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Autore: Arisu95    30/12/2015    1 recensioni
Quando vengono conquistati, i territori passano dall'essere liberi all'essere schiavi.
Così il piccolo Italia, quel giorno, venne accompagnato al palazzo di Austria.
Dal testo:
Era una cerimonia macabra dove la morte non era altro che un segno d'inchiostro, una linea scura che divideva il tempo della libertà da quello della schiavitù. Nient'altro. Solo una cerimonia.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Chibitalia, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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___ La Rinascita ___



Nell'aria non s'udivano che cori lontani di grilli e bambini quando, all'imbrunire del cielo, la carrozza raggiunse il palazzo.
I cavalli s'arrestarono al comando, sbuffando ed agitando la coda, lo sguardo fisso e stanco a bramare la frescura del vasto giardino che circondava la villa.
La porta del carro si dischiuse lentamente e, come un grosso uovo barocco, lasciò libero il prezioso gioiello che custodiva.
Non vi uscì, tuttavia, un imponente principe despotico, pronto a reclamare sangue e terre, né un'altezzosa ed acida contessa malata di ricchezza.
Vi uscì invece, come dal calore di un ventre di piume, un pulcino.

Il pulcino si guardò attorno, come appena venuto al mondo, e sorrise impaziente nel vedere la villa.
Più stanco e meno allegro, un uomo lo aiutò a scendere, stringendo appena la manina piccola e tonda nella sua, resa secca e scheletrica dal fluire del tempo.
Il pulcino alzò la testa a quel gesto paterno, e sorrise ancora, senza capire.
L'uomo, camminando al suo fianco verso la villa, si lasciò andare ad un sorriso accennato, scuotendo appena la testa.

Era buffo, pensò.
L'uomo era stato pulcino, un tempo, proprio come l'altro.
Poi, l'uomo s'era fatto galletto, ma l'altro pulcino non crebbe.
Ora s'era fatto addirittura gallinaccio, vecchio e prossimo alla zuppa.
Il bambino, invece, era rimasto pulcino e giocava a smuovere ciottoli con le zampine ed il becco, come un tempo facevano insieme.
Il pulcino seguitava a non capire, ad essere felice ed innocente, e rimase tale quando l'altro si fece uomo.

"Qualcosa non va, Vico?" - Chiese con la sua vocina esile, alzando il collo.

"No ... Andrà tutto bene." - Rispose, cercando di apparire sicuro di sé.

Sapeva cosa avrebbe atteso quel bambino.
Sapeva cosa attendeva le Nazioni quando esse venivano conquistate da invasori, e la quasi certezza dell'immortalità di quel bimbo centenario non sembrava consolare molto la sua anima.

"Voi non venite, Vico?" - Si voltò, il suo sorriso all'improvviso smorzato, quando si accorse di non avere più alcun passo al suo fianco.

"No ... Devi proseguire da solo." - Gli sistemò la cuffia sulla testa, come a volersi distrarre.

"Perché?"

"Perché sei tu quello che aspettano, non me." - Gli sorrise, con gli occhi stanchi e velati di rimorso, prima di dargli un'ultima carezza sulla guancia. - "Sii forte, Feliciano."

L'uomo gli riservò un ultimo, umano sguardo prima di voltarsi, con la testa un po' china, ed incamminarsi nuovamente fino alla carrozza.

"No! Aspettate!" - Voleva raggiungerlo, il bambino, e si mosse in uno scatto fulmineo senza alcun risultato.

Sentì una mano sconosciuta prendergli la spalla e bloccarlo in una presa ferrea, ed il pulcino non poté fare altro che rimanere con il becco puntato verso la via del ritorno.
Tese la manina in quella direzione e cercò di catturare nel palmo la figura del Doge, che si faceva sempre più piccola sul sentiero sterrato.
Infine cessò la sua debole lotta e, sciogliendo le spalle, lasciò delle lacrime calde rigargli le guance tonde ed arrossate.


 

"Dove 'ndemo, Siòr?"

"Herr Österreich möchte Sie zu sehen"


 

Il pulcino non era sicuro che l'uomo avesse compreso le sue parole, ma era certo del fatto che non gliene sarebbe importato nulla in ogni caso.
Feliciano, invece, stranamente comprese il senso pur senza capire esattamente le parole.
C'erano altre creature come lui ....
Quelli come lui, quelli che non lo abbandonavano mai ...
Quelli che era felice di vedere, anche se gli avrebbero fatto del male, perché almeno non avrebbe dovuto piangere sulla loro tomba.
Non gli era mai accaduto di vedere uno di loro morire, o sparire.
Quasi mai.
Era piccolo, Feliciano, ma già sentiva nostalgia dei vecchi tempi ...
Avrebbe tanto voluto rivedere suo nonno, stringerlo forte, dirgli che gli voleva bene e prendersi cura delle sue ferite.
Invece no ... Il nonno era sparito, senza lasciare traccia.
Feliciano sperava tanto di non dover più soffrire così, di non dover più vedere uno di loro sparire.

