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Autore: RandomWriter    31/12/2015    5 recensioni
« Dunque, adesso prendiamo un uovo a testa, lo svuotiamo, lo decoriamo e… »
« Buona Pasqua! » lo interruppe Nathaniel con sarcasmo « è il 31 dicembre oggi… ti manca un venerdì? »
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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150 dB

 
Quando riaprì gli occhi, sussultò spaventato contro il materasso morbido. Gli si era materializzato davanti il volto di sua madre, che lo troneggiava dall’alto. L’espressione della donna lasciava presagire l’ennesimo rimprovero quotidiano:
« Abbassa il volume di quell’i-pod, Castiel! Diventerai sordo »
Il ragazzino sbuffò infastidito, mettendosi pigramente seduto. Sgattaiolò, allontanandosi da lei e appoggiò la schiena contro la testiera del letto. Non aveva bisogno dell’udito per interpretare il messaggio di sua madre, che gli era giunto solo come un movimento concitato di labbra. Si scostò le cuffiette, liberando i condotti uditivi, che ancora ronzavano per le note dei Metallica che avevano martellato sui suoi timpani fino a quel momento:
« Ti sto chiamando da due minuti buoni, tesoro » sospirò Tyra, mettendosi seduta sul letto. Le mani in grembo e le spalle abbassate, nella posa di chi presenta una richiesta di non belligeranza. Era impossibile che sua madre si inalberasse o si mettesse ad urlare. Lei non era capace di scatti d’ira, nemmeno quando le circostanze l’avrebbero imposto, circostanze che venivano a materializzarsi frequentemente nella figura di suo figlio. Era solo questione di tempo prima che il loro vicino suonasse il campanello per lamentarsi del vaso di terracotta che aveva rotto insieme a Nathaniel. Colpa del suo amico, che aveva insistito per una partita a calcio, in cui l’aveva per altro stracciato. La prossima volta avrebbe proposto il basket, con le mani il moro era decisamente più abile rispetto ai piedi.
Forse sua madre era salita apposta per rimproverarlo, ma nell’attesa di scoprire il motivo della sua visita, Castiel appariva sereno. Per certi versi avrebbe voluto una reazione violenta dalla donna, a prescindere dalla causa scatenante, perché gli avrebbe fornito la dimostrazione di quanto lei tenesse alla sua educazione.
« Che vuoi? » farfugliò Castiel, scegliendo una nuova playlist. Everything I wanna do dei Nickelback, era in fissa per quella canzone da un po’.
« Farti le ultime raccomandazioni per stasera. Sei proprio sicuro che non vuoi venire con noi dal nonno? » tentò, con l’espressione rassegnata di chi conosce già una risposta sgradita.
« Ho tredici anni mamma… secondo te sono il tipo da passare l’ultimo dell’anno in famiglia? »
« A tredici anni non si è poi tanto grandi… » gli sorrise dolcemente.
Era innegabile.
All’epoca, adorava sua madre. Era dolce, comprensiva, la donna migliore che suo padre potesse sposare. Si chiedeva allora come fosse possibile non aver ereditato la gentilezza dei suoi modi, la bontà del suo carattere o la pazienza della sua indole.
« Comunque ho già detto a Nate che venga da me che ho casa libera » farfugliò « mica posso annullare all’ultimo »
« Digli che venga con noi, allora » suggerì Tyra, intuendo una falla, nell’orgogliosa corazza del ragazzino.
Bastò ricambiare quella proposta con un’occhiata gelida perché la donna abbandonasse ogni altro tentativo di corruzione. Sapeva che tra Castiel e suo padre non scorreva buon sangue. Victor Black era un uomo tutto d’un pezzo, che aveva riposto nel suo unico nipote, le speranze e i progetti del futuro della sua famiglia. Lei era stata un fallimento sin dalla nascita, in quanto femmina e la sorte era stata così avversa, da non concedere a Victor un erede, a causa della morte prematura della moglie. Non aveva voluto risposarsi, nonostante il suo fascino e l’ingente patrimonio avessero attirato non poche attenzioni da parte di donne dell’alta società.
« Un giorno tutto questo sarà della tua famiglia » le diceva il padre con orgoglio, durante le loro lunghe passeggiate nel parco della villa. Tuttavia, il corso degli eventi non aveva seguito il tracciato che lui aveva predisposto.  Tyra si era innamorata perdutamente di uno studente squattrinato, che di blu, aveva solo il maglione sgualcito con cui si era presentato a cena da villa Black.
