontrare un tipo come te.
A
quella frase Kaneki alzò leggermente le
spalle, sorridendo. Non rispose nulla, non disse una sola parola. Si
limitò
unicamente a camminare al fianco del biondo con passo relativamente
svelto,
pensando a quanto effettivamente la voce di Hide avesse un suono stupendo. Sicuramente migliore dello
stridio improvviso delle ruote di un’automobile a contatto
con l’asfalto
scivoloso.
-
Ma che… - sentì parlare il biondo e si
rese conto di aver istintivamente chiuso gli occhi, a causa del rumore
assordante
che fino a poco prima aveva riempito il silenzio tranquillo della via
nella
quale camminavano. A quanto pareva, doveva essere questa la cosa che
Ken faceva
nei momenti di potenziale pericolo: chiudere gli occhi ed aspettare,
totalmente
inerme. Era successo un episodio simile anche un bel po’
prima, quando sua
madre possedeva ancora un’automobile.
All’epoca
andava alle elementari e la mamma
soleva accompagnarlo a scuola ogni mattina a bordo della loro modesta
vettura.
Non era moderna e qualche volta faticava ad accendersi e mettersi in
moto, ma
funzionava quel che bastava per portare a termine brevi tragitti ed
andava bene
così. Quel giorno la sveglia non doveva aver suonato,
perché la mamma correva
in uno stato di ansia paranoica per tutta la casa ed aveva svegliato il
piccolo
Ken con un urlo poco simpatico e ancor meno amorevole, proveniente
probabilmente
dalla cucina. Era stata una mattinata decisamente frenetica e per
prepararsi
aveva impiegato circa una decina di minuti – un tempo
più che da record. Appena
usciti di casa, il moro si ritrovò avvolto da
un’atmosfera tetra e piuttosto
cupa. Quello che doveva essere il giardino della loro casa era
completamente
immerso nella nebbia, che si presentava agli occhi del bambino come una
grossa
ed incombente nuvolona di cenere. Non ebbe molto tempo per osservare il
paesaggio, comunque: doveva sbrigarsi a salire in macchina, altrimenti
la mamma
si sarebbe arrabbiata. Ci vollero più di un paio di
tentativi per accendere il
motore della vettura e il nervosismo della donna non era per nulla
d’aiuto.
Quando – finalmente – riuscì a mettere
in moto, a Ken sembrava fosse passato un
secolo. Ciò che fece da quel momento in poi fu guardare
intensamente fuori dal
finestrino, cercando di scorgere il sole attraverso le fitte nubi che
oscuravano l’azzurro del cielo. Proprio quando era quasi
certo di aver
intravisto uno spiraglio di luce attraversare la monocromia della volta
celeste
di gennaio, sentì la macchina sobbalzare come dopo una
brusca frenata. Guardò
davanti a sé e vide un’automobile ferma, troppo
poco distante perché anche
quella sulla quale viaggiavano loro potesse fermarsi. Ken chiuse
istintivamente
gli occhi, riparandosi il volto con le mani, mentre un acuto stridio
gli
perforava i timpani e riempiva l’intero lasso di tempo che
precedette la
collisione. Fortunatamente, l’unica a farsi male fu
l’automobile della mamma,
che da quel giorno restò sempre parcheggiata in giardino,
con il cofano
ammaccato e il motore fuori uso. Le persone coinvolte
nell’incidente non si
fecero nemmeno un graffietto, ma nonostante ciò a Ken era
rimasto impresso quel
particolare giorno, più specificatamente il momento esatto
in cui chiuse gli
occhi. Si era sentito completamente estraniato dal mondo, con solo
quell’orrendo stridio nelle orecchie e la botta, il
sobbalzare della
carrozzeria dell’automobile, il nero sul retro delle palpebre
serrate e poi il
silenzio. Null’altro. Né un pensiero,
né una parola.
E
se non avesse più riaperto gli occhi? E
se il nero ed il silenzio avessero continuato ad albergare per
l’eternità
intorno a lui?
-
Ah, ma che cavolo! Con tutti i posti
possibili ed immaginabili in cui un’automobile può
frenare, proprio in quella
pozzanghera doveva andare?
Kaneki
riaprì gli occhi e ciò che vide non
gli rese possibile trattenere una risatina piuttosto divertita.