Il bambino non sapeva cosa lo attendesse, ma il solo pensiero di poter incontrare qualcuno, qualcun altro comelui, era abbastanza per renderlo felice.
Aveva sentito dire che una certa Aquila Imperiale aveva acquisito le terre venete.
Eppure, l'unico pensiero che Feliciano riuscì a produrre, a tale proposito, fu quello di immaginarsi sul dorso di quell'aquila maestosa ed imponente.
Immaginare di volare sopra le nuvole, fino a raggiungere il Sole.
Fino a raggiungere Dio e chiedergli di concedergli un incontro con suo nonno.
Feliciano era ancora piccolo.
Nonostante i secoli, era ancora piccolo e dolce, e dolce ed infantile era il suo mondo interiore.

Una giovane donna lo guardò sorridendo e corse loro incontro, intrattenendosi un poco con l'uomo.
Rivolgeva sovente il suo sguardo materno al bambino, e gonfiava il petto eccitata come una chioccia in Primavera.
Il bambino le sorrise a sua volta, e pensò che gli ricordava una certa cortigiana che, decenni prima, aveva vissuto alla sua corte.
Orfana di figlio, il quale abbandonò presto il mondo per una brutta malattia, iniziò a prendere particolarmente a cuore Feliciano, e riversò su di lui tutto il suo amore materno.
Anni dopo, fattasi anziana, anche lei morì, e in letto di morte fece promettere al bimbo che sarebbe stato sempre buono, e che avrebbe sempre rispettato le creature di Dio.

"Vous êtes trop chou!" - Esclamò in un Francese quasi perfetto, e venne interrotta dall'uomo quando allungò la mano per accarezzare il capo del fanciullo.

L'uomo brontolò qualcosa sul fatto che non fosse un bambino qualsiasi, e che toccarlo in quel modo sarebbe stato sacrilego.
La donna sbuffò, ritraendo la mano e prendendosi comunque il lusso di lanciare al bimbo altre occhiate e sorrisi complici.
Feliciano sorrise a sua volta.
Avrebbe tanto voluto la sua mano tra i capelli, ma si sentiva ancora troppo scosso - nonostante l'apparente calma - per reclamarla.
Avrebbe mai rivisto il Doge?
E Venezia?
E gli ori di San Marco?
Aveva un brutto presentimento.

L'uomo congedò infine la donna e prese la piccola Repubblica per mano, proseguendo nel cammino dell'interminabile corridoio, il quale avrebbe portato - o così credeva Feliciano - al cospetto di uno come lui.
Francia diceva che Austria con i bambini non ci voleva parlare, perché si sentiva grande ed importante, e non aveva alcuna intenzione di perdere il suo tempo con Staterelli alti poco più di sei mele.
Eppure, ora Feliciano era lì, proprio alla sua corte, e l'uomo lo stava portando da lui.
Cosa mai aveva fatto cambiare idea all'Impero?
Cosa voleva da un bimbo alto poco più di sei mele?

Un altro uomo venne loro incontro a passo veloce, con il volto segnato da un recente litigio.
'Non vuole vederlo', gli parve di sentirlo affermare.
L'altro scosse la testa, nascondendo un sorriso, come se si aspettasse quell'informazione.
'Ha detto che lo vedrà dopo. Forse. Si è ritirato nelle sue stanze.' 
Seguì un altro veloce scambio di battute.

"Venite." - Si rivolse allora al bambino, cambiando percorso.

Giunsero in una grande sala, ricolma di libri ed oro, e lì Feliciano venne abbandonato, con due alte ed impassibili guardie davanti al portone.


 
"Il Signor Austria vi prega di attendere qui la fine dei Suoi impegni. Manderà presto un servitore a prelevarvi, quando gli sarà possibile ricevervi."
 

Così il piccolo venne lasciato solo.
Rimase un poco a ciondolare le gambe sulla poltrona, immaginando l'acqua bella dell'Adriatico e le gondole in laguna.
Gli era venuta voglia di un bagno, e di una buona fetta di torta o di un bel frutto maturo, e di dipingere i colombi della piazza o i conigli della campagna.
Abbandonato l'impossibile desiderio, saltò sulla finestra e rimase per un po' a fissare il giardino, pensando che non sarebbe stato male neppure dipingere quello.
Le foglie avevano iniziato a cadere come un manto infuocato, e gli alberi spogli sembravano salutarsi a vicenda con i lunghi rami scuri.
Un'anatra, con i suoi goffi anatroccoli, attraversò veloce una striscia di fango prima di posarsi sul laghetto.
Feliciano avrebbe tanto voluto poterli seguire, e nuotare e starnazzare e giocare con loro per tutto l'Autunno.