Quando Victor gli aveva chiesto, in modo alquanto grezzo e brutale « Hai sangue blu? », Frank Wright aveva placidamente risposto « Spero di no, altrimenti vorrebbe dire che sono in ipossia »
L’aspirante chirurgo l’aveva freddato con quella battutina che era bastata a definire sin da subito le sue intenzioni: non si sarebbe fatto piegare dallo status nobiliare dei Black, aveva la sua dignità e l’avrebbe difesa per se stesso e per l’amore verso Tyra.
« Adesso potresti uscire? »
La donna si destò, accantonando i ricordi che erano affiorati in lei. Erano passati molti anni da allora, che avevano lasciato come traccia quella figura perennemente imbronciata, dalla chioma spettinata e scura. Figura che l’aveva appena invitata a liberare il suo territorio.
« Mi raccomando, fate i bravi » gli disse, dandogli una pacca affettuosa sulla gamba.
Castiel sollevò leggermente lo sguardo e, quando fu sicuro di non essere visto, sorrise teneramente.
 
« Mi spieghi perché finisco sempre per farmi trascinare dalle tue trovate del cavolo? »
« Perché sono un tipo carismatico »
« Cos’è che sei? » domandò Nathaniel, lasciandosi sfuggire una nota più stridula sul finale della frase, nel tentativo di allungarsi verso l’amico.
Castiel era in bilico su una sedia, intendo a rovistare il piano più alto della mensola.
« Carismatico » ripetè, voltandosi verso l’amico. Il biondo emise uno sbuffo beffardo, ricevendo a sua volta un calcio scherzoso dall’altro.
« Li ho nascosti qui, non posso credere che papà li abbia trovati » cercava di rassicurarsi il moro, continuando a tastare a tentoni il ripiano. Le mani avevano il compito di esplorare quello che alla vista era precluso.
« Scendi, li cerco io. Tu sei un tappo » lo sfottè Nathaniel, incrociando le braccia al petto.
Per la seconda volta, amico tornò a guardarlo, questa volta con evidente irritazione. Quell’anno Nathaniel era cresciuto molto, diventando il più alto della classe e quella conquista era andata di pari passo con l’aumentata popolarità tra le ragazze. Inoltre, nonostante la delicata fase ormonale, non un brufolo aveva intaccato quella pelle di porcellana, fenomeno che sul suo più sfortunato amico sembrava essersi dato alla pazza gioia.
« Solo di sette centimetri » farfugliò, senza però abbandonare la posizione. Avrebbe gongolato non poco se avesse saputo che, di lì a pochi anni, non solo avrebbe superato di un paio di centimetri il biondo, ma sarebbe pure diventato uno dei giocatori più forti della squadra di basket del suo liceo. Poiché la possibilità di leggere il futuro gli era negata, Castiel poteva solo accettare il suo status di adolescente, fragilmente in balia di ormoni ed emozioni ingestibili per la sua impulsività.
Le sue dita incrociarono finalmente un pacchetto vuoto ed esultò, balzando giù dalla sedia.
Nathaniel si avvicinò, domandando perplesso:
« Sei sicuro che sia una buona idea? »
« Quando mai le mie non sono delle buone idee? »
« Sempre » asserì categorico il biondo, con un’espressione talmente seria che il rosso ghignò divertito.
« Mia madre ancora mi chiede come ho fatto a rompermi il braccio giocando a nascondino tre anni fa » continuò il ragazzo, seguendo il padrone di casa in cucina.
« Era una vita fa! Che palle! Le ossa si aggiustano… » borbottò con non curanza il moro. Ironia della sorte, si sarebbe sentito dire la stessa frase molti anni più avanti, dopo che suo figlio Derek si sarebbe ritrovato un braccio ingessato. Tutta quella vena di incoscienza e spericolatezza che aveva da bambino era destinato a trasmetterla al suo secondogenito, il quale con essa, se non altro, avrebbe ereditato anche l’agilità di movimento della madre.
« Comunque, io ero davvero convinto di aver visto Charmender su quel ramo » spiegò, riferendosi ad un episodio accaduto alle elementari.