Nagachika se ne
stava ad un passo da lui e reggeva l’ombrello con una mano,
mentre con l’altra
si tastava i vestiti completamente bagnati ed infangati. Sul viso
teneva
un’espressione sconsolata e veramente troppo tragica per
ciò che era successo.
Sembrava quasi una barzelletta, quell’espressione, e Kaneki
non riusciva
proprio a smettere di sorridere.
-
Mi ha schizzato tutta l’acqua addosso! -
esclamò il biondo, strizzandosi la felpa. - Sai che ti dico?
Ormai siamo
entrambi fradici, possiamo anche chiudere l’ombrello.
Detto
questo, Nagachika tolse da sopra le
loro teste il riparo fatto di stoffa color giallo canarino, lo chiuse
malamente
e se lo buttò nello zaino semi-vuoto. Ci fu un momento di
silenzio, riempito
soltanto dal rumore della pioggia che non accennava a smettere.
-
Probabilmente adesso ti prenderai un
raffreddore. - cominciò Ken, abbassando lo sguardo.
L’altro
ragazzo gli rivolse appena un
rapido sguardo con la coda dell’occhio, prima di spostare
nuovamente la visuale
davanti a sè.
-
Non è colpa tua se quell’auto ha preso in
pieno una pozzanghera.
-
Però… - il moro strinse le dita attorno
alla bretella dello zaino, torturando inconsciamente quel lembo di
stoffa per
cercare di lenire il nervosismo. - Se non avessi accettato di fare un
tratto di
strada con te, sono certo che non ti saresti bagnato e magari saresti
già
arrivato a casa.
Altro
silenzio. Ken continuava imperterrito
a guardare con finto interesse qualcosa molto vicino ai suoi piedi,
Hideyoshi
teneva lo sguardo fisso verso il bivio che si stava avvicinando sempre
di più,
man mano che camminavano.
-
E che vuoi che sia? - prese parola il
biondino. - Poi, se non sbaglio, sono stato io a chiederti se volevi
fare un
pezzo di strada con me. Al massimo la colpa è mia.
Ken
gli rivolse un’occhiata furtiva e notò
che si era portato entrambe le braccia piegate dietro al capo e
guardava in
alto, verso il cielo. Per qualche strana ragione, decise che poteva
credergli.
Che davvero non importava il fatto che entrambi fossero bagnati da capo
a piedi
e rischiavano una broncopolmonite da ricovero ridotti in quello stato,
all’aperto e ad ottobre inoltrato. Che poteva smettere di
preoccuparsi, di
crearsi da solo inutili paranoie. Che poteva lasciare indietro tutti
quei
pensieri superflui che continuavano ad ingrigire le sue giornate. Che
poteva
concentrarsi sul suo presente. Che andava bene così.
-
Se lo dici tu. - rispose, accennando un
piccolo sorriso rivolto più a sé stesso che al
biondo e tornando a guardare
avanti. Avevano ormai raggiunto la fine della strada e quel bivio che
si
snodava in due differenti direzioni.
-
Beh... io devo andare di qua.
Il
moro prese a torturare ancora la povera
spallina dello zaino, indicando con lo sguardo la via che si allungava
sulla
destra. Era stato piacevole incontrare quel ragazzo.
-
E io dall'altro lato. - il biondo spostò
un dito in direzione del viottolo a sinistra, sospirando pesantemente.
Ken
non seppe più cosa dire, così si
incamminò nella direzione di casa. Dopo pochi passi si
fermò, voltandosi
indietro e incrociando lo sguardo scuro del ragazzo biondo.
-
Grazie ancora. - gli disse, con un
sorriso gentile sulle labbra.
-
Di niente, Kaneki!
L'entusiasmo
con il quale esclamò il suo
nome alla fine della frase non passò inosservato a Ken, che
finì con
l'arrossire per l’ennesima volta in un brevissimo lasso di
tempo, mentre si
voltava per andare seriamente a casa, questa volta. Si sentiva
stranamente
leggero, come se tutto il peso della mattinata conclusa da poco se ne
fosse già
piacevolmente andato, lasciandolo libero di camminare più
lentamente del solito
e senza fretta, nonostante una lieve pioggerellina stesse ancora
bagnando lui e
le strade sulle quali si muoveva.