 

Un tonfo.



Il bambino sentì all'improvviso un rumore, proprio alle sue spalle, e si voltò di scatto.
Nulla.
Forse solo una velatura nera di fronte agli occhi, dovuta alla stanchezza, che abbandonò le sue iridi dopo un istante.
Nulla.
Solo il sorriso sotto i baffi di una delle due guardie, e lo sguardo imperturbabile dell'altra.
Nulla.
Solo una carta da lettera pulita per terra.
Aveva fatto tutto quel rumore ...?

"E' venuto qualcuno?" - Chiese il bimbo alle guardie, ma entrambe lo ignorarono.

Gonfiò allora le guance, arresosi alla lunga attesa in solitudine, e tornò sulla poltrona.
I suoi occhi, stanchi del viaggio e delle battaglie, non tardarono ad assopirsi sotto l'invitante coperta delle palpebre.


 

Nonno Roma ... Dove sei?
Puoi sentirmi?
Cosa mi succederà ora?
Senza di te fa freddo anche sotto il Sole, Nonno ...
Ti prego, torna o portami con te.
Ho paura, Nonno.
Non voglio che altri mi lascino.
Torna a prendermi, Nonno.

 

___________________________

 

"Venezia?"

 
Una voce di donna entrò piano nel suo sonno e lo scosse dolcemente.
 

"Kleine?"



Il bambino aprì lentamente gli occhi e sorrise.
Era la donna di prima.
Era felice di vederla, perché finalmente era riuscita ad accarezzargli la testa.
Richiuse gli occhi, convinto di essere in un sogno.


 

"No ...! E' ora. Alzatevi, su. Il Signor Austria può ricevervi, ora."
 


"...!" - Al nome di Austria, spalancò gli occhi e si alzò in piedi, impaziente di conoscerlo. - "Dov'è Austria? Com'è?!"

"..." - La donna si lasciò andare ad una leggera e dolce risata, prendendolo per mano ed avviandosi con lui nel corridoio. - "Austria vi sta aspettando, seguitemi ..."

"Com'è il Signor Austria? E' vero che vuole parlare solo con quelli più importanti?"

"Avete una bella faccia tosta a fare affermazioni simili nella sua dimora ..." - Commentò divertita, alzando un poco le spalle.

"Chiedo ... Chiedo perdono, allora!" - Si affrettò a scusarsi. - "Ma ... Ma com'è il Signor Austria?"

"Mmh, come potrei descriverlo ..." - Alzò gli occhi, come ad interrogare il Cielo, per poi incurvare la bocca in un tiepido sorriso. - "E' stravagante, ma non strano. Potrebbe sembrare antipatico, ma vi assicuro che non lo è. E potrebbe sembrare persino cattivo, ma in realtà ha solo molte paure ..."

"Paura? Perché ha paura? Mi state dicendo che in realtà è piccolo come me? E' per quello che ha paura?"

"No, Venezia ... E' che anche i grandi hanno paura."

"Anche voi avete paura di qualcosa, Madame?"

"... Del giorno in cui dovrò lasciarlo." - Disse piano, sottovoce, come se avesse appena esternato un peccato inconfessabile. Alzò poi la voce, per coprire le sue paure infreddolite. - "Eccoci, siamo arrivati!"

Lo congedò così, con un'ultima carezza sul capo, dopo aver bussato ed avvisato Austria del loro arrivo.
Feliciano la salutò con la mano, sperando di poterla rivedere, e varcò l'uscio solo quando gli fu concesso.


"B-Buongiorno ..." - Pigolò un po' titubante ed emozionato, senza osare un passo od uno sguardo.

"Accomodatevi, Mädchen"

Feliciano non osò contraddirlo, e prese posto su una poltrona di velluto, impreziosita da ricchi intagli di legno dorato.

"Sapete perché siete qui?"

"..." - Il bambino scosse la testa, premendo le mani nervose contro le cosce. - "Vico ... I-Il Doge mi ha detto che volevate vedermi. E che ... Che avreste presto preso le mie terre. N-Non so altro."

"..." - Austria rimase in silenzio per un attimo, come rapito da un pensiero.