« Se è per questo due mesi prima mi avevi giurato di aver intravisto un leopardo nella saletta dei maestri e invece era la pelliccia di Miss Sanders » osservò Nathaniel, appoggiando i gomiti sul tavolo.
« La cosa assurda è che per quante cazzate continuassi a sparare, tu mi hai sempre assecondato. Anzi, sei stato su ad insistere perché ci arrampicassimo sulla quercia »
« No, eri tu quello che diceva che la nostra era una missione di soccorso » lo contraddisse il biondo e, osservando incuriosito l’amico, cambiò discorso « perché hai preso le uova? Facciamo una frittata? » domandò, mentre Castiel appoggiava una confezione sul tavolo.
Il ragazzino richiuse il frigo, accantonando alle uova la scatolina che aveva recuperato dalla mensola.
« Dunque, adesso prendiamo un uovo a testa, lo svuotiamo, lo decoriamo e… »
« Buona Pasqua! » lo interruppe Nathaniel con sarcasmo « è il 31 dicembre oggi… ti manca un venerdì? »
L’amico sbuffò infastidito e proseguì:
« Ok, la decorazione la possiamo saltare, tanto non so neppure tenere in mano un pennello. Scriviamoci qualcosa con un pennarello  e poi ci mettiamo dentro uno di questi e… »
« E…? » incalzò Nathaniel, scrutando la scatolina in mano all’amico.
« E boh, vediamo che succede »
« Sono petardi, Cas. Che vuoi che succeda? L’uovo andrà in mille pezzi… »
« Beh, è figo no? » si gasò il moro.
Di fronte all’espressione poco entusiasta dell’amico però, fu costretto a ridimensionare la propria allegria e borbottare sulla difensiva:
« Cioè, è sempre meglio che guardare la TV »
Si sentiva in difficoltà per aver fatto la figura del bambino immaturo. Non sopportava di passare per quello che si entusiasmava per delle sciocchezze, di fronte all’aria quasi adulta con cui lo guardava il suo migliore amico.
Tuttavia, lo vide sorridere complice e, infine, sogghignare:
« E chi ti ha detto che non voglio farlo? »
 
Mancavano un paio d’ore alla mezzanotte e, dopo aver ordinato una quantità assurda di pizza, i due ragazzini si erano portati sul divano:
« I fuochi d’artificio possono raggiungere i 150 decibel… » stava recitando la giornalista del tg, quando Castiel settò la TV sulla schermata del lettore DVD.
« Giuro che se mi chiedi di vedere un’altra volta Scary Movie, ti caccio Nate » lo stava minacciando il moro.
« A casa non mi lasciano guardare questi film » borbottò Nathaniel risentito « non c’è nulla di educativo » aggiunse, facendo il verso al tono austero di suo padre Gustave.
L’amico sghignazzò, avvicinandosi alla nutrita raccolta di film esibita in salotto. Passò in rassegna i titoli dei DVD mentre alle sue spalle, Nathaniel gli ricordava:
« Non mi hai più detto perché tuo nonno si è arrabbiato con te l’ultima volta… »
Castiel gli mostrò una custodia con l’immagine di un thriller, il biondo annuì e mentre lo osservava inserire il DVD nel lettore, il moro rispose:
« Mi aveva portato a fare due passi nel parco che c’è intorno alla sua villa. Ad un certo punto si è fermato e con fare teatrale mi fa “tutto questo un giorno sarà tuo” e io ho aggiunto “… Simba” »
Passò qualche secondo di silenzio, dopo il quale Nathaniel ammise candidamente:
« Non l’ho capita »
« Ma come? Hai presente la scena del Re Leone con Mufasa che mostra a Simba l’estensione del suo regno? »
« Ah » convenne l’altro, con scarso entusiasmo.
« Eddai, Nate, era forte come battuta! »
« E tuo nonno se l’è presa? »
« A quanto pare lui l’aveva capita. Sarà perché è stato con lui che ho visto il Re Leone da piccolo… così è sbottato, dicendo che non prendo mai le cose seriamente, che devo smetterla di comportarmi come un ragazzino… che se solo lo volessi, un giorno porterò io il nome dei Black… come se fosse chissà che poi » brontolò il padrone di casa, stravaccandosi sulla poltrona.
« Ma tu fai Wright di cognome » osservò Nathaniel.