Poi,
si chiese se una cosa simile era
destinata ad accadere di nuovo. Era la prima volta che qualcuno si
comportava
così con lui e probabilmente avrebbe ammesso soltanto a
sè stesso quanto la
cosa lo rendesse felice. Stava ancora sorridendo al solo pensiero della
gentilezza di quel ragazzo, prima di chiedersi cosa sarebbe successo da
lì in
poi. Si mise le mani in tasca, rabbrividendo per il freddo di uno
sbuffo di
vento particolarmente violento. Hide era uno studente nuovo che si era
appena
trasferito in città e non conosceva nessuno. Se si fosse
lasciato influenzare
dalla mentalità dei suoi compagni di scuola e non gli avesse
più rivolto la
parola? Era un'opzione da considerare, dopotutto non era certo un tipo
chissà
quanto simpatico e socievole. Era facile dimenticarsi di uno come lui.
Si
fermò inconsciamente in mezzo alla
strada, accorgendosi di non aver mosso più di una decina di
passi incerti in
tutto quel tempo – che dovevano essere solo pochi minuti, ma
in quel momento
sembravano dilatati all'infinito. Sentì dei passi affrettati
dietro di sé, il
rumore cadenzato di una leggera corsetta e successivamente venne
raggiunto da
un uragano in piena regola. Un uragano dai capelli biondi e gli occhi
scuri, un
uragano che aveva arrestato la sua marcia svelta tutta d'un colpo,
restando
senza un briciolo di fiato nei polmoni.
-
E-Ecco... - esordì, mentre inspirava
avidamente, le guance rosse e il naso pure, a causa del freddo. - Mi
chiedevo
se ti andava di scambiarci il numero di cellulare!
Lo
disse tutto in una volta, velocemente,
continuando a guardarsi le punte delle scarpe con finto interesse,
cercando di
tenere a bada il fiatone, mentre Kaneki lo fissava, altamente
sbigottito da
quell'inaspettata entrata in scena. Mai nessuno gli aveva fatto una
domanda
simile e ciò lo lasciò spiazzato, letteralmente.
-
Ovviamente, solo se vuoi! - aggiunse il
biondo, riprendendo il contatto visivo e sorridendogli. Il suo sorriso
era
contagioso e rassicurante.
-
Va bene, non c'è nessun problema! - gli
rispose il moro, elencandogli poi una sequenza di cifre che
corrispondeva al
suo numero e dandogli il tempo di segnarla in rubrica telefonica. Il
cellulare
di Nagachika era coperto da una sgargiante cover rosso fuoco, un colore
che non
poteva assolutamente passare inosservato, men che meno in una grigia
giornata
come quella. Ma Ken non si stupì poi tanto di quel colore
acceso, aveva già
notato da un po' che l'intera presenza di Hideyoshi era parecchio luminosa.
-
Perfetto, ti scrivo io allora. - il
biondo ruppe il filo dei pensieri di Ken, facendolo tornare alla
realtà. - Ci
vediamo domani a scuola!
Concluse
agitando la mano in segno di
saluto, sorridendo a trentadue denti e socchiudendo le palpebre. Era
una bella
visione. Davvero bella.
Non
appena mise piede in casa, la prima
cosa che sua madre gli disse fu di andare a farsi una doccia calda e
asciugarsi, in modo da non rischiare ancora di più di
ammalarsi. Kaneki vide
come la donna avrebbe voluto rimproverarlo, anche per non aver portato
con sé
un ombrello quella mattina, eppure le sue parole risultavano sempre
pronunciate
con lo stesso tono. Un tono dolce, ma stanco. E Kaneki non se la
sentiva
proprio di disubbidirle. Andò in bagno e lasciò
che l'acqua della doccia si
scaldasse al punto giusto, mentre si spogliava davanti allo specchio
sopra il
lavandino e si convinceva sempre di più di assomigliare ad
un piccolo
vermiciattolo di terra. Così bianco, magrolino, senza
nemmeno un muscolo in
rilievo... e poi c'erano i suoi capelli, neri come il carbone, e gli
occhi
grigi come quella triste giornata, resa migliore solo grazie alla
gentilezza di
quel ragazzo. Hide.