Venezia era così piccola, come un pulcino tremante, ed una parte di lui avrebbe voluto semplicemente abbracciarla e dirle che gli dispiaceva, che non era stata colpa sua, che gli ordini non possono essere discussi.
Francamente, avrebbe preferito di gran lunga chiudersi nel salone vuoto a suonare, anziché occuparsi di guerre e conquiste.
La piccola Venezia, con le sue guance tonde e le manine goffamente giunte, con i denti da latte serrati sulle labbra arrossate ed i piedini penzolanti che erano ben lontani dal toccare terra, ricordava ad Austria un periodo lontano e nostalgico, dove non era nessuno ma era infinitamente più felice.
Vedere Venezia lo riportava a quel tempo lontano in cui anche Austria era stato bambino, esile ed impaurito, incapace di tenere fede alle voci che lo volevano 'nato per combattere'.
Persino ora, tra gloria e ricchezze, l'Austriaco sapeva bene che tutto gli era spesso derivato più per la sua abilità nel contrarre matrimoni vantaggiosi che per altro.
Egli amava la musica, amava i balli ed i banchetti, e il campo di battaglia non si addiceva per nulla alle sue mani da pianista.

Feliciano alzò lentamente lo sguardo verso Austria, chiedendosi se stesse aspettando qualche sua parola, e finalmente lo vide chiaramente.
Aveva la pelle chiara dei nobili, con giusto un lieve velo rosato sulle labbra ed un piccolo punto scuro all'angolo destro della bocca, come uno scoglio d'ebano circondato da spuma marina.
I capelli, scuri anch'essi, contrastavano altrettanto con la pelle, e ricadevano leggeri sulla fronte e sugli occhi color ametista.
Sedeva in modo regale, come un principe, con le gambe incrociate ed i tratti del viso che parvero lentamente sciogliersi sotto chissà quali pensieri.

"Uhm ... S-Sono felice di conoscervi." - Aggiunse, con un sorriso spaventato, non riuscendo a capire il silenzio dell'altro.

"Ne sono onorato." - Rispose svelto, affrettandosi a nascondere la clemenza che iniziava ad addolcire i suoi tratti. - "Domani ci sarà una cerimonia in vostro onore. Manderò una domestica a chiamarvi, vi prego di essere puntuale."

"Una cerimonia? Per me?" - Chiese, per un attimo eccitato, prima di ricomporsi. - "Uhm, c-come desidera, Signore ..."

"Non ho altro da aggiungere. Potete congedarvi." - Concluse l'uomo. - "A domani, Mädchen"

"Mmh ..." - Il bambino si alzò impacciato dalla poltrona, con un piccolo tonfo, e dopo un breve inchino si diresse nuovamente verso la porta. - "Allora ... A-A domani."


 

"A-A domani! M-Mädchen!"




Feliciano si voltò, udendo una voce diversa, e notò per la prima volta che Austria non era solo.

Seduto su di una sedia di legno intarsiato, tra fini ricami d'oro ed incastri di gemme preziose e splendenti, una piccola figura - della misura di Feliciano - lo stava fissando, con le gambe penzolanti nel vuoto, sottili fili d'oro sulla fronte e le nocchie bianche di tensione.
I suoi occhi, così azzurri, per un attimo lo riportarono al bel cielo di Venezia, quando la bella stagione cancellava il grigio cupo dell'Inverno.
Il pensiero bastò per piegare le labbra dell'italiano in un dolce sorriso.

"A domani!" - Rispose al saluto, agitando appena la manina.

Si inchinò ancora, come a doversi scusare di qualcosa, per poi aprire la porta e richiuderla veloce dietro di sé.


 

___________________________

 

"E' proprio necessario?"

"Certo."

"Ma ... Ma è così piccola."

"Ha la tua età, all'incirca. Non ti ho mai sentito ammettere di essere piccolo."

"Ma ..."

"Ho capito. Puoi farle la corte, se vuoi. Da domani sarà tua. Sarà nostra. Devi solo attendere la cerimonia. Così vuole la tradizione."




Roderich volse lo sguardo alla finestra, come a voler nascondere i suoi pensieri, poggiando una mano sul davanzale gelido di marmo.
Era solo una bambina?
Certo che lo era.
Ma nessuno aveva mai avuto pietà sul suo, di corpo, quando il piccolo Roderich sapeva a malapena reggere un coltello.
Perché avrebbe dunque dovuto averne per i territori che sottometteva?
Era solo un'usanza, una tradizione ...
Era una cerimonia macabra dove la morte non era altro che un segno d'inchiostro, una linea scura che divideva il tempo della libertà da quello della schiavitù.
Nient'altro.
Solo una cerimonia.

"Non ... Non farle troppo male." - Pigolò il bambino, rompendo il silenzio pesante di tensione.