« Sì, ma lui vaneggia sul fatto che potrei cambiarlo e prendere il suo. Come se me ne fregasse qualcosa poi. Anzi no, Castiel Black… non ti suona male? »
L’amico ci pensò un attimo, mentre immagini con i nomi degli attori apparivano sullo schermo:
« No, non sarebbe male » decretò infine.
« Mah, a me fa cagare » decretò infine « e poi se anche facessi come vuole lui, cambierebbe poco perché io di certo non mi sposo »
« Ah beh, per questo neppure io ci tengo a sposarmi » lo appoggiò con convinzione l’amico.
« Per carità… le femmine… che schifo »
Nathaniel ridacchiò e malignò:
« Pensa se ti sposassi con Kimberly »
« La cicciona della F? » e scoppiò a ridere, come se il biondo avesse fatto una battuta irresistibile.
Mentre la sua allegria si intiepidiva, iniziò a riflettere sullo status di suo nonno, sulle pressioni che esercitava su di lui, ogni qualvolta ne avesse l’occasione:
« Anche tuo padre vuole che un giorno prendi in mano l’azienda, no? » gli domandò con distacco, tenendo lo sguardo focalizzato sullo schermo. Questo gli impedì di vedere il viso dell’amico contrirsi, per poi oscurarsi:
« Se solo ci chiedessero cosa vogliamo, invece di imporci le loro decisioni… » sussurrò Nathaniel con freddezza. Castiel allora lo fissò, senza aggiungere alcun commento. Pure suo nonno non esitava a fargli pressioni in visto di quello che sperava essere un futuro glorioso per i Black. Ciononostante, il ragazzino non si lasciava condizionare da quei discorsi. Avrebbe fatto la sua vita, inseguito i suoi sogni, ignorando chiunque glielo volesse impedire.
Nathaniel però era diverso da lui. Era come se avesse una catena alla caviglia, che lo vincolasse a restare fermo in una sola posizione, senza via di fuga.
Si pentì di aver tirato fuori quell’argomento, non aveva la maturità e sensibilità per consolare l’amico.
Si allungò a prendere la lattina di Coca-Cola che sollevò trionfalmente verso l’alto:
« Alle nostre famiglie… » esordì, mentre Nathaniel lo guardava senza capire « … che si fottano! »
Solo allora il sorriso tornò sulla labbra dell’amico che, contagiato da quell’irriverenza, ripetè:
« …  che si fottano »
 
Mancavano dieci minuti allo scoccare della mezzanotte.
Castiel e Nathaniel uscirono in giardino, tenendo in mano i loro piccoli lavori pirotecnici. Come progettato da Castiel, avevano inserito un petardo all’interno di un guscio d’uovo, lasciando che la miccia fuoriuscisse.
« Ah il vecchio oggi era incazzatissimo per il vaso, meglio se andiamo a farli esplodere lungo la strada » ragionò Castiel, indicando l’abitazione del vicino di casa.
I due allora si munirono di cappotti e si allontanarono di un paio di isolati dalla casa dei Black.
« Ambra quindi è rimasta a casa con i tuoi? »
« Per forza. Non ha amici » spiegò Nathaniel, aggirando un cassonetto.
« Se non fosse così odiosa, ti avrei detto di invitarla »
« Non l’avresti fatto » sorrise il biondo, ricevendo in risposta una smorfia analoga dall’amico.
Avanzarono per il marciapiede, lasciato deserto dalle persone rinchiuse nelle proprie abitazioni al caldo o nei locali ad attendere il nuovo anno.
« Adesso mi fai vedere cosa hai scritto sul tuo uovo? »
Castiel allora ghignò, lasciando scintillare un sorriso sfrontato:
« Questo petardo è diverso dal tuo » iniziò a vantarsi « è super potente, riesce a fare un botto pazzesco. Supera i 150 decibel! Scatena l’inferno quando lo accendi… proprio come quella strega della Sanders »
« Hai dato il nome di una prof ad un petardo? » riepilogò Nathaniel, guardando l’amico come se fosse idiota.