Si
chiese quando avrebbe smesso di pensare
a lui, tutto quel continuo rimuginare sulla stessa persona stava
diventando
fraintendibile. Probabilmente, solo le ragazzine della sua scuola si
comportavano così e quando avevano una di quelle cotte di
cui spettegolavano
con le amiche. Arrossì al solo pensiero di essersi
paragonato ad un qualcosa di
così stupido, gettandosi immediatamente sotto l'acqua
bollente della doccia e
sospirando beatamente, sia per la sensazione di pace che gli infondeva
il denso
vapore nel bagno, sia per la leggerezza che continuava a percepire su
di sé.
Quando
terminò di farsi la doccia, sua
madre era stesa sul divano, addormentata. Si chiese quanto lavorare
potesse
essere estenuante, prima di dirigersi in cucina e portarsi il pranzo in
studio,
in modo da non disturbare il suo riposo.
Passò
circa un'oretta nella quale il moro
era rimasto fermo, immobile di fronte al suo romanzo preferito e ad un
libro di
storia giapponese, chiedendosi cosa fosse meglio fare in quel
pomeriggio. Faccio i compiti o mi metto a
leggere?
Questo è il dilemma, si diceva ironicamente,
mentre finalmente si decideva
ad aprire il volume noioso di storia. Dopo nemmeno dieci minuti,
già sentiva la
testa pesante e si lasciò crollare sul libro, chiudendo gli
occhi. Un pisolino
non gli avrebbe certo fatto male. E ce l'avrebbe anche fatta ad
addormentarsi,
se solo il suo cellulare non avesse scelto proprio quel momento per
vibrare
ripetutamente sul tavolo, smuovendo tutto. Kaneki sbuffò,
allungando pigramente
un braccio alla ricerca del suo aggeggio preistorico, portandoselo
davanti al
viso e tirando su con il naso. Numero
sconosciuto.
Buon
pomeriggio, Kaneki!
Qui è
Hide che ti scrive e ti comunica ufficialmente che si è
preso un bel
raffreddore >.<
Tu come stai?
Okay-
innanzitutto, ringrazio infinitamente chi ha avuto il
coraggio di leggersi tutta questa immensa roba che ho scritto. Saranno
più di
seimila parole, probabilmente avrei dovuto dividere il tutto in due
capitoli e
trasformare la fict in una twoshots ma non trovavo un buon punto per
spezzare
il testo e così l’ho lascito intero. Spero che non
risulti estremamente noioso
c.c
Devo assolutamente ringraziare anche hirondelle_ che mi ha
permesso di scrivere la storia per il suo contest in questo fandom.
Grazie
mille! Spero di aver fatto un buon lavoro: il prompt pioggia
era facile da inserire, automobile
un po’ meno, ma in ogni caso ho cercato di fare del mio
meglio °^°
Teoricamente, questo sarebbe dovuto essere l’inizio di una
long che ho in mente da un po’ e sulla quale stavo lavorando
da mesi, ma non
riuscendo più a continuarla ho optato per renderla una
storia a sé. Magari
riuscirò a scrivere un sequel, qualcosa che approfondisca il
rapporto che si è
appena creato fra gli Hide e Kaneki di questa piccola AU dove i ghoul
non
esistono, ma devo innanzitutto trovare il tempo per farlo e riuscire a
mettere
insieme le idee- intanto, per quel che riguarda le seimila parole
là sopra, non
credo debba dare molte spiegazioni. Ho ricreato un po’ la
storia di un Kaneki
sedicenne che si reca a scuola, come ogni giorno, ed ho rielaborato il
primo
incontro con Hide, studente appena trasferitosi in città.
Spero davvero di aver
fatto un buon lavoro, mi sono impegnata moltissimo per scrivere questa
immensa
oneshot e ci tengo tantissimo, sia perché è la
mia prima HideKane (e dio solo
sa quanto vorrei vedere quei due di nuovo insieme e felici, damn-) e le
HideKane sul fandom italiano scarseggiano, sia perché ci ho
praticamente messo
anima e corpo in questo testo. Insomma, spero con tutto il cuore che
non sia
una schifezza, ecco v.v
Detto questo, la smetto di annoiarvi ulteriormente con le
mie paranoie- se vi venisse voglia di farmi sapere il vostro parere,
ditemi
pure :3
See ya!