"Sai come funziona la cerimonia, Sacro Romano Impero. Credo di averla presieduta sufficienti volte per aver sviluppato una buona mano. Non la farò soffrire più del dovuto."

"Forse agli esseri umani è andata meglio ..." - L'altro si alzò con un piccolo tonfo dalla sedia, avviandosi alla porta. - "Forse soffrono di più, ma poi per loro è finita per sempre. O almeno credo. Se sono stati buoni, proveranno una gioia eterna ... Noi invece, siamo condannati al limbo della vita terrena. Per sempre. Oppure scompariamo come se non fossimo mai esistiti ... Mi chiedo se ci aspetti l'Inferno, il Paradiso, o semplicemente il nulla ... Con permesso."

Austria fece un cenno con la testa ed aspettò che l'altro uscisse, prima di sedersi nuovamente sulla sua poltrona.
Prese un tagliacarte d'argento e lasciò scorrere la lama lungo il profilo della sua mano.
Si era ferito molte volte, ma raramente ve n'era rimasta traccia.
Anche Venezia, probabilmente, non avrebbe conservato a lungo la ferita ...
Allora perché continuava a pensarci?
Quale misterioso senso di colpa gli stava gravando sul cuore?

La bambina non era certo il primo territorio che sottometteva.
Quella cerimonia si era ripetuta tante volte, e altrettante volte egli aveva visto Nazioni cadere a terra in fin di vita per mano sua, dichiarando fedeltà all'Aquila.
Ciononostante, in fondo al suo cuore, ogni volta ci stava un po' male.
Non importava quanti secoli segnassero le spalle dei suoi sottoposti, o quanto l'atto non fosse realmente mortale: colpire a morte degli infanti indifesi, o delle bellissime donne, o degli uomini gentili, gli lasciava sempre l'amaro in bocca, e cupe trenodie nei timpani.


 

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Hai visto, nonno?
L'hanno preparato in mio onore!
Guarda quanti dolci, e quanta frutta!
Ne vuoi un po'?
Ecco, siediti qui, questi cuscini sono morbidissimi ... Così non ti affaticherai.
Sei contento, nonno?
Quel quadro lì, sulla parete in fondo, l'ho dipinto io ... Sono migliorato, vero?
Ahah, nonno, mi fai arrossire!


---

"Akkor szép az erdő mikor zöld,
Mikor a vad galamb benne költ.
Olyan a vad galamb mint a lány,
Sírva sétál a párja után."

---

Nonno ...?
Perché ti sei alzato?
No ... Siediti, sembri stanco.
Nonno ...
Nonno, dove vai?
Aspettami ...
No, nonno ... Non andare via!
Aspettami!


---

"Ezt a kerek erdőt járom én,
Ezt a barna kislányt várom én.
Ez a barna kislány viola,
Én vagyok a vigasztalója."

---

"Nonno!"

"Oh, buongiorno, szeretett!"



Feliciano strinse un po' gli occhi e cercò di mettere a fuoco la figura vicino al suo letto.
La prima cosa che notò, con la figura intenta a sistemare le tende, furono i suoi lunghissimi capelli, che ricadevano con morbidi boccoli sul fiocco adagiato all'altezza del coccige.

"Ti è piaciuta la mia canzone?" - Chiese sorridendo, voltandosi finalmente verso il bambino. - "Oppure ti sei svegliato per farmi smettere?"

"No! No, mi è piaciuta ... E' bella." - Guardò rapito il volto della donna, e non poté fare a meno di pensare che la sua voce era bella tanto quanto il suo viso. - " ... E-E anche voi siete bella."

"Oh, ti ringrazio!" - Si sedette sul letto e passò una mano sulla guancia del bambino. - "Io sono Erzsébet, l'Ungheria. E tu?"

"Sono Venezia ... Alcuni dicono che sono l'intera Italia del Nord, perché non ..." - Lasciò cadere la frase e scosse un poco la testa. - " ... Però potete chiamarmi Feliciano! O Feli!"

Ungheria si sorprese un poco alla scoperta.
Tutti, alla corte di Austria, erano convinti che Venezia fosse una bambina ...
Ma chi era, lei, per contraddire Roderich?
Sarebbe stato il loro piccolo segreto.

"Piacere, Feliciano!" - Un sorriso giocoso si dipinse sul suo volto. - "Dammi pure del tu, non mi piace l'etichetta!"

"L'eti-che ...?" - Feliciano inclinò la testa un po' confuso, sentendo il cuore battergli forte quando Ungheria si avvicinò di nuovo.

"Ora devi alzarti, Feli, è una giornata importante ..." - Gli diede un bacio sulla fronte e lo sollevò dolcemente dalle coperte, posandolo ai piedi del letto. - "Dunque ... Il Signor Austria mi ha detto di vestirti con l'abito più pregiato che hai!"