« Monna Sanders » recitò lui con orgoglio, indicando la scritta a pennarello sul guscio. Tuttavia, l’espressione immutabilmente poco convinta del suo compare lo indispettì, portandolo a brontolare:
« Beh, perché tu cosa hai scritto? »
Lo vide allora ruotare il guscio sul palmo, fino a permettergli di leggere interamente la scritta “Daniels Company”
Interpretando l’espressione perplessa dell’amico, il futuro segretario delegato del liceo Dolce Amoris spiegò:
« Rappresenta l’azienda di famiglia che, proprio come quest’uovo, spero che un giorno vada in pezzi »
« Non mi sembra un augurio molto intelligente, visto che è anche alla base della tua sopravvivenza » osservò Castiel.
« Ma se la Daniels Company non esisterà più, io sarò finalmente libero »
Il biondo sorrideva, in una smorfia serena e appagata, come se quel suo desiderio si potesse materializzare un giorno. Il moro allora non aggiunse altro e, svoltato l’angolo, individuarono uno spiazzo.
Nathaniel stava per afferrare l’accendino, quando un botto improvviso lo fece sussultare.
L’uovo gli scivolò dalle mani, schiantandosi a terra in mille pezzi. A peggiorare il tutto, il petardo finì nella grata del tombino sottostante, perdendosi nell’impianto fognario.
« Cazzo, è mezzanotte! » imprecò Castiel, controllando l’ora sul cellulare.
« E il mio petardo  è andato… ah, comunque buon anno » disse l’altro, con scarso entusiasmo.
« Beh, almeno l’uovo si è rott- »
Si voltò di scatto, interrompendo la frase.
« Che ti prende? »
Il moro aveva il mento leggermente alzato, quasi volesse fiutare l’aria. Ma ad essere stato solleticato non era il suo olfatto:
« Tu non hai sentito nulla? »
Dall’espressione perplessa del biondo, Castiel concluse che la sua immaginazione lo avesse tradito e proseguì:
« Quindi ora puntiamo tutto su Monna » asserì fiducioso, alloggiando meglio il petardo all’interno del foro del guscio. Nathaniel aveva già accantonato la delusione per il fallimento del suo tentativo, ansioso di far esplodere il loro unico e ultimo petardo.
Di sottofondo, si udivano i botti assordanti sparati in altre zone della città, alcuni dei quali erano dei veri e propri fuochi d’artificio spettacolari.
« Lanciamolo là » propose il biondo indicando un punto a pochi passi di distanza. Si posizionarono così al centro di una piazzetta di cemento, circondata da un lato da una fila di cassonetti e scatoloni abbandonati, mentre su altri due lati era attorniata dalla siepe del parco limitrofo.
Castiel si fece passare l’accendino e si apprestò ad innescare la miccia.
In cuor suo, mentre ruotava il grilletto, sentiva una strana inquietudine; non riusciva a capire di cosa si trattasse, era come se avesse la percezione che stesse sbagliando. Eppure erano soli, non c’era la possibilità che i suoi genitori facessero irruzione da un momento all’altro, rimproverandolo per la sua ennesima trovata irresponsabile.
« Lanciala, Cas! Svelto! » lo esortò allarmato l’amico, appena la miccia venne innescata.
Il petardo volò lontano, atterrando sull’asfalto, a svariati metri di distanza da uno scatolone con il logo di una ditta specializzata di trasporti.
E fu allora che Castiel lo vide.
Le ante cartacee dello scatolone si alzarono e abbassarono per un secondo, seguite da un suono.
Lo stesso che aveva sentito pochi minuti prima, ma ora capì di non essersi sbagliato.
Dei suoi cinque sensi, l’udito era sempre stato quello più sviluppato.
Scattò improvvisamente verso il petardo, la cui miccia veniva pericolosamente percorsa da una scintilla inarrestabile:
« FERMO! CHE CAZZO FAI?! »  strillò Nathaniel in preda al terrore.
L’amico balzò sopra quella bomba in miniatura, calpestandola con violenza e sfregandola contro la superficie ruvida dell’asfalto. Il guscio dell’uovo si frammentò inevitabilmente, e i residui biancastri valsero a testimonianza della violenza subita.
« MA SEI DEFICIENTE O COSA!? »
Castiel ignorò però l’amico, anche se vederlo così agitato e collerico era decisamente una scena inusuale.
« POTEVI FARTI MALE SUL SERIO, IDIOTA! » perpetuava per l’appunto Nathaniel, incapace di tranquillizzarsi. Il moro aveva rischiato grosso e la cosa peggiore era che non ne era minimamente consapevole né tanto meno turbato.