"Ma ... Ma i miei vestiti sono a-" - Dovette interrompersi quando, aperto l'armadio, Ungheria rivelò tutti gli abiti che teneva a Venezia, al palazzo del Doge dove abitava.

"Sorpreso? Li hanno portati qui ieri, mentre non eri in questa stanza." - Canticchiò qualcosa, mentre con le mani scorreva ogni vestito in cerca del più bello.

"Questo qui, quello rosso ..." - Il bambino si avvicinò all'armadio e tirò un vestito per un lembo di stoffa. - "Le stoffe sono state tessute in Cina ... E i fili d'oro provengono da un'antica coppa romana. E queste piccole gemme ... Vengono dalle Americhe."

"E' davvero bello, Feli ..." - Commentò la ragazza, prendendo l'abito in mano. Per un attimo, il suo sorriso fu smorzato. - "Ora dovresti seguirmi! Le ancelle ti hanno preparato una vasca d'acqua calda con olii ed essenze!"

Lo prese per mano ed insieme si avventurarono nel corridoio che portava alla stanza prescelta.


Anche Ungheria decise di concedersi un bagno.
Immersa nell'acqua calda, tra i fumi di vapore, sfiorò assorta il suo petto.
Lì, proprio sopra il cuore, la pelle si faceva un po' più dura e sensibile.
La ragazza si morse appena il labbro mentre un brivido le percorse la schiena.
In quel punto ... Proprio in quel punto ...


 

"Als Dienerin, ich wiedergeboren"
 


Anche lei era una serva.
Proprio come si apprestava ad essere Feliciano.
Anche lei aveva avuto la sua cerimonia.
Aveva sentito la lama fredda e le era mancato il respiro.
Ma gli occhi di Roderich erano bellissimi.
Poteva sentire il suo cuore battere forte, e la sua mano sinistra sostenerla mentre il suo corpo si abbandonava e lentamente perdeva i sensi.
Il volto di Roderich sembrava chiederle perdono.
Ed Erzsébet, a Roderich, avrebbe potuto perdonare qualsiasi cosa.


 

___________________________
 



"Cosa c'è scritto?" - Chiese Feliciano, leggendo la pergamena che Ungheria gli aveva dato.

"Non importa ... Devi solo impararlo a memoria." - Sorrise lei, sedendosi al suo fianco e accarezzandogli le spalle. - "Hai proprio ragione, questo vestito è bellissimo!"

"Ma ... Se sapessi cosa c'è scritto, potrei impararlo più velocemente."

"Davvero non lo sai? Credevo che tutti noi potessimo comprenderci a vicenda, a prescindere dalla lingua che parliamo ..."

"Ma non capisco ... Non ne capisco il senso!" - Protestò ancora, la voce tesa. - "Devo servire ... Chi? P-Perché?"

"..." - Ungheria sospirò e lo abbracciò, stringendolo appena al suo petto. - "Venezia è sotto il controllo austriaco. E così ... Tu dovrai vivere qui. Con me e gli altri, al servizio del Signor Austria ..."

"M-Ma ... Se sono un servo, perché c'è una festa in mio onore ... O-Oggi?"

"E' l'esecuzione cerimoniale ... Segna il passaggio da territorio sovrano a territorio servo."

"Esecuzione?" - Il bambino spalancò gli occhi allarmato.

"Sì ... Non preoccuparti. Non è nulla di pericoloso ... Cadrai in un sonno profondo ... E ti risveglierai presto."

"Q-Quanto presto?" - Gli occhi di Feliciano ora minacciavano di riempirsi di lacrime.

"Un giorno, due al massimo ... Sarà tutto finito prima che tu possa accorgertene. Non avere paura."

"Ma ... F-Farà male ... N-Non mi piace provare dolore ..." - Piagnucolò, bagnando di lacrime il vestito della donna.

"Non pensarci ... Te l'ho detto. Finirà tutto presto, stai tranquillo." - Gli diede un bacio sulla testa e lo cullò tra le sue braccia per calmarlo.

Attendendo l'ora della cerimonia, gli cantò una dolce canzone.



 

___________________________

 

Devo essere forte.
Il nonno ha sopportato tante battaglie, e tante ferite dolorose ...
Eppure mi sorrideva sempre.
Anche io devo sorridere ... Anche io devo essere forte.
Ma io ... Io ho paura.



I passi di Feliciano riecheggiavano nel silenzio, mentre camminava lentamente nel corridoio in mezzo alle navate, come una barca tra due file di scogli.
Si guardò attorno, cercando di distrarsi, ma le mille paia di occhi che lo fissavano non facevano che aumentare la sua tensione.