Quell’alternarsi di insulti era la dimostrazione di quanto fosse sconvolto e, seppur quella scena fosse curiosa agli occhi del moro, anteponeva dell’altro alla sua attenzione.
Lo vide chinarsi all’altezza di uno scatolone e aprirne il contenuto:
« C’era un cane, Nate » mormorò semplicemente.
Nathaniel si avvicinò, ancora rosso in volto.
Il suo cuore continuava a martellargli in petto, togliendogli quasi il respiro.
« Un cane? » ripetè confuso.
L’amico intrufolò le mani all’interno dello scatolone, da cui estrasse una massa di pelo scura.
Lo tenne sollevato per qualche secondo, lasciando che la luce artificiale dei lampioni illuminassero un paio d’occhi marroni terrorizzati. Il cucciolo emetteva dei guaiti soffocati e una lieve congiuntivite dava l’impressione che stesse piangendo:
« Il petardo era lontano da lui, non gli avrebbe fatto nulla! » tornò ad arrabbiarsi Nathaniel.
Non poteva credere che Castiel avesse rischiato tanto inutilmente.
« 150 decibel… »
« Come? » domandò l’amico, incapace di sbollire la rabbia.
« E’ il livello di rumore dei fuochi d’artificio… i cani non lo sopportano »
Fu allora che Nathaniel non fiatò.
Per la prima volta, da quando l’aveva conosciuto, vide in Castiel un’espressione tenera e dolce: un’espressione nuova. Il moro aveva iniziato ad accarezzare quel cucciolo abbandonato, avvicinandolo a petto e sorreggendolo con una cura da far invida ad una madre verso un neonato. La bestiola, in tutta risposta, continuava a tremare spaventata, complici i botti che continuavano ad esplodere nelle vicinanze.
« Lo porto a casa » asserì risoluto.
« E i tuoi? »
« Mi inventerò qualcosa »
Non era rimasta più traccia della paura che aveva provato nel vedere l’amico correre un simile pericolo. Castiel era così.
Esternamente burbero e indisponente, straordinariamente sensibile e d’animo nobile.
Il biondo lo seguì in silenzio, osservando i residui dell’uovo lasciato sull’asfalto.
Il suo senso civico lo spinse a raccoglierli, facendo sorridere l’altro:
« Eddai, Nate, lasciali lì »
Nel vedere la figura accucciata a terra del biondo, il cagnolino sfuggì dalle mani del nuovo padrone, e si apprestò ad annusare i cocci del guscio.
« Pensa che sia cibo » s’intenerì Nathaniel « starà morendo di fame »
Castiel accarezzò nuovamente il manto scuro dell’animale, cercando di rassicurarlo:
« Adesso andiamo a mangiare… bello » esitò, sull’ultima parola.
« Come lo chiamerai? » gli lesse nel pensiero l’amico.
Castiel ci pensò un po’, grattandosi il capo con la mano rimasta libera.
Osservava Nathaniel e il suo meticoloso raccogliere i residui più grossi.
La scritta Monna Sanders si era irrimediabilmente frammentata, fatta eccezione per due sillabe che, miracolosamente, erano rimaste su due pezzi piuttosto grandi.
Il moro ruotò la testa, osservando questi ultimi con interesse.
« Mon-de » recitò tra sé e sé.
Poi l’illuminazione:
« Demon… »
« Che nome è? » rise Nathaniel ma, proprio quando stava per raccogliere il guscio con la sillaba “DE” capì.
Si alzò, rassegnatosi all’impossibilità di portare a termine il nobile ma inutile compito che si era prefissato. Allungò una mano verso il dorso della bestiona, il cui sguardo era fisso su Castiel, quasi avesse capito chi quella sera era destinato a diventare il suo migliore amico:
« Benvenuto in famiglia, Demon »
 



 
NOTE DELL’AUTRICE:
 
Piccola sorpresina di fine anno, per ringraziarvi tutte voi ragazze che leggete IHS ^^
Un altro anno si sta concludendo e mi sembrava giusto ribadire quanto vi sia grata per il vostro supporto e per la soddisfazione che mi date con le vostre recensioni e messaggi privati  (anche perché dopo aver tradito la promessa di pubblicare a Natale, questo mi sembra il minimo) ^^
 
Buon 2016 a tutte :D

 

 
  
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