Tra tante volti sconosciuti, aveva potuto scorgere quello dell'uomo che lo accompagnò il giorno prima all'interno del palazzo.
Vide gli occhi di Erzsébet che lo guardavano in modo materno, con giusto una punta di tristezza, mentre con un cenno del collo lo esortava a proseguire.
Vide gli occhi azzurri e preoccupati del bambino biondo, ed ancora una volta gli scappò un sorriso e pensò al mare veneziano.
Vide gli occhi della domestica guardare altrove, verso la parte più interna della stanza.
Là, ormai poco più avanti, Austria lo osservava immobile, ritto e serio.

Giunto a pochi passi da lui, Feliciano lo guardò intimorito e, confuso, si inginocchiò al suo cospetto, come Ungheria lo aveva istruito poco prima.
Congiunse le manine goffe e tremanti, come a voler pregare, ed inchinò il capo verso terra.
In quella posizione, sentire il suo cuore che batteva all'impazzata era molto più facile.

Sentì la testa girargli all'improvviso, e gli parve di vivere un sogno, o un incubo.
Chiuse gli occhi e rimase così per qualche istante, o qualche ora.
Non avrebbe davvero potuto dirlo con certezza.
Impara a memoria questo scritto ...
All'improvviso, i ricordi gli colpirono le tempie come una freccia scoccata, e si apprestò a recitare quanto studiato qualche ora prima.

 

"I-Io ... Repubblica di Venezia. Umilmente ... Uhm, umile serva.
Umilmente mi inchino ... Alla corona imperiale.
E ... E alla sacra aquila ... Bicipite. Favorita da Dio.
E umilmente abbasso il capo alla spada.
E chiedo rifugio al ... Al mio signore.
E come serva, rinasco.
Per il bene di Dio e di tutte le sue creature.
Come serva, rinasco."

 

"Io, Regno d'Austria, ove il Sacro Romano Impero pose le radici,
scelto dall'Aquila per guidare le genti et imperare sul mondo terreno,
umilmente mi protraggo a Lei, et umilmente assolvo al mio impegno.
In accordo con la volontà divina, l'Aquila allarga le ali et accoglie i suoi figli.
Così, onorando l'antica promessa, io, Regno d'Austria, timorato di Dio,
accetto la timorata di Dio, Repubblica di Venezia, come mia umile serva."




La voce di Austria suonava forte e decisa, quasi a voler nascondere le sue debolezze, come il guscio duro nasconde la molle carne dei bivalvi.
Feliciano chiuse gli occhi mentre l'altro parlava, e, rifiutandosi di sapere esattamente cosa stesse dicendo, si concentrò sui suoni, su come ogni sillaba veniva scandita, su come la voce cambiava intonazione e su come vibrò appena verso la fine, come se il tono severo rischiasse di cedere il posto a qualcosa di diverso.


 

"I testimoni prendono atto dell'evento et umilmente si sottomettono alla volontà divina.
Possa il signore concedere alla serva l'onore della rinascita."

 


A queste parole, pronunciate da un uomo che Feliciano non riuscì a scorgere, Austria annuì, e fece cenno a Venezia di seguirlo.
Insieme varcarono una piccola porta dorata, che l'austriaco richiuse dietro di sé.

La stanza, ora, era piccola e così riccamente decorata da dare un senso di claustrofobia.
Le pareti erano ricoperte d'oro e di affreschi, e le uniche vie di evasione da quello scenario erano due piccole finestre gemelle, ciascuna su una diversa parete, ed un oblò poco più grande che gettava per terra un fascio di luce, reso brillante da tutti quegli ori.

Solo dopo qualche minuto, lo sguardo del bambino riuscì a posarsi impaurito sulla figura di Austria, che lo guardava come rapito da sentimenti contrapposti.

"S-Signor Austria ..." - Forse sarebbe stato meglio se tutto fosse finito in fretta. - "Ora dovete ... Dovete uccidermi. V-Vero?"

"Ho fatto fatica a scacciare questo pensiero per tutto il giorno. Vi proibisco di riportarlo alla mia mente in questo modo." - Roderich volse lo sguardo altrove, e la sua voce lottava tra il bisogno di impassibilità ed il desiderio di empatia.

"..." - Feliciano rimase in silenzio, alquanto stupito da quella risposta.

Non avrebbe resistito a lungo senza piangere.
Forse era davvero meglio sbrigarsi.
Forse, in quel giorno di sonno eterno, avrebbe potuto rivedere suo nonno ...
Se così fosse stato, avrebbe potuto sopportare anche tutto il dolore del mondo.

"So come ci si sente." - Austria ruppe il silenzio, e sembrò voler prolungare l'attesa per qualche sconosciuta ragione. - "Credo che a tutti noi sia capitata sia la parte della vittima, sia quella del carnefice, ad un certo punto della nostra vita. Vi è mai accaduto, prima d'ora, di essere in questa situazione?"

"No ..." - Rispose il bambino, e sentì il cuore battere sempre più forte, in preda all'agonia dell'attesa.

All'improvviso, Austria si avvicinò e si inchinò alla sua altezza.
Venezia ebbe un sussulto e l'istinto di arretrare.
Nonostante tutto ... Morire faceva paura.

"...!" - Si stupì ancora quando l'altro, in modo un po' goffo a dire il vero, pose la mano sulla sua schiena e lo avvicinò a sé. - "Quello che succede in questa stanza ... Non può vederlo nessun altro. E' l'unica mia consolazione. Se dovessi farlo senza poter cedere minimamente, di fronte a tutti ... Credo che impazzirei."

Non aveva mai ucciso nessuno di così piccolo.
Aveva ucciso altri territori molto giovani, sì, ma mai così piccoli.
Pensò che quello che stava facendo non era da lui, che sarebbe stato meglio dargli subito il colpo di grazia senza tanti convenevoli.
Si chiamava colpo di grazia, dopotutto.
Ma ,,, Ma non ci era riuscito.
Ed ora, in quella stanza chiusa, senza nessuno a cui dover rendere conto, poteva agire come meglio credeva.
Poteva agire secondo Roderich, e senza domandarsi come il Regno d'Austria avrebbe agito.

Anche quella volta ...
Era stato Roderich a baciare le labbra morenti di Erzsébet, e ad accarezzarle i capelli, e a tenerla vicina mentre il suo cuore cessava di battere.
Non era stata l'Austria.

"Chiudi gli occhi ..." - Gli sussurrò all'orecchio, spingendo dolcemente la testa contro la sua spalla, e accompagnandolo in un movimento simile ad una culla. - "Pensa di essere altrove, nel luogo dove più d'ogni altro vorresti essere ..."

A Feliciano scappò un sorriso.
Da suo nonno.
Voleva essere dovunque fosse suo nonno.
Sentì qualcosa di pungente toccargli il petto.
Sentì qualcosa di strano, come se una fontana d'acqua calda avesse preso all'improvviso a sgorgare energica da dentro il suo corpo.
Anche Roderich chiuse gli occhi.


 

Nonno, puoi sentirmi?
Sono io ... Nonno!
Mi riconosci?
Sono venuto a trovarti ...
Mi sei mancato, nonno.

 

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Als Dienerin, Sie wiedergeboren



Roderich si assicurò che il cuore avesse smesso di battere e raccolse il corpicino esanime da terra.
Aprì la porta e tornò nella stanza gremita, dove tutti lo attendevano.
Posò il corpo sull'altare affinché il vescovo potesse benedirlo.
In seguito, venne caricato su una stuoia di velluto e portato via.

Delle donne, in privato, lo spogliarono del suo vestito più prezioso e lo vestirono in abiti servili.
Venne infine adagiato su un letto profumato, circondato da fiori appena colti.
E lì, tra piante e profumi, attesero la sua rinascita.



 

Come una serva, Venezia rinacque.

 

Fine.  
 

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Note. Ciao! Spero che la storia vi sia piaciuta ... Onestamente, non sono completamente soddisfatta di come è venuta, ma credo almeno di aver raggiunto la decenza ^^' La storia è ispirata ad un prompt sull'Hetalia Kink Meme che parlava, appunto, di un'esecuzione cerimoniale come evento simbolico per segnare l'invasione di un territorio da parte di un altro ... E, nello specifico, l'autore aveva aggiunto che gli sarebbe piaciuto vedere una cosa del genere con Chibitalia ed Austria, dove il secondo cercasse di rendere il tutto meno spaventoso per il bambino. Ecco, a tal proposito, ho paura di aver reso Roderich un pochino OOC verso la fine =/ Comunque sia, se riesco la traduco in Inglese e la consegno all'autore del prompt, mi sembra un po' ingiusto aver utilizzato la sua idea e non fargliela leggere 'xD
A livello storico credo ci sia qualche incongruenza, ma spero non si noti troppo :'D
La canzone che canta Ungheria a Chibitalia per svegliarlo è questa qui, nel caso qualcuno volesse sentirla ^^
A volte mi riferisco a Chibitalia al femminile e a volte al maschile perchè volevo mantenere il fatto che Austria credeva fosse una bambina c:
Beh, a presto, se volete lasciate una recensione, mi farebbe piacere ♥

~ Ary.
               

  